Arriva la Notte mediterranea delle ricercatrici a Messina

La notta del 29 Settembre 2023 si è svolto, presso il rettorato dell’Università di Messina, l’evento “Notte mediterranea delle ricercatrici”, organizzato dall’ente Mednight.

I ricercatori che hanno partecipato all’iniziativa. Fonte

Il progetto ha avuto inizio alle 17 del pomeriggio e si è protratto fino a sera. Durante la prima parte si sono svolte delle attività destinate ai bambini. Nei vari stand era possibile osservare vari esperimenti e, in alcuni, eseguirli in prima persona. Dalle 19 in poi, invece, avevano inizio attività rivolte a un pubblico più maturo. Gli argomenti trattati spaziavano tra clima e alimentazione, salute e inquinamento, fino a toccare temi come la robotica.

Quest’ultimo ci ha particolarmente colpito, tra i primi che abbiamo visto, per le sue particolarità: gli studenti ci hanno illustrato un progetto riguardante il pilotaggio automatico tramite intelligenza artificiale di un “hardware” molto simile a una macchinina radiocomandata. Questa era capace di capire il percorso da seguire a partire dagli ostacoli messi dagli sviluppatori.

Alcuni degli stand presenti. ©Salvatore Donato

Abbiamo potuto osservare varie specie animali in esposizione, tra cui larve di mosca soldato e un esemplare di zebrafish. Per quanto riguarda il secondo abbiamo carpito come sia una specie di grande importanza nell’ambito della sperimentazione. Il primo animale è stato quello che ci ha colpito di più perché era soggetto di ben tre progetti legati tra di loro. Il primo riutilizzava le sostanze all’interno del corpo di queste larve per creare agenti antinfiammatori con varie finalità, tra cui quella medica. Nel secondo stand ci hanno spiegato come gli esoscheletri di queste larve possano essere trasformati in bioplastiche.

Molte scuole hanno portato i bambini a vedere esperimenti come questo ©Salvatore Donato

In generale abbiamo notato una forte attenzione nei confronti del tema inquinamento. In più stand, infatti, era possibile, tramite degli esperimenti, rendersi conto dei danni causati da alcuni agenti inquinanti. Molti erano diretti ai bambini con esperimenti colorati e semplici, ma d’impatto assoluto.

I progetti di ricerca mostrati davano, dunque, degli spunti interessanti e sono stati un’occasione per avvicinarsi a questo mondo e comprendere meglio come funziona.

Matteo Mangano e Alessia Sturniolo

Il cuore enorme della Terra: un’armonia tutta nostra

Che differenza c’è tra noi uomini e gli animali? Molti si sono posti tale domanda.
Alcuni sono riusciti a trovare una maggior ”capacità intellettiva” nella nostra specie, che si dimostra in piccole azioni giornaliere come la possibilità di soffrire e riflettere, l’empatia o un’estrema abilità comunicativa. In alcuni casi però questa domanda perde significato. Troviamo un sentire quasi comune, il cuore enorme della Terra che batte a diverse frequenze, nei corpi di tutti coloro che la abitano. 

Il canto delle megattere

La megattera (Megaptera novaeangliae) è un cetaceo della famiglia Balaenopteridae. Il nome deriva dal greco μέγα πτερόν (grande ala), in riferimento alle pinne pettorali che possono raggiungere una lunghezza pari a circa un terzo di quella del corpo. In queste creature il grado di apprendimento sociale si estende a popolazioni intere. I maschi usano complicati canti per comunicare. Queste melodie durano da dieci a venti minuti e vengono ripetute per diverse ore. Sono caratteristiche di ogni popolazione e ciascun esemplare del branco le conosce e usa.
Uno studio recentemente condotto della University of Queensland e pubblicato su Scientific Reports mostra, però, che tale capacità di apprendimento si allarga oltre i confini della singola popolazione.

