Immunoterapia contro i tumori, Nobel ad Allison e Honjo!

Sono rivoluzionari ed inediti i passi avanti e le scoperte scientifiche in campo bio-medico, che sono valse all’americano James P. Allison ed al nipponico Tasuku Honjo il Nobel per la medicina.

Per la prima volta infatti, sono stati messi in evidenza dei meccanismi cellulari mediante i quali il nostro organismo contrattacca l’impazzimento delle unità biologiche che diventano cancerogene.

Nello specifico, i due medici rispettivamente del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center e dell’Università di Kyoto, hanno individuato le proteine di alcune cellule immunitarie che i tumori usano come bersagli da ingannare nel completamento dell’involuzione nociva.

La geniale teoria medico-scientifica sarebbe quindi l’attivazione di un freno biologico che permetta al nostro organismo, quando affetto da un degeneramento cancerogeno, di produrre delle proteine (CTLA-4) che attiverebbero il sistema immunitario per distruggere il tumore.

E’ stata inoltre documentata l’esistenza di un’altra proteina (PD-1), creata dal corpo umano quando “in ostaggio” da una massa tumorale, in grado di inviare segnali che il nostro sistema immunitario elabora come negativi.

L’immunoterapia dunque, si rende efficace nel tentativo di contrastare i complessi sistemi di decriptazione dei segnali inviati dalle cellule immunitarie per sconfiggere le masse cancerogene che tendono, ad eludere le nostre difese e a perdurare nella riproduzione di cellule maligne.

La ricerca contro il cancro si sta quindi sviluppando nell’ambito di armi mediche capaci di memoria, e quindi di riconoscere le degenerazioni delle cellule e i suoi “piani biologici di azione”.

Non solo immunoterapia, l’evoluzione scientifica si sta esplicando anche nel campo dell’angiogenesi e della fabbricazione di inibitori che impediscono che i tumori trovino nuovo nutrimento.

Resta ovviamente la certezza che i farmaci e le tecniche tradizionali come chemioterapia e radioterapia rimangono i piani terapeutici più attendibili ed efficaci almeno nel breve e medio periodo.

Gli aggiornamenti delle tecniche di cura prodotte dagli studiosi di immunoterapia si confermano, come nel 2013, in cima alla lista delle scoperte fondamentali alla luce degli incredibili successi ottenuti in sperimentazione.

Nonostante manchino ancora risultati definitivi, l’immunoterapia conferma la sua incisività curativa, del resto la speranza è l’ultima a morire.

Antonio Mulone

Scontro sui vaccini: riflessioni di uno studente di medicina

Salvini, paura e populismo: non è il metodo Burioni che salverà i bambini italiani.

L’ultima entrata in scivolata contro il mondo dei vaccini risponde al nome del neoeletto Ministro degli Interni Matteo Salvini. Non è stata la prima “frase accalappia voti” e non sarà l’ultima sull’argomento. Ma nella disputa pro-vax vs no-vax, chi è davvero il peggior interlocutore?

E’ ormai da circa vent’anni che dilaga a macchia d’olio la paura del vaccino. Se prima rimaneva confinata tra mura domestiche, come un tarlo si insinuava nei genitori e ne nascevano discussioni più o meno convinte, da pochi mesi a questa parte l’argomento ha assunto dimensioni inimmaginabili.

Pochi comprendono il funzionamento di questa conquista scientifica, o che almeno era considerata tale quando ancora amici e parenti morivano di poliomelite, pertosse, morbillo e meningite. 

Si sa, noi italiani, siamo appassionati di storia solo quando si tratta di elencare i pregi del periodo fascista o quando elenchiamo tutti i goal segnati dalla squadra del cuore (sì, è una frase qualunquista, ma sfido chiunque a sfatarla).

La maggior parte ignora quanto il vaccino abbia fatto per i propri nonni, genitori, e connazionali. Ignoriamo, cioè, la storia dei vaccini, le personalità che vi hanno dedicato la vita, e ancor meno conosciamo la storia di chi ha avviato la lotta ai vaccini: Andrew Wakefield. E’ questo il nome del medico inglese che nel 1998 pubblicò uno studio in cui associava le infiammazioni intestinali all’autismo,  riferendo inoltre che alcuni dei bambini affetti da autismo avevano sviluppato i sintomi dopo la somministrazione del vaccino trivalente contro morbillo, parotite e rosolia (Mpr). 

La ricerca, pubblicata sul rinomato Lancet, concludeva dichiarando espressamente che non era ancora dimostrabile alcun legame tra vaccinazioni e sintomi manifestati in quei bambini. Tuttavia lo stesso Wakefield organizzò varie conferenze nelle quali sosteneva che tale legame fosse probabile, generando il panico generalizzato. La soluzione sarebbe stata quella di una somministrazione monovalente per i vari virus del trivalente, che però ancora non esisteva. Anzi, fuori il coniglio dal cappello! L’aveva appena brevettata!

Che colpo di genio, che coincidenza! No. Ovviamente la ricerca era stata falsata, mancavano i casi-controllo, alcuni reperti istologici erano stati manomessi, e venne anche fuori che la ricerca era stata commissionata da un avvocato che voleva intentare una causa miliardaria contro la casa di produzione del suddetto vaccino. Insomma, i no-vax lottano contro l’economia delle case farmaceutiche abbindolati proprio da chi era pronto ad intentare una truffa sulla salute della popolazione mondiale.

Il dubbio è da sempre linfa per l’uomo, perché conduce ad una ricerca che a sua volta porta al superamento di un limite, ad una conoscenza maggiore, all’acquisizione di un vantaggio evolutivo. Ma un dubbio non supportato da un metodo scientifico, può diventare qualunque cosa. E quando più persone con lo stesso dubbio e con la stessa mancanza di senso critico si incontrano, rafforzano le proprie convinzioni, il dubbio diventa paura. La paura alimenta se stessa, attecchisce senza destare sospetto. E quando la paura dilaga allora è utile strumentalizzarla, perché porta consenso. Da qui il suo sfruttamento dai vari politici di turno.

Viene montata ad hoc la guerra “popolo” contro “èlite”, dove èlite è chiunque faccia parte di un mondo visto inaccessibile, difficile, fatto di competenza, di dati, di razionalità; popolo è chi rifiuta l’esperto, chi si fida delle sensazioni, chi trova risposte semplici a problemi complessi. Ogni volta che un esperto si esprime, c’è una parte di paese che lo avverte come nemico, perché dati, prove e dimostrazioni negano propri i sentimenti. Perché la tua analisi dovrebbe valere di più di quello che io provo?

Ecco come medici, chimici, farmacisti, biologi, sono diventati bersaglio di biasimo, di rabbia da parte dell’opinione pubblica fino ad essere tacciati per servi del potere.

Fino ad oggi, lo staff medico ha combattuto questa guerra con le stesse armi degli oppositori, guerra combattuta nella piazza più grande e più complessa che esista: i social network. Allo scettico si è risposto con l’indisponenza, al dubbioso si è risposto con la superbia, alla “mamma informata” si è risposto con la derisione. Ecco perché il Dottor Burioni sbaglia, e con lui i suoi sostenitori. Il virologo marchigiano è probabilmente l’influencer pro-vax più conosciuto d’Italia, il punto di riferimento sui social per la fetta di utenti concordi con le sue idee e che rivedono in lui un porto sicuro quando, fuori, la tempesta no-vax inghiotte le navi solitarie. La preda perfetta per tutti gli hater, complottisti e no-vax che sotto ogni suo post scatenano le proprie battaglie. L’atteggiamento da lui assunto nel rispondere a tali critiche, che più spesso sono insulti, è comprensibile, ma del tutto inefficace. 

