… ci sono ben due Messinesi illustri sulla Luna?

La luna piena fotografata da un obiettivo telescopico

Ebbene sì: c’è chi guardando la Luna pensa all’amore, chi, come Leopardi, ci intesse sopra riflessioni sul senso della vita. Ma d’ora in avanti, cari lettori di UniVersoMe, quando volgerete lo sguardo al cielo in una bella notte di luna piena, non penserete più a nulla di tutto questo, ma alla nostra città di Messina.

Come mai? Perchè Messina ha l’onore di avere non uno, ma ben due Messinesi illustri sulla Luna. Ovviamente non di persona, ci mancherebbe: ma i loro nomi sono stati assegnati rispettivamente a un cratere lunare e a un Dorsum, una sorta di catena montuosa formata da creste lunari.

Chi sono questi due personaggi messinesi e come mai hanno ricevuto una così singolare onorificenza? 

Francesco Maurolico

Il primo, probabilmente, lo conoscete un po’ tutti: è Francesco Maurolico, matematico, scienziato, letterato, storico, erudito, in poche parole grande mente del Cinquecento messinese. Di questo incredibile personaggio, che più di ogni altro forse riuscì a incarnare l’archetipo dell’intellettuale rinascimentale a tutto tondo, ci resta una enorme quantità di scritti, molti dei quali testimoniano appunto il suo vivo interesse per l’astronomia.

Il più importante di questi, una opera massiccia intitolata “Cosmographia”, rappresenta una sorta di grande rassegna del sapere astronomico dell’epoca: la prima edizione,

Superficie lunare. In giallo, il cratere Maurolycus

datata 1543, è dedicata all’amico e letterato Pietro Bembo.

Per i suoi importanti contributi allo sviluppo di una disciplina che all’epoca era quanto mai attuale, Maurolico fu molto apprezzato tanto dai suoi contemporanei, quanto dai posteri. Nel 1615, infatti, quando l’astronomo gesuita Giovan Battista Riccioli pubblica la sua mappa della superficie lunare, non manca di onorarne la memoria attribuendo il suo nome a un cratere del diametro di 117 km, il Maurolycus, che lo conserva tutt’ora.

Una delle tavole paleontologiche di Scilla, con disegni di fossili

Il secondo personaggio invece è sicuramente meno noto, ma non meno affascinante, e, per certi versi, bizzarro: forse perchè visse e operò circa un secolo dopo Maurolico, nel Seicento, in un’epoca permeata dalle bizzarrie del barocco.

Stiamo parlando di Agostino Scilla, anche lui messinese e anche lui, come il Maurolico, genio a 360 gradi: dopo una formazione da letterato, si dedicò alla pittura, e diverse delle sue opere sono custodite al Museo Regionale di Messina.

Ma i suoi interessi non si fermano all’arte: fu anche appassionato di geologia, e instancabile collezionista di fossili. Scoprì per primo, quasi in contemporanea con il danese Niccolò Stenone, e in contrasto con le credenze dell’epoca, che i fossili sono resti di esseri viventi, gettando così le basi della moderna paleontologia.

Il Dorsum Scilla in una foto telescopica

Proprio per questo, nel 1976 gli venne dedicato un Dorsum lunare, il Dorsum Scilla, lungo circa 108 km: la Unione Astronomica Internazionale, che regola la nomenclatura delle strutture lunari, prevede infatti che ai Dorsa vengano assegnati i nomi di geologi, paleontologi e studiosi della Terra. 

Quando si parla di “portare in alto” il buon nome della città di Messina, dobbiamo dunque ricordare che c’è stato chi, come Francesco Maurolico e Agostino Scilla, è riuscito a portarlo così in alto… da raggiungere addirittura la Luna! 

Gianpaolo Basile

Image credits:

  1. Di Gregory H. Revera – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11901243
  2. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=697197
  3. http://www.osservatoriogalilei.com/home/index.php/rirorse/fly-me-to-the-moon/839-il-cratere-maurolycus
  4. Di Colonna, Fabio; Scilla, Agostino – http://www.biodiversitylibrary.org/pageimage/39707030, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=44716771
  5. Di Naval Research Laboratory from Clementine data – Quelle: http://solarviews.com/raw/moon/moonmap.tif, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=482921

Dormo o son desto?

sveglia

“Dormo o son desto?”, un recente studio ci spiega cosa succede al nostro cervello quando siamo lontani dal nostro letto.

“Se cambi cuscino, non riesci a dormire”, con questo detto Giapponese, Yuka Sasaki commenta i risultati dell’ultimo studio datato Aprile 2016, portato avanti insieme ad altri collaboratori della Brown University di Providence. Scientificamente noto come “effetto prima-notte” è quel fenomeno che ci porta a riposare male la prima sera trascorsa in un letto diverso da quello della nostra stanza.

Sarà capitato più o meno a tutti, dopo una notte trascorsa nel letto di una camera di hotel o di casa di un amico, di risvegliarsi un po’ intontiti e alquanto stanchi. L’obiettivo di questo team di scienziati era proprio quello di individuarne le cause e perciò hanno deciso di sottoporre 35 volontari a un esperimento consistente nel far trascorrere loro delle notti in laboratorio, al fine di monitorarne l’attività cerebrale. Tramite l’utilizzo di tecniche avanzate di elettro-magneto encelofalografia e di risonanza magnetica ad alta risoluzione, effettivamente qualcosa è venuto a galla. Durante tutte le ripetizioni dell’esperimento, infatti, si è apprezzata una continua attivazione di un particolare network dell’emisfero sinistro, nel corso della prima fase del sonno profondo, definito a “onde lente” e non riscontrabile invece nell’emisfero controlaterale. I ricercatori hanno inoltre evidenziato una maggiore responsività dell’emisfero sinistro a stimoli uditivi esterni rispetto al destro.

Dallo studio non è emersa una sostanziale asimmetria di attività cerebrale nelle altre fasi del sonno; ma soprattutto lo stesso network neuronale, che la prima notte era apparso significativamente più attivo nell’emisfero sinistro, a partire dalla seconda notte passata in laboratorio da parte dei volontari, non presentava alcuna differenza fra le due controparti. Il lavoro lascia ampi margini di ricerca, anche perché le analisi sono state effettuate considerando soltanto una fase del sonno e nei confronti di soli quattro networks cerebrali. Non è quindi da escludere che l’emisfero sinistro possa lavorare in alternanza con il destro, così come che altri circuiti nervosi siano particolarmente attivi durante la notte.

Questa scoperta, tuttavia, deve lasciarci a bocca aperta fino a un certo punto. Non siamo gli unici in natura a “vigilare” durante le ore notturne: infatti, il “Sonno Uniemisferico Alternato”, così è definita questa peculiare capacità cerebrale, anche se con le dovute differenze,  è già stata evidenziata in altre specie, delfini e balene innanzitutto, oltre che in alcuni volatili.

Quello evidenziato dalla Brown University potrebbe, quindi, essere un residuo dei tanti meccanismi di adattamento della specie che la natura ha messo in atto durante l’evoluzione. Il processo descritto, operato da queste specie, ha il fine di proteggere, di tenere in allerta l’animale anche durante le ore notturne, pronto a difendersi dall’assalto di eventuali predatori o di pericoli di varia natura. Il nostro organismo fa più o meno la stessa cosa: riconosce come potenziale pericolo una stanza, un letto o anche un cuscino diverso dal nostro, con l’obiettivo di prepararci a situazioni poco piacevoli ma rappresentando, soprattutto per chi viaggia spesso per lavoro, un disturbo a volte anche non poco fastidioso.

“Ma il cervello umano è molto flessibile e si adatta facilmente” ha aggiunto Yuka Sasaki, c’è  da contarci, quindi, che l’evoluzione, in un futuro non tanto lontano, possa risparmiarci questo spiacevole “effetto prima-notte”.

 

                                                                                                                                                   Andrea Visalli