Il miele: non solo un alimento

L’arrivo dei primi freddi porta con sé anche le classiche influenze stagionali e le abitudini per combattere i malesseri sono, ancora oggi, molto spesso basate su rimedi addottati dalle nostre nonne! Tra questi rientra l’uso del miele. Oro giallo tanto importante quanto sottovalutato, possiede proprietà nutrizionali e curative formidabili.

Miele

Miele
Il miele viene prodotto solo ed esclusivamente dalle api e si ricava dal nettare dei fiori o dalla melata.
Fin da bambini ci è stato insegnato che una delle funzioni svolte degli insetti riguarda l’impollinazione: più precisamente, il polline, per garantire la fecondità, dovrà passare da un fiore all’altro, e per farlo ha bisogno del prezioso aiuto degli insetti.
Ma perché gli insetti si posano sui fiori? Grazie al nettare; si tratta di una sostanza zuccherina che le piante producono proprio per attirare gli insetti. Ogni fiore ha un nettare diverso è per questo che esistono molte varietà di miele. La melata invece è la linfa delle piante, anche questa zuccherina, nutrimento principale di molti insetti.

Come viene prodotto dalle api

Lavorazione
Il miele è un alimento di riserva. In pratica è una scorta di cibo per l’inverno. Infatti le api si nutrono con il nettare dei fiori, ma quando non ne hanno di fresco a disposizione, attingono al miele che hanno prodotto.

In un alveare e/o arnia troveremo solo 1 ape regina e tra le 25.000 e le 40.000 api con compiti differenti. La quantità di api  può variare a seconda del tipo di ape, del tipo di alveare, della gestione dell’apicoltore e delle condizioni meteorologiche (stagione dell’anno, temperatura esterna, fioritura, ecc.).

Le api bottinatrici, sono le api che escono dall’alveare e vanno a prelevare il nettare. Quando rientrano all’alveare passano la goccia di nettare alle api immagazzinatrici che se la passano tra loro per 15-20 min per far si che il nettare raccolto si arricchisca di secrezioni ghiandolari ricche di enzimi. In questa fase, inoltre, all’interno dell’alveare le api ventilatrici sbattono le ali per far circolare l’aria e riscaldarla. Questo favorisce la disidratazione del nettare che perde gran parte della sua acqua.

Dopo di che viene depositato nel favo che è stato edificato dalle api produttrici di cera e sono queste stesse api che richiudono con la loro cera la cella . Dopo pochi giorni la percentuale di acqua del nettare scenderà sotto il 18% e il miele sarà pronto.

Da cosa dipende la diversità del miele

Polline e ape
Il colore e il profumo del miele dipendono dalla pianta frequentata dalle api, e quindi, dal tipo di polline utilizzato per produrlo. Il miele viene definito monoflora se il nettare di cui è composto proviene prevalentemente da un tipo di fiore o da un solo tipo di melata, altrimenti si tratta di miele millefiori.

Dal tipo di nettare dipende la colorazione che varia dal giallo chiarissimo al marrone scuro, ma anche la sua composizione in zuccheri, che ne determinano la permanenza allo stato liquido (prevalenza di fruttosio) o la cristallizzazione (prevalenza di glucosio).

Attenzione alla differenza tra nettare e polline

Pur avendo due ruoli totalmente diversi, c’è un legame strettissimo tra polline e nettare, entrambi elementi fondamentali nel processo di riproduzione. Il polline, spermatozoo della piante, è la sostanza proteica che rende possibile la fecondazione dei fiori e che contiene proteine, grassi e nutrienti di cui le api hanno bisogno. Il nettare, prodotto dal fiore, dà energia alle api grazie a vitamine, zuccheri e nutrienti aggiuntivi ed è la base per la produzione del miele.

Proprietà dei prodotti dell’alveare

  • Polline: utilizzato dall’uomo come integratore alimentare in quanto è una sostanza energizzante in grado di migliorare l’attività celebrale, il livello di attenzione, la memoria e le performance fisiche in generale.
  • Pappa reale: è una secrezione derivante da particolari ghiandole delle giovani api nutrici. Solo la regina si nutre esclusivamente di pappa reale durante tutta la sua vita. Alimento molto energetico e ricchissimo di vitamine.
  • Propoli: resina che le api raccolgono sulle gemme e sui giovani rami delle piante. Viene utilizzata dalle api, assieme alla cera, come materiale da costruzione, per rivestire le celle del nido nonchè per rivestire i cadaveri di animali morti all’interno dell’alveale e troppo pesanti per essere spostati dalle api. La propoli ha proprietà antibatteriche e balsamiche.
  • Cera: Ulizzata dalle api per costruire le celle dove verranno cresciute le larve e depositati miele e polline. La cera d’api è usata in commercio per la produzione di candele, prodotti cosmetici e farmaceutici, per lucidare materiali e altri svariati campi.
  • Veleno: prodotto dall’apparato velenifero dell’ape posto nell’addome delle api operaie e costituisce un’arma di difesa della colonia. L’ape muore nel giro di quattro minuti dal distacco del pungiglione. Il veleno d’ape ha proprietà antireumatiche, antinfiammatorie e anticoagulanti.

Benefici del miele 

Benefici

Il Miele costituisce, assieme al polline e alla pappa reale, il nutrimento per l’intera colonia.  A seconda del tipo di miele cambiano anche le proprietà terapeutiche:

  • il miele di acacia agisce positivamente sull’apparato digerente
  • il miele di bosco è indicato negli stati influenzali
  • il miele di arancio ha proprietà cicatrizzanti
  • il miele di girasole è antinevralgico, febbrifugo, consigliato contro il colesterolo
  • il miele di erica è ad azione antireumatica, antianemica
  • il miele di tiglio seda i dolori mestruali, è calmante, diuretico e digestivo
  • il miele millefiori ha un’azione disintossicante sul fegato.

Tra i diversi benefici del miele citiamo quella antibatterica e antibiotica, legati alle notevoli quantità di perossido di idrogeno, cioè di acqua ossigenata, la stessa che si usa  per disinfettare le ferite. Purtroppo, le alte temperature cui viene sottoposto il miele durante la pastorizzazione neutralizzano alcune sostanze benefiche: per ottenere il massimo effetto battericida, l’ideale è il miele grezzo. Motivo per il quale viene sconsigliata, anche, l’assunzione del miele sciolto nelle bevande calde, pratica svolta da molti durante stati influenzali.

Oltre a fermare le infezioni superficiali, il miele attenua i sintomi delle ulcere gastriche ed è utilizzato per il trattamento della diarrea che, soprattutto nei bambini, può essere pericolosa perché causa disidratazione.

Particolarmente efficace contro la stipsi, poiché contiene grandi quantità di fruttosio, zucchero capace di arrivare nell’intestino crasso senza essere stato digerito. Il fruttosio inoltre conferisce un potere dolcificante particolare e un prolungato effetto energetico perché, mentre il glucosio viene bruciato immediatamente, il fruttosio è dotato di proprietà emollienti restando più a lungo a disposizione del corpo.

Review

Millefiori

Una review (A Comprehensive Review of the Effect of Honey on Human Health) da un team di ricerca dell’Università di Granada (Spagna) e pubblicata su Nutrients, si è posta come obiettivo quello di analizzare le prove disponibili dell’effetto del miele sull’uomo.

Dall’analisi è emerso che una dose di circa 70 g di miele non trattato industrialmente, assunto quotidianamente per almeno 30 giorni, possa determinare effetti benefici sui fattori di rischio cardiovascolare, riducendo i livelli di trigliceridi, di colesterolo (sia totale, sia LDL) e di glucosio a digiuno. Inoltre, aumenta il livello di colesterolo HDL.

È stato evidenziato che anche nei soggetti con obesità, l’assunzione regolare di miele porta a una riduzione dei livelli di colesterolo e trigliceridi, favorendo la riduzione di peso, grasso corporeo, proteina C-reattiva e indice di massa corporea. Sembra, inoltre, che vi sia un’accelerazione della guarigione delle ferite grazie all’applicazione topica di creme al miele, negli ascessi di tosse nei bambini, nelle ferite e nelle ulcere del piede diabetico, anche se questi effetti non superano i trattamenti convenzionali.

È stato dimostrato, che l’integrazione con miele di trifoglio produce effetti sazianti. Dosi di 1-1,25 g di miele per chilo di peso riducono l’intossicazione dovuta all’assunzione di alcol. Nei pazienti affetti da leucemia e cancro della testa e del collo, sono stati osservati miglioramenti della mucosite e diminuzione della perdita di peso laddove sono state utilizzate soluzioni di diversi tipi di miele (miele di bosco, di timo, di trifoglio) per sciacqui o collutori con ingestione.

Secondo alcuni studi il miele potrebbe  portare qualche beneficio alle persone affette da diabete. Infatti, i ricercatori hanno notato che il miele probabilmente porta sui pazienti diabetici un naturale innalzamento dei livelli di insulina nel sangue. Questa supposizione nasce dal fatto che subito dopo l’assunzione di miele il glucosio nel sangue dei pazienti è aumentato molto, per poi scendere e mantenersi stabile, più di quanto ci si potesse aspettare.

Inoltre, su uno studio condotto su 50 candidati affetti da diabete di tipo 1, si è potuto notare che il miele, rispetto allo zucchero, ha avuto un effetto glicemico inferiore su tutti i partecipanti. Ha inoltre aumentato i loro livelli di C-peptide (sostanza rilasciata nel flusso sanguigno quando il corpo produce insulina). Un livello normale di C-peptide indica che il corpo sta producendo abbastanza insulina.

Controindicazioni

Neonato

Nonostante i potenziali benefici per la salute, il consumo di miele presenta alcune controindicazioni :

  •  Botulismo infantile: il miele non dovrebbe essere dato ai bambini di età inferiore a 1 anno; poichè potrebbe contenere spore del batterio Clostridium botulinum. Dopo il primo anno di vita, il sistema digestivo dei bambini è di solito abbastanza maturo da prevenire il rischio di botulismo
  • Alte calorie e zuccheri: il miele è ricco di zuccheri naturali, che forniscono calorie. Un consumo eccessivo di miele può contribuire all’aumento di peso e all’incremento del livello di zucchero nel sangue.
  • Reazioni allergiche: alcune persone possono essere allergiche al polline presente nel miele e potrebbero sviluppare reazioni allergiche come prurito, eruzioni cutanee o gonfiore.
  • Interazione con farmaci: in alcune situazioni, l’assunzione di grandi quantità di miele potrebbe interferire con l’efficacia di alcuni farmaci come, ad esempio, alcuni antibiotici.

Conclusioni

In conclusione, possiamo affermare che Il miele non è semplicemente un “rimedio popolare”, ma possiamo riconoscerlo come,  prodotto di alta qualità  dai mille usi. Se si è affetti da particolari patologie o problematiche, è bene sempre, prima parlarne con il medico. Da non sottovalutare l’economicità, particolarmente rilevante nei paesi in via di sviluppo dove costosi farmaci non sono sempre disponibili.

www.cure-naturali.it

www.calabreat.com

Utilità del miele

blog.3bee.com

proprietà del miele

Miele e diabete

www.farmacianews.it

Pubmed

Dagli studenti per gli studenti: la sclerosi multipla e le sue cause

La sclerosi multipla è una malattia demielinizzante, dovuta ad una risposta anomala da parte di linfociti e cellule infiammatorie nei confronti della mielina, per questo definita patologia autoimmune. La mielina è parte integrante delle cellule del sistema nervoso (neuroni), la quale risulta essere danneggiata in più punti al livello neuronale, portando così alla demielinizzazione e all’evoluzione delle prime fasi di malattia. La demielinizzazione causa un rallentamento del segnale che si propaga al livello assonico, nei casi più gravi l’impulso del segnale risulta interrotto.

Indice dei contenuti

 

  1. I neuroni
  2. Le cellule gliali costituiscono la mielina
  3. Come riconoscerla
  4. Sclerosi multipla solo un fattore genetico?
  5. Depressione e sclerosi multipla
  6. Possiamo parlare di rigenerazione degli oligodendrociti e quindi della mielina?

I neuroni

Tra le cellule del sistema nervoso esistono i neuroni, costituiti da un corpo centrale definito soma, dal quale dipartirà un prolungamento con direzione centrifuga, il quale risulta avvolto dalla guaina mielinica. La mielina non risulta avvolgere in maniera continua l’assone; infatti, nelle interruzioni di mielina si trovano i nodi di Ranvier in cui avviene l’impulso saltatorio; questi neuroni sono costituiti: dal soma all’interno del quale ritroviamo il nucleo e vari organuli; dei prolungamenti definiti dendriti, la parte di contatto con la cellula bersaglio è definito terminale assonico fornito, appunto, dall’assone.

 

Le cellule gliali costituiscono la mielina

Al livello del sistema nervoso centrale, troviamo gli oligodendrociti cellule gliali, deputate alla produzione di mielina, la quale risulta importante per la protezione degli assoni. Gli oligodendrociti risultano essere attaccati dal sistema immunitario nell’esordio della sclerosi multipla provocando una demielinizzazione dell’assone, riducendo così le funzionalità della mielina stessa.

Cellule SN. Fonte: oligodendrociti

Come riconoscerla?

I primi sintomi della sclerosi multipla comportano disabilità fisica (affaticamento), problemi di apprendimento e memoria, dovuti principalmente a danni diffusi e presenza di lesioni al livello celebrale. Difatti la maggior parte delle immagini celebrali, pervenute da esami radiologici, dimostrano la presenza di placche focali della sostanza bianca prettamente del sistema nervoso centrale. Il farmaco utilizzato in prima linea per la SM è l’interferone, rientra all’interno della famiglia delle citochine, che permette il rallentamento del decorso della malattia, e del processo di allargamento delle placche focali al livello delle placche celebrali.

Sintomatologia. Fonte: sintomi principali SM

Sclerosi multipla solo un fattore genetico?

Il fattore genetico nella sclerosi multipla non risulta essere l’unico coinvolto nella manifestazione della malattia. In quanto tra i fattori non genetici sono presenti il fumo e l’obesità. Nella sua manifestazione patologica tra i motivi scatenanti troviamo quella virale, in cui  il virus EBV entra a contatto con i geni HLA, andando così ad inficiare l’immunità adattiva. Quindi le tecniche preventive da attuare, con persone predisposte geneticamente alla SM, possono riguardare lo stile di vita quotidiano.

Possiamo parlare di rigenerazione degli oligodendrociti e quindi della mielina?

I macrofagi del sistema nervoso centrale esprimono il recettore della fractalina (CX3CR1). La carenza di fractalina all’interno delle cellule porta ad una disgregazione delle cellule causandone, appunto, quelle che sono le malattie neurodegenerative, in questo caso, la sclerosi multipla. La fractalina è una molecola proteica appartenente alla famiglia delle citochine, le quali intervengono all’interno dei meccanismi di riparazione.

Rigenerazione oligodendrociti. Fonte: fractalina

Elisa Bentivogli

Bibliografia

https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/ene.13819

https://link.springer.com/article/10.1007/s00011-018-1185-0

https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1750-3639.2007.00064.x

https://nn.neurology.org/content/3/2/e202

https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/09540261.2017.1322555?journalCode=iirp20

https://www.cell.com/stem-cell-reports/fulltext/S2213-6711(21)00316-7?_returnURL=https%3A%2F%2Flinkinghub.elsevier.com%2Fretrieve%2Fpii%2FS2213671121003167%

https://www.nature.com/articles/nn1715

 

Mulieres Salernitanae: le prime medichesse d’Italia

Intorno al IX secolo, dall’unione della tradizione greco-latina con quella araba ed ebraica, nasce in Italia la prima istituzione medica d’Europa: la Scuola medica salernitana. Considerata come l’antesignana delle moderne Università di medicina, la Scuola di Salerno introdusse fondamentali innovazioni nella pratica dell’arte medica. Essa si basava infatti su un approccio empirico e rivolgeva particolare attenzione alla cultura della prevenzione. Una delle più grandi novità di questa Scuola fu sicuramente la sua apertura nei confronti delle donne. Per la prima volta queste venivano ammesse non solo agli studi, ma anche alla pratica medica. Questo gruppo di dotte “medichesse” passò alla storia col nome di Mulieres Salernitanae.

Indice dei contenuti

  1. Chi erano le Mulieres
  2. La leggendaria Trotula
  3. I trattati sulla ginecologia e sulla cosmesi
  4. Conclusione

Chi erano le Mulieres

Nella storia della medicina la figura della donna non fu mai di secondaria importanza. Basti pensare al ruolo delle levatrici già in epoca greca. Esse infatti erano tenute ad accompagnare la gestante durante il travaglio, ma anche a conoscere le “medicine” con cui intervenire nei casi di patologia femminile. Ciò nonostante, le donne rimasero per lungo tempo per lo più escluse dall’ambito accademico. Soltanto con le Mulieres Salernitanae si raggiungerà un riconoscimento ufficiale del ruolo femminile anche all’interno di una importante istituzione medico-sanitaria come fu la Scuola salernitana.
Le Mulieres erano solitamente donne di buona famiglia, le quali potevano permettersi quindi studi ”universitari”. Fra di esse figurano i nomi di Abella Salernitana (autrice dei trattati Sulla natura del seme umano e Sulla bile nera), Mercuriade, Costanza Calenda, Rebecca Guarna (autrice delle opere Sulle febbri, Sulle orine e Sull’embrione) e Francesca Romana (molto stimata come chirurgo).

 

Raffigurazione della Scuola medica salernitana. Fonte: salernonews24.com

La leggendaria Trotula

Fra tutte spicca maggiormente il leggendario nome di Trotula, nata a Salerno dall’antica e nobile famiglia de Ruggero. Rodolfo Malacorona, nobile normanno che aveva compiuto studi di medicina in Francia, giunse in visita a Salerno nel 1059. Riferendosi a Trotula, egli disse che “non trovò alcuno che fosse in grado di tenergli testa nella scienza medica tranne una nobildonna assai colta”. Chiamata anche sanatrix Salernitana, Trotula fu considerata nel Medioevo una delle maggiori autorità nell’ambito dei disturbi e delle malattie femminili, nonché della cosmesi. Le sue due opere principali furono infatti il De mulierum passionibus ante, in et post partum (‘Le malattie delle donne prima, durante e dopo il parto’) e il De ornatu mulierum (‘Sulla cosmetica delle donne’).

Ritratto di Trotula. Fonte: elle.com

I trattati sulla ginecologia e sulla cosmesi

Il primo di questi trattati fu di fondamentale importanza per l’affermazione dell’ostetricia, della ginecologia e della puericultura come scienze mediche. Fu inoltre una delle prime opere medievali a trattare questi argomenti direttamente da una prospettiva femminile. Trotula era dotata di approfondite conoscenze sulla fisiologia femminile, sicuramente maggiori di quelle dei suoi colleghi maschi. Spesso questi ultimi non si occupavano delle donne giacché la loro diversa anatomia e fisiologia rendeva complessa la diagnosi ai meno esperti. Inoltre, generalmente la donna del medioevo in virtù del pudore, non era sempre ben disposta a farsi visitare da un uomo. Si evince così l’importanza che l’ingresso delle donne ha avuto nell’evoluzione della pratica medica. In questo passo del trattato, la medichessa fornisce la propria interpretazione della mestruazione:

Dunque, poiché le donne non hanno calore sufficiente a prosciugare l’eccedenza di umori cattivi che si formano quotidianamente in loro […], allora la natura stessa, in mancanza del calore, ha assegnato loro una forma speciale di purificazione, cioè le mestruazioni, che la gente comune chiama “i fiori”. Infatti come gli alberi senza fiori non producono frutti, così le donne senza i propri fiori sono private della facoltà di concepire.

Il secondo trattato fornisce invece consigli di cosmesi, insegnando alle donne a preservare, migliorare ed accrescere la propria bellezza, nonché come curare le malattie della pelle. Trotula intuì come la cura dell’estetica non fosse soltanto un vezzo, ma anche un modo per garantire il proprio benessere psicologico, e per questo trattò per la prima volta la cosmesi come una scienza. I consigli di bellezza riguardano i primi “rossetti”, ma sono presenti anche ricette di tinture per capelli, riferimenti all’importanza dei massaggi e tecniche per la depilazione; la maggior parte di questi consigli provengono dall’esperienza del mondo arabo. Di seguito un passo dal De ornatu mulierum:

Se poi una donna vorrà truccarsi le labbra, le strofini con corteccia di radici di noce, coprendosi i denti e le gengive con del cotone; poi lo intinga in un colore artificiale e con esso si unga le labbra e l’interno delle gengive.

Frontespizio dell’De ornatu mulierum. Fonte:namarteformazione.blogspot.com

Conclusioni

Pur essendo ammesse alla pratica dell’arte medica e alla stesura di trattati scientifici, le Mulieres Salernitanae non furono però mai ammesse realmente all’insegnamento presso la Scuola Salernitana in qualità di magistrae. Esse, tuttavia, godevano di una tale stima popolare da essere considerate, di fatto, allo stesso livello dei colleghi maschili. Le Mulieres rappresentano un momento cardine per la storia della medicina occidentale. Hanno spianato la via, nei secoli a seguire, a tante altre “scienziate” di talento come la catanese Virdimura nel XIV secolo, fino ad arrivare a veri e propri capisaldi della scienza medica moderna come il premio Nobel Rita Levi-Montalcini.

 

Bibliografia:

Tatuaggi: tra vecchie incertezze e nuove frontiere

I tatuaggi, visti come espressione del proprio essere, altro non sono che dei pigmenti esogeni introdotti nella pelle per realizzare una decorazione permanente. Grazie a questa pratica di “autoespressione”, si sono sviluppate nuove colorazioni per rendere ancora più appariscenti i tatuaggi.
Ma quanto possono essere tossiche queste sostanze per il nostro corpo?
Come migrano al suo interno? Tutto ciò può essere spiegato tramite alcune ricerche, che riguardano la tossicità di questi pigmenti, e non solo.


Indice dei contenuti

  1. Storia
  2. Composizione dei tatuaggi e reazioni avverse ad essi
  3. Avvertenze
  4. Laser: nuovo utilizzo per la rimozione dei tatuaggi
  5. Nuove frontiere 
  6. Conclusioni

Storia

L’etimologia della parola “tatuaggio” può essere associata all’onomatopea “tau-tau”, come se si volesse indicare il “battere su un qualcosa”, in questo caso sulla pelle. Tale termine è stato riportato da J. Cook in seguito ad uno dei suoi viaggi sull’isola di Tahiti. Tra le culture che hanno fatto del tatuaggio una tecnica pittorica, parte delle sue credenze e del suo costume, è quella Tahilandese. Da questa l’Occidente ha preso spunto, sviluppando tecniche più innovative lontane dal fattore culturale e religioso Tahilandese.

Tipico tatuaggio tailandese. Fonte: happyviaggithailandia.com

Composizione dei tatuaggi e reazioni avverse ad essi

L’inchiostro è la base per realizzare i tatuaggi, i quali sono composti da pigmenti associati ad additivi. In un primo momento si è pensato che le reazioni allergiche al tatuaggio fossero dovute all’introduzione dei pigmenti nel derma ma, dalle ultime scoperte pubblicate su Particle and Fibre toxicologysi è visto come queste fossero correlate all’utilizzo dell’ago e al rilascio di quantità di metalli in maniera impercettibile. Le reazioni correlate al tatuaggio possono presentarsi durante l’applicazione dei pigmenti a livello cutaneo o in un periodo successivo ad essa. Inoltre, le reazioni di ipersensibilità, possono presentarsi in modo non immediato e anche dopo diversi anni. Ciò avviene perché il nostro corpo è in grado di assorbire le sostanze, le quali migrano attraverso il torrente ematico andando ad interagire con le cellule sane.

Avvertenze

Prima di ogni applicazione devono essere valutate le condizioni del derma e, inoltre, la strumentazione deve essere opportunamente sterilizzata prima di ogni utilizzo. Infatti, l’ago dei tatuaggi va a penetrare la barriera cutanea, andando ad invadere la prima delle barriere fisiche del nostro sistema immunitario. Tutte queste condizioni, se non valutate in maniera corretta, potrebbero causare l’insorgenza di infezioni, neoplasie (in quanto i costituenti degli inchiostri si ritiene che siano sostanze cancerogene) e complicanze neurosensoriali (prurito, dolore).

Tatuaggio in lavorazione. Fonte: moroccoworldnews.com

Laser: nuovo utilizzo per la rimozione dei tatuaggi

Il Laser Q-Switched è una tecnica innovativa, sviluppatasi negli ultimi anni, e che permette la rimozione totale del tatuaggio. Tale tecnica ha sostituito le preesistenti procedure di rimozione, le quali risultavano dannose. Tra queste ricordiamo l’abrasione cutanea, tecnica che permetteva di scavare fino in fondo al livello cutaneo, o ancora alcune tecniche chirurgiche che portavano ad un risultato non abbastanza soddisfacente quanto quello ottenuto attraverso l’utilizzo del Laser. Infatti, grazie a quest’ultimo, si ha la possibilità di ottenere un miglior risultato, effettuando difatti varie sedute proporzionate all’intensità del pigmento precedentemente applicato, alla profondità a cui è penetrato e da quanto tempo è stato realizzato.
Il principio sul quale si basa è quello della fototermolisi. Ciò consiste nell’azione di fotoablazione superselettiva grazie all’emissione di un raggio di luce per una durata di tempo di pochi nanosecondi. In questo modo, l’effetto del raggio, si concentra solamente sulle particelle di pigmento bersaglio, mentre lo strato più esterno della cute non subisce alcun danno. Inoltre, a seconda del pigmento e i paramenti precedentemente illustrati, è possibile calibrare la potenza del raggio, così da danneggiare le particelle del pigmento in modo che l’organismo le possa riassorbire e degradare.

Struttura di un laser Q-switched www.researchgate.net

Nuove frontiere

Nella pubblicazione ad opera di alcuni ricercatori della State University of New York, condotta su 56 campionari di colori, utilizzati per l’inchiostro dei tatuaggi, si è dimostrato come l’esposizione del tatuaggio alla luce possa modificare la struttura chimica dei composti, che in seguito potrebbero diventare cancerogeni. Essi possono sviluppare mutazioni tali da causare danni al derma.

Conclusioni

La proposta emanata dall’UE a seguito delle numerose segnalazioni derivanti dalla cancerogenicità del tatuaggio, e all’insorgenza di infezioni e reazioni cutanee da parte dell’organismo, è quello di cercare dei coloranti che non producano reazioni avverse come quelli attualmente in commercio.
L’espressione di sé tramite i tatuaggi ha una storia che ci riporta al periodo della preistoria, e preservare questo tipo di cultura, è necessario tanto quanto preservare la vita dell’individuo stesso.

Elisa Bentivogli

 

Bibliografia

https://jamanetwork.com/journals/jamadermatology/article-abstract/1829611

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S1752928X20301293?via%3Dihub

https://www.focus.it/cultura/storia/tatuaggi-millenaria-voglia-di-marchiarsi

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/26940693/

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/26211826/https://www.karger.com/Article/FullText/369236

https://www.focus.it/scienza/salute/allergie-tatuaggi-non-solo-colpa-inchiostro

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0755498220300373?via%3Dihub

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/11702617/https://www.sciencedaily.com/releases/2022/08/220824103100.htm

Crioablazione: nuove frontiere nella ricerca al Rizzoli di Bologna

L’istituto Rizzoli di Bologna mediante la tecnica della crioterapia, è riuscito a curare i primi sei pazienti affetti da fibromatosi desmoide.

  1. Cos’è la fibromatosi desmoide?
  2. Il trattamento convenzionale
  3. Cos’è la crioablazione?
  4. Procedura clinica
  5. Intervento al Rizzoli di bologna
  6. Conclusioni

Cos’è la fibromatosi desmoide?

La fibromatosi desmoide è una neoplasia fibrosa benigna (raramente maligna), che origina dal tessuto connettivo, rappresentando il 3% delle neoplasie dei tessuti molli.
È una malattia rara che colpisce soggetti giovani (10-40 anni di età), con maggiore prevalenza nel sesso femminile. Si manifesta con crescita anomala dei tessuti molli delle estremità e delle cellule fibromuscolari a livello addominale. Ne consegue dolore, compressione degli organi interni e disturbi della motilità.
Esistono forme sporadiche e forme genetiche. Le prime sono dovute, nell’ 80% casi, alla mutazione del gene beta-catenina, mentre nel restante 20% al gene APC. Le seconde, invece, sono correlate alla poliposi familiare per alterazione del gene APC.

 

https://conganat.uninet.edu

Il trattamento convenzionale

Il trattamento convenzionale, fino ad oggi utilizzato, comporta l’asportazione chirurgica combinata alla chemioterapia o radioterapia. 
A causa delle numerose recidive riscontrate nel 60% dei pazienti, si è notato però che non è preferibile intervenire chirurgicamente ma farmacologicamente, bloccando unicamente la crescita del tumore.
Grazie alla tecnica della crioterapia, è stata studiata la possibilità di eliminare la neoplasia attraverso crioablazione, riducendo così il deficit derivante all’intervento chirurgico tradizionale.

Che cos’è la Crioablazione?

La crioablazione è una tecnica della radiologia interventistica eseguita sotto guida radiologica, che consiste nel congelare letteralmente le cellule. Gli ambiti di applicazione variano dalla cardiochirurgia, utilizzata nella cura delle aritmie, fino alla rimozione di tumori, come avvenuto al Rizzoli di Bologna per sei pazienti affetti da fibromatosi desmoide.

 

https://cdn.gvmnet.it/

Procedura clinica

L‘intervento avviene in anestesia locale, inserendo uno o più aghi nella massa tumorale. Attraverso questi viene inoculato gas di temperatura inferiore ai -20 °C. In tal modo l’acqua presente nelle cellule tumorali si condensa in ghiaccio, causando necrosi cellulare e liberando gli antigeni tumorali. Ciò induce una risposta immunitaria contro il tumore.
Dunque la crioablazione consente di agire solo sulla massa tumorale senza intaccare tessuti sani, come avviene difatti con la chemioterapia.

Intervento al Rizzoli di Bologna

Il primo intervento in Italia è stato eseguito a luglio 2020 su un paziente di 39 anni. Il soggetto soffriva di dolore intenso e debilitante nella zona di crescita del tumore. Ha portato a scomparsa quasi completa della massa tumorale con una singola seduta.
Lo studio è stato diretto dal dottor Costantino Errani e dal radiologo interventista Giancarlo Facchini, basandosi sui primi risultati di uno studio americano del Memorial Sloan Kettering Cancer Center ed uno studio multicentrico francese.

