Covid: cortisone arma a doppio taglio, ecco i nuovi dati

Fin dall’inizio della Pandemia mondiale, numerosi sono stati i tentativi di districarsi nella cura più appropriata per la nuova patologia causata dal SARS-CoV-2. È stata impiegata una gran varietà di farmaci, ma nel tempo le evidenze hanno dimostrato una scarsa efficacia di molti degli approcci terapeutici tentati.

Particolare rilievo è stato dato ad una “vecchia”, ma sempre attuale, classe di farmaci, ovvero i cortisonici. Tali farmaci hanno ricevuto un’elevata attenzione mediatica e vengono presentati come una possibile panacea nel trattamento domiciliare precoce della malattia.

Negli ultimi mesi si sta addirittura assistendo ad un vero scontro tra alcuni medici e le autorità sanitarie. I primi grandi fautori dei cortisonici già alle prime avvisaglie di malattia, le seconde, seguendo le evidenze scientifiche disponibili, consigliano di andare cauti e ne scoraggiano un uso smodato.

Ma qual è la verità? Il cortisone va o non va utilizzato nel trattamento del Covid?

Una recente meta-analisi fatta dai ricercatori italiani, tra cui il prof. Alberto Zangrillo, ha cercato di far luce sull’argomento.

Crediti immagine: Trialsitenews.com

Vai subito al punto

1. Premessa: cosa fa il virus al nostro organismo?
2. Come si è curato il Covid finora?
3. Il cortisone quindi si può usare? La Meta-analisi
4. Perchè ad alcuni pazienti il cortisone fa bene, ad altri no?
5. Conclusioni

Premessa: cosa fa il virus al nostro organismo?

Una volta contratta l’infezione attraverso l’inalazione di droplets (piccole goccioline in cui è disperso il virus), esso penetra nei nostri organi attraverso il recettore ACE2.

Questo recettore è presente in molteplici tessuti, tra cui i polmoni. Nei polmoni, nei casi gravi si viene ad instaurare una polmonite interstiziale (sia perché il virus si riproduce, che per l’attacco del sistema immunitario), che fa sì che si “ispessiscano” i polmoni, rendendo difficili gli scambi gassosi. Questo è il motivo per cui molti pazienti necessitano di ventilazione assistita e di ossigeno.

Crediti immagine: Frontiersin.org

Nei casi ancora più gravi il virus stimola a tal punto il sistema immunitario da causare una tempesta citochinica (le citochine sono molecole dell’infiammazione). Queste citochine fanno sì che si instauri una Sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), per via dell’ulteriore “ispessimento” dei polmoni, rendendo di fatto impossibili gli scambi gassosi.

Per ultimo, ma non per importanza, il SARS-CoV-2 riesce pure a determinare (sempre attraverso l’infiammazione) un’aumento della coagulabilità del sangue, che porta alla formazione di microtrombi che occludono i vasi. Si possono occludere sia i vasi polmonari che altri vasi del corpo, determinando infarti, ictus, embolie polmonari, petecchie.

Come si è curato il Covid fino ad ora?

La terapia per i malati Covid, varia a seconda della gravità della malattia. Nei pazienti con pochi sintomi basta un’attenta osservazione per poi intervenire in caso di peggioramento.

Nei pazienti più gravi si è utilizzata una terapia di supporto, che consiste nel mantenere quanto più normali possibili tutti i parametri vitali. Ossigenazione in caso di insufficienza respiratoria, gestione della pressione arteriosa, ecc.

Gli unici farmaci attualmente approvati sono il Remdesivir ed il Desametasone, oltre ad antiaggreganti o anticoagulanti per i soggetti con rischio cardiovascolare. In emergenza sono stati approvati anticorpi monoclonali che però necessitano ancora di ulteriori studi.

Il cortisone quindi si può usare? La Meta-analisi

Che i cortisonici (in particolare il desametasone) fossero efficaci nel trattamento della malattia, è stato dimostrato. Tuttavia, dallo studio effettuato dai ricercatori italiani e pubblicato il 28 Novembre 2020 sulla rivista scientifica Journal of Cardiothoracic and Vascular Anesthesia, è emerso che è bene usarli SOLO IN ALCUNI CASI.

Fonte: Corticosteroids for Patients With Coronavirus Disease 2019 (COVID-19) With Different Disease Severity

Analizzando infatti cinque studi (criticamente selezionati tra 1168 articoli) con un totale di 7692 pazienti, i ricercatori sono giunti alle seguenti conclusioni:

  • Nei pazienti così gravi da richiedere ossigenoterapia, l’uso di desametasone ha portato ad una riduzione della mortalità del 6%;
  • mentre nei pazienti sintomatici, ma che non richiedevano ossigeno, l’uso di desametasone ha portato ad un incremento della mortalità del 4%.

Queste percentuali sembrano basse, ma considerando i milioni di malati Covid al mondo, una più chiara applicazione della giusta terapia può salvare migliaia di vite.

Perchè ad alcuni pazienti il cortisone fa bene, ad altri no?

