Cesare Cremonini e il suo mostro: quando camminare e scrivere ti salvano

Il cantante “eterno adolescente” racconta la sua lotta contro la schizofrenia, la continua frustrazione di non riuscire a dargli un nome, la successiva scoperta e la sconfitta del mostro.

Chi è Cesare Cremonini?

Nasce a Bologna nel 1980, precisamente il 27 marzo. Sviluppa sin da piccino un’innata passione verso la musica classica e all’età di sei anni per la prima volta si approccia al pianoforte, strumento che è diventato il suo miglior amico lungo la sua carriera. Frontman e autore dei pezzi più importanti del gruppo dei Lùnapop nel 1999 e successivamente cantante solista dal 2012 ad oggi. Quant’è strano credere che Cesare Cremonini abbia sofferto di schizofrenia?

Cesare si spoglia di tutte le sue paure e decide di raccontarsi, affermando infine di aver sconfitto quel mostro che lo tormentava e “premeva sul petto” nel 2017. Ne parlerà anche in una canzone nell’album Possibili Scenari: in Nessuno vuole essere Robin (2018) afferma di aver rischiato in qualche modo la vita, come se una pallottola lo avesse sfiorato.

La canzone è volta a raccontare la paura di essere fragili, vista come una spinta attiva su cui combattere per costruire qualcosa di nuovo. All’interno continua a scrivere pensieri molto intimi seguiti dal forte desiderio di cambiare il presente e ricominciare.

fonte: corriere.it

Let them talk

Nella maggior parte dei casi, un individuo che soffre di schizofrenia è accompagnato da voci che gli altri non possono sentire.

Ancora oggi, Cremonini racconta di riuscire a udire quelle strane e inquietanti voci sussurrare dietro il suo orecchio o chiacchierare tra di loro, ma come gli disse il suo psichiatra «Let them talk», lasciali parlare. Di fronte alla sua voglia di raccontarsi e di raccontare il difficile percorso riabilitativo anche ai suoi fan, Cesare decide di scrivere e pubblicare il proprio libro il primo Dicembre 2020 dal titolo Let them talk, chiaro invito rivolto al lettore al fine di entrare nella sua sfera personale e di rivivere insieme a lui ricordi e suggestioni.

“Questo libro non cercherà di raccontare le mie diversità, ciò che mi rende unico per i dolori vissuti o per le fortune e i successi. Al contrario. Questo libro è nato, come tutte le mie canzoni, per far incontrare, e stringersi in un abbraccio, la mia storia con le storie di chi vi entra o ci passa accanto per caso.”

I brani musicali fanno da filo conduttore lungo tutte le 228 pagine.

 

Let them talk: copertina. Fonte: tg24.sky.it

Il mostro

In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, il cantante ripercorre il lungo viaggio all’interno dei suoi anni più difficili partendo dall’incontro con lo psichiatra che afferma sia avvenuto in maniera casuale dopo aver accompagnato un suo amico. Continua dicendo:

“Poi gli raccontai di me, di quel che provavo. I sintomi crescenti. La sensazione fisica di avere dentro di me una figura a me estranea. Quasi ogni giorno, sempre più spesso, sentivo un mostro premere contro il petto, salire alla gola. Mi pareva quasi di vederlo. E lo psichiatra me lo fece vedere. L’immagine si trova anche su Internet. “È questo?”, mi chiese. Era quello”

Lui lo descrive come un «mostro con gambe corte e appuntite» che imperterrito e senza pace continuava a salire lungo la schiena, il petto e premeva contro la gola. La sensazione era quella di condividere involontariamente ogni giorno la propria vita con una figura orribile e deforme. Quando lo psichiatra mise su carta i suoi incubi e quell’oscura creatura, non ci furono dubbi

“È questo?” chiese.
“Si, è questo” risposi.

Era chiaro, si trattava di schizofrenia. Il disturbo prendeva vita in quel caso come una sorta di allucinazione che veniva dall’interno, un’immagine proveniente dal subconscio dove aveva messo radici e si aggirava quasi come se quella fosse casa sua.

Il mostro della schizofrenia. Fonte: corriere.it

La rinascita

Lo specialista spiega che la causa scatenante della schizofrenia, in quel caso, era data dal lavoro e dallo stress accumulato: i giorni chiusi in studio, lo stile di vita poco sano, due anni di ossessione – che lo stesso cantautore definisce – feroce per la musica.

Superai i cento chili. Non facevo più l’amore, se non da ubriaco. Avevo smesso qualsiasi attività fisica.”

Nella sua intervista, Cremonini afferma che la cura al suo disturbo psichico sia stata la camminata, aver percorso per tanto tempo diversi km in montagna ogni volta che il mostro urlava nelle sue orecchie. E lo racconta così:

“Quando sento il mostro borbottare, mi rimetto in cammino. Su una collina, in montagna. Sono tornato dallo psichiatra alla fine del primo tour negli stadi. Mi ha chiesto se vedevo ancora i mostri. Gli ho risposto di no, ma che ogni tanto li sento chiacchierare. E lui: “Let them talk”…”

 