 

http://www.ior.it/

Conclusioni

Offrire ai malati non solo una valida alternativa a un trattamento aggressivo o invasivo ma soprattutto una tecnica più efficace è ciò che ogni medico desidera per i propri pazienti”
Anselmo Campagna

Livio Milazzo

Bibliografia

Congelare il tumore con la crioterapia. Al Rizzoli di Bologna curati con questa tecnica i primi 6 pazienti affetti da fibromatosi desmoide | ISTITUTO ORTOPEDICO RIZZOLI (ior.it)

Fibromatosi di tipo desmoide – irccstumori (istitutotumori.mi.it)

Poliposi adenomatosa familiare – Disturbi gastrointestinali – Manuali MSD Edizione Professionisti (msdmanuals.com)

Primo trapianto di rene da maiale a uomo. Cosa aspettarci dal futuro?

Risale a poco più di un mese fa la prima e favorevole esecuzione di un trapianto di rene di maiale geneticamente modificato su un essere umano. Questo evento ha rappresentato una svolta epocale nel mondo della trapiantologia, in quanto i precedenti esperimenti si erano rivelati alquanto infruttuosi.

Cenni di storia: il primo trapianto

Il trapianto consiste nell’inserimento di un’unità anatomo-funzionale proveniente da un donatore nell’organismo del ricevente. Risale a dicembre del 1954, a Boston, il primo trapianto di rene tra gemelli omozigoti. Il giovane ricevente, paziente uremico costretto alla dialisi, fu sottoposto al trapianto per mano del trapiantologo Joseph Murray. Questo trapianto andò bene in quanto il ricevente non rigettò l’organo.
La perfetta riuscita dell’intervento valse a Murray, nel 1990, il premio Nobel per la medicina.

Esistono ad oggi diversi tipi di trapianto:

  • Autotrapianto: trapianto di una parte del corpo su di un’altra, come nel caso di cute o vasi
  • Isotrapianto: trapianto tra due membri della stessa specie geneticamente identici
  • Allotrapianto: trapianto tra due membri della stessa specie non geneticamente identici
  • Xenotrapianto: trapianto tra membri di specie diversa ad esempio scimmia o maiale
Fonte immagine: Il Corpo Umano

Complicanze del trapianto

Una volta trapiantato l’organo, inizia una fase di vigile attesa finalizzata a monitorare un eventuale rigetto.
Il rigetto è una delle tre principali complicanze alle quali va incontro un soggetto trapiantato. Si parla di rigetto quando il sistema immunitario di un paziente sottoposto a trapianto attacca il nuovo organo riconoscendolo come non-self.
Si distinguono rigetto iperacuto (qualche minuto, poche ore), acuto (qualche giorno, poche settimane), cronico (alcuni mesi, diversi anni).

L’introduzione della terapia immunosoppressiva per evitare il rigetto ha aperto le porte ad altri due tipi di complicanze. Le complicanze infettive, tra tutte quella da organismi opportunisti quali citomegalovirus e pneumocystis jirovecii. Infine le complicanze neoplastiche tra cui annoveriamo tumori cutanei quali melanoma e spinalioma, sarcoma di Kaposi e linfomi non-Hodking.

Trapianto di rene da uomo a maiale: la svolta

I maiali sono da lungo tempo l’obiettivo della ricerca per fronteggiare la carenza di organi e il problema delle liste d’attesa.
Basti pensare alle sostituzioni valvolari effettuate con valvole provenienti da suini o ai trapianti di cornea. Anche nel caso di uno xenotrapianto, l’intervento non esula da complicanze più o meno gravi. In questo caso, l’equipe guidata dal Dottor Robert Montgomery il mese scorso ha notato come  uno zucchero nelle cellule di maiale, estraneo al corpo umano, provocava il rigetto immediato degli organi. Il rene per questo esperimento proveniva da un animale modificato geneticamente, progettato per eliminare quello zucchero ed evitare un attacco da parte del sistema immunitario.

Maiali da laboratorio. Prospettiva futura rilevante per la trapiantologia. Immagine tratta da https://www.focus.it/

Un passo significativo

Una volta selezionato il maiale, accuratamente modificato dal punto di vista genetico, ha avuto il via l’operazione. I chirurghi hanno attaccato il rene di maiale ad un paio di grandi vasi sanguigni al di fuori del corpo di un destinatario deceduto, in modo da poterlo osservare per due giorni. Altra significativa differenza con un normale trapianto di rene umano, in cui l’organo ricevuto viene impiantato in fossa iliaca senza rimuovere il vecchio rene che rimane, salvo casi eccezionali, in sede. Il rene trapiantato ha svolto normalmente la sua funzione, ovvero il filtraggio delle scorie e la produzione di urina, non provocando alcun rigetto.

“Questa ricerca è un passo significativo”, ha affermato il Dottor Andrew Adams della University of Minnesota Medical School, come riportato dal blog Medicalxpress. Rassicuranti sembrano essere le parole di Montgomery, che ha sottolineato come non si sia verificato alcun rifiuto immediato. Curioso sottolineare come anche Montgomery stesso rientri tra i “fortunati” destinatari di un organo trapiantato: proprio il chirurgo venne salvato tre anni fa da un trapianto di cuore in donazione da un paziente deceduto per epatite C.

Fonte immagine: Euronews  https://it.euronews.com/2021/10/21/la-nuova-frontiera-dei-trapianti-il-rene-di-un-maiale-in-un-essere-umano

Cosa aspettarci dal futuro?

Questo test ha rappresentato un grande salto in avanti nella ricerca per l’utilizzo, un giorno, di organi animali per trapianti salvavita.
Il maiale di per sè ha numerosi vantaggi rispetto alla scimmia. In primis, la questione etica da sempre problematica nell’ambito dello xenotrapianto, sarebbe meno pesante essendo i suini comunemente utilizzati come prodotti per il cibo. Inoltre, i maiali producono cucciolate molto numerose, con periodi gestazionali e organi paragonabili a quelli umani. E’ ormai parere comune degli esperti che i test su primati non umani e l’esperimento del mese scorso danno vita a nuovi scenari incentrati su trapianti di rene di maiale su persone viventi nei prossimi anni. Questo costituirebbe sicuramente un’arma fondamentale dal punto di vista clinico: è infatti risaputo che, nonostante l’efficacia del trattamento dialitico, l’unico intervento capace di sopperire appieno alla complessa funzionalità del rene è il trapianto renale.

Ad oggi, numerose aziende sono in corsa per sviluppare organi di suino adatti al trapianto per attutire la carenza di organi umani. Più di 90.000 persone negli Stati Uniti sono in lista per un trapianto di rene. Ogni giorno, 12 persone muoiono nell’attesa.

Saro Pistorìo

 

Per approfondire:

https://medicalxpress.com/news/2021-10-pig-kidney-human-patient-potential.html

Il progetto GRATA finanziato con oltre un milione di euro – Intervista alla coordinatrice Prof.ssa A. Bitto

Uno dei progetti di ricerca del nostro Ateneo si è aggiudicato un finanziamento per un oltre un milione di euro dal FISR 2019, ovvero un fondo integrativo speciale per la ricerca offerto direttamente dal Ministero.

Il progetto prende il nome di GRATA ed indagherà le potenzialità diagnostiche e terapeutiche di particolari molecole chiamate Graphene Quantum Dots. L’Università offre inoltre un assegno di ricerca nel contesto dell’iniziativa, come approfondito a fine articolo. Abbiamo intervistato la Prof.ssa Alessandra Bitto, coordinatrice del progetto, per saperne di più su GRATA.

Prof.ssa Alessandra Bitto

Per prima cosa, volevamo chiederle quando e in che modo fosse nato il progetto GRATA e quale fosse l’oggetto principale della ricerca.

Il progetto GRATA nasce nel 2019 a partire dall’idea della Prof.ssa Iannazzo, docente del Dipartimento di Ingegneria del nostro Ateneo, che da sempre si occupa della ricerca di molecole che possano essere utilizzate come carrier di farmaci.

Ha identificato, in particolare, delle promettenti particelle di grafene, i cosidetti Graphene Quantum Dots, che hanno particolari proprietà.

Innanzitutto, possono inoltre legare piccoli farmaci, come alcuni antitumorali. La Prof.ssa aveva inizialmente notato come la doxorubicina, un farmaco già usato contro i tumori, potesse essere veicolato all’interno delle cellule in maniera più rapida se coniugato con queste particelle.

Inoltre, un’altra caratteristica è che sono dotate di fluorescenza. Sfruttando questa proprietà, ci è stato possibile seguirle sia all’interno del citoplasma delle cellule target, sia addirittura all’interno del nucleo. Quindi, è possibile monitorare, all’interno della cellula, il percorso che fa il farmaco coniugato alle particelle. Si tratta di un’esperienza affascinante, in quanto seguire il tragitto del farmaco ci permette di osservare da un punto di vista pratico ciò che immaginiamo teoricamente.

 

Che risvolti potrebbero avere queste particelle nella ricerca nell’ambito dei farmaci antitumorali?

Va precisato che, nel contesto della ricerca dei farmaci antitumorali, capita spesso che molecole che si dimostrano promettenti antineoplastici nei modelli teorici, poi trovino difficoltà ad entrare nelle cellule. I Graphene Quantum Dots potrebbero contribuire a superare questo limite indirizzando specificatamente il farmaco verso la cellula tumorale.

La particella, infatti, lega, da un lato, una “chiave” che permette di riconoscere una specifica “serratura” sulla superficie della cellula tumorale; dall’altro lato lega il farmaco che determinerà la morte della cellula con estrema specificità. Inoltre, come abbiamo detto, ci è possibile seguirlo: non solo all’interno delle cellule ma addirittura all’interno di organi e tessuti.

Le particelle di grafene, inoltre, sono completamente inerti da un punto di vista biologico e gli studi hanno dimostrato che non danno particolari fenomeni di tossicità o accumulo.

Il risvolto potrebbe essere quello di identificare un carrier efficace e sicuro come potenziale prospettiva nella lotta ai tumori.

 

Oltre ai principali ideatori del progetto, chi sono e che ruolo avranno i vari collaboratori di questo studio?

Abbiamo già fatto delle riunioni iniziali per dividerci i compiti quando abbiamo disegnato insieme il progetto. Innanzitutto, preciso che prenderanno parte a GRATA due partner: l’Università degli Studi di Genova e il CNR di Catania. Quest’ultimo effettuerà delle analisi sulla struttura tridimensionale del Graphene Quantum Dot coniugato a farmaci. L’obiettivo è quello di comprendere che dimensioni esso raggiunge e come può essere veicolato in una formulazione farmaceutica. L’Università degli Studi di Genova, invece, farà uno studio genetico sulle modifiche dell’RNA messaggero generate dalla risposta al farmaco.

Per quanto riguarda l’Università degli Studi di Messina, il progetto prevede una collaborazione multidisciplinare.

Il gruppo dei chimici farmaceutici e organici studierà quali sono le molecole da coniugare con i Quantum Dots dal punto di vista strutturale. Inoltre, utilizzeremo anche farmaci di nuova sintesi. Il gruppo dei chimici farmaceutici con la Prof.ssa Zappalà, la Prof.ssa Ettari, il Prof. Giofrè e il Prof. Romeo si occuperanno del disegno e della sintesi delle nuove molecole.

Il Prof. Cicero, docente di chimica degli alimenti, ci aiuterà a comprendere se alcune sostanze di origine naturale possano essere coniugate al Quantum Dot, in quanto le cellule tumorali ne sono particolarmente avide.

Il gruppo di Ingegneria, con la Prof.ssa Iannazzo e il Prof. Pistone, realizzerà fisicamente questo coniugato, fornendoci la molecola completa.

Il farmaco verrà fornito alla Prof.ssa Di Pietro, docente di Igiene, che, insieme alla Prof.ssa Visalli, contribuirà a valutare l’efficacia del farmaco su alcune linee cellulari tumorali.

Quindi, io e la Prof.ssa Irrera, da farmacologi, insieme a tutti i dottorandi e i corsisti che lavoreranno con noi sul progetto, testeremo il farmaco su modello animale. Indurremo quindi sperimentalmente un tumore e valuteremo l’efficacia delle particelle di grafene coniugate ai farmaci sia in senso diagnostico che terapeutico.

 

Per concludere, vorremmo porre un ultimo quesito: quando pensa che saranno resi pubblici i risultati di questo progetto e, soprattutto, quanto tempo pensa possa trascorrere affinché possa esserci un’applicazione sull’uomo?

Per quanto riguarda la pubblicazione dei risultati bisogna attendere la conclusione del progetto, prevista per Febbraio 2023. La pandemia in corso ha inevitabilmente rallentato l’approvvigionamento dei materiali necessari per le attività di ricerca. In ogni caso, cercheremo di concludere il progetto nei tempi stabiliti. Spero che i risultati preliminari, ottenuti sulle cellule, possano essere disponibili esattamente tra un anno. A quel punto, saranno già in corso gli studi su modello animale.

Per quanto riguarda l’applicabilità, banalmente potrebbe essere quasi immediata. Già in medicina abbiamo dei radiofarmaci che, emettendo radiazioni, permettono di localizzare alcuni particolari tipi di tumore. Nel caso dei Graphene Quantum Dots, potremmo ottenere dei risultati analoghi, senza emissione di radiazioni, ma solo attraverso la fluorescenza. A ciò si aggiunge la possibilità di coniugare un farmaco antitumorale e quindi avere finalità terapeutica.

Se il progetto darà esiti positivi, i passaggi cruciali sarebbero poi lo studio sull’uomo, l’approvazione e la produzione su larga scala. Pertanto, sarebbe necessario trovare un’azienda che sia interessata a traslare le nostre ricerche sull’uomo. Un altro dei vantaggi di queste particelle è che hanno un basso costo, il che le rende ancora più promettenti.

 

Conferimento dell’assegno, come partecipare

A chi è rivolto?

La procedura di selezione è rivolta a coloro i quali posseggono i seguenti requisiti:

    1. titolo di dottore di ricerca inerente l’area scientifico disciplinare di pertinenza, conseguito in Italia o il titolo equivalente conseguito all’estero;
    2. conoscenza della lingua straniera: inglese.
  • L’assegnazione dell’assegno non è compatibile con l’iscrizione a corsi di laurea, di laurea specialistica o magistrale, a dottorato di ricerca con borsa o a scuola di specializzazione dell’area medica, in Italia o all’estero, nonché con l’iscrizione ad altra scuola/corso che, dato l’obbligo di frequenza, impedisca lo svolgimento delle attività previste dal contratto.
  • L’assegno non è cumulabile con borse di studio a qualsiasi titolo conferite ad eccezione di quelle concesse da Istituzioni nazionali o straniere utili a integrare, con soggiorni all’estero, l’attività di ricerca dei titolari. Nè con il lavoro dipendente e con altri assegni o contratti di collaborazione all’attività di ricerca.
    Una limitata attività di lavoro autonomo è concessa, in assenza di conflitti di interesse, previa comunicazione scritta e accordo con il docente responsabile.

Come presentare la propria candidatura

La domanda di ammissione può essere presentata esclusivamente per via telematica mediante un’apposita procedura disponibile al sito https://pica.cineca.it/unime/. Il candidato dovrà inserire tutti i dati richiesti ed allegare i documenti in formato PDF.

La presentazione della domanda di partecipazione dovrà essere perfezionata e conclusa secondo una delle seguenti modalità: mediante firma manualemediante firma digitale sul server ConFirmamediante firma digitale sul PC.