La domanda sorge spontanea, la spiegazione risiede nella patogenesi della malattia.

Abbiamo visto infatti che in fase iniziale l’infezione da SARS-CoV-2 si localizza a livello delle alte e basse vie aeree. Questa, nei casi migliori, andrà incontro a guarigione grazie all’azione del sistema immunitario. Nelle prime fasi dell’infezione l’utilizzo di un farmaco come il desametasone potrebbe ridurre l’attività infiammatoria di difesa del sistema immunitario. Si potrebbe rischiare infatti di rendere vano il tentativo del nostro organismo di proteggerci dall’infezione, peggiorando l’evoluzione della malattia.

Nei casi invece dove i pazienti richiedono ossigeno, si è probabilmente innescata una eccessiva risposta infiammatoria a livello polmonare, che ha ridotto la capacità di scambio gassoso dei polmoni. In questo caso il razionale dell’utilizzo del desametasone è quello di frenare un sistema immunitario troppo vivace, che ha determinato la gravità della malattia.

Sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS). Crediti immagine: Wikipedia

Conclusioni

A dispetto di quello che millantano alcuni medici, fautori di una precoce terapia con cortisone, le evidenze scientifiche dicono il contrario.

UN USO PRECOCE DI DESAMETASONE IN PAZIENTI CHE NON HANNO BISOGNO DI OSSIGENO, POTENDO ABBASSARE LA RISPOSTA IMMUNITARIA E FAVORIRE LA REPLICAZIONE VIRALE,  AUMENTA DEL 4% LA MORTALITÀ.

La medicina, come tutte le scienze, non è esatta. Prima di arrivare alla scoperta di una malattia, di una cura per essa, sono necessari migliaia di studi di migliaia di ricercatori.

Diffidate dunque da chi, usando come stendardo il proprio titolo, cerca di fare scoop usando le vostre paure. Nella scienza non esistono né cure immediate, né miracoli, ma risposte basate su evidenze che pian piano ci fanno progredire.

Chi vi propone la cura miracolosa, nel migliore dei casi sbaglia, nel peggiore è in malafede, cercando guadagni o notorietà sfruttando la paura del cittadino, che nelle parole sicure (anche se false) dell’esperto trova conforto per la sua malattia.

Perfino alcuni premi Nobel in altri ambiti hanno commesso enormi errori di giudizio. Pensiamo ad esempio a Lui Montagnier, Nobel per la scoperta dell’HIV, diventato negli ultimi anni un convinto no-vax, nonostante il resto degli scienziati del mondo sia a favore dei vaccini.

Cortisone sì – cortisone no, dopo mesi di analisi dei dati e trial clinici, finalmente abbiamo una risposta abbastanza certa.

Fidiamoci della scienza, non dei singoli. Essa è frutto del lavoro di milioni di persone di scienza, che giorno dopo giorno con molta autocritica cercano di giungere a conclusioni sempre più precise. I miracoli, non appartengono alla scienza, ma ai ciarlatani.

Roberto Palazzolo 

Terapia COVID-19: trattamenti attuali e novità promettenti con immunoterapia

L’infezione da SARS-CoV-2 mercoledì è stata dichiarata dall’OMS una pandemia. Il Sistema Sanitario Nazionale italiano potrebbe non reggere al crescere esponenziale dei numeri, si paventa soprattutto l’assenza di un numero di posti in terapia intensiva sufficienti a contrastare una pandemia.

Come agisce il SARS-CoV-2?

Nella nostra storia recente ci sono state tre epidemie correlate ad infezioni da parte di coronavirus:

  • SARS-CoV (Severe-Acute-Respiratory-Syndrome), 2002-03; 
  • MERS-CoV (Middle-East-Respiratory-Syndrome), 2012;
  • SARS-CoV-2, oggi. 

L’analogia nel nome con la prima epidemia, scoppiata ad Hong-Kong nel 2002, non è un caso perché anche SARS-CoV-2, come SARS-CoV, ha come primum movens dell’infezione il legame tra gli spikes dell’involucro glicoproteico ed il recettore enzimatico di membrana ACE2, mentre il MERS-CoV segue un’altra via.

ACE2 è un enzima che fa parte del sistema più importante di regolazione della pressione arteriosa, ovvero il sistema RAAS (Renina-Angiotensina-Aldosterone). ACE2 ed il suo omologo ACE hanno funzioni fisiologiche opposte: ACE2 ha azione vasodilatatrice ed antipertensiva, mentre ACE induce vasocostrizione operando sui recettori AT1.

Il RAAS può essere la chiave per il trattamento della COVID-19?

Purtroppo si tratta solo di ipotesi. Quando il virus penetra nelle nostre cellule, legandosi ad ACE2, porta con sé lo stesso recettore, comportando una down-regolazione della sua espressione e conseguentemente una riduzione dei suoi effetti vasodilatatori. Questa dis-regolazione del sistema RAAS sarebbe quindi, secondo diversi studiosi, uno dei fattori di rischio maggiori per l’aggravamento dei pazienti affetti da COVID-19.