Annina Monteleone

The Theory of Mind: alla scoperta del nostro pensiero e di quello altrui

jmTantissime sono le qualità che ci rendono unici in natura, ma nessuna è equiparabile alle nostre attività cognitive superiori, che sebbene non siano da considerarsi una esclusiva del genere umano, rasentano in esso quanto di più perfetto la natura ci abbia donato. Ovviamente tutto quello che ci caratterizza oggi non è altro che il risultato di millenni di lenta evoluzione che hanno portato allo sviluppo di queste straordinarie quanto ancora poco conosciute capacità. E quale di queste ci rende particolarmente unici se non la capacità di sviluppare dei pensieri? O meglio ancora  la capacità di immedesimarsi nella mente degli altri? Proprio quest’ultima abilità è nota come “Theory of Mind” (ToM), ed è alla base della nostra personalità, delle nostre relazioni sociali e quindi della capacità della nostra specie di costituire delle società così complesse. Ma non ci fermiamo qui perché siamo in grado, grazie a queste capacità, di assaporare tutte le sfaccettature tipiche della comunicazione, dall’ironia ai sottintesi, dall’umorismo alla decodificazione del linguaggio del corpo. Pensiamo a una mamma che vede il proprio figlio tornare da scuola sbattere la porta di casa e lasciare cadere lo zaino, la prima cosa che sarà portata a pensare è che qualcosa è andato storto. Questo è un tipico esempio di “vitality forms”, studiato dallo psichiatra Daniel Stern, secondo cui analizzando 4 variabili di una determinata azione, ossia forza, direzione, tempo e spazio, siamo in grado di capire lo stato mentale di chi ci sta davanti. Più recentemente secondo uno studio tutto italiano ad opera di Rizzolatti e Gallese sembra che si sia individuato un circuito “somatosensoriale-insulare-limbico” che si attiva quando viene osservata una vitality form e quindi un’azione.

Nell’essenza della ToM è da considerarsi la presenza di una sinergia, un legame indissolubile tra l’attività cognitiva e l’attività affettiva. Entrambe contribuiscono in maniera differente ma allo stesso tempo indispensabile al cosiddetto processo di mentalizzazione ossia alla rappresentazione interna degli stati mentali propri e di altri individui: in altre parole non è possibile che tale processo si verifichi se non vi è un adeguato apporto sia delle dotazioni cognitive che della componente affettiva.

Il bimbo durante la sua crescita va incontro a diverse fasi che precedono lo sviluppo di una vera e propria ToM; ad esempio all’età di 2 anni circa ci rendiamo conto che i desideri sono alla base delle nostre stesse azioni e di quelle altrui, a 3 anni si sviluppa la cosiddetta triade “Desiderio-credenza-azione” con le quali siamo in grado di compiere determinate azioni perché pensiamo che in tal modo possiamo soddisfare i nostri desideri. Fino all’età di circa 4 anni quando, siamo finalmente in grado di prendere coscienza dell’altrui pensiero. Infatti grazie a un semplice esperimento, eseguito come un semplice gioco e denominato test della falsa credenza, è possibile appurare che il bimbo è in grado di dipingere nella sua mente un quadro di quello che sta avvenendo nella mente di un altro soggetto.

Inizialmente lo sviluppo della ToM veniva considerato un processo intraindividuale, e proprio da alcune critiche mosse da Fonagy, psicologo e psicanalista ungherese, secondo cui la figura del bimbo veniva ridotta a quella di un semplice “elaboratore isolato di informazioni”, nacque la più ampia concezione di un bimbo immerso nella realtà che lo circonda e dalla quale viene profondamente influenzato, che prende il nome di “svolta contestualistica”. Da questo momento un’ampia serie di studi hanno dimostrato come ruoli di primaria importanza vengano giocati dai genitori e dal tipo di linguaggio che essi adoperano, si è visto come l’utilizzo di termini che si riferiscano a stati mentali di altri, rappresenti un fattore stimolante l’abilità dei bambini di “leggere le intenzioni”. Basti pensare a quando da piccoli lasciavamo un gioco solo per un momento e nostro fratello ce lo “scippava”, immediatamente scoppiavamo a piangere; a quel punto la mamma veniva a tranquillizzarci e a rimettere la pace e ,magari, riferendosi al nostro fratellino diceva : “pensava che avessi smesso di giocare, non voleva farti piangere”. Altre ricerche hanno sottolineato che la presenza di fratelli, soprattutto se di età maggiore, rappresenti un vantaggio rispetto a chi è figlio unico, in quanto il continuo rapportarsi, dialogare, giocare e litigare, sono tutte attività che favoriscono lo sviluppo delle capacità mentali del bambino.

Purtroppo ci sono casi in cui si riscontrano anomalie nello sviluppo della ToM, ed è il caso dell’autismo in cui una delle ipotesi è che questi bimbi non riescano a sviluppare la capacità di meta-rappresentazione che sta alla base della Teoria della Mente e che li porta conseguentemente, a una difficoltà di interazione col mondo circostante. Altro caso patologico in cui questo deficit si verifica è la schizofrenia, che però non è necessariamente accompagnato da una qualche anomalia durante l’infanzia, al contrario dell’autismo. E proprio al fine di affrontare al meglio queste patologie di cui ancora molti meccanismi si disconoscono, è importante che la ricerca vada avanti e prosegua il suo incessante lavoro soprattutto per quanto riguarda l’individuazione delle aree cerebrali interessate nello sviluppo della ToM, al fine di evidenziarne il genere di alterazioni che sono alla base dello sviluppo di queste patologie, per poter attuare poi tutte le pratiche terapeutiche in nostro possesso.

Andrea Visalli