Cani anti-COVID “sfidano” i tamponi: ecco cosa dice la scienza

I VOC come rilevatori biologici

Da oltre un anno la pandemia da COVID-19 continua a diffondersi. L’identificazione in tempo reale di individui affetti da SARS-CoV-2 è fondamentale per interrompere le catene di contagio. I test di rilevazione attuali dipendono dalla raccolta di campioni attraverso tamponi oro-faringei. Inoltre, la disponibilità di test antigenici è limitata e in diverse regioni è aggravata dalla carenza di reagenti, tempi di elaborazione prolungati, risultati ritardati o falsi negativi e falsi positivi.
Un approccio alternativo ai test rapidi consiste nello sfruttare i composti organici volatili (VOC) associati al virus. I VOC  comprendono diversi composti chimici che, nel loro insieme, hanno comportamenti fisici e chimici differenti. Essi sono accomunati dal fatto che presentano un’alta volatilità e causano impronte olfattive specifiche che possono essere rilevate, con un alto tasso di precisione, da cani addestrati per il rilevamento di profumi.

I cani da rilevamento e gli esperimenti condotti

I ricercatori stanno studiando come i cani da rilevamento riescano a percepire una forma di odore univoca nei campioni di saliva, urine e sudore di pazienti positivi a SARS-CoV-2. Sono stati condotti ad oggi diversi esperimenti.

L’esperimento condotto sulla saliva di pazienti ospedalizzati

Otto cani da rilevamento sono stati addestrati per 1 settimana. Il fine era di rilevare la saliva, secrezioni tracheobronchiali e urine di pazienti ospedalizzati infetti da SARS-CoV-2. Il virus è stato inattivato in tutti i campioni di addestramento con detergente o trattamento termico. I cani hanno discriminato con successo tra campioni positivi e negativi di saliva, con sensibilità diagnostica media dell’82,63% (indipendentemente dal protocollo di inattivazione).
Durante la presentazione di 1012 campioni randomizzati, ovvero campioni scelti casualmente, privi di errori sistematici, i cani hanno raggiunto un tasso di rilevamento medio complessivo del 94%.

Ruota del profumo utilizzata in questo studio. Fonte immagine: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8046346/figure/pone.0250158.g001/
Sensibilità (barre rosso scuro) e specificità (barre arancioni) della risposta del singolo cane a miscele di campioni di urina trattati termicamente e positivi al SARS-CoV-2. Con sensibilità si intende  la capacità di identificare correttamente i soggetti ammalati. Con ”specificità” si intende la capacità di svelare e/o quantificare una determinata sostanza in presenza di altre aventi proprietà molto simili. Fonte immagine: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8046346/figure/pone.0250158.g001/

L’esperimento condotto sul sudore di pazienti ospedalizzati

Lo studio condotto in due siti (Parigi in Francia e Beirut in Libano) ha coinvolto sei cani da rilevamento addestrati per 1-3 settimane. Per lo studio sono stati scelti 177 individui di cui 95 sintomatici COVID-19 positivi e 82 asintomatici COVID-19 negativi. È stato raccolto un campione di sudore ascellare per individuo. Una volta addestrato, il cane doveva distinguere il campione positivo COVID-19 posizionato in modo casuale dietro uno dei tre o quattro coni olfattivi (gli altri coni contenevano almeno un campione negativo COVID-19).  Lo studio condotto era randomizzato e in doppio cieco. Ciò significa che il cane e il suo conduttore non conoscevano la posizione del campione positivo per COVID. La percentuale di successo per cane variava dal 76% al 100%.

Apparecchiature di prova. Fonte immagine: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7728218/figure/pone.0243122.g005/

L’esperimento condotto su viaggiatori all’aeroporto di Helsinki

L’esperimento è stato successivamente condotto presso l’aeroporto di Helsinki (Finlandia), in collaborazione con l’Università di Helsinki, così da avere una più ampia scala di soggetti da sottoporre a screening. I viaggiatori dovevano asciugare il sudore prodotto dal collo mediante un apposito panno successivamente riposto dietro una parete scura. Il cane in poche decine di secondi era in grado di discriminare un campione positivo sintomatico o asintomatico da uno non positivo. I cani infatti sembrano riconoscere la malattia in una fase ancora più precoce rispetto ai tamponi analizzati con la tecnica della PCR, per i quali sono necessarie 18 milioni di molecole rispetto alle 10-100 molecole che il cane sfrutta.

Fonte immagine: https://it.mashable.com/4345/cani-anti-covid-aeroporti-helsinki

Olfatto magico? Come fanno?

L’olfatto canino è già usato negli aeroporti, dogane e stazioni per rilevare la presenza di esplosivi e droghe. Inoltre individua casi di diabete, alcuni tipi di cancro, attacchi di panico ed epilessia. Il sistema olfattivo dei cani è particolarmente sviluppato: la loro mucosa olfattiva supera i 150 cm2 e il loro cervello olfattivo possiede un numero di neuroni 40 volte superiore a quello degli esseri umani.
Studi recenti, pubblicati su Experimental Biology, dimostrano come i cani siano in grado di selezionare con una precisione del 97% campioni di sangue appartenenti a persone malate di carcinoma polmonare. Inoltre, i ricercatori delle Università di Lund, in Svezia, e dell’Università Eötvös Loránd di Budapest, hanno individuato nei cani la capacità di percepire le radiazioni termiche provenienti da corpi caldi, come già noto in serpenti o pipistrelli.

Fonte immagine: https://www.bedandpet.it/discriminazione-olfattiva/

La possibilità di screening di massa non intrusivi

Gli studi sopra esposti hanno quindi dimostrato che la sensibilità, la specificità e le percentuali di successo riportate, sono paragonabili o migliori della RT-PCR standard. Questo significa che i cani da rilevamento degli odori potrebbero a breve essere impiegati per schermare e identificare in modo non intrusivo le persone infette dal virus COVID-19 in ospedali, scuole, università, aeroporti, stazioni, concerti ed eventi sportivi. L’uso di cani per lo screening richiede però un adeguato addestramento con un gran numero di nuovi campioni SARS-CoV-2 positivi e negativi confermati.

Francesca Umina

Per approfondire:

#Ottobrerosa: la realtà del Policlinico attraverso le parole del Prof. Altavilla

A conclusione del mese della prevenzione e della campagna #Ottobrerosa, abbiamo avuto il piacere di intervistare il professore Giuseppe Altavilla, docente di Oncologia Medica e direttore dell’Unità Operativa Complessa di Oncologia Medica con Hospice del Policlinico Universitario “G. Martino”.

Partiamo proprio dal concept di #Ottobrerosa inteso come mese di prevenzione e screening per il tumore al seno. Quante donne si sottopongono autonomamente a test di screening e giungono poi alla sua osservazione?

Facciamo una premessa di massima: per screening intendiamo uno strumento che lo Stato offre ad una popolazione a rischio per una determinata malattia ad alto impatto sociale ed è effettuato con metodologie che devono essere efficaci e diffuse. Il cancro della mammella rientra sicuramente tra queste patologie. Tenete presente che nel 2020, secondo “I Numeri del Cancro”  si aspettano circa 56 mila nuove diagnosi con 123000 decessi: l’impatto epidemiologico è particolarmente elevato. Fare quindi uno screening significa guidare la popolazione a maggior rischio di incidenza di cancro della mammella, individuata in questo momento nelle donne tra i 50 e i 69 anni, a fare un accertamento che oggi è rappresentato dalla mammografia. Questo è l’unico esame di screening realmente valido per cercare di detectare delle neoplasie che siano ancora inapparenti.

Fatta questa premessa, diciamo che lo screening è un’attività di pertinenza dell’ASP; questa infatti segue una politica di screening: manda delle lettere d’invito alle donne e da degli appuntamenti per fare una mammografia. C’è da aggiungere anche che in Sicilia, la campagna di screening è attualmente inefficace perché la percentuale di donne che si sottopone all’esame diagnostico è inferiore a quella necessaria affinché lo screening sia funzionale nel ridurre la mortalità.

Da noi (come ospedale e centro specialistico) vengono a fare dell’altro. Abbiamo un ambulatorio di senologia che visita circa 20-25 pazienti al giorno dove giungono anche donne a fare prevenzione e che non hanno alcuna patologia, ma è una cosa diversa dallo screening. La verità è che se ci fosse uno screening realmente efficace nelle nostre zone, noi non avremmo l’evidenza in clinica di tumori di una certa dimensione, li avremmo molto più piccoli, mentre purtroppo continuano a venire da noi donne che spesso hanno tumori di dimensioni maggiori di 2 cm, che a quel punto diagnostichiamo noi.

Reparto di Oncologia Policlinico G. Martino, 2014 – © Serena Piraino

Ci riagganciamo subito al discorso della diagnosi dei tumori in una fase avanzata. Pensa che l’equilibrio, per certi aspetti già precario in Sicilia, possa ulteriormente essere aggravato dalla pandemia in atto?

Assolutamente si, perché le campagne di screening sono state arrestate ad un certo punto di questa emergenza mondiale. La frequenza di visite nei nostri ambulatori si è notevolmente ridotta proprio per paura di questo virus: coloro che si rivolgevano a noi per un certo dubbio diagnostico in questo momento stentano a venire. Questo purtroppo è un dato che si è registrato in tutta la nazione e che pagheremo nei prossimi anni: ci aspettiamo molte più diagnosi di tumori in fase avanzata e non soltanto alla mammella. Il 2020 sarà un anno che inciderà negativamente nella prognosi dei pazienti oncologici.

In questo momento cosa consiglierebbe ad una donna che vorrebbe fare uno screening o una visita senologica: cosa e come può fare?

Quello che posso dire è che gli sforzi che stiamo facendo al Policlinico per mantenere in sicurezza le strutture ci impegnano in maniera continua. Vogliamo mantenere questo stato di sicurezza che dovrebbe tranquillizzare tutte le donne.  Ad esempio stiamo distanziando le visite, cercando di organizzarle in modo da non avere le sale d’attesa affollate. Di certo questo comporta una dilatazione dei tempi e un un notevole sacrificio per il reparto, però lo stiamo facendo per dare una garanzia e un segnale forte.

È necessario che si capisca che di Covid si sta morendo e speriamo che il vaccino arrivi presto e tutto si cominci a risollevare. Ma purtroppo le malattie oncologiche e cardiovascolari, entrambe trascurate quest’anno, avranno ripercussioni notevoli nei prossimi anni.

Quindi bisognerebbe cercare di informarsi sulla presenza di strutture che possono garantire nel migliore dei modi la mancanza di contagio e frequentarle rispettando le regole che le strutture si sono imposte e impongono ai pazienti.

Reparto di Oncologia Policlinico G. Martino, 2014 – © Serena Piraino

Come è cambiata la percezione del tumore alla mammella nel corso degli anni a livello di consapevolezza?

Non possiamo impedire a priori che la noxa patogena causi la cancerogenesi nella cellula tumorale, ma possiamo prevenire andando ad individuare la patologia quando questa non è ancora in una forma avanzata, quindi la consapevolezza è tuttoOnestamente devo dire che la trovo molto aumentata, soprattutto nel gruppo di ragazze e di giovani donne.

Sono oramai docente universitario da circa 40 anni, ed è la prima volta che vengo intervistato da due studentesse relativamente a questo tipo di problema. Qualcosa vorrà pur dire no?

Gli effetti “scientifici” di questa consapevolezza però verranno misurati in termini di efficacia soltanto quando voi giovani donne arriverete alla media età: ci auguriamo che questa corrisponda ad una minore mortalità delle donne del futuro per cancro della mammella. Oggi probabilmente stiamo ancora verificando una consapevolezza probabilmente non troppo matura nelle donne che avrebbero dovuto avere una istruzione adeguata circa 30 anni fa.

Mi piacerebbe che il processo della prevenzione, della diagnosi, della cura, dell’assistenza e, nei casi specifici, anche della terminalità dei tumori (non soltanto della mammella) possa essere in qualche modo reso uniforme. Non si possono incaricare diversi enti e lasciarli sconnessi tra di loro: il processo del malato oncologico dovrebbe essere governato tutto nell’ambito di un dipartimento oncologico provinciale unico. È questa la strada sulla quale bisogna battere moltissimo secondo me. La formazione della rete e di una sua coordinazione reale da parte di chi lavora nell’ambito di questo tipo di patologie è indispensabile.

Pensa che la scuola e l’istruzione in generale possano giocare un ruolo importante da questo punto di vista?

Purtroppo, ogni volta che sono uscito da una conferenza in una scuola media o in un liceo, ero molto deluso. Questo perché secondo me i ragazzi non erano sufficientemente preparati e quell’ora che passavano in aula magna era un modo per scappare dalla classe tra sorrisetti e spintoni.  L’informazione va data da chi è tecnicamente preparato ed io sono sempre stato disponibile nel farmi portavoce, però la scuola deve dare tanto e nell’ambito dei programmi educazionali dovrebbero essere incluse un certo tipo di attività da svolgere in maniera continuativa così da formare anche la coscienza.

Come vivono le pazienti il fatto di avere un carcinoma in una delle parti che le rendono donne? Quanto questo, dal punto di vista psicologico, impatta sulla prognosi e che conseguenze ha sulla terapia?

Se c’è la consapevolezza di cui parlavamo insieme alla certezza che questo tipo di patologia possa essere “presa in carico” – uso questo termine di proposito – da una struttura che da garanzie in temine di qualità ed organizzazione, il problema si supera. La sicurezza che vi possa essere una struttura che possa farsi carico della malata a 360° e darle il meglio che la scienza offre, può dare un miglioramento importante della componente piscologica.

Io talvolta dico a delle pazienti malate di tumore del seno che hanno dei fattori prognostici assolutamente favorevoli (tumore piccolo, l’espressione dei recettori ormonali), che è come se si fossero rotte una gamba. Ci si cura e si guarisce.

Reparto di Oncologia Policlinico G. Martino, 2014 – © Serena Piraino

Lei ha sempre stressato il concetto di umanizzazione delle cure, ma come è nato e quanto è importante offrire una struttura di continuità come l’Hospice o, nel contesto del vostro reparto, di “Una stanza tutta per sé” per mantenere la donna, per quanto sia possibile, tale?

Se avete notato io ho usato il termine “Prendersi carico” piuttosto che “curare” e “malato” piuttosto che “paziente”, che letteralmente vuol dire “colui che sopporta”.

Prendersi cura di un paziente oncologico vuol dire prendersi cura non soltanto dei bisogni fisici, ma anche di quelli psicologici, sociali, spirituali. Sono tutte condizioni che vanno considerate. La tristezza, il peso di una diagnosi di questo genere, va in qualche modo accompagnata dal processo di umanizzazione.

Ho cominciato questo percorso di umanizzazione delle cure in Oncologia nel 2013, dopo avere assistito ad una rappresentazione teatrale in cui una donna malata di cancro veniva ricoverata e nella sua stanza, accanto al suo letto libero, c’erano altri 3 letti. Lei che si era comprata il pigiama “non pigiama” e le pantofole “non pantofole” per cercare di sdrammatizzare la gravità del suo ricovero, improvvisamente aveva il problema di una promiscuità e di un ambiente tetro.

Ho visto il mio reparto di allora, in cui di letti ce ne erano cinque e non c’era neanche il bagno in camera, e ho capito che tutto doveva essere cambiato. Mi sono impegnato in questo percorso – aiutato da tutta una serie di donazioni che mi hanno consentito di avere dei fondi per riformare il reparto – e nella scrittura di un progetto per l’umanizzazione delle cure in Oncologia che ha portato negli ultimi anni ad un florido finanziamento. Grazie a questo, ma anche grazie alla sensibilità di tutti i miei collaboratori, un malato che entra in ospedale , che vede e “sente” un ambiente che non sembra un ospedale, sta sicuramente meglio.

Un’oncologia deve avere la capacità di seguire un paziente in tutte le sue fasi, anche in quella terminale ecco perché oggi abbiamo questo Hospice: per dare una possibilità e una vita sociale in un vero e proprio residence ospedaliero. Per rendere il tutto non semplice sopportazione.

Reparto di Oncologia Policlinico G. Martino, 2014 – © Serena Piraino

Il tutto potrebbe avere un effetto anche sulle cure?

Questo è stato verificato scientificamente con HuCare, un programma italiano che ci ha consentito di misurare la soddisfazione dei pazienti prima e dopo un certo percorso di umanizzazione. Abbiamo verificato come i pazienti immersi in questo genere di ambienti abbiano avuto una compliance molto aumentata. Il calcolo che ha raggiunto la significatività statistica, è un dato oggettivo.

Abbiamo appreso con piacere come accanto all’innovazione scientifica, al potenziamento delle strutture esistenti e all’inaugurazione di nuovi ambienti ci siano – e ci debbano essere – l’amore e la passione per quello che si fa, per i propri pazienti e per l’umanizzazione delle cure. Da questo non si può prescindere.

Barbara Granata e Claudia Di Mento 

 

#OttobreRosa: la prossima settimana screening gratuito al Papardo e all’A.S.P.. Ecco come fare

(fonte: tempostretto.it)

Lo scorso 13 ottobre Palazzo Zanca si è illuminato di rosa in occasione del Pink October, ma di cosa si tratta?

Pink October è un mese dedicato alla prevenzione del carcinoma mammario (c.d. tumore al seno), una patologia che affligge principalmente le donne e che tra queste è molto diffusa, in particolare nella fascia d’età tra i 40-70 anni. La buona notizia è che, quando è ancora in fase precoce, può essere curato con efficacia e con terapie poco invasive. Ecco in cosa risiede l’importanza della prevenzione; ecco il motivo per cui anche Messina, quest’anno, ha deciso di aderire alla campagna tramite una serie d’iniziative che promuovono la prevenzione.

Quale prevenzione?

Un primo tipo di prevenzione contro il tumore al seno, non meno importante, si racchiude in una buona alimentazione ed attività fisica, oltre che nella c.d. autopalpazione della mammella (ne abbiamo parlato qui) che permette al soggetto d’individuare eventuali anomalie (ad es. noduli) nella zona mammaria.

La prevenzione secondaria risiede nello ‘screening’, esame periodico effettuato anche su chi non dovesse avvertire sintomi che consente di rintracciare e tacciare la patologia sul nascere. Su quest’ultimo tipo di esame si sono volute concentrare associazioni come l’A.S.S.O. (Associazione Siciliana di Sostegno Oncologico) e la L.I.L.T. (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori), che per tutto il mese di ottobre si sono impegnate a sensibilizzare ed invitare i cittadini alla prevenzione.

(fonte: ravennanotizie.it)

Tre giornate al Papardo

A tal proposito, il Dipartimento di Oncologia e la Breast Unit dell’azienda ospedaliera ‘Papardo’ in collaborazione con A.S.S.O., hanno dedicato tre giornate (27-28-29 ottobre) agli screening di prevenzione di cui si occuperanno specialisti del settore.

Per prenotarsi, è possibile già dal 14 ottobre chiamare il numero dedicato 090 3996251 nella finestra oraria tra le ore 9 e le ore 13 dal lunedì al venerdì. Saranno i volontari dell’A.S.S.O. ad occuparsi direttamente delle prenotazioni.

Una giornata gratuita all’A.S.P. Messina

Altre iniziative riguardano, invece, l’A.S.P. (Azienda Sanitaria Provinciale) di Messina, che ha deciso d’istituire sabato 31 ottobre un’intera giornata di screening gratuito per le donne comprese nella fascia d’età 50-69. Ad occuparsi degli esami sarà l’equipe della Breast Unit e dell’UOS Screening Mammografico dell’Ospedale di Taormina.

(fonte: asp.messina.it)

Saranno inoltre effettuate delle visite senologiche alle donne di età compresa tra 45 e 69 anni, che consiste in un esame approfondito ed indolore e che si basa sulla palpazione del seno da parte di un medico senologo.

Le prenotazioni possono effettuarsi al numero 3357753952 il lunedì, mercoledì e venerdì dalle 10:30 alle 11:30, mentre martedi e giovedi dalle 15:30 alle 16:30, fino ad esaurimento della disponibilità.

Valeria Bonaccorso

#OttobreRosa: i numeri e la prevenzione del cancro al seno

Ottobre è il mese dedicato alla prevenzione del tumore al seno e noi di UniversoMe vogliamo dare il nostro contributo. Rappresenta il 30% delle diagnosi di neoplasia nella donna ma, nonostante resti ad oggi un grande nemico, può essere diagnosticato precocemente attraverso attente valutazioni e metodiche di screening e curato.

Iniziamo dai numeri

Sfogliamo insieme il volume “I numeri del cancro in Italia 2020”, redatto dall’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) in collaborazione con altre associazioni. Si stima che nel 2020 saranno diagnosticati circa 54.976 nuovi casi di tumore della mammella femminile, su un totale di 181.857.
Questi così distribuiti per fasce d’età: il 41% tra 0 e 49 anni, il 35% tra 50 e 69, mentre sopra i 70 anni la percentuale scende al 22%.

Nel 2017, secondo l’ISTAT, rappresentava il 16,1% dei decessi per tumore nel sesso femminile: la prima causa di mortalità per tumore nella donna (la terza considerando la popolazione generale).

Sempre rifacendoci a dati AIOM, la sopravvivenza delle pazienti con cancro della mammella in Italia è dell’87% a 5 anni e dell’80% a 10 anni dalla diagnosi. Rispetto al 2015, da questo punto di vista, siamo in miglioramento, sia per il progresso delle terapie (continuate a seguirci se siete curiosi a riguardo), sia per la diffusione di programmi che permettono una diagnosi precoce.

Guardando alla realtà locale, l’Atlante tumori della regione Sicilia ha registrato nel periodo fra il 2003 ed il 2011 un numero medio annuale di nuove diagnosi di cancro al seno di 403,4 in provincia di Messina, il 13,3% della Regione. Nell’immagine sotto possiamo vedere i tassi standardizzati diretti della patologia nei vari distretti della regione.

Chi ha un rischio più elevato?

Guardiamo in primis allo stile di vita. Dieta corretta, giusta attività fisica, moderato consumo di alcolici e astensione dal fumo rappresentano i pilastri di una vita sana.

Bisogna considerare fattori endocrino-riproduttivi in quanto la ghiandola mammaria è un tessuto sensibile agli ormoni sessuali (soprattutto estrogeni e progesterone). Menarca precoce, menopausa tardiva, assenza di gravidanze sono condizioni che prolungano l’esposizione agli ormoni, quindi aumentano il rischio di carcinoma.

L’aver avuto precedenti displasie o neoplasie mammarie espone la donna alla possibilità di una recidiva. Così come l’essersi sottoposta a radioterapia toracica, soprattutto se prima di 30 anni, magari per altre patologie, accresce il pericolo di cancro del seno.

Infine la variabile ereditaria. Riferendoci ai numeri forniti dall’AIOM, il 5-7% delle neoplasie mammarie ha basi genetiche. Di questi, 1/4 sono legati a mutazioni dei geni oncosoppressori BRCA-1 e BRCA-2. Tali geni codificano per proteine coinvolte nei meccanismi di riparazione dei danni a doppia elica del DNA. Quando mutati viene a mancare un controllo sui meccanismi di replicazione cellulare.

Screening in Italia

In Italia il ministero della salute offre alle donne di età compresa tra 50 e 69 anni lo screening gratuito attraverso l’esecuzione di una mammografia ogni due anni. Si tratta di un esame radiologico che individua anche lesioni di piccole dimensioni, quali microcalcificazioni.

Esecuzione di una mammografia

Ha, tuttavia, un limite: è poco adatta nelle giovani in quanto riesce a discriminare meglio delle alterazioni nel parenchima adiposo. Quindi sotto i 40 anni si preferisce effettuare un’ecografia che, oltre a non esporre a radiazioni, ha il vantaggio di una migliore specificità in un parenchima a maggiore componente ghiandolare.

Come ha inciso il lockdown in questo settore?

Nei mesi di chiusura da una parte la paura di contrarre il virus recandosi in ospedale, dall’altra la riduzione dei normali controlli da parte dei nosocomi, hanno portato ad una riduzione di tutti gli screening oncologici. Esaminando il confronto effettuato dall’osservatorio nazionale screening nei primi 5 mesi del 2020 in Italia si è accumulato un ritardo del 53,8% rispetto allo stesso periodo del 2019 per lo screening mammografico. La Sicilia si attesta poco sopra la media nazionale, al 55,7% con 5754 esami e 78 diagnosi di cancro mammario in meno.

L’autoesame del seno: poche semplici manovre da imparare

Prima fase è l’ispezione, svolta davanti allo specchio. Bisogna osservare le mammelle prima con le mani distese ai fianchi e poi appoggiandole al bacino e contraendo i muscoli pettorali. Obiettivo è analizzare forma, colore e dimensioni, considerando piccole alterazioni di volume fisiologiche. La stessa osservazione va ripetuta di profilo con le braccia alzate, mettendo in evidenza il cavo ascellare, sede privilegiata delle metastasi linfonodali da carcinoma mammario.

Passiamo alla palpazione vera e propria. Ci si sdraia, ponendo un cuscino sotto la spalla sinistra e la mano sinistra sotto la nuca.

A questo punto con le dita della mano destra posta a piatto si inizia a palpare il seno sinistro, compiendo dei movimenti circolari in senso orario con pressione crescente. In questo modo possiamo identificare eventuali nodularità o indurimenti del parenchima.

Successivamente si eseguono dei movimenti in direzione radiale, dall’esterno verso il capezzolo, e poi dal basso verso l’alto.

Importantissima è la palpazione del cavo ascellare per individuare eventuali linfonodi aumentati di volume, di consistenza alterata (dura-lignea). Infine, stringendo il capezzolo tra due dita, verificare la presenza di secrezione.

Ripetere ovviamente le stesse manovre per il seno controlaterale. Queste semplici manovre possono essere effettuate anche sotto la doccia. Qualora notaste delle anomalie e/o differenze con la precedente autopalpazione, contattate il vostro medico di fiducia.

Antonio Mandolfo

 

Bibliografia:

https://www.epicentro.iss.it/tumori/pdf/ASS%20SALUTE_Atlante%20Tumori%202016.pdf

https://www.aiom.it/wp-content/uploads/2019/09/2019_Numeri_Cancro-operatori-web.pdf

https://www.epicentro.iss.it/tumori/pdf/2020_Numeri_Cancro-pazienti-web.pdf

https://www.osservatorionazionalescreening.it

https://liltbolzano.blog

 

 

Diagnosticare patologie analizzando il respiro: realtà e prospettive

L’associazione più immediata che operiamo quando ci viene menzionata la parola “analisi”, in ambito medico, è certamente il prelievo di sangue.

In pochi penseranno che ad essere analizzato possa essere proprio il loro respiro e le molecole che lo compongono, al di fuori ovviamente dell’alcol test.

Eppure, la cosiddetta “breath analysis” è una pratica ormai consolidata nella diagnosi di alcune patologie e nuove e interessanti prospettive si stanno affacciando nella pratica clinica.

Intolleranza al lattosio

Una delle condizioni più frequenti che può giovare di un breath test è sicuramente l’intolleranza al lattosio.

Una quantità standard di lattosio viene ingerita dal soggetto esaminato e successivamente si analizza la concentrazione di idrogeno nell’aria espirata attraverso un apposito strumento. Un eventuale aumento indica infatti la carenza dell’enzima lattasi, che normalmente metabolizza il lattosio: lo zucchero è così preda dei batteri intestinali che lo fermentano con formazione di vari gas, tra i quali, appunto, l’idrogeno.

Gastrite ed Helicobacter pylori

Tale batterio è associato a gastrite, ulcera duodenale, ma anche a cancro gastrico.  La ricerca dei prodotti del metabolismo di questo microrganismo è ormai diventata di routine. Tuttavia, per vedere direttamente H.pylori è necessaria una gastroscopia con biopsia della mucosa gastrica, non esattamente l’esame più comodo per un’analisi iniziale.

Questa volta a essere ingerita è l’urea-C13, ovvero contenente carbonio radioattivo: ciò permette di distinguere l’anidride carbonica (CO2) prodotta dal batterio dalla normale quota eliminata con la respirazione (che non contiene C13). Infatti, il microrganismo produce ureasi, enzima che scinde l’urea in CO2 e ammoniaca.

Nuove prospettive

Ma cosa accade se proviamo a spingerci oltre?

Sebbene le condizioni sopra esposte siano abbastanza frequenti, se precocemente diagnosticate, non comportano particolari problematiche per il paziente (il cancro gastrico si sviluppa a distanza di molti anni).

In altre parole: è possibile diagnosticare patologie gravi quali i tumori esaminando l’aria che espiriamo?

L’intuibile “labilità” di un campione biologico gassoso rispetto a liquidi e solidi (sangue, urine, feci, porzioni di tessuto, ecc.) e la mancanza di tecniche e strumentazioni validate ha fortemente limitato tale pratica.

Eppure c’è chi, come la regione Puglia, decide di investire sulla breath analysis non solo in ambito di ricerca ma anche nella pratica ospedaliera di tutti i giorni.

Dopo una serie di studi sperimentali è da poco stato aperto il Centro regionale di Breath Analysis, all’interno dell’Istituto Tumori di Bari.

L’intento è completare gli studi precedenti sperimentando quotidianamente questa nuova tecnica, grazie allo strumento campionatore Mistral.

In particolare, i tumori presi in esame sono:

  1. Mesotelioma pleurico: neoplasia associata all’esposizione all’asbesto, il cui uso è oggi proibito. Presenta bassissime possibilità terapeutiche e la diagnosi è gravata da procedure molto invasive e difficoltà nel distinguerlo da patologie benigne (più frequenti, sempre asbesto correlate) e altri tumori.
  2. Carcinoma del colon-retto: tra i 3 tumori più frequenti in Italia sia nell’uomo che nella donna. Richiede comunque una colonscopia per la diagnosi.
  3. Carcinoma polmonare: prima causa di morte per tumore, da anni si stanno cercando procedure di screening da usare su ampia scala.

Appare evidente come, in termini di costi e praticità, sia molto più semplice far soffiare una persona dentro un tubicino di metallo, rispetto a proporgli una TC o una colonscopia.

Ma quali sono i presupposti scientifici di tale metodica?

Le cellule tumorali rilasciano numerosi prodotti nel circolo sanguigno.

Parte di essi, i VOCs (composti organici endogeni volatili) raggiungono il polmone per essere poi eliminati attraverso la respirazione. Inoltre, anche sostanze non volatili come le proteine possono essere espulse in particelle di vapore (EBC, aria espirata condensata).

L’immagine, tratta dall’articolo “Exhaled volatile organic compounds in nonrespiratory diseases”, mostra come potenzialmente numerose altre patologie possano correlare con alterazione dei VOCs

Da un lato, il metabolismo aberrante del tumore porta a un’alterazione dei VOCs; dall’altro, le mutazioni genetiche delle cellule neoplastiche comporteranno l’espressione di proteine differenti da quelle normali, ovvero un EBC alterato.

Pertanto, la breath analysis si propone come arma doppiamente efficace, almeno in linea teorica.

Le difficoltà maggiori derivano dalla selezione del tipo e della quantità delle molecole da analizzare: infatti, solo combinazioni di più marcatori sono efficaci nel rivelare il tumore. In più, tale metodica non sostituirebbe le indagini standard, ad oggi considerate irrinunciabili, ma selezionerebbe i soggetti che necessitino realmente di ulteriori esami.

Da non trascurare è la grande potenzialità in termini di diagnosi precoci, che corrispondono a maggiori possibilità terapeutiche e riduzione della mortalità. Da ciò nasce “l’obbligo” per la ricerca di trovare sempre nuove indagini che invoglino i soggetti a sottoporvisi, a maggior ragione se essi sono sani e non avvertono la necessità di essere esaminati.

Nell’attesa che i risultati trovino ulteriori riscontri scientifici, l’iniziativa pugliese rappresenta certamente un passo avanti verso una medicina più smart. Lo studio sistematico su un grande numero di pazienti permetterà di vagliare attentamente la validità di questa interessante e nuova tecnologia.

A trarre vantaggi da approcci sempre più semplici e meno invasivi non sarà soltanto il Sistema Sanitario Nazionale in termini costi e risorse, ma soprattutto il paziente che si vedrà accompagnato, e non più forzato, nelle procedure diagnostiche.

In parole povere: un classico esempio di come prendere due piccioni con una fava.

Emanuele Chiara

 

Bibliografia:

Breath Analysis: A Systematic Review of Volatile Organic Compounds (VOCs) in Diagnostic and Therapeutic Management of Pleural Mesothelioma

Detection of cancer through exhaled breath: a systematic review

La giornata del rene spiegata dal professor Domenico Santoro

17 marzo 2019. Messina. Piazza Cairoli.  La Scuola di Nefrologia dell’Università di Messina dalle ore 9:00 alle 17:00, con un gruppo di medici, coordinati dal professor Domenico Santoro, professore associato di Nefrologia nonché dirigente medico dell’UOC Nefrologia e Dialisi presso il Policlinico universitario, per offrire alla città informazioni gratuite e screening sulla funzione dei propri reni, in occasione, appunto, della Giornata mondiale del rene 2019.

Il professore Santoro, per primo, ci ha fornito alcuni dettagli di approfondimento in merito all’evento attraverso un alternarsi di domande e risposte:

Professor Santoro, come mai oggi ci troviamo qui, in piazza?

“Come ogni anno, dal 2008, si dedica una giornata al rene, che prende il nome di giornata mondiale del rene, GMR, e ogni anno propone un tema diverso.  Il tema del 2019 è: “Salute per i Reni per ciascuno ed ovunque – Kidney Health for Everyone Everywhere”. Si dedica questa giornata perché le malattie renali sono più comuni di quello che si pensi, e in generale, colpiscono l’8/10% della popolazione. Nel sito internazionale della GMR ci sono numeri interessanti, che dovrebbero far allertare la popolazione, infatti, 825 milioni di persone in tutto il mondo soffrono di insufficienza renale cronica. Se noi facessimo un confronto con diabete, malattia molto più conosciuta, ci renderemmo conto che colpisce molte meno persone, solo 380 milioni, ma ha comunque un eco maggiore tra la popolazione. L’insufficienza renale è una malattia con una mortalità abbastanza importante, basti pensare, che ogni anno muoiono 2,4 milioni di persone di insufficienza renale cronica. Poi è presente la forma acuta della malattia (IRA): 13 milioni di persone al mondo, ne soffrono. Con una mortalità molto più alta: il 13%. L’85% dei pazienti con questa malattia proviene dai paesi poveri, ergo, con più difficoltà all’accesso all’acqua, poiché i reni funzionano se si ha un determinato apporto idrico. Anche le classi sociali meno abbienti presentano percentuali più alta di rischio di contrarre tale patologia. Il tutto si riallaccia al tema di quest’anno “disuguaglianza in sanità”. L’allerta che noi vogliamo dare è soprattutto di cercare di portare la salute dei reni per ciascuno e ovunque come cita il nostro motto Kidney Health for Everyone Everywhere.”

Cosa fate in piazza per l’esattezza?

“Facciamo dei controlli gratuiti, accessibili a tutti. Per controllare se si è affetti da malattie renali basta veramente poco: controllare la pressione arteriosa, un esame delle urine, la misurazione delle creatinina e un’ecografia ai reni. Per fare uno screening sulle malattie renali ci vuole un attimo. Ricordo che l’8-10% ne soffre. Penso che sia davvero importante farlo annualmente.”

Ha qualche appello da fare?

“Sì. Si dice che la sanità dev’essere uguale per tutti, ma questo non è così. Soprattutto al sud. Ed è un problema. Non qualitativo, il problema non è un’incapacità della classe medica del meridione, ma la questione è di tipo politico nazionale. Un settore che risulta molto carente nel nostro territorio è quello dei trapianti di reni. Il trapianto renale costituisce la migliore arma che abbiamo quando la funzione renale tende a spegnersi e costituisce sicuramente la più valida alternativa alla dialisi. E mentre siamo in grado di affrontare ogni sfida nel nostro territorio per cercare di salvare la salute dei reni quando arriva il momento della terapia sostitutiva, per ottenere un trapianto siamo costretti nuovamente a viaggi della speranza. L’attività dei trapianti si presenta fortemente disomogenea sul territorio nazionale. Esiste una forte differenza territoriale nella attività di donazione che genera profondi divari regionali.“

Oggi qui con voi c’è il sism?

“Sì. Oggi, qui con noi, c’è il Sism. Roberta Minasi, presidentessa del Sism, ci accompagna da alcuni anni insieme al gruppo della Nefrologia. Presente anche la fondazione del rene policistico. Ed il rappresentante della fondazione è qui con noi.”

Le ultime, preziose, informazioni ce le da Roberta Minasi, presidentessa del Sism Messina che si ricollega con il discorso del Dottor D. Santoro ponendo nuovamente l’accento sulle disuguaglianze sociali:

“Oggi di sente tanto parlare di “disuguaglianza in salute”, Lo stato di salute di un individuo o di una popolazione è determinato da molteplici fattori strettamente correlati tra loro, quali istruzione, assistenza sanitaria, reddito, occupazione, tipologia dell’abitazione, situazione familiare, stili di vita. È come se il posto occupato da ciascuno di noi in relazione a tutti gli altri sia rilevante…chi si trova sopra di noi nella scala sociale gode di una salute migliore, chi sta sotto soffre di condizioni peggiori. Avere uguaglianza nell’accessibilità alle cure significa ridurre le disparità dei tenori di vita dei membri della società. Attraverso dunque questa attività di prevenzione “primaria” in piazza, chiunque può avere la possibilità di ricevere informazioni, consigli, chiedere un parere ad un professionista… In fondo, la “mission” che ci proponiamo è proprio questa: Affrontare tematiche di salute in maniera semplice, con linguaggio comune cercando di superare o abbattere totalmente il muro del timore e del disagio che tanto spesso si rileva come altro ostacolo per le proprie cure: l’instaurazione di una proficua relazione tra individuo e professionista sanitario.”

Gabriella Parasiliti Collazzo