A tal proposito una categoria di farmaci antipertensivi potrebbe migliorare il decorso della polmonite: gli inibitori selettivi del recettore AT1sartani. Questi hanno mostrato di aumentare l’espressione a livello cardiaco del recettore ACE2 dopo infarto del miocardio. L’effetto terapeutico è quello vasodilatatore, dato sia dal blocco diretto dei recettori AT1 sia dall’induzione dell’espressione di ACE2. La vasodilatazione a livello del circolo polmonare garantirebbe quindi un miglior rapporto ventilazione-perfusione e una diminuzione del rischio di insufficienza respiratoria. 

Prima di poter utilizzare i sartani, dovrebbero però essere eseguiti trial clinici per verificare il loro ruolo di “fattore protettivo”. Bisogna valutare l’incidenza della malattia nei pazienti che già ne facevano uso ed i loro reali effetti positivi sul decorso clinico.

Fonte: ANSA

Allora quali sono i farmaci che realmente vengono utilizzati oggi?

Nell’attesa di un vaccino, che non si renderà disponibile sicuramente prima di luglio, le principali armi per il trattamento della polmonite causata da SARS-Cov-2 a nostra disposizione sono i farmaci antivirali associati, in caso di necessità, all’ossigenoterapia. Fra gli antivirali quelli di prima linea sono non virus specifici, i più utilizzati sono i seguenti:

  • Ribavarina = analogo della guanosina contenente la base azota modificata, agisce inibendo la sintesi dei nucleosidi e utilizzata comunemente per il trattamento dell’epatite C, durante l’epidemia di SARS nel 2002-03 usata in alcuni casi ad Hong-Kong; 
  • Lopinavir e Ritonavir = entrambi degli inibitori delle proteasi virali, attivi contro il virus dell’HIV, operano impedendo che le poliproteine tradotte dal genoma virale vengano clivate a formare proteine funzionalmente utili all’attività del virus;
  • Remdesevir = analogo nucleotidico sviluppato per il trattamento del virus Ebola, per cui è stata successivamente dimostrata un’attività contro altri virus a RNA a singolo filamento come i coronavirus. La sua combinazione con l’interferone-beta (INFb) si è dimostrata adatta al trattamento della COVID-19. Per l’OMS è il miglior candidato per contrastare SARS-CoV-2 ed è il farmaco usato allo Spallanzani per i turisti cinesi trovati positivi a gennaio (i primi due casi in Italia).

Esistono anche degli antivirali coronavirus-specifici come gli inibitori della proteasi dei coronavirus; in questo gruppo rientrano la cinanserina, un vecchio farmaco conosciuto per la sua azione di antagonismo del recettore della serotonina, e i flavonoidi, dei composti di derivazione naturale con molte funzioni tra le quali quella antivirale ed antiossidante. Entrambi agiscono bloccando l’azione della proteasi chimotripsina-simile dei coronavirus e si sono dimostrati efficaci in passato nelle pandemie di SARS-CoV e MERS-CoV.

Immunoterapia: il Tocilizumab

Altra opzione terapeutica valida è l’immunoterapia: è di sabato scorso la notizia del suo primo utilizzo in Italia, a Napoli su due pazienti con polmonite severa. L’immunofarmaco in questione è il Tocilizumab, normalmente utilizzato nell’artrite reumatoide e gold standard nella cura della sindrome da rilascio citochimica nel trattamento con cellule CAR-T. Il Tocilizumab è un anticorpo monoclonale che agisce bloccando l’interleuchina 6, una delle principali citochine con attività proinfiammatoria; si tratta di un uso off-label, frutto della collaborazione tra oncologi ed infettivologi.  Gli effetti positivi si sono mostrati già nelle prime 24 ore così che da giovedì si è valutata la possibilità di estubare i due pazienti. Ora si valuta di estenderne l’utilizzo a più di 250 soggetti in condizioni critiche. L’inconveniente principale è rappresentato dal prezzo elevato, ma la nota casa farmaceutica Roche si è offerta di fornirlo gratuitamente in questo periodo di emergenza. 

Il nostro sistema immunitario si è dimostrato spesso la chiave giusta da inserire per un successo terapeutico e tutti noi speriamo lo sia anche questa volta.

Antonio Mandolfo

Bibliografia:

https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1002/ddr.21656

http://apjai-journal.org/wp-content/uploads/2020/03/5_AP-200220-0773.pdf

https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1002/jmv.25707

https://napoli.repubblica.it/cronaca/2020/03/08/news/napoli_coronavirus_farmaco_usato_su_due_casi-250676409/?ref=fbpr

Coronavirus cinese: vera epidemia o allarmismo?

Nonostante le speranze e i desideri espressi allo scattare del nuovo anno poche settimane fa, sembra che il 2020 non sia iniziato col verso giusto. Giungono infatti allarmanti notizie dalla Cina sulla diffusione di un nuovo virus che minaccia di provocare un’altra epidemia di polmonite. Al momento non sono noti dati certi riguardanti le vittime della malattia, né si sa quanti siano stati contagiati.

Il virus è simile a quