“Unita nelle diversità”,il motto dell’UE. Con le diversità siamo pronti, a quando l’unità?

turchiaaylan3 Settembre 2015. Una foto del corpo di Aylan, un bimbo siriano ritratto senza vita sulla riva di una spiaggia in Turchia sconvolge e commuove il mondo intero. All’indomani qualcosa pare smuoversi, persino le posizioni più conservatrici e inamovibili di alcuni rappresentanti dell’UE sembrano vacillare, fino a scostarsi (è questa l’impressione), da uno stato di inamovibile inerzia e dal ruolo di impassibili osservatori ,di fronte a disastri che ogni giorno sono sulle prime pagine di tutti i media.

L’Europa si unisce. Alcuni Stati, fino ad allora disinteressati nell’affrontare una questione così importante, improvvisamente cambiano etichetta al fenomeno migratorio che, ritenuto fino a quel momento un processo dannoso per la società da evitare quanto più possibile, diventa improvvisamente una necessità, una risorsa da far fruttare, un’occasione di rinnovamento culturale e sociale.

Bene verrebbe da dire, almeno da un punto di vista tutto italiano; “Finalmente l’Europa ci è vicina”, “Non toccherà più soltanto a noi affrontare una simile problematica”: questi ovviamente i pensieri che attraversano la mente dei più ottimisti. In Germania un gruppo di cittadini accoglie profughi in arrivo alla stazione di Monaco con un applauso. Improvvisamente la maggioranza dei governi, dei media, dell’opinione pubblica sembra abbracciare la causa dei profughi, o perlomeno sembra comprendere , per un istante, i reali motivi che spingono centinaia di miglia di persone a rischiare la propria vita in mare aperto. Appunto, per un istante. Tanto è durato il picco emotivo, così come i buoni propositi dell’Europa unita e l’attenzione dei media.

Torniamo ai nostri giorni, a quello che si sta vivendo in questo periodo, e scopriamo che gran parte dello spirito e delle iniziative tese alla tolleranza, alla vicinanza e all’ accoglienza dei profughi, da parte di alcuni Stati Europei, gli stessi che appena pochi mesi fa promettevano uno sforzo importante nell’affrontare una situazione divenuta ormai insostenibile, sono andate a farsi benedire. Ed ecco che Faymann, cancelliere austriaco, annuncia la sospensione dell’accordo di Schengen; il governo Danese approva (con l’appoggio  dell’opposizione socialdemocratica) una legge che prevede la confisca dei beni posseduti dai richiedenti asilo, per finanziare il loro soggiorno nei centri di accoglienza. La Slovacchia annuncia che ricorrerà alla Corte di Giustizia Europea per la proposta di redistribuzione dei profughi negli Stati all’interno dell’Ue; l’Ungheria fa sapere addirittura della propria intenzione di costruire una linea di filo spinato lungo tutto il confine con la Serbia. Ed ecco quindi, che non appena si smorzano un po’ i toni, i buoni propositi si sgretolano e i capi di Stato dei paesi europei non direttamente interessati dal flusso migratorio reindossano i loro splendidi paraocchi, e l’immigrazione ritorna ad essere un problema, quasi esclusivamente, di quegli Stati che rappresentano le vie di ingresso al vecchio continente, Grecia e Italia in primis.

Ma quali possono essere le cause di un cambio di atteggiamento così radicale in un lasso di tempo così breve? Certamente è innegabile che una parte di responsabilità sia da attribuire all’orribile strage di Parigi nel mese di Novembre, fino alle aggressioni verificatesi la notte di capodanno a Colonia, per le quali il primo arrestato è proprio un rifugiato algerino di 26 anni. Ed ecco che mentre 7 mila profughi manifestano proprio a Colonia in segno di disprezzo per l’accaduto e con l’obbiettivo di dissociarsene, riappare l’incubo xenofobia. Domenica 10 Gennaio, sempre nella città tedesca, infatti si è scatenata una vera e propria caccia allo straniero, con spedizioni organizzate sui social network. In Francia, invece, su Charlie Hebdo, il settimanale satirico, colpito anch’esso da un attacco terroristico nel gennaio 2015, appare una vignetta che tira in causa il piccolo Aylan, scrivendo che se fosse cresciuto sarebbe diventato nient’ altro che “un molestatore di sederi in Germania”.

E così, fra il susseguirsi di un evento e un altro, fra un cambio di faccia e un altro dell’Europa, fra un cambio di toni continuo dell’opinione pubblica e dei media, le cause che spingono queste persone ad affrontare la sfida del mare aperto rimangono, così come rimane l’impegno di migliaia di volontari sulle nostre coste, pronti a dare accoglienza ai sopravvissuti, perché purtroppo rimangono anche le migliaia di vite perse di uomini, donne e bambini coperti sì dalle onde del mare, ma soprattutto dall’indifferenza Europea.

Andrea Visalli