Alberi in fiore

Il soffio del vento,
i teneri raggi di sole
che s’infiltrano nel cielo.
Nel cuore del verde prato,
bagnato dalla rugiada,
si trova un piccola foresta.
A un tratto una tempesta
si scatena nel silenzio.
Rami spezzati
da un albero in fiore.
Il fiore della vita,
di un futuro da costruire,
di un’anima rubata.
Agisce nell’ombra
quella spietata tempesta
che ruba i rami
da quei bellissimi
alberi in fiore.

 

Alda Sgroi

La Casa dei Prosciutti

La notte era gelida e tranquilla, come tutte le notti d’inverno della Val Bodenco. Spighe di grano fluttuavano al vento, rami di pino scrosciavano lenti, fari e lampioni illuminavano i campi e in lontananza un borbottio si approssimava a rompere il silenzio. Le auto sfrecciavano sulla statale, schegge di luce apparivano e sparivano in un istante, poi il buio inghiottiva di nuovo rapido case, siepi e campagne. Il borbottio incombeva ormai su Verrosio, diecimila anime stagliate sulle rive del fiume Multro, attraversando il centro da un capo all’altro, fino a stazionare in cima ad un grande spiazzo nei pressi di una lussuosa villa con un grande cartellone che recitava “La Casa dei Prosciutti”

Qui una luce rossa intermittente iniziò a roteare e il borbottio che s’era fatto boato iniziò ad essere incessante. Un rumore metallico dilaniò la notte e una palla di fuoco si levò al cielo, richiudendosi in una nuvola di polvere grigiastra. Sotto questa non era rimasto altro che un monolite d’acciaio accartocciato tra i carboni ardenti dell’erba bruciacchiata. A quel punto la quiete era tornata su Verrosio. Ma non sarebbe durata a lungo, non sarebbe sopravvissuta all’alba, quando i primi raggi di sole avrebbero mostrato l’entità della devastazione notturna.

Carlo Motta per campare scriveva romanzi, e nel tempo libero si dilettava ad assicurare criminali alla giustizia. Quella mattina era ancora nel letto di casa sua e si era svegliato scarico, privo d’immaginazione e di voglia di vivere. La chiamata del procuratore Angelo Pastore, suo vecchio amico nonché accanito lettore delle sue opere, giunse come una benedizione ad evitargli l’ennesima giornata di autocommiserazione e cibo spazzatura.

Parcheggiò la sua Smart Fortwo bianca nei pressi della sontuosa villa “Casa dei Prosciutti” della famiglia Ferrucci, giungendo sul luogo dell’incidente a piedi dopo aver evitato come la peste ogni possibile contatto con forze dell’ordine e curiosi. Non che fosse una rinomata celebrità, ma il rischio che qualcuno avesse letto le sue opere e riuscisse a identificarlo, c’era. E lui voleva scongiurarlo in ogni modo.

L’elicottero su cui viaggiavano Emilio Ferrucci e il suo pilota era disteso su uno spiazzo erboso, terra e cenere ricoprivano tutto per metri e metri, mentre le lamiere del veicolo si erano conficcate nel terreno rendendo complicate le manovre di recupero dei corpi.

«Questi ricchi hanno ben poco rispetto per la propria vita» disse Motta osservando la scena con le mani in tasca «Perché mai tornare a casa in elicottero? Non sanno che sono delle dannate macchine infernali? Ah, quanti danni che fa l’hybris»

«Alla buon’ora» lo rimbrottò il procuratore Pastore allargando le braccia spazientito.

«Questo sarebbe?» domandò un carabiniere che stava parlottando con Pastore.

«Un ficcanaso» rispose Motta dando una pacca sulla spalla al milite prima di inoltrarsi verso il luogo dell’incidente.

«E’ un mio amico scrittore. Nel tempo libero ci aiuta con le indagini» si giustificò Pastore.

«E’ un do ut des» esclamò Motta mentre il carabiniere e Pastore lo seguivano. «Io do una mano al procuratore e lui in cambio mi fornisce materiale per le mie storie».

«Sta scherzando ovviamente» disse il procuratore sorridendo nervosamente.