Fonte: https://rivistanatura.com

Ascoltando una melodia di onde

Per lo studio, il team australiano ha monitorato due diverse popolazioni di megattere: una vive al largo delle coste orientali dell’Australia, l’altra intorno alla Nuova Caledonia. I ricercatori hanno registrato per sei anni, dal 2009 al 2015, i loro canti. È stato, così, possibile identificare quelli tipici sia degli esemplari australiani che di quelli della Nuova Caledonia, nonché osservare come si è evoluto il loro repertorio in questo lasso di tempo.

Di bocca in bocca

I contatti costanti tra i due gruppi hanno fatto sì che alcuni canti di una popolazione venissero appresi da un’altra ed integrati nei loro spartiti. Dal confronto tra le versioni originali e quelle apprese si è scoperto che le canzoni sono state imparate alla perfezione e riprodotte in maniera identica.
Il processo, peraltro, si è ripetuto con regolarità: ogni anno le megattere cambiavano la loro canzoni e, ogni anno, la popolazione vicina la imparava senza errori. Secondo gli autori dello studio, uno scambio culturale di questa portata (le popolazioni di megattere possono raggiungere i 200 esemplari) è molto raro. Inoltre, i risultati supportano l’ipotesi che le diverse popolazioni di megattere si scambino le canzoni quando si incontrano, per esempio, lungo rotte migratorie comuni.

La mente sensibile degli elefanti

Gli elefanti hanno il cervello più grande tra gli animali terrestri, con una massa superiore a cinque chili. Il volume della corteccia di un elefante permette un enorme ventaglio di processi cognitivi. Il risultato è una capacità neuronale superiore a quella di qualsiasi primate e cetaceo. Ciò si traduce in diversi tipi di intelligenza.
La sua struttura cerebrale è complessa e sofisticata, con più di 250.000 milioni di neuroni. La grande quantità di sinapsi della loro corteccia cerebrale permette di comprendere bene il linguaggio non verbale. Si ritiene che ciò sia associato anche alla loro elevata capacità di imitare anche le persone. Gli elefanti, inoltre, non replicano solo i gesti umani, ma anche i suoni dell’ambiente circostante. 

Fonte: https://www.ildigitale.it

Ricordi e memoria

Le dimensioni dell’ippocampo di un elefante superano quelle di qualsiasi primate.
Si tratta di una struttura cerebrale appartenente al sistema limbico che possiede, tra le altre, la funzione di elaborare alcuni tipi di memoria, come quella spaziale.
L’elefante può usare più dello 0,7% delle sue strutture cerebrali, mentre gli umani di solito ne sfruttano appena lo 0,5%. Ciò permette loro di avere una memoria davvero privilegiata. Questo aspetto è dimostrato in numerosi studi scientifici, ma è visibile anche nei comportamenti allo stato brado.

Il lutto

Gli elefanti manifestano un notevole interesse per gli esemplari deceduti della propria specie. Gli scienziati hanno osservato che gli elefanti piangono i propri morti e, inoltre, continuano a interagire con le carcasse per lungo tempo. In alcuni casi gli esemplari continuano a tornare a mucchi di ossa bianche arse dal sole. A descrivere questi comportamenti è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del San Diego Zoo Institute for Conservation Research e dello Smithsonian Conservation Biology Institute. I biologi, coordinati dalla dottoressa Shifra Goldenberg, hanno condotto uno studio di revisione sulle osservazioni di 32 carcasse di elefante. In alcuni casi è stato osservato il momento esatto in cui un esemplare è morto. Quando è crollato a terra i membri del suo gruppo sono accorsi attorno al corpo provando a sollevarlo e spostarlo con le proboscidi, emettendo vocalizzazioni per richiamare il compagno.
Non è chiaro il motivo per cui gli elefanti si comportino in questo modo, ma sembra che in alcuni casi negli animali sociali non ci sia “accettazione della morte”.
Un recente simile ed emblematico è quello dell’orca che ha trascinato la carcassa del suo piccolo innanzi al porto di Genova per diversi giorni.

Fonte: https://www.animalidacompagnia.it

La Terra e le sue creature

Conoscendo meglio le creature che condividono con noi questo pianeta si amplia la visione di noi stessi. Abbiamo la possibilità di sentire come la muta acqua risponde al canto delle megattere, di osservare come i più grandi mammiferi terrestri si muovono con delicatezza tra le foreste. Siamo parte di quest’armonia, anche quando ci limitiamo a guardarla sbirciando dalle finestre delle nostre case.

Alessia Sturniolo

Bibliografia

Viaggio nella matematica: dalle origini a problemi ancora irrisolti

La matematica spesso appare come un prodotto concluso, a volte lontano dalla realtà. Ma questa disciplina non rappresenta niente di tutto ciò. Tra le varie diramazioni del sapere, essa è una tra quelle che maggiormente ha origine nella pragmatismo. Lontana dall’aver risolto ogni dubbio continua ad interrogarsi, scavando per trovare le sue risposte.

La concretezza della matematica

Indagando le origini di questa disciplina, si può apprezzare il suo senso pratico. Nasce, infatti, per la contabilità statale. Probabilmente l’uomo iniziò a contare con le dita ma, in un secondo tempo, sentì la necessità di tenere memoria di quanto numerato. I metodi utilizzati a questo fine sono vari e differenti.

Quipu

Uno dei più antichi è quello dei quipu (parola che nella lingua degli Incas significa “nodo”). Si tratta di uno strumento di conteggio costituito da funi e nodi. Questo dispositivo era molto importante all’interno dello stato, tanto che vi era una figura ‘’specializzata’’ addetta ad utilizzarlo. Si tratta del quipucamayoes (“guardiano dei nodi“), funzionario incaricato a registrare nascite, matrimoni, decessi e altri dati utili all’amministrazione locale.

https://www.peruforless.com

Bolla

Altro metodo di conteggio si basava sull’utilizzo di pietre. Spesso venivano usate nella vendita di bestiame per verificare la correttezza dell’acquisto. Infatti, i greggi, venivano accompagnati da un involucro di argilla, detto bolla. Al suo interno vi erano le pietre che corrispondevano al numero di capi di bestiame da vendere. Da qui deriva il termine ‘’bolla di accompagnamento’’, ancora oggi comunemente utilizzato. Col tempo però, le bolle sono state sostitute da tavolette di argilla. Dall’evoluzione di tale metodo si giunge poi alla nascita del testo inciso, sottoprodotto, almeno in origine, della scrittura numerica.

Tavoletta di conteggio mesopotamica
Tavoletta di conteggio mesopotamica https://www.google.com

Nascita della geometria

Anche la nascita della geometria è legata alla risoluzione di un problema concreto. Dobbiamo agli Egizi lo studio di questa branca della matematica.  Gran parte delle attività delle popolazioni che abitavano questa zona, in antichità ruotavano attorno al Nilo. Le piene periodiche però, distruggevano i campi coltivati nei suoi pressi, elidendo i confini.  Una volta finito il periodo di piena, era dunque necessario trovare un modo per calcolare l’appezzamento di terreno che spettava ad ogni persona per ristabilire i confini. A tale scopo nacque la geometria.

E lo zero?

Lo zero (dall’arabo sifr “nulla”), rappresenta una delle dieci basi su cui si fonda la nostra scala numerica. Proprio a causa delle sua importanza nel mondo contemporaneo, sembra strano pensare che nell’antichità non ne esistesse il concetto. In origine, non aveva senso scrivere una quantità nulla, in quanto il computo presupponeva l’esistenza di oggetti da numerare. Quindi, quando si avevano numeri che presentavano lo zero in una delle cifre di cui si componevano, si creavano problemi di trascrizione.