Ad esempio: se il signor Cocco Meningo sostiene di non voler vaccinare il proprio bambino per aver letto su www.ivaccinisonounatruffadellecasefarmaceutiche.org che il vaccino “x” causa la malattia “y” è sicuramente poco e male informato. Rispondergli che non capisce nulla, che “la scienza non è democratica”, che “dovrebbe studiare prima di aprir bocca” non farà altro che rafforzare nel signor Meningo la propria idea, aizzerà la rabbia sua e di chi la pensa come lui, a subirne le conseguenze sarà suo figlio che non verrà vaccinato.

Non basta, Dottor Burioni, riportare in interminabili post le prove dell’utilità dei vaccini, ciò che comporta il loro inutilizzo, i link delle fonti scientifiche da cui ha attinto, perché è pane solo per chi ha i “denti” del senso critico, della conoscenza della materia. Per tutta la restante popolazione, la maggioranza, il suo modus operandi non è commestibile, è benzina sul fuoco, parole che non verranno mai lette e comprese, coperte immediatamente dalla rabbia di chi ha paura e si sente preso in giro pubblicamente. 

La vera soluzione sta nel rivedere il rapporto umano che il medico, quello di base ed il pediatra in primis, e in generale tutti i membri dello staff sanitario, devono instaurare con i pazienti ed i loro parenti. Oggi più che mai, il “rapporto umano” su cui si è costruita da sempre l’arte medica, deve trovare nuove vie per approcciare  chi ha paura e riconquistare la sua fiducia. La paura, l’ignoranza e la malattia sono cose intime: come si pensa di poterle sconfiggere sui social? Questi, semmai, possono tornare utili in un secondo momento, per eventuali approfondimenti, curiosità e confronti. Non possono e non devono essere la prima fonte di informazione, né sostituire la visita medica e il rapporto paziente-medico.

Oltre a ripartire da zero sul fronte del rapporto medico-paziente, occorre riorganizzare il fronte dell’istruzione, dalle scuole elementari alle superiori. Più che incentivare lo studio delle materie scientifiche, dovrebbe assumere primaria importanza l’acquisizione del metodo scientifico, del senso critico, di cosa vuol dire dimostrare una tesi, confutarla, costruire un esperimento, osservare e dedurre conclusioni. Un tipo di educazione che stimoli non a contenere informazioni, bensì  alla critica, alla creatività all’elaborazione attiva di ciò che si impara.

Il medico oggi deve accettare la realtà in cui è obbligato ad operare, non combatterla. Solo scendendo a patti con se stesso e con il paziente potrà rieducarlo. Non può più contare sull’autorità che un tempo il camice bianco conferiva a chi lo indossava: deve costruire il rapporto persona per persona, parola per parola, solo allora acquisterà un peso sostanziale ed un raggio di azione che il medico formale non ha mai avuto.

Antonio Nuccio

Dipendenza Patologica da Internet: meccanismi biochimici e neurobiologici

Basta salire su un autobus o frequentare un locale affollato, per rendersi conto di quanto oggi il nostro sguardo si sia abbassato.

Siamo letteralmente assorbiti, catturati dai nostri smartphone. Sempre connessi, sempre impegnati, al punto di perdere il contatto con la realtà.

“Sapete quante volte viene toccato lo schermo di un telefono? 2600 volte al giorno. Sapete quante di queste sono veramente necessarie? Solo 14”. Così recita Fabrizio Bentivoglio nel recente film Sconnessi, film che denuncia come Internet abbia modificato il nostro stile di vita creando una vera e propria dipendenza.

Circa il 90% della popolazione mondiale possiede una connessione internet. Dal 1999 gli utenti sono notevolmente aumentati. Dall’analisi statistica dei dati provenienti da 239 Paesi, è emerso come il numero degli utenti connessi ad Internet nel mondo abbia sorpassato la soglia dei 4 miliardi di persone. Un dato storico ci informa che oggi più della metà della popolazione mondiale è online.

Non sorprende a pensare che si stanno diffondendo sempre più i disturbi da abuso della rete telematica, l’Internet Addiction Disorder (IAD)che hanno riscosso una crescente attenzione da parte della comunità scientifica.

Il fenomeno sta acquistando una rilevanza sociale tanto da parlare di dipendenza.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) descrive la dipendenza patologica come quella condizione psichica, e talvolta anche fisica, causata dall’interazione tra una persona e una sostanza tossica. Tale interazione determina un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione. Le nuove dipendenze, o dipendenze senza sostanza, si riferiscono a una vasta gamma di comportamenti anomali. Tra essi possiamo annoverare il gioco d’azzardo patologico, la dipendenza da tv, da internet, dal sesso, shopping compulsivo, dall’eccesso di allenamento sportivo.

 

La dipendenza patologica e i criteri diagnostici

Il DSM5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) comprende anche il gioco d’azzardo che non è correlato all’uso di una sostanza.

Servono ulteriori ricerche ed evidenze per includere formalmente i disturbi da abuso della rete telematica IAD (l’Internet Addiction Disorder ) nel DSM5.

Già nel 1995 Ivan Goldberg propose di introdurli nel DSM . Si stanno rapidamente diffondendo senza un ufficiale riconoscimento e con continui disaccordi rispetto ai criteri diagnostici da utilizzare.

In particolare, il dibattito in corso mira a definire se l’IAD deve essere classificato come una dipendenza comportamentale, un disturbo del controllo degli impulsi o un disturbo ossessivo-compulsivo.

La dipendenza da internet è legata al tipo di attività svolta varia in genere in relazione al sesso e all’età.

Attualmente sono stati riconosciuti cinque tipi di dipendenza:

-Dipendenza dalle relazioni virtuali (Cyber-Relational Addiction) Tendenza ad istaurare relazioni di amicizia o amorosi via chat, forum, social networks. Tali relazioni diventano man mano più importanti delle relazioni reali.

-Dipendenza dal sesso virtuale (Cybersexual Addiction) uso compulsivo di pornografia e sesso virtuale.

-Gioco Offline (Computer Addiction), tendenza al coinvolgimento eccessivo in giochi virtuali che non prevedono l’interazione tra più giocatori e non in rete.

-Gioco Online (Net Compulsion), coinvolgimento eccessivo e comportamenti compulsivi collegati a varie attività online quali il gioco d’azzardo, lo shopping compulsivo, i giochi di ruolo.

Quando parliamo di dipendenza da internet?

Quando la maggior parte del tempo e delle energie vengono spesi nell’utilizzo della rete, creando in tal modo menomazioni forti e disfunzionali nelle principali e fondamentali aree esistenziali, come quella personale, relazionale, scolastica, familiare, affettiva. Le dinamiche di dipendenza dalla rete telematica si possono sviluppare al punto da presentare fenomeni analoghi alle dipendenze da sostanze, con comparsa di tolleranza (aumentare il numero di ore trascorse in rete per avere lo stesso effetto gratificante) craving (desiderio impulsivo) e assuefazione e astinenza( Se il soggetto tenta di ridurre le ore o si disconnette dalla rete diventa irritabile, nervoso, ansioso.)

La dipendenza patologica come ogni malattia mentale, altera il comportamento è tutto ciò che limita il nostro libero modo di essere, di comportarci, di scegliere è un qualcosa che ci viene sovraimposto. Il soggetto non sceglie di stare tutta la giornata davanti al pc, non andare a lavoro, perdere sonno.

NON È RILEVANTE LA VOLONTÀ del soggetto a smettere, il soggetto può avere anche un alto quoziente intellettivo e avere una dipendenza da internet come da nicotina.

Perché?

Poiché ovviamente tutti noi dobbiamo  fare i conti con i limiti del nostro sistema nervoso, con dei processi biochimici sovraimposti dalla biologia e dalla fisiologia. E’ un meccanismo biochimico che si autoinnesca nel cervello.

 

Come avviene la dipendenza?

La dipendenza da sostanze e comportamenti usa un meccanismo antichissimo, caro all’evoluzione e alle diverse specie ovvero la gratificazione, il circuito della ricompensa ed il rinforzo negativo o positivo.