Nella domanda il candidato dovrà inoltre dichiarare:

  • nome e cognome; data ed il luogo di nascita; cittadinanza; residenza ed il domicilio eletto ai fini della partecipazione alla procedura;
  • di non avere riportato condanne penali e di non avere procedimenti penali in corso (in caso contrario, indicare quali);
  • eventuali disabilità presenti, specificando l’ausilio necessario in relazione al proprio handicap e l’eventuale esigenza del tempo aggiuntivo, documentati da idoneo certificato rilasciato dalla struttura sanitaria pubblica competente per il territorio.

Altri documenti da allegare

I documenti dovranno essere inseriti in formato PDF, nell’apposita sezione “allegati”.

  • il curriculum in formato europass della propria attività scientifico-professionale firmato e datato;
  • l’elenco delle pubblicazioni e dei titoli;
  • le pubblicazioni e/o i titoli di cui si chiede la valutazione;
  • eventuale certificazione sanitaria per disabilità o DSA;
  • copia scansionata di un documento di riconoscimento con foto, in corso di validità.

I candidati cittadini comunitari e non comunitari, in possesso di titolo/i estero/i conseguito/i in Paesi NON UE, dovranno allegare il certificato del/i titolo/i posseduto/i da cui si evinca: la durata del Corso di studio; l’indicazione dell’Università che ha rilasciato il titolo; la data di conseguimento e la votazione finale;

Dovrà inoltre essere allegata una traduzione in lingua italiana o inglese, dichiarata conforme al testo a cura delle competenti rappresentanze diplomatiche o consolari all’estero.

Termine ultimo per la presentazione della propria candidatura

La procedura di compilazione e invio telematico della domanda dovrà essere completata entro e non oltre le ore 12.00 del ventesimo giorno successivo alla data di pubblicazione del bando.

L’assegno di ricerca avrà validità di 18 mesi e non è rinnovabile.

Valutazione dei candidati e colloquio

Verificata la presenza dei requisiti necessari, saranno valutate la preparazione, l’esperienza e l’attitudine alla ricerca del candidato. Saranno presi in considerazione i titoli, le pubblicazioni, eventuali incarichi svolti in Italia e/o all’estero.

Il punteggio complessivo è pari a punti 100, così ripartiti: fino ad un massimo di punti 75 assegnabili ai titoli; fino ad un massimo di punti 25 assegnabili al colloquio.

Il punteggio minimo che i candidati devono aver conseguito nella valutazione dei titoli per essere ammessi a sostenere il colloquio è pari a 40/75 punti. Gli argomenti dello stesso saranno Tecniche di PCR quantitativa e western blot; modelli sperimentali murini di tumore epatico.

I risultati della valutazione e l’elenco dei candidati ammessi al colloquio verranno pubblicati sul sito web https://www.unime.it/it/ricerca/assegni-di-ricerca, prima della data fissata per il colloquio.

Il colloquio avrà luogo il giorno 1 giugno 2021 alle ore 10.00 in modalità telematica sulla piattaforma Microsoft Teams. I candidati dovranno essere muniti di documento di riconoscimento in corso di validità. La mancata presentazione al colloquio sarà considerata come rinuncia alla selezione.

Al termine di ogni seduta dedicata al colloquio, la Commissione forma l’elenco dei candidati esaminati, con l’indicazione del voto da ciascuno riportato, che sarà affisso all’albo della sede degli esami.

I risultati della valutazione vengono formalizzati con decreto del Direttore del Dipartimento
e pubblicati sul sito web di Ateneo https://www.unime.it/it/ricerca/assegni-di-ricerca.

Conferimento dell’assegno

  • Una volta designato il vincitore dell’assegno, lo stesso è tenuto ad accettare entro e non oltre 20 giorni dalla pubblicazione dalla graduatoria, pena decadenza. Nel caso in cui il ritardo sia dovuto a comprovati e gravi motivi, dovranno essere tempestivamente comunicati.
  • In caso di rinuncia, si procederà allo scorrimento della graduatoria.
  • L’importo annuo lordo dell’assegno di ricerca è determinato in € 25.650,00 da considerarsi al lordo degli oneri a carico dell’Università.
  • Il vincitore sarà provvisto di copertura assicurativa in merito a potenziali rischi di infortuni e responsabilità civile, fornita dall’Università stessa.

Francesca Umina

Antonino Micari

Differenze di genere e COVID-19: confronto della malattia tra uomo e donna

Questo lungo anno ha reso evidente la presenza di importanti differenze interindividuali nelle manifestazioni della malattia da Coronavirus: alcuni soggetti vanno incontro a una sintomatologia più grave mentre altri a una semplice sindrome simil-influenzale o addirittura rimangono asintomaticiIl concetto si applica anche alla risposta alle terapie farmacologiche: non sempre le cure funzionano.

Questo è senza dubbio motivo di angoscia sia per i pazienti che per i familiari, ma la scienza sta facendo sempre maggior chiarezza sulle basi di questo meccanismo. Una delle principali motivazioni è da ricercare nel corredo genetico ed enzimatico proprio della persona. Di fronte a tutte queste differenze viene da chiedersi: uomini e donne reagiscono in modo diverso al SARS-CoV-2?

Punti chiave

  1. Chi viene colpito di più?
  2. ACE2, di cosa si tratta
  3. Interazioni con il virus: perché le donne potrebbero essere protette?

Chi viene colpito di più?

Sembra proprio che gli uomini siano più propensi a contrarre il virus e a sviluppare delle complicanze anche gravi. Ma perché? Le ragioni potrebbero essere tra le più disparate, per esempio una maggiore (per ora) propensione al tabagismo nella popolazione maschile.

Altra spiegazione invece la si può trovare nella più pronta risposta del sistema immunitario femminile nel bloccare l’infezione. Tuttavia è stato anche ipotizzato anche un coinvolgimento di un enzima, ACE2, che regola l’attività di un sistema chiamato RAS.


ACE2: di cosa si tratta

Il RAS, o sistema renina-angiotensina-aldosterone, regola la pressione del sangue e la volemia (il volume di sangue nel nostro corpo) essendo a pieno titolo uno dei meccanismi più importanti per il mantenimento della stabilità dell’organismo. Se la pressione si abbassa e/o si riduce la volemia, il rene rilascia in circolo un enzima chiamato renina, il quale convertirà una proteina epatica, l’angiotensinogeno, in angiotensina I. L’angiotensina I potrà a sua volta essere trasformata in altri intermedi, in un processo finemente regolato. Tra i vari enzimi che prendono parte a queso processo c’è proprio ACE2.

Sistema RAS – Fonte: Journal of Clinical Pathology

È un enzima attivo ed espresso in molti tessuti, in particolare, la sua concentrazione è alta nei polmoni, nel rene, nei vasi e nel cuore. La funzione principale di ACE2 è di degradare la angiotensina II, uno degli ormoni deputati al controllo pressorio, che aumenta la forza di contrazione del cuore e la frequenza cardiaca. ACE2 lavora in opposizione a un altro enzima, detto semplicemente ACE, che al contrario favorisce la vasocostrizione. Nei polmoni inoltre, questo enzima metabolizza oltre l’angiotensina anche altre molecole ed è proprio qui a livello dell’apparato respiratorio che si gioca il suo ruolo.

È stato scoperto infatti che una concentrazione aumentata di angiotensina possa peggiorare la sintomatologia da COVID19, favorendo l’accumulo di liquidi nei polmoni.

Interazioni con il virus: perché le donne potrebbero essere protette?

Si è visto che il SARS-CoV-2 per entrare all’interno delle cellule polmonari ha bisogno di legare proprio ACE2Questo porterebbe a pensare che avere una concentrazione alta di questo enzima-recettore sia sfavorevole, in quanto predispone maggiormente all’infezione. 