Scrittura numerica in vari popoli dell’antichità. Notiamo l’assenza dello zero https://www.google.com

La prima comparsa dello zero risale all’epoca dei Sumeri, circa 3 mila anni fa. Era un simbolo cuneiforme e indicava l’assenza di un numero. Il suo sviluppo in senso moderno, va fatto risalire alla cultura Hindu, anche se il padre di tale numero è considerato il matematico arabo Muhammad ibn Musa al Khwarizmi. Il suo utilizzo rese i calcoli più rapidi e precisi. Il termine “zero” fu usato per la prima volta in Occidente dal matematico Leonardo Fibonacci nel 1202.

Le nostre sfide

La matematica di oggi, invece, su cosa si interroga? Quali sono i passi in avanti che abbiamo fatto? 

Nel maggio del 2000 Landon T. Clay ha messo in palio sette milioni di dollari per la risoluzione di altrettanti quesiti matematici, i cosiddetti “Problemi del Millennio“. Si tratta di interrogativi che ci poniamo da decenni. Vediamoli insieme:

  1. L’ipotesi di Riemann: riguarda la distribuzione dei numeri primi. Riemann notò che questa è legata al comportamento di una funzione ben precisa: la “zeta di Riemann“. Dimostrare quest’ipotesi avrebbe anche ripercussioni nel mondo della crittografia, dove alcuni algoritmi si basano sulla difficoltà di trovare fattori primi di numeri spropositatamente grandi.
  2. La teoria di Yang-Mills: utilizzata per spiegare le interazioni forti delle particelle elementari. Nonostante sia stata confermata dagli esperimenti, non è ancora stata compresa dal punto di vista teorico.
  3. Il problema P versus NP: Gli P sono problemi matematici veloci da risolvere per i computer, mentre gli NP sono veloci da controllare, ma non necessariamente da risolvere. Ci si chiede, dunque, se un problema la cui risposta può essere verificata rapidamente può anche essere risolto velocemente. Molti considerano questo il più importante problema aperto nell’informatica.
  4. Le equazioni di Navier-Stokes: spiegano il movimento dei fluidi nei loro moti turbolenti. La loro comprensione rimane per lo più oscura.
  5. La congettura di Poincaré: uno dei più importanti problemi della topologia, risolto nel 2003 da Grigorij Jakovlevič Perel’man.
  6. La congettura di Birch e Swinnerton-Dyer: riguarda le curve ellittiche nei numeri razionali. Se dimostrata, migliorerebbe anche la nostra conoscenza dei numeri primi.
  7. La congettura di Hodge: è un problema di tipo topologico, di cui si deve dimostrare l’inverso.

Tra passato e avanguardia

La matematica mantiene ancora il suo fascino, nascondendo una storia fatta di quesiti. Ci ha accompagnato nell’evoluzione della nostra civiltà e continua a stimolare l’intelletto di chi gli si avvicina. Oggi le domande da porsi sono numerose. La bellezza sta nel continuare a studiare una disciplina che l’uomo stesso ha creato, e che, nonostante ciò, continua a scoprire. È un po’ come se conoscendo la matematica interrogassimo la nostra intelligenza.

Alessia Sturniolo

Bibliografia

Quali verità scientifiche si celano dietro fiamme infernali, pietre mobili e mari luccicanti?

La terra è la nostra casa da 200.000 anni, eppure questo grande corpo rotante riesce ancora ad apparire nuovo e ignoto ai suoi piccoli abitanti. Visitandolo si scoprono luoghi che non sembrano reali e che fanno rinascere quell’istinto primordiale alla conoscenza, il desiderio di essere ancora una volta curiosi. Di seguito mostriamo una raccolta di tre luoghi dove si realizzano fenomeni per lungo tempo considerati inspiegabili per rivelare le ragioni celate dietro strani accadimenti.

La porta dell’inferno

“Porta dell’Inferno” o “Cancello degli Inferi”, Turkmenistan

Questo è il nome con cui è stato ribattezzato un cratere largo circa 70 metri e profondo, in alcuni punti, anche 50. Si è formato non lontano dal villaggio di Derweze (nel deserto del Karakum, in Turkmenistan), a 260 chilometri dalla capitale Ashgabat.