«Oh, giusto Angelo, devo ripetere la storiella che faccio tutto questo per dovere civico».

«Siete sicuro che possa esserci utile?» domandò scettico il carabiniere al procuratore mentre i tre si incamminavano nella sterpaglia.

«Avete la mia parola».

Giunti sul luogo dell’incidente Motta si mise le mani ai fianchi, guardò verso la casa dei Ferrucci, poi verso la carcassa dell’elicottero e ancora una volta verso la casa

«Scommetto che il morto è uno dei Ferrucci»

«Acuto osservatore» disse sarcastico il comandante dei carabinieri

«Perché, è così ovvio?» chiese Motta irritato

«Siamo nella loro proprietà»

«Se per questo tutta Verrosio è una loro proprietà. No, dico che il morto è un Ferrucci perché tutto il paese è venuto qui a curiosare»

«Si» confermò già esausto il carabiniere «La vittima è Emilio Ferrucci, il proprietario della famosa azienda “La Casa dei Prosciutti”»

«E il pilota?»

«Come scusi?»

«Il pilota dell’elicottero. È sopravvissuto?»

«No ovviamente. È morto nello schianto»

«Allora ci sono due vittime»

«Certo ma…»

«Certo ma il povero disgraziato non conta. Intendevate questo?» lo incalzò Motta a muso duro

«Fa sul serio?» chiese il carabiniere guardando prima Motta e poi Pastore

«Sto scherzando» esclamò lo scrittore esplodendo in una fragorosa risata «Volevo solo fare un po’ di demagogia spicciola»

«Ah ecco» rispose sollevato il comandante sistemandosi il colletto della divisa

«L’altro dov’è?»

«L’altro?»

«Non sono i due fratelli a gestire l’azienda Ferrucci? Emilio e Romano»

«Romano Ferrucci è morto l’anno scorso» rivelò il carabiniere

«Ah, molto bene» esclamò sorpreso Motta portandosi le mani alla bocca con fare pensieroso «Andiamo»

«Andare? Dove? Non ci dice nulla sulla scena?» domandò allarmato il comandante

«Un elicottero è esploso in volo»

«In volo?»

«In volo» confermò Motta indicando la sterpaglia

«Aspetti, non è esploso dopo essere precipitato?»

«Oh, nient’affatto, basta guardare i resti dell’elica»

«E dove sono?» chiese il procuratore Pastore guardandosi intorno

«Non ci sono, per l’appunto» rilevò Motta «Se il velivolo si fosse schiantato l’elica sarebbe ancora qui intorno o addirittura ancora attaccata alla carcassa. Invece non c’è. L’elicottero è esploso in fase d’atterraggio, ma prima di toccare terra. E nella deflagrazione i detriti si sono sparpagliati in queste campagne»

«Allora non è un incidente. È un omicidio» esclamò sgomento il comandante dei carabinieri

«O un attentato» ipotizzò Pastore

«Un attentato? Oh no, no no, lo escludo» ribatté Motta

«Perché? I Ferrucci sono ricchi, potenti e molto odiati dopo quella storia della contaminazione degli affettati»

«La ritorsione del familiare di una vittima della contaminazione?» domandò il carabiniere

«Una vendetta»

«E perché non piazzarla all’ingresso della casa?» domandò Motta volgendo lo sguardo verso la sfarzosa villa dei Ferrucci «Perché ucciderne uno solo, quando il nostro terrorista avrebbe potuto ucciderli tutti? E come avrebbe piazzato la bomba sull’elicottero?»

«Magari si è infiltrato nella casa. Forse lavora lì dentro. Un cameriere, un autista, forse un conoscente del pilota»

«La domanda resta» si impuntò Motta con Pastore «Perché ucciderne uno solo quando poteva eliminarli tutti?»

«Era il capo dell’azienda, era un simbolo. Uccidere lui significa uccidere i Ferrucci»

«Ma ai tempi della contaminazione non era lui il capo, bensì il padre, Giovanni Ferrucci»

«Che è morto da anni» ricordò il comandante dei carabinieri

«E quindi di che razza di vendetta stiamo parlando? No, il nostro assassino non voleva uccidere un Ferrucci a caso o tutti Ferrucci, ma questo Ferrucci in particolare»

«Se non è la vendetta, allora il movente può essere passionale» disse Pastore

«Ma non diciamo sciocchezze!» esclamò Motta voltandosi di nuovo verso la scena dell’esplosione «Tuo marito o il tuo amante ti lascia e tu lo fai saltare in aria con dell’esplosivo? Un omicidio passionale richiede…passione! Insomma contatto fisico, se non addirittura visivo. Questo è un omicidio a distanza, compiuto con premeditazione, quindi a sangue freddo, e io conosco un solo movente più forte ma più razionale del sesso…»

«Il denaro» esclamò Pastore

«Esatto. Chi eredita tutta la baracca ora che Emilio è passato a miglior vita?»

«Sarebbe toccato al fratello minore, Romano»

«Che però è morto» disse il carabiniere

«E com’è morto?» domandò Motta

«Durante un lancio col paracadute, che però non si è aperto»

«Ma che famiglia sfortunata. Ancora una morte violenta, ancora un incidente…anzi, ancora un omicidio che si può camuffare da incidente»

«Allora anche Romano è stato ucciso?» chiese Pastore

«Probabile. Aveva figli?»

«Nessuno. C’era solo Lorenzo, ma è morto di overdose anni fa» li informò il carabiniere

«Quindi senza Emilio, Romano e Lorenzo, la società adesso appartiene alla vedova di Romano Ferrucci, cioè Amalia»

«Aveva il movente, aveva i mezzi e conosceva gli spostamenti sia del marito che di Emilio» affermò convinto il procuratore Pastore «Andiamo a prenderla»

Ritrovarono la signora Amalia seduta comodamente nella poltrona di casa sua, a disquisire in tono amabile con alcune giornaliste. Quando i carabinieri che scortavano Pastore e Motta le cinsero i polsi con le manette il suo volto divenne una maschera di cera, i suoi occhi si spensero mentre passavano in rassegna gli uomini che la stavano privando della libertà, ma nemmeno per un secondo ella perse la sua arrogante grandeur aristocratica. Entrò nella macchina della polizia come Maria Antonietta lo fece nella carrozza che l’avrebbe condotta sulla ghigliottina.

Non smise mai di proclamarsi innocente, e giurò che l’avrebbe ripetuto al processo. Un processo a cui però non arrivò mai. Si uccise mesi dopo tagliandosi i polsi con un cucchiaio di plastica accuratamente affilato. Quando Pastore chiamò Motta per informarlo della tragedia, questi era a casa sua, a scrivere la bozza di un giallo basato sulla vicenda di Emilio Ferrucci e della moglie intitolato “La Casa dei Prosciutti”.

«Povera donna» disse freddamente al telefono Motta a Pastore.

«Forse era davvero innocente».

«Forse. Ma tu ne sei certo, e hai i sensi di colpa».

«A differenza tua, ho una coscienza».

«Sei crudele».

«Per te questo è solo un gioco. Queste storie ti forniscono quei brividi che la tua creatività non riesce più a trasmetterti» disse furioso Pastore.

«Stai dicendo che sono uno scrittore fallito?»

«Sto dicendo che sei uno stronzo! Una donna è morta, Carlo, morta! E a te sembra non importare nulla…»

«Non me ne importa nulla perché non era una brava donna» si giustificò Carlo

«Come fai a dirlo?!»

«Una donna che aiuta il marito a fingere la propria morte, affinché questi elimini il fratello maggiore senza destar sospetti, non è poi una gran perdita per la società, ne converrai»

«Aspetta, cosa?»

«Sono abbastanza sicuro che Romano Ferrucci abbia ingannato anche lei, dopotutto»

«Romano Ferrucci? È Romano Ferrucci l’assassino di Emilio? Ma non era morto?»

«Chissà chi è morto davvero in quell’incidente col paracadute. Chissà se qualcuno è morto davvero quel giorno. L’unica testimone era Amalia. Ed ora anche lei è morta»

«Quindi Romano si mette d’accordo con la moglie, finge la sua morte e poi pianifica quella del fratello maggiore…» disse Pastore unendo i pezzi

«…la moglie eredita tutto e poi raggiunge il marito, con l’eredità dei Ferrucci, nel suo buon ritiro in chissà quale sfavillante isola caraibica» proseguì Motta «O almeno questo è il piano che Romano espone alla moglie per farle accettare il carcere. Lei era consapevole di finire tra i sospettati e di farsi pure qualche mese di galera, ma era certa che Romano sarebbe intervenuto per tirarla fuori. Una volta realizzato di essere stata ingannata, si è tolta la vita. Amava davvero Romano, a tal punto da diventarne complice. E non si è ammazzata per la reclusione, ma per aver compreso che il marito non l’aveva mai amata, che era stata solo una pedina nelle sue mani mentre lei gli era davvero devota»

«Una teoria affascinante, te lo concedo» rispose Pastore «Ma come la dimostriamo?»

«Dimostrare una teoria? Mio buon amico, questa è solo la trama del mio prossimo libro “La Casa dei Prosciutti”! Io non devo dimostrare niente, devo solo creare e scrivere. Ah già, e vendere. Dimostrare teorie è il tuo mestiere, non il mio. Io ti ho solo aiutato in cambio di una buona storia, come faccio sempre»

«E come trasformo la tua “buona storia” in un caso giudiziario? Come faccio ad incastrare Romano Ferrucci?»

«E dove sarebbe il divertimento se facessi io tutto il lavoro? Buona fortuna procuratore, sono certo che prenderai il tuo assassino. E chiamami se hai bisogno ancora di me. Sono sempre lieto di ascoltare una buona storia. Alla prossima!»

 

Giuseppe Libro Muscarà

Tramonto

Luccica il mare
e le sue onde
cullano le barche.
Esse si fanno guidare
dal soffio di vento
che le spinge
verso mete sconfinate.
Il cielo dorato
lascia esplodere
sfumature calde
e le nuvole si avvicinano
pronte ad abbracciarlo.
Guardo davanti a me
e lascio volare via
le mie emozioni,
come fanno i gabbiani
che sferzano l’aria
con le loro ali.
Assaporo il tepore
di quel timido paesaggio,
che come un sipario
si apre davanti al sole
che diventa protagonista.
Il tramonto e la sua magia
mi portano lontano
e sfiorano la mia mente
lasciandola abbandonare
ad uno spettacolo
che il cuore può cambiare.

Alda Sgroi

Buoni propositi per una relazione conclusa

– ascoltando Your Dog –

 

Cadrò nell’universo, chiuso tra le mie braccia

 

In equilibrio su una corda tentennavo

ti ho chiesto l’armonia e l’hai pizzicata

sono caduto al buio della cassa risonante,

dall’interno ti sento solo suonare

e le tue corde sono le mie sbarre.

 

Ti parlerò in milioni di sogni

salendo scale, ma sono sempre ripetitivo,

d’altronde sono solo sette le note.

Starai sempre un gradino più alto

(era solo più comodo baciarmi).

 

Forse tutta questa musica non c’era

forse il tuo cane mi ha sempre abbaiato

forse devo solo dormire per incontrarti

se mi manchi la notte

 

Sempre più lontani in spazio e tempo

anche dei sogni resta solo un ricordo.

Solo solo sto, sempre con più persone

riscopro quelle vicine eppure

 

ho inciso nei polsi le nostre iniziali

cerco solo altre e che coincidano

 

(solo)

Ma quanto lo dico?

Senza di te?

 

Pessimi propositi

terribili, 2025

 

 

Alessio Perdichizzi

Natale Passato



Profumo di cannella,
calore che accarezza la pelle,
la tavola imbandita
ravvivata dalla famiglia unita.
Tutti la percepiscono,
quella magia di festa.
Così era la sera
di quel Natale passato,
di una bambina che ricorda
come l’atmosfera d’improvviso
quel giorno sia cambiata.
Sente qualcosa staccarsi da lei,
capisce che quel frammento
non tornerà il prossimo Natale.
Guarda verso la tavola
e si accorge che c’è un posto,
un posto che è occupato
dal ricordo di qualcuno
che ormai se n’è andato.
Osserva poi il cielo
e si accorge che una stella
cura la ferita più profonda
di quel Natale passato.

Alda Sgroi

La caduta di un angelo

Ali bianche stanche
sorvolavano la costa,
danzavano le piume
nelle pressioni
con respiri pieni d’aria azzurra e grigia.

Ali sporche spennate
coprono i raggi di luce
creano buio da contenere
in quella bella forma.

Ali dorate,
ancora più leggiadre,
voleranno più vicine al sole
più lontane ai nostri occhi.

Un angelo vestito di luce
precipitò vicino a quel cielo
schiavo di più di venti correnti,
vide il mare.

Ora si rialza con il corpo cosparso di tagli,
con le ali coperte di sabbia
(aveva visto il mare!)
sommerso dal peso dell’aria.

Un giorno riprenderà il volo
con ali raggianti
farà concorrenza al Sole.

 

Alessio Perdichizzi

 

 

*Immagine in evidenza: illustrazione di Silvia Bruno

 

Vienna

Vienna

Ha il sapore di una favola innevata,

di quelle che ti raccontano al caldo

per strada

mille casette natalizie ravvivano i colori del cielo

che si oscura presto

mentre cala il gelo

Vienna è una favola d’incanto,

di quelle con protagonista una principessa regale

che ti immagini a danzare nel salone degli specchi

di una residenza imperiale

Vienna è una favola ghiacciata,

Ti gela il naso e ti spinge a tirare

fuori le mani dai guanti per mangiare

ma poi ti avvolge nel calore di una cattedrale

e la musica che senti è reale

è un organo a suonare

te ne accorgi alla fine

andando via da Vienna

che maestosa per lei è parola misera da offrire

 

Alessandra Cutrupia

 

 

Dismorfia

Addormenta il riflesso
Circe sconsolata.
Racconta il silenzio,
la sera inturgidita
e la foce del fiume,
il conseguente annegamento.

E aspetto la marcia di Ofelia,
ma serbo, nella croce del petto,
uno stagno di mercurio.

Nella mia stanza,
fuggo la traiettoria delle pupille
tra due ante d’armadio.
Quando infine inchiodo le palpebre,
seppellisco ogni tellurico ologramma

ma tutta la notte
trasudo veleno
strozzata
da lenzuola di lino.

Bruciato il capo
dai primi barlumi,
lo specchio non sa il mio nome.

 

Chiara Tringali

 

 

Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

6 Miglia

A Te che tendo la mano e con me il porto

Io con una barca t’inseguo e il cuore ti porgo

Con le onde ti chiamo e ti dono un tramonto

Mi ci specchio e sorrido,
ti dedico Alba, principio del mondo

Poi abbraccia il mare, gli scogli, e con la tua luce mi avvolgo

Più forte ti stringo,
spuma marina, ricordi ricolgo

Tra Noi riecheggia un canto nel tempo, l’eco dei mostri

Nei timori nascosti,
tuoni di dei agli orizzonti,
eroi astuti dai mille racconti

Noi fili di finti intrecci infiniti,
frammenti di istanti,
di correnti e rimpianti

Arazzi dai nomi parlanti,
colori danzanti.
Radici urticanti
riuniscono animi infranti

E dall’altro ramo ti guardo
e nell’abisso mi specchio
mentre la sera nelle tue luci mi perdo

‘Vivi!’ mi dicesti,
con gli occhi del Sole
Luna piena
dei nostri sogni,
del nostro amore

“Presso me!” mi rispondesti
e navigammo a largo
perché come la Creazione approdasti
sulle mie spiagge dentro gli occhi d’argo

Fatamorgana, specchio de l’anima mia
in te ritrovai sprone e poesia
Fuoco greco intangibile,
dicesti “amare è pura magia”

Ma ora siamo divisi da un romantico mare,
e tu mi rubasti l’anima senza chieder permesso, tu
accompagnata dalle stelle la notte con la voglia d’amare
con te, ogni dubbio appeso scompare

Flebile tocco continuai a sperare,
dovrà la terra nuovamente tremare
per un bacio rubato
a l’empio fato.

 

-Luna & Sole