Così non sembra, in quanto le donne, che grazie agli estrogeni esprimono in maggior misura ACE2, molto spesso manifestano l’infezione in maniera più lieve. Ciò accade perché l’enzima metabolizza l’angiotensina in eccesso, impedendole di provocare danni. Viceversa gli ormoni androgeni svolgono un ruolo opposto.

L’ipotesi di ACE2 come protezione nasce da quanto osservato nei neonati venuti alla luce durante la pandemia.  In Cina hanno appurato che, nella seconda parte della gravidanza, nelle donne aumenta l’espressione di ACE2.
Secondo questi studi, attraverso la circolazione feto-placentare, l’enzima potrebbe essere trasferito al feto, proteggendolo dal virus.
Ovviamente, anche quest’ultima ipotesi è ancora tutta da dimostrare, ma se così fosse si spiegherebbe perché i neonati in particolar modo non sono molto propensi a sviluppare forme gravi della malattia.

Non ci sono ancora certezze in questo campo ma saranno necessari ulteriori studi per approfondire quello che potrebbe essere un altro passo alla comprensione di questa malattia.

Maria Elisa Nasso

Andromeda e la Via Lattea iniziano a sfiorarsi in vista del loro futuro scontro

Le galassie rappresentano il cuore del nostro Universo. Si tratta di enormi conglomerati di stelle e materia interstellare. La loro vita è segnata da turbolenti moti intestini e continui scontri con altre simili. Ciò le porta ad accrescere le loro dimensioni. La collisione, infatti, le spinge a riassemblarsi in ammassi celesti nuovi. È il caso della nostra stessa galassia, la Via Lattea, che è destinata a scontrarsi con la vicina Andromeda e, forse, la loro collisione è già iniziata.

Conosciamo meglio la Via Lattea, la nostra casa

Oggi sappiamo che la Via Lattea è solo una delle tante galassie che popolano l’Universo.

È soggetta a due moti: uno rotatorio su se stessa, compiendo un giro completo in circa 2,4×108 anni (si tratta di una rotazione differenziale: le stelle interne, cioè, ruotano più velocemente di quelle esterne); uno rispetto all’Universo in espansione, alla velocità di due milioni di chilometri orari.

Stimiamo che la Via Lattea abbia una forma a disco schiacciato che raggiunge il massimo spessore al centro diminuendo nella periferia. La nostra galassia, quindi, vista da fuori e da una posizione di taglio (edge on), risulta piatta e allungata, a parte un rigonfiamento centrale. Vista di fronte, invece, assume la forma di una grande spirale.

Il centro della Via Lattea dista da noi circa 25800 anni luce. La zona centrale è occupata da un buco nero super massiccio chiamato “Sagittarius A star” e indicato con SgrA*. Si tratta di una sorgente di onde radio compatta e luminosa. Sagittarius A* avrebbe una massa di circa 4 milioni di volte quella del Sole. Trovandosi, inoltre, nel centro della nostra galassia, rappresenterebbe il fulcro attorno cui le stelle della Via Lattea, compresa la nostra, compiono il loro moto di rivoluzione.

La Via Lattea, vista in posizione di taglio e frontalmente – Fonte: AstronomiAmo

Andromeda: una vicina particolare

Andromeda è, per noi terrestri, una galassia speciale. Si tratta, infatti, dell’oggetto celeste più lontano visibile ad occhio nudo; in nessun altro punto del cielo il nostro sguardo, privato di strumenti, penetra così in profondità.

Andromeda vista dalla terra. Si può notare, anche a così grande distanza, la sua forma ellittica – Fonte: Media INAF

La vera natura di Andromeda è stata scoperta in tempi recenti, con la nascita, cioè, di telescopi che permettessero di studiarne forma, dimensioni e movimento. Sappiamo oggi che la nostra vicina è un maestoso sistema in rotazione.

Il suo diametro è stimato in circa 160.000 anni luce e contiene dai 200 ai 300 miliardi di stelle. Andromeda è, quindi, più grande della Via Lattea: si tratta, infatti, della galassia più importante del cosiddetto Gruppo Locale, l’ ammasso di sistemi di stelle (più di 70) comprendete anche la nostra.

Andromeda e le sue galassie satelliti – Fonte: Gruppo Astrofili di Piacenza

La distanza tra la nostra galassia e Andromeda è, in realtà, notevole. La luce che da essa arriva sulla Terra è partita circa 2.300.000 anni fa, un’epoca in cui il nostro pianeta aveva un aspetto differente da quello odierno. Si tratta del periodo in cui ebbe inizio l’Età della Pietra. L’intelligenza dei nostri antenati cominciava, allora, ad affermarsi. Tutta la storia dell’uomo si è svolta in questo intervallo di tempo.

Il misterioso alone che circonda Andromeda

La Via Lattea e Andromeda si stanno avvicinando sempre di più. Si stima che si scontreranno tra circa 4 miliardi di anni, ma si stanno già sfiorando. Ne sono la prova gli immensi aloni di gas che si estendono per circa 1,5 milioni di anni luce attorno ad Andromeda. Questo ambiente si studia sfruttando la luce dei quasar. Si tratta di sorgenti lontanissime che presentano righe spettrali spostate verso il rosso, ciò le rende facilmente distinguibile dalle altre.

Gli studi si stanno concentrando sulla composizione dell’alone, poiché conserva memoria degli eventi passati, oltre a essere il serbatoio da cui attingere il gas che formerà le future stelle.

“Comprendere gli enormi aloni di gas che circondano le galassie è immensamente importante”, ha spiegato Samantha Berek della Yale University di New Haven. “Questo serbatoio di gas contiene carburante per la futura formazione stellare all’interno della galassia, oltre a deflussi di eventi come le supernove. È pieno di indizi riguardanti l’evoluzione passata e futura della galassia, e siamo finalmente in grado di studiarla in grande dettaglio nel nostro vicino galattico più vicino”.

È emerso che il guscio più interno dell’alone si estende per circa mezzo milione di anni luce, popolato da ammassi globulari, galassie nane, satelliti e stelle isolate. Il guscio esterno è più esteso, rarefatto e caldo.

Poiché viviamo all’interno della Via Lattea, gli scienziati non sono in grado di osservarne l’alone. Credono, tuttavia, sia simile a quello di Andromeda visto che lo sono anche le due galassie.

Il “non scontro”

Inizierà, al momento dell’urto, una tumultuosa fase di fusione da cui nascerà una grande galassia ellittica. Si chiamerà Milkomeda, un mix tra Milky Way e Andromeda. L’evento non darà luogo a scontri frontali tra stelle ma sarà caratterizzato da incontri ravvicinati gradualmente più vicini fino alla fusione dei nuclei.

Anche se non ci saranno urti, l’evento non sarà privo di rischi, a causa delle forze gravitazionali in gioco e del buco nero super massiccio al centro delle galassie. La loro interazione potrebbe far espellere interi sistemi stellari nello spazio profondo.

Una rappresentazione artistica di come potrebbe apparire la progressiva fusione tra Andromeda e la Via Lattea a un ipotetico osservatore in grado di sopravvivere per molti miliardi di anni, cioè il tempo necessario perché si plachino le turbolenze della collisione ed emerga il risultato finale: una gigantesca galassia ellittica – Fonte: NASA, ESA, Z. Levay, R. van der Marel, T. Hallas, A. Mellinger

Immaginare questo scontro ci proietta in un domani incerto, in cui la sicurezza data dal guardare vicino ci abbandona. I moti galattici sono così potenti e maestosi da lasciarci stupiti. Seppur difficile da vedere, però, il loro caotico movimento sottende un ordine. È lo stesso che ritroviamo nel Sistema Solare o nel moto dei satelliti attorno al loro pianeta, una danza rotazionale in cui ogni corpo è mosso.

Quell’interruzione che lo scontro tra questi due giganti celesti pare portare farà nascere un nuovo caotico ordine.

Alessia Sturniolo

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