Nella nota area desertica è possibile vedere un enorme cratere infuocato che emana un bagliore visibile, di notte, a chilometri di distanza, anche a occhio nudo. Nelle ore diurne, invece, avvicinandosi si nota una voragine interamente occupata da fiamme che bruciano arida terra.

È curioso che questo fenomeno si verifichi senza interruzione da circa 45 anni. Nasce da ciò la leggenda della “Porta dell’inferno”, che affascina ancora oggi, attirando ogni anno decine di migliaia di turisti.

Il fenomeno fa la sua comparsa nel 1971, quando i sovietici impiantano in quella zona una piattaforma di perforazione con lo scopo di trovare il petrolio. Poco dopo l’inizio dei lavori, le trivelle raggiungono, però, una sacca di gas naturale presente non troppo in profondità. Ciò porta al cedimento del terreno formato da roccia e sabbia. Il buco creatosi trascina con sé tutte le attrezzature senza causare, però, vittime. Per evitare che ne facciano i gas sprigionati dal sottosuolo si decide di incendiarlo, pensando che la fiamme esauriscano la riserva naturale in un tempo relativamente breve.

In realtà, ciò fino ad adesso non si è realizzato e il fuoco continua a propagarsi alimentato dal gas fuoriuscente. Questo incidente ci ha regalato un panorama suggestivo, anche se visitarlo si rivela arduo. L’intenso calore che emana il cratere, infatti, permette di avvicinarsi solo per pochi minuti finché la temperatura diventa realmente insopportabile.

Le pietre camminano?

Pietre mobili della Valle della Morte, California

Lo strano fenomeno dei massi mobili si verifica ormai da tempo nella Racetrack Playa, un lago asciutto della Valle della Morte, in California. Si tratta di un’area lunga 4,5 chilometri e occupata da qualche centinaio di rocce di dimensioni variabili. Alcune sono, infatti, piccole come palle da baseball, altre arrivano a pesare più di 300 chili. Anche le scie lasciate dai massi sono molto diverse: alcune molto corte, altre lunghissime, altre ancora a zig zag.

I geologi da decenni tentano di comprendere le cause di tale fenomeno. Solo da un paio di anni si è riusciti a darne una spiegazione. Un gruppo di scienziati ha, infatti, filmato la corsa di alcuni massi. A spingerli sarebbero i sottili strati di ghiaccio che si formano quando il letto del lago si riempie di acqua piovana. Accade non di rado, infatti, che le temperature notturne in questa zona scendano sotto lo zero, e che l’acqua raccolta nel lago ghiacci.
Per capire meglio le dinamiche del fenomeno, nel 2011 un gruppo di geologi guidati da Richard Norris della Scripps Institution of Oceanography equipaggia quindici massi con unità GPS attivate dal movimento, monitorandoli costantemente.

Nel dicembre 2013, mentre la Playa è coperta da circa 7 centimetri d’acqua, con lo strato superficiale ghiacciato, succede qualcosa. In una giornata soleggiata, infatti, il ghiaccio inizia a creparsi, producendo rumori simili a quello di vetro che si rompe. Poco dopo, le rocce iniziano a muoversi. I grandi pannelli fluttuanti di ghiaccio, trascinati dal vento, scivolano su acqua e fango rimasti. Le rocce, a contatto con la terra, graffiano il suolo lasciando dietro di sé le famose scie.

Tramite i successivi studi si è compreso che, affinché le rocce si muovano, occorre che si verifichino alcune circostanze. La Playa deve, ad esempio, essere ricoperta da uno strato d’acqua piovana (o di neve sciolta) abbastanza alto da ghiacciare d’inverno, ma non tanto da coprire le rocce. Il ghiaccio deve avere uno spessore di 3-6 millimetri, in modo che possa rompersi facilmente, ma sia abbastanza spesso da spingere le rocce.

La spiaggia stellata

Bioluminescenza, Maldive

Le Maldive rappresentano una delle mete estive più ambite. Stupiscono le spiagge bianche e l’acqua limpida, ma, in realtà, vi è un fenomeno meno noto che qui si manifesta. A Vaadhoo, un’isola che fa parte dell’Atollo Raa, infatti, è possibile vedere il mare brillare nella notte. Delle luci colorano l’acqua di un blu accesso, come se il cielo vi si specchiasse illuminandosi. Camminando tra le onde, poi, si potranno scorgere alle spalle le proprie impronte, anch’esse dotate di quell’azzurro luccichio.

A causare questo stupefacente fenomeno sono alcuni organismi dotati di bioluminescenza. Nell’atollo di Huvadhu, infatti, il fitoplancton (un insieme di microrganismi) è dotato di una particolare luminescenza azzurra.

La fonte di energia che permette di assumere tale aspetto è data dalle radiazioni solari. La luce azzurra, invece, viene prodotta da una proteina chiamata “luciferase”.

Il fenomeno è, in realtà, causato da un meccanismo di difesa che questi organismi mettono in atto per proteggersi dai predatori.

La bioluminescenza non è, però, una caratteristica unica delle Maldive. In vari tratti dell’oceano Atlantico equatoriale e nella acque tropicali sono stati, infatti, segnalati fenomeni di questo tipo, anche in mare aperto.

In Giappone, ad esempio, esiste la Baia Toyama, dove a rendere luminescenti le acque sono dei calamari. Nel Mediterraneo è più raro assistere alla bioluminescenza. nonostante ciò anche qui esistono organismi in grado di brillare al buio.

Esemplare di calamaro lucciola, baia di Toyama (Giappone)

La fosforescenza marina è molto più diffusa di quanto si pensi. I punti luminosi si possono presentare in diversi colori: bianchi, blu, azzurri, persino verdi. Più raramente può accadere che assumano sfumature di giallo e rosso. A scatenare la reazione luminosa sono sempre dei processi chimico-fisici di organismi che vivono nelle acque marine.

Questi esseri risentono, però, molto dell’inquinamento. Ne è esempio la scomparsa, a Porto Rico, della “Baia bioluminescente”. Nel 2014, infatti, la spiaggia si è spenta. Probabilmente la causa è da ricercarsi in un cambiamento dell’ecosistema.

Riflessioni finali

La scienza, che vive tentando di spiegare la natura, trova su questo piccolo pianeta sempre nuovi misteri da svelare. In questa continua scoperta, nel gioco con il creato possiamo ritrovare il piacere di vivere. Possiamo rimanere sconvolti dalla potenza di questo cumulo di rocce che si manifesta nel fuoco e allo stesso tempo sfoggia nell’acqua una delicata bellezza.

Fonti

Alessia Sturniolo

Open Day UniMe 2020 – Digital Edition: Giorno 2

Si terrà domani il secondo appuntamento (tre in totale) dell’Open Day UniMe – Digital Edition.

Martedì 21 Luglio – Area Scienze e Ingegneria

La seconda giornata sarà dedicata all’area delle scienze e di ingegneria.

Protagonisti

  • Dipartimento di Ingegneria
  • Dipartimento di Scienze matematiche e informatiche, scienze fisiche e scienze della terra
  • Dipartimento di Scienze chimiche, biologiche, farmaceutiche ed ambientali

Coloro i quali volessero solo assistere all’Evento, potranno farlo in diretta sulla pagina Facebook dell’Ateneo.

servizi e le agevolazioni saranno presentati esclusivamente sulla piattaforma Teams nel corso di tutti e tre i giorni (gli orari sono consultabili nei programmi).


Qui consultabili i programmi dettagliati relativi alla giornata:

https://www.unime.it/sites/default/files/21_Programma_0.pdf

https://www.unime.it/sites/default/files/21_SERVIZI.pdf

Claudia Di Mento