Il circuito della ricompensa è un comportamento attuato anche dal neonato, da ogni specie dalle farfalle all’essere umano. Tanto più un’azione è gratificante tanto più essa tende ad essere ripetuta nel tempo. Sono dei meccanismi che servono a salvaguardare la specie. Non tutte le dipendenze sono patologiche anzi alcune sono necessarie. Ad esempio l’atto sessuale è un evento gradevole che tende ad essere ripetuto nel tempo e consente la riproduzione per questo le specie non si sono estinte.

Le dipendenze fisiologiche o patologiche si basano sul circuito della ricompensa.

Esso è costituito da tre momenti:

– La componente preparatoria (il desiderio e le azioni messe in atto per raggiungere l’oggetto del piacere);

– La componente incentivante motivazionale (motivazione a provare qualcosa di nuovo);

– La componente consumatoria: piacere, soddisfazione e gratificazione.

 

Biochimicamente cosa avviene nel cervello?

  • L’Area tegmentale ventrale rilascia dopamina,
  • Liberazione dopamina dal Nucleo Accumbens. Il rilascio di dopamina dal Nucleo Accumbens è correlato al piacere alla gratificazione,
  • Contemporaneamente avviene l’inibizione del lobo frontale (area deputata al giudizio, alla coscienza, alla razionalizzazione. Consequenzialmente se tale area è inibita il soggetto non considera più il pericolo, la sua razionalità è compromessa).
  • Inibizione dell’amigdala la quale in genere è deputata a far insorgere nel soggetto ansia, paura e consente di scappare dinnanzi un pericolo, se tale area è inibita il soggetto non è ansioso, è quindi troverà beneficio dall’ azione, sentendosi più rilassato, meno agitato e non tenderà a scappare).Ciò funziona per tutte le dipendenze anche da sostanza e comportamento. Esaminiamo la dipendenza più comune quella da social network.Oltre al circuito di ricompensa avviene un rinforzo positivo:

    Se il soggetto ha difficoltà ad istaurare relazioni nella realtà per tratti di personalità per la sua timidezza, per la sua personalità evitante, per la sua introversione, sarà facilitato da internet ad instaurare relazioni velocemente, a parlare  liberamente senza arrossire o essere impacciato, sarà più disinibito.

    Il soggetto tramite i social può offrire un’immagine di sé che non è reale, fornire agli altri un’immagine idealizzata che vorrebbe avere.

    Avrà più facilmente accesso ad essere in contatto con le persone di suo interesse. Grazie a facebook, instagram, whatsapp sarà aggiornato sulla vita e sui movimenti di chi gli interessa, ci saranno foto, video, pensieri condivisi dalla persona ,i social vanno tanto di moda perché sono basati  sulla stimolazione piacevole della curiosità, erotizzazione delle informazioni.

    Rinforzo negativo eviterà il rifiuto diretto, essere nascosti dietro uno schermo evita figuracce, la perdita di tempo nell’ottenere informazioni.

    La specie si evoluta basandosi sul rinforzo positivo e negativo. Tutte le azioni umane sono esplicate per avvicinarsi al piacere o allontanarsi dal dolore.

     

    Dipendenza e tratti di personalità

    Ci sono persone più inclini a sviluppare dipendenze patologiche da internet, comportamentali o patologiche? Si, senza dubbio.

    In parte è genetica, correlato a tratti di personalità come il Neuroticismo, l’impulsività e l’eccesiva reattività a stimoli esterni.

    Il  neuroticismo è quella  caratteristica di personalità connessa alla tendenza a provare emozioni prevalentemente negative come il pessimismo.

    Questo tratto risulta associato tanto al disturbo da uso di sostanze quanto ai disturbi depressivi e ai disturbi d’ansia.

    Più elevata sensibilità allo stress. I soggetti con tale tratto hanno la predisposizione al sensation-seeking, la tendenza di avere una continua ricerca del nuovo e dal costante bisogno di provare di forti emozioni, unitamente all’ipersensibilità verso le ricompense, il piacere e a una parallela insensibilità alla punizione.

    L’Impulsività  si riferisce a un modello di comportamento sotto-controllato e privo di limiti, nel quale l’individuo incapace a ritardare la gratificazione, agisce senza alcuna preoccupazione rispetto alle potenziali conseguenze.

    L’impulsività è il tratto comportamentale che sembra maggiormente correlato all’uso problematico di sostanze e alle dipendenze, comprese quelle comportamentali, come il gioco d’azzardo patologico.

    L’eccessiva reattività agli stimoli esterni, rappresenta un ultimo tratto comportamentale accordato sulle frequenze del disturbo da dipendenza, nello specifico connesso alla fase della ricaduta. Gli individui a maggior rischio di ricaduta siano quei soggetti per i quali gli stimoli esterni presentano un elevato potere incentivante; questo è in linea con il fatto che la ricaduta è spesso determinata da quegli stessi stimoli ambientali (luoghi, persone, strumenti) o psichici (particolari emozioni, stati dell’umore, pensieri ricorrenti) precedentemente associati all’assunzione di droghe, di sostanze psicoattive.

    Cosa fare se si ha una dipendenza patologica da internet?

    Ammettere di avere un problema.

    Rivolgersi ad uno psicoterapeuta ed iniziare una terapia cognitivo- comportamentale mirata alla riduzione graduale del comportamento patologico dipendente, con l’individuazione e attuazione di comportamenti alternativi, sufficientemente gratificanti, che possano sostituirlo,

    Superare  difficoltà socio-relazionali.

    In ambito strategico le patologie legate all’utilizzo patologico di internet possono venire suddivise in due tipologie:

    • quelle basata sulla ricerca del piacere
    • quelle basate su un meccanismo di tipo ossessivo-compulsivo.

    Il paziente attraverso stratagemmi terapeutici viene inconsapevolmente condotto dal terapeuta  a vivere esperienze emozionali che sblocchino la sua rigidità e lo indirizzino verso una nuova visione della realtà.

    Nelle patologie incentrate sul piacere, le manovre vertono a far interrompere il rituale piacevole di cui il soggetto non riesce a fare a meno.

    Nel caso in cui sia presente un meccanismo di tipo ossessivo-compulsivo si seguirà una logica differente. In questo caso il soggetto è vittima delle sue strategie di controllo. La prescrizione principale  in tale caso in genere è quella di eseguire il rituale in modo più gravoso, confinandolo in un determinato spazio e tempo. Si tratta quindi di opporre al rituale un contro-rituale che ne riduca l’effetto o l’ipnoterapia.

    Vi sono differenti strategie:

    • Strategia legata alle conseguenze positive future. Sottolineare gli aspetti gratificanti di lungo termine legati al superamento della dipendenza stressando gli aspetti negativi del presente. Usando le tecniche immaginative orientate al futuro.
    • Strategia legata all’accentuazione delle conseguenze negative. mettere il paziente di fronte alle conseguenze negative della sua dipendenza svalutandone allo stesso tempo il piacere immediato. fantasie immaginative avverse, concentrandosi sulle conseguenze negative del comportamento che sono specifiche per il soggetto.
    • Strategia legata alla sostituzione del mezzo di gratificazione. L’attenzione in questo caso è rivolta alla ricerca di metodi non distruttivi che permettano al soggetto di ridurre il suo stato di tensione. Centrali in questo caso sono le tecniche di rilassamento autoguidato che permettono di trasportare le suggestioni ipnotiche nella situazione in cui l’individuo necessita aiuto. Queste tecniche, permettono di controllare la respirazione, la tensione muscolare e la sensazione associata di ansietà, fornendo al soggetto la percezione di autoefficacia, incoraggiandone così la messa in atto di strategie adeguate di coping.
    • Strategia di autogratificazione. Si opera in tale caso sul rinforzo del se del soggetto mediante suggestioni che vanno ad accrescere l’autostima, il sentimento di autoefficacia e la motivazione intrinseca al cambiamento.

    L’insieme di queste strategie permette di strutturare nel soggetto un comportamento di decision-making consapevole. Invece di rispondere in forma automaticamente e abitualmente, il soggetto viene portato a decidere in modo consapevole se concedersi il lusso di un’abitudine distruttiva .

    Nel caso in cui la dipendenza abbia coinvolto negativamente la famiglia,

    viene introdotta la terapia familiare supportare la motivazione del soggetto ad affrontare e risolvere la dipendenza.

    I gruppi di supporto sono una valida alternativa terapeutica soprattutto in quelle situazioni in cui la dipendenza da internet sia stata prodotta da mancanza di supporto all’interno della rete sociale di appartenenza.

    Terapia farmacologica

    Nei casi gravi vengono dati farmaci antidepressivi o stabilizzatori dell’umore che vanno ad agire sui sintomi causati dall’astinenza (ad esempio nel gioco d’azzardo patologico online).

    Conclusioni e consigli pratici

    La tecnologia è un ottimo strumento di crescita se ben usata, ma può causare gravi dipendenze patologiche. Per prevenire ciò è necessario:

    – La  conoscenza e l’autodisciplina.

    – Limitare uso trascorso in internet, monitorandolo, stabilendo di essere connessi solo per un periodo di tempo determinato incoraggiare utilizzo di reminder bigliettini

    – Praticare sport il rilascio di endorfine, evita la ricerca di piacere da altre fonti come internet, il cibo.

    – Instaurare relazioni vere ,fatte di chiacchiere, sguardi, canzoni. Iscriversi in attività di gruppo, vi sono diverse associazioni di ballo, canto, teatrali, politiche, sportive in relazione ai propri interessi che ti permettono di fare amicizia con gente che condivide le tue passioni.

    – Utilizzare app che bloccano l’accesso ai social per un tempo determinato e ti consentono un uso moderato e rimanere concentrato nelle tue attività: ad esempio Forest, un app free in cui ogni ora che sei concentrato senza guardare il cellulare e il pc cresce un alberello, di varie dimensioni e tipologie a secondo del tempo che stabilisci.

    Se mentre svolgi l’attività che avevi programmato in cui dovevi essere focalizzato nello studio o nel lavoro entri sui social l’albero muore. A fine giornata sarà piacevole vedere i frutti del tuo lavoro osservando la foresta con gli alberi che hai piantato con le ore concentrato nel tuo lavoro.

    – Fare belle passeggiate in cui si è sconnessi da  internet, chi ha necessità di trovarci può sempre chiamare.

    – Connettersi con la natura: usare i sensi, al giorno d’oggi non facciamo più caso ai nostri sensi. Utilizzarli consapevolmente.

    -Acuire l’osservazione, cogliere i dettagli, i colori, le forme geometriche.

    Prestare attenzione ai suoni, ai rumori, al tatto alle superfici, al nostro respiro e ai nostri passi,

    – Ascoltare il proprio corpo, verificare la nostra postura, la posizione che assunta nello spazio, la tensione che è presente in alcuni muscoli.

    – Sintonizzarci con la realtà vera.

    – Concentrarsi nelle cose pienamente, se  si studia, studiare e basta, se si lavano i piatti non pensare ad altro, rimanere concentrati,essere assorti pienamente nell’attività che stiamo svolgendo.

    Metà della felicità è nel contatto con la natura e nella consapevolezza del sé.

    A cosa  serve conquistare il mondo, avere milioni di informazioni quando poi si perde l’essenza del proprio se e della realtà?

    Cosa racconteremo ai nostri figli “…passavo ore con la testa bassa sul telefono a chattare con sconosciuti, a leggere email”?!

    Cosa ci stiamo perdendo? Sorrisi, sguardi, tramonti, interrotti da una notifica, dall’attesa di un messaggio, il nostro tempo è limitato, stressato da continui messaggi a cui rispondere. Siamo diventati schiavi.

    “Ascolta te stesso, sii libero, non dipendere da niente e da nessuno questa è la chiave della felicità.”

                                                                                                                                                                                                                                  Daniela Cannistrà

Ettore Castronovo: una vita donata alla ricerca

Ettore Castronovo, radiologo e scienziato messinese, è conosciuto per le sue ricerche sull’impiego dei raggi x nella lotta ai tumori.

Primogenito di tre fratelli, nasce a Gesso il 21 gennaio del 1894. Frequenta la facoltà di medicina presso l’università di Roma, ma abbandona gli studi per partire come volontario nella fanteria allo scoppio della prima guerra mondiale.
Nel 1917 completa gli studi di medicina a Padova e dopo essere stato nominato ufficiale medico, parte con le truppe italiane in Francia.
L’anno successivo inizia la sua attività come radiologo presso l’ospedale militare di Messina. La sua permanenza nella città dello Stretto non dura molto, infatti tre anni dopo torna a Padova per lavorare come assistente universitario.
L’anno successivo si stabilisce definitivamente a Messina, dove inizia ad occuparsi di ricerca nel campo della radioterapia oncologica. Dirige per cinque anni il servizio radiologico dell’ospedale Puglisi Allegra ed istituisce il primo laboratorio di Radiodiagnostica e Radioterapia dei tumori della città.
Nel giugno del 1927 ottiene l’incarico della direzione dell’Istituto di Radiologia dell’Università di Messina e nonostante i gravosi impegni accademici, prosegue senza sosta la sua attività di ricerca presso l’ospedale Piemonte. È per lui il periodo più fruttuoso come ricercatore, diviene conosciuto a livello internazionale per le sue pubblicazioni su delle innovative applicazioni della radioterapia nella cura del cancro, campo che a quel tempo era poco sviluppato.

Grazie al grande contributo da lui dato nella ricerca in campo radiologico ed oncologico, dal 1946 al 1950 diviene vicepresidente della Società Italiana di Radiologia Medica e nel 1947 viene nominato presidente della Lega Italiana per la Lotta ai Tumori. In questa prospettiva il professore Castronovo diviene promotore di importanti innovazioni per la realtà oncologica siciliana. Il suo sogno, in occasione della costruzione del Policlinico di Messina è di trasformare l’Ospedale Piemonte in un Istituto oncologico di riferimento per tutta la Sicilia che si occupi sia della cura degli ammalati che della ricerca scientifica.

Nel 1948 a causa della reiterata esposizione alle radiazioni subisce l’amputazione di due dita della mano sinistra. Nonostante l’accaduto, nei successivi 6 anni continua a lavorare senza sosta sia nell’ambito della ricerca che in quello accademico. Le successive esposizioni riducono le sue mani a due monconi piagate :le stesse mani che sono scolpite sulla tomba del professore nel cimitero monumentale di Messina . Due mani di marmo bianco che squarciano un blocco di granito nero, simbolo del lavoro instancabile nella lotta contro il cancro di un uomo straordinario.

Il professore Castronovo si spegne nel 1954 a causa dello stesso male contro il quale aveva lottato per tutta la vita. Il suo operato rimane fonte di ispirazione per tutti i medici messinesi.

Renata Cuzzola

La frutta: dono preziosissimo della Natura

Immaginiamoci in una giornata afosa, a mezzogiorno e nella beata Sicilia. Unico cibo, che abbiamo voglia di mangiare in queste condizioni, è la frutta, quel meraviglioso dono che alcune piante ci fanno da millenni. Ma cosa sono realmente i frutti? Perché le piante dovrebbero utilizzare le loro preziose energie per darci del cibo? Da cosa sono fatti? Perché sono colorati? Ha più calorie un frutto maturo o uno acerbo? In questo articolo cercheremo di rispondere a queste ed ad altre curiosità. Cercherò di farvi comprendere che l’arancia, non è solo bella, dolce e nutriente, è anche viva!

Il frutto è quell’organo della pianta che ha la funzione di fornire protezione, nutrimento e mezzo di diffusione al seme che contiene. Tuttavia, se torniamo ad osservare la nostra amata arancia, notiamo che essa non ha semi. Il motivo è dovuto al fatto che l’uomo, ormai da secoli, crea ibridi, per migliorare sempre di più il sapore di tali pietanze. Un altro esempio sono le banane, che hanno subito le stesse modifiche genetiche delle arance, attraverso infiniti incroci avvenuti nei secoli. La riproduzione di queste piante è assicurata, quindi, non dal frutto, che ha perso i suoi semi, ma dall’uomo, attraverso procedure artificiali come l’innesco.

Questa è una foto della ancestrale Musa Balbisiana, dalla quale derivano, attraverso l’incrocio con un altra specie (Musa Acuminata), quasi tutte le moderne banane. Quando si genera un ibrido (come il caso della “moderna” banana), questo, quasi sempre, non ha i semi.

Attraverso i semi, contenuti nei frutti, le piante si riproducono. Più un frutto riesce a proteggere e a nutrire a lungo il seme, più sarà garantita la sopravvivenza e la diffusione di quella specie. Nella riproduzione delle piante entrano a far parte anche altri organismi viventi, come l’uomo. L’uomo è un animale egoista. Se qualcosa gli piace, tenta in tutti i modi di preservare quel qualcosa. Se una pianta è in grado di fornire frutti belli, dolci e saporiti, state pur certi che quella pianta avrà vita lunga. Inoltre è stato dimostrato che molti semi riescono a sopravvivere all’azione dei succhi digestivi di molti esseri viventi. Questo significa che anche i semi di un frutto ingerito possono, se raggiungono il terreno dopo aver attraversato l’intero canale alimentare, dar vita ad una pianta. Inoltre, in questo modo, il frutto sfrutta un organismo vivente come un mezzo per raggiungere territori ancor più vasti e ciò non può che essere positivo ai fini della diffusione della specie.

Penso che in natura non esista organo più incline al volersi far mangiare da altri organismi viventi, per rispondere a tale desiderio il frutto va incontro a maturazione. Nella prima fase di crescita, il frutto diventa sempre più voluminoso, mentre il seme si perfeziona rendendosi funzionale. Importante che tale fase avvenga sull’albero, poiché il frutto nei primissimi momenti di vita è dipendente dai nutrienti che la pianta gli dona. Successivamente, quando il frutto ha raggiunto un minimo stadio di maturazione, può continuare questo processo da solo.

La maturazione di tale organo, una volta staccato dall’albero, è garantita dal fatto che le cellule del frutto riescono a respirare e a vivere anche dopo che il frutto ha lasciato l’albero. Questo è possibile grazie alla parete cellulare delle cellule vegetali, non presenti nelle cellule animali, che conservano al loro interno più a lungo acqua e altre molecole indispensabili. Quindi quando poniamo sul carrello della spesa la nostra bellissima frutta, questa è ancora viva: le sue cellule stanno effettuando la respirazione, ovvero quell’insieme di reazioni chimiche che generano energia sotto forma di ATP, partendo da substrati come zuccheri e ossigeno. E’ inoltre interessante notare che la resistenza di un frutto al di fuori della pianta è inversamente proporzionale all’intensità della respirazione, ovvero più un frutto matura velocemente, al dì fuori della pianta, quanto prima esso deperirà.

Ci sono due grandi famiglie di frutti: i climaterici ed i non climaterici. I primi, dopo essere stati raccolti, producono un ormone volatile chiamato etilene che è in grado di far continuare la maturazione del frutto. I secondi continuano la maturazione solo grazie all’etilene esogeno, che può essere somministrato dall’uomo o da frutti climaterici posizionati vicini.

 

L’etilene è un ormone vegetale la cui principale azione è quella di favorire la maturazione del frutto. Tale processo è notevolmente dispendioso dal punto di vista energetico, e per questo motivo con essa aumenta anche la respirazione delle cellule del frutto.

La produzione di etilene è favorita da alcuni fattori:

  • l’Auxina, altro ormone vegetale.
  • Stress, come ferite e urti. Infatti se notate una mela ammaccata matura molto più velocemente.
  • Ritmi Circardiani (si ha un picco di produzione diurno, un po’ come il nostro cortisolo).
  • Infine lo stesso etilene ha un azione permissiva sulla propria produzione.

Come fanno questi fattori ad aumentare la formazione di etilene? Andando ad attivare l’enzima ACC sintasi

 

Quali sono gli effetti all’interno della cellula di questo ormone?

L’etilene, attraverso una via di trasduzione, va a regolare la trascrizione di specifici geni che codificano determinati enzimi, indispensabili per la maturazione del frutto e per altre funzioni.

Gli enzimi a questo punto sintetizzati cosa faranno?

  • La clorofilla, pigmento notoriamente verde, viene ridotta in molecole più semplici, talvolta con formazione di nuovi pigmenti, come carotenoidi, xantofille e antociani, che impartiscono ai frutti maturi la loro colorazione.
  • Alcune cellule cominciano ad accumulare nei vacuoli diverse sostanze, aumentando di volume e arricchendosi di molecole fino a raggiungere la composizione caratteristica del frutto maturo (questo solo quando il frutto è ancora posto sulla pianta).
  • L’amido, presente nella banana, viene ridotto in carboidrati più semplici. Rendendo, in questo modo, il frutto più dolce.
  • Le macromolecole di pectina vengono idrolizzate in acidi pectici, rammollendo la polpa e la buccia del frutto.

Spero che da adesso in poi vedremo la frutta con occhio diverso. Penseremo al fatto che essa sia viva, che essa stia sintetizzando etilene ai fini di continuare il suo processo di maturazione, al fini di apparire più bella ai nostri occhi e più saporita, per il solo unico suo scopo di essere mangiata da noi. Vi lascio con un’ultimissima interessante nozione: un frutto più maturo è più dolce, ma non più calorico di uno acerbo. Le calorie si basano sulla quantità di zuccheri e non sulla qualità. Durante il processo di maturazione la frutta non aggiunge zuccheri, ma li idrolizza soltanto, rendendoli “semplici”. Gli zuccheri semplici entreranno prima nel circolo sanguigno rispetto ai zuccheri complessi di un frutto più acerbo, donandovi subito più energia e vitalità. Per non parlare del sapore, ma a chi piace la banana quando è ancora verde? Forse abbiamo, davanti a noi, l’unico caso, in cui, un qualcosa di buono, non per forza fa “ingrassare” di più, anzi, fa stare bene.

Francesco Calò

… ci sono ben due Messinesi illustri sulla Luna?

La luna piena fotografata da un obiettivo telescopico

Ebbene sì: c’è chi guardando la Luna pensa all’amore, chi, come Leopardi, ci intesse sopra riflessioni sul senso della vita. Ma d’ora in avanti, cari lettori di UniVersoMe, quando volgerete lo sguardo al cielo in una bella notte di luna piena, non penserete più a nulla di tutto questo, ma alla nostra città di Messina.

Come mai? Perchè Messina ha l’onore di avere non uno, ma ben due Messinesi illustri sulla Luna. Ovviamente non di persona, ci mancherebbe: ma i loro nomi sono stati assegnati rispettivamente a un cratere lunare e a un Dorsum, una sorta di catena montuosa formata da creste lunari.

Chi sono questi due personaggi messinesi e come mai hanno ricevuto una così singolare onorificenza? 

Francesco Maurolico

Il primo, probabilmente, lo conoscete un po’ tutti: è Francesco Maurolico, matematico, scienziato, letterato, storico, erudito, in poche parole grande mente del Cinquecento messinese. Di questo incredibile personaggio, che più di ogni altro forse riuscì a incarnare l’archetipo dell’intellettuale rinascimentale a tutto tondo, ci resta una enorme quantità di scritti, molti dei quali testimoniano appunto il suo vivo interesse per l’astronomia.

Il più importante di questi, una opera massiccia intitolata “Cosmographia”, rappresenta una sorta di grande rassegna del sapere astronomico dell’epoca: la prima edizione,

Superficie lunare. In giallo, il cratere Maurolycus

datata 1543, è dedicata all’amico e letterato Pietro Bembo.

Per i suoi importanti contributi allo sviluppo di una disciplina che all’epoca era quanto mai attuale, Maurolico fu molto apprezzato tanto dai suoi contemporanei, quanto dai posteri. Nel 1615, infatti, quando l’astronomo gesuita Giovan Battista Riccioli pubblica la sua mappa della superficie lunare, non manca di onorarne la memoria attribuendo il suo nome a un cratere del diametro di 117 km, il Maurolycus, che lo conserva tutt’ora.

Una delle tavole paleontologiche di Scilla, con disegni di fossili

Il secondo personaggio invece è sicuramente meno noto, ma non meno affascinante, e, per certi versi, bizzarro: forse perchè visse e operò circa un secolo dopo Maurolico, nel Seicento, in un’epoca permeata dalle bizzarrie del barocco.

Stiamo parlando di Agostino Scilla, anche lui messinese e anche lui, come il Maurolico, genio a 360 gradi: dopo una formazione da letterato, si dedicò alla pittura, e diverse delle sue opere sono custodite al Museo Regionale di Messina.

Ma i suoi interessi non si fermano all’arte: fu anche appassionato di geologia, e instancabile collezionista di fossili. Scoprì per primo, quasi in contemporanea con il danese Niccolò Stenone, e in contrasto con le credenze dell’epoca, che i fossili sono resti di esseri viventi, gettando così le basi della moderna paleontologia.

Il Dorsum Scilla in una foto telescopica

Proprio per questo, nel 1976 gli venne dedicato un Dorsum lunare, il Dorsum Scilla, lungo circa 108 km: la Unione Astronomica Internazionale, che regola la nomenclatura delle strutture lunari, prevede infatti che ai Dorsa vengano assegnati i nomi di geologi, paleontologi e studiosi della Terra. 

Quando si parla di “portare in alto” il buon nome della città di Messina, dobbiamo dunque ricordare che c’è stato chi, come Francesco Maurolico e Agostino Scilla, è riuscito a portarlo così in alto… da raggiungere addirittura la Luna! 

Gianpaolo Basile

Image credits:

  1. Di Gregory H. Revera – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11901243
  2. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=697197
  3. http://www.osservatoriogalilei.com/home/index.php/rirorse/fly-me-to-the-moon/839-il-cratere-maurolycus
  4. Di Colonna, Fabio; Scilla, Agostino – http://www.biodiversitylibrary.org/pageimage/39707030, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=44716771
  5. Di Naval Research Laboratory from Clementine data – Quelle: http://solarviews.com/raw/moon/moonmap.tif, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=482921

Gaetano Martino: missione europeista di un siciliano

Gaetano Martino in una foto del 1954

Questo articolo della rubrica “Personaggi” lo dedicheremo a colui che rappresenta uno dei tasselli più importanti della storia di Messina, dell’Italia e dell’Italia all’estero: Gaetano Martino. 

Il nome non vi sarà sicuramente nuovo, e scommetto che la prima cosa a cui lo collegate è proprio il Policlinico Universitario G. Martino. Mentre qualcuno che si interessa di politica, vivendo con enfasi quella dello Stretto, potrebbe invece collegarlo ad Alberta Stagno D’Alcontres e Antonio Martino, suoi genitori: a suo padre, sindaco di Messina prima e dopo il terremoto del 1908, si deve la rimessa in piedi della città. È proprio dal padre che Gaetano eredita la vena politica che lo porterà a ricoprire cariche importanti. Tuttavia, prima di addentrarci negli affari pubblici, voglio parlare della sua carriera da fisiologo e del suo importante contributo alla medicina. 

Laureatosi in medicina all’Università di Roma, nella quale ricoprirà le cariche di professore alla cattedra di Fisiologia umana e di Magnifico Rettore, Martino si dedica alla ricerca scientifica tra Berlino e Parigi, e allAteneo peloritano, sarà professore di Fisiologia umana e Chimica biologica, e Rettore per ben 13 anni. Sulle orme del maestro Amantea, viene considerato il maggiore fisiologo al mondo, grazie anche al suo “Trattato di fisiologia umana”. Subito dopo la pubblicazione di quest’ultimo, ha inizio l’intensa e proficua attività politica del Martino che, nelle file del Partito Liberale Italiano, viene eletto Deputato e poi Presidente alla camera. Il primo passo mosso in politica, e prima della nomina a Presidente del partito Liberale, è da percepire nella gestione del dibattito, da lui tenuta, per l’annessione dell’Italia al Patto Atlantico.

Nel ’54 e per appena sette mesi, sarà Ministro della pubblica istruzione e precursore di importanti provvedimenti legislativi quali la nota “Legge Martino-Romita”. A questo periodo risale anche la carica a Ministro degli Esteri: In meno di due anni, Martino riuscì a liberare l’Italia dal pesante carico ereditario del Fascimo, guidando la delegazione italiana alla firma dei Trattati di Roma, riuscendo a far riannettere Trieste all’Italia e facendo ammettere quest’ultima all’ONU. Il nome di Gaetano Martino sarà infatti ricordato per il primo discorso di un ministro italiano all’Assemblea ONU, e per il suo farsi precursore dell’integrazione economico-politica dell’Europa. Dopo il fallimentare tentativo di istituzione della Comunità Europea di Difesa ( C.E.D) nasce per mano sua la Unione Europea Occidentale ( U.E.O), sicuramente meno compiuta e perfetta della precedente, ma rappresentante la prima tappa di una nuova politica europeistica. Martino aveva compreso, infatti, che l’unità politica si sarebbe raggiunta tramite una manovra fortemente economica, ed al fine di inculcare la sua idea agli altri cinque paesi, indisse la  Conferenza di Messina, tenutasi a Messina nel ’55, al fine di impartire forte segnale di ripresa dell’integrazione, soprattutto economica, riuscendo ad ottenere l’assenso di massima al suo piano.

Dalla Conferenza di Messina, la missione europeista di Martino è proseguita con slancio ed impegni crescenti, anche nelle vesti di Presidente del Parlamento Europeo, Capo della delegazione parlamentare e di Presidente Generale del Corpo Nazionale dei Giovani Esploratori.

Rimarrà impegnato in politica fino alla morte, datata il 21 Luglio 1967. 

Oggi, nei pressi del Municipio di Messina, è a lui dedicata una statua.

Erika Santoddì

Image credits:

By Unknown – Italian magazine Epoca, N. 214, year V, page 73, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=49869541

Scienza e ricerca nella Messina del 600: Marcello Malpighi e la nascita dell’Anatomia microscopica

Marcello Malpighi

Il Seicento è considerato universalmente dagli storici della scienza un secolo di svolta nella nascita e definizione delle moderne discipline scientifiche: l’affermarsi progressivo di un nuovo metodo sperimentale, la cui concettualizzazione si fa classicamente risalire a Galileo Galilei, costituisce una autentica ventata di rinnovamento nelle conoscenze inerenti tantissimi campi dello scibile umano. Lo sviluppo della tecnica, in particolare dell’ottica, fornisce ai ricercatori lenti e strumenti di ingrandimento assolutamente innovativi per l’epoca, mentre l’affermarsi di questo nuovo approccio metodologico toglie loro ogni paura di usarli, nonostante le numerose remore da parte dei pensatori ancorati alla tradizione scolastica. Così, se Galileo con i suoi cannocchiali punta queste lenti verso il cielo, ad ingrandire oggetti distantissimi come pianeti e asteroidi, altri preferiscono usarle per studiare ciò che è troppo piccolo per essere visto ad occhio nudo: è la nascita dei microscopi. Tra questi studiosi, pionieri della microscopia, ce n’è uno che prima degli altri riuscì ad applicare questo nuovo sguardo allo studio della struttura fine della materia vivente di animali e vegetali. Parliamo di Marcello Malpighi, anatomico, medico e botanico considerato oggi il padre dell’Anatomia Microscopica: una scienza senza la cui affermazione praticamente nessuno dei progressi in campo medico e biologico di cui oggi godiamo giornalmente sarebbe stato possibile.

Fino a qui è storia relativamente nota: ma quello che forse non tutti sanno è che proprio l’Università degli Studi di Messina fu teatro di alcune di queste fondamentali scoperte scientifiche. Proprio a Messina infatti, Marcello Malpighi insegnò come docente primario di Medicina teorica nel periodo che va dal 1662 al 1666, ed è a Messina che diede alla luce alcune delle sue opere più importanti. 

Giovanni Alfonso Borelli

L’Università di Messina in quel periodo è una università giovane, ma assolutamente all’avanguardia per quanto riguarda gli studi scientifici: nel 1635 un altro grande scienziato, Giovanni Alfonso Borelli, magari meno noto ma non meno importante per lo sviluppo della scienza e della medicina moderna, vi insegna matematica. Borelli non è stato un microscopista, ma un fisico, matematico e fisiologo, padre della moderna biomeccanica; lo accomunano a Malpighi l’interesse verso il nuovo metodo sperimentale e l’appartenenza all’Accademia del Cimento, cenacolo di studenti galileiani e terreno fertile per le nuove idee scientifiche. Fu dunque probabilmente Borelli, che di Malpighi era fraterno amico e corrispondente, a fare il nome di Malpighi negli ambienti colti messinesi; così quando nel 1661 si viene a rendere necessario un nuovo professore di Medicina teorica, anche se Borelli da tempo non si trova più a Messina (città in cui ritornerà qualche anno dopo), i membri del Senato sembrano non avere alcun dubbio e, all’unanimità, lo fanno convocare nella città dello Stretto.

Sezione e anatomia microscopica dei polmoni di rana, in una tavola disegnata da Malpighi.

Senza dubbio Malpighi non era certo stato con le mani in mano fino a quel periodo. Docente a Bologna, nel 1661 era stata pubblicata una delle sue prime grandi scoperte scientifiche: la prima descrizione dell‘anatomia microscopica degli alveoli polmonari, che contiene la prima dimostrazione di come vene e arterie siano tra di loro comunicanti attraverso i capillari. Una scoperta che cambierà il corso della storia della Medicina e avrà una notevole risonanza anche internazionale già negli anni successivi; una scoperta che però si pone in netto contrasto con le teorie di Galeno che venivano allora sostenute da buona parte dei suoi contemporanei, e che gli costa quindi numerose antipatie accademiche. Per questo quando allo scienziato arriva l’offerta di insegnare a Messina, non si fa sfuggire l’occasione di cambiare aria e fa subito i bagagli alla volta dell’ateneo peloritano.

Il periodo messinese è per Malpighi un periodo estremamente produttivo: a Messina, Malpighi studia l’anatomia del rene, descrivendo per la prima volta i corpuscoli renali, che oggi portano il suo nome (corpuscoli del Malpighi); si dedica anche alla neuroanatomia, descrivendo i recettori responsabili del senso del gusto e del tatto; studiando la circolazione del sangue, descrive per primo i globuli rossi; cura inoltre il suo interesse verso la botanica, divenendo direttore del celebre Orto botanico, che era stato fondato dal suo predecessore, Pietro Castelli, anche egli medico e botanico.

Una rappresentazione moderna del corpuscolo del Malpighi.

Nonostante questo, la tappa di Messina resta per Malpighi una semplice stazione di transito: nel 1666 fa ritorno a Bologna, dove acquista fama come medico pratico; negli anni successivi collabora con la Royal Society inglese, che ne pubblica l’opera omnia; dopo numerose altre scoperte (e altrettanti caotici ed aspri screzi accademici con i colleghi bolognesi) finisce la carriera a Roma, in carica di medico privato del Papa, ricco, potente ed affermato. 

Seppure breve, la parentesi messinese resta comunque una importante tappa della carriera di questo insigne scienziato e vale la pena ricordare che alcune delle conoscenze che oggi fanno parte dei pilastri della moderna scienza medica, sono state scoperte proprio nel nostro Ateneo… 

Il De Motu Animalium e la nascita della biomeccanica: l’eredità di Borelli.

E’ impossibile essere sicuri di qualcosa, se non della nascita di Borelli a Messina e del suo insegnamento nell’Ateneo peloritano, e sulla prima ho ancora dei dubbi.

Il perché, lo scoprirete continuando a leggere sulla vita di Giovanni Alfonso Borelli, altro celebre personaggio legato a Messina, forse, sin dalla nascita.

Matematico, astronomo, fisiologo e filosofo, il Borelli lascia poche notizie della sua vita; di fatto, tutto ciò che sappiamo, lo dobbiamo all’epistolario scambiatosi con personaggi noti dell’epoca, tra cui Marcello Malpighi, che anch’egli fu docente all’Università di Messina.

Nasce il 28 Gennaio del 1608 e, per quanto riguarda la città d’origine, troviamo a competere Castel Nuovo di Napoli e Messina, che potrebbe però essere la città natale del fratello minore.

In seguito all’esilio del padre e al conseguimento della laurea in medicina, Borelli si trasferisce a Roma. Qui inizia ad interessarsi alla fisica ed alla meccanica, interesse che lo aiuterà a sviluppare la metodologia di pensiero secondo la quale l’applicazione della matematica, della meccanica e del metodo sperimentale, può risolvere i problemi biologici.

Nel 1635 Borelli fu chiamato dal senato accademico dell’Università di Messina, al fine di occupare la nuova lettura de matematiche.

Tra il 1647 e il 1648, scoppiò un’epidemia in Sicilia che diede l’occasione a Borelli di scrivere la sua prima opera da medico: “Cagioni delle febbri maligne in Sicilia negli anni 1647-1648”.

Nella primavera del 1656 Borelli lasciò Messina al fine di occupare la cattedra di matematica all’Università di Pisa. Per sottolineare l’importanza del soggiorno pisano, è giusto considerare che il territorio di Pisa ha visto passare i più illustri scienziati del tempo, tra i quali Andrea Vesalio e Galileo Galilei. La tradizione galileiana traeva nuove risorse grazie alla fondazione dell’Accademia del Cimento che ha costituito un evento di notevole importanza per l’evoluzione del pensiero scientifico. Di questa facevano parte Vincenzo Viviani, Carlo Roberto Dati, Alessandro Segni, Francesco Redi, Evangelista Torricelli, Antonio Oliva e Giovanni Alfonso Borelli che diede un contributo notevole a ogni importante esperienza dell’accademia.

Parallelamente alle esperienze di matematica e fisica, Borelli si occupò di anatomia e soprattutto di fisiologia.

Quest’ultime compiono in questi momenti dei progressi significativi, soprattutto grazie all’applicazione del metodo sperimentale alla fisiologia. Grazie anche a Borelli, nasce un nuovo movimento: la scuola iatromeccanica, che postula l’applicazione delle leggi fisiche per l’interpretazione dei fenomeni fisiologici.

Tuttavia, già nel 1665 sorgevano i primi dissidi e le prime inimicizie tra gli accademici del Cimento, per cui Borelli cominciava a maturare il convincimento di ritornare a Messina.

Copertina della prima edizione, postuma (1710) del De Motu Animalium di Giovanni Alfonso Borelli, testo considerato l’atto di nascita della moderna biomeccanica

 

Qui riprese l’attività di docente impegnandosi sullo studio dei fenomeni riguardanti l’astronomia e la fisiologia, ma termina il suo periodo più fecondo di risultati. Durante il soggiorno messinese, Borelli frequentò la casa del Visconte Ruffo, luogo nel quale, a quanto sembra, si cospirava contro il regime spagnolo. Per le sue idee e per il suo operare in nome della libertà e dell’indipendenza, Borelli fu accusato di ribellione e dovette espiare la sua colpa a Roma, un territorio non dominato dalla corona spagnola.

Esule e povero, arrivò a Roma nel 1674. Nonostante tutto, non abbandonò l’attività letteraria e riuscì a portare a termine la sua più grande opera, il De Motu Animalium, pubblicata postuma,  con la quale cercò di spiegare il movimento del corpo animale basandosi su principi meccanici e tentando di estendere all’ambito biologico il metodo di analisi geometrico-matematico elaborato da Galileo in ambito meccanico. Grazie a questo trattato, Borelli è considerato il fondatore della moderna biomeccanica, tanto che ad oggi il premio istituito dalla American Society of Biomechanics per le migliori ricerche in questo settore scientifico porta il nome di “Borelli Award”.

A Roma morì il 31 dicembre 1679.

 

Erika Santoddì

Immagini:

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Portrait_of_Giovanni_Alfonso_Borelli_Wellcome_L0010325.jpg

https://en.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Alfonso_Borelli#/media/File:Borelli_-_Motu_Animalium.jpg

Da Messina al Premio Nobel: l’avventurosa vita di Ilya Metchnicov, pioniere della patologia generale

1)Monumento a Metchnicov opera dello scultore sovietico Leonid Shervud, 1934 .
Monumento a Metchnicov opera dello scultore sovietico Leonid Shervud, 1934 .

Messina, dicembre 1882. È una bella giornata invernale, l’aria è limpida e il sole splende sul meraviglioso panorama dello Stretto. Sulla spiaggia del quartiere marinaro del Ringo cammina, lungo la battigia, un uomo solitario. Si chiama Ilya Ilich Metchnicov, ed è uno zoologo di origini russe che si è trasferito lì da poco.

 Nel suo laboratorio privato, allestito in una casa poco lontana dalla spiaggia, Metchnicov conduce ricerche sulle larve trasparenti di stella marina. Proprio in questi giorni, mentre osserva le piccole cellule mobili che si muovono all’interno delle larve al microscopio, ha una brillante intuizione: queste celluline mobili gli ricordano molto quelle che circolano nel sangue e nei tessuti degli esseri umani e degli altri mammiferi.

 E se fosse possibile studiare il modo in cui queste cellule reagiscono ad un attacco dall’esterno?

 È questo che si chiede, incuriosito ed eccitato, il biologo russo mentre cammina lungo la spiaggia messinese. Poi, di colpo, gli viene una idea per mettere alla prova la sua ipotesi: torna in casa, e, dopo aver prelevato alcune spine da un albero nel giardino, le conficca sotto la pelle di alcune delle sue larve trasparenti. Dopo una notte insonne, il mattino successivo Metchnicov torna al suo microscopio e quello che vede lo lascia attonito: le cellule mobili, come soldatini di un microscopico esercito, sono accorse intorno alla lesione e circondano in gran numero la spina. Colto dallo stupore, forse lo scienziato riesce appena ad immaginare che quella di quel mattino invernale è la scoperta che gli cambierà la vita.

 Una vita tutt’altro che semplice e tranquilla, la sua: nato nel paesino russo di Ivanovka (oggi in Ucraina) nel 1845, fin da bambino Metchnicov dà prova del suo genio e del suo interesse verso le scienze naturali. A 16 anni pubblica il suo primo articolo scientifico, a 21 si laurea in Biologia all’Università di Kharkov ( dando tutte le materie in soli due anni, contro i quattro previsti dall’ordinamento), a 23, dopo importanti esperienze di ricerca in Germania e a Napoli, è già professore universitario ad Odessa.

Ilya Ilich Metchnicov
Ilya Ilich Metchnicov

 

 Poi la tragedia: nel 1873 la prima moglie, di cui Metchnicov era follemente innamorato, al punto da sposarla nonostante fosse ammalata di tubercolosi, muore. È un periodo drammatico per la vita privata del giovane scienziato, che per prendersi cura della moglie malata aveva dovuto affrontare un periodo di ristrettezze economiche, prostrato anch’egli da una salute cagionevole e dal progressivo indebolimento della vista, che avrebbe potuto compromettere le sue ricerche. Metchnicov non riesce a riprendersi dallo shock e cerca di uccidersi con una overdose di morfina: ma, fortunatamente per lui (e per noi) scampa al suicidio e torna a Odessa. A salvarlo, ci pensano la passione per il suo lavoro e la gioia di un nuovo amore per una giovane studentessa, Olga Belokopitova, che diventerà la sua seconda moglie, la sua biografa, compagna di ricerche e di vita fino alla fine dei suoi giorni.

 Ma le difficoltà per lui non sono finite: nel 1882 Metchnicov, a seguito di screzi accademici, decide di dimettersi lasciando l’Università di Odessa. Si imbarca così, con la moglie, su una delle tante navi mercantili che all’epoca avevano rapporti commerciali con la città di Messina, deciso a rifarsi una vita nella città dello Stretto. Ma la carriera scientifica per lui è tutt’altro che finita e nel dicembre 1882 arriva la sua grande scoperta: le cellule circolanti presenti nel sangue e nei tessuti dei mammiferi, che Metchnicov ribattezza col nome greco di “fagociti”, cellule che mangiano, hanno per l’organismo una funzione difensiva dagli attacchi dall’esterno. Una serie di successivi esperimenti lo porta quindi a definire quella che sarà la prima teoria della fagocitosi: cioè che l’infiammazione non è altro che il meccanismo con cui il nostro organismo porta i fagociti nella sede di lesione, affinchè possano “mangiare” batteri ed eventuali corpi estranei.

 La scoperta della fagocitosi costituisce l’atto di nascita della moderna immunologia, e rappresenta per noi uno dei capisaldi dell’allora nascente Patologia generale, la scienza che studia il “perchè” e il “come” delle malattie, ossia le cause e i meccanismi con le quali esse alterano il funzionamento dell’organismo. Nonostante questo, all’epoca fu accolta con notevole scetticismo dalla comunità scientifica, che solo da poco tempo aveva iniziato a concepire il fenomeno dell’infiammazione come qualcosa di positivo per l’organismo e che ancora riteneva che le cellule del sangue facilitassero l’infezione da parte dei batteri e degli agenti patogeni, anzichè contrastarla. Persino il commediografo George Bernard Shaw, nella sua commedia “Il dilemma del dottore”, si prende burla di questa teoria nel personaggio di un medico che propone come cura a tutti i mali la “stimolazione dei fagociti”. Solo dopo anni di tentate confutazioni e vittoriose dimostrazioni la teoria di Metchnicov riesce ad ottenere il sostegno che meritava e Metchnicov, giunto alla fama, riceve nientemeno che da Louis Pasteur l’offerta di lavorare con lui a Parigi, città ove si trasferisce nel 1887.

Targa commemorativa apposta sul luogo in cui si trovava la casa/laboratoio di Metchnicov. Messina, 1988.
Targa commemorativa apposta sul luogo in cui si trovava la casa/laboratorio di Metchnicov. Messina, 1988.

 Nel 1908, insieme a Paul Ehrlich, riceve il Premio Nobel per la Fisiologia e Medicina ed è a Parigi che, ricco, famoso e acclamato, il grande scienziato si spegne nel 1916.

 Anche se per caso, dunque, la città di Messina è stata il teatro di una delle scoperte più importanti della storia della scienza e della medicina: oggi, infatti, sul luogo in cui si trovava la casa del grande scienziato russo, nel quartiere del Ringo, a pochi passi dalla chiesa di Gesù e Maria del Buon Viaggio, è possibile ammirare una targa che ne commemora la vita e le scoperte.

Gianpaolo Basile

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Monument to I. Mechnikov. 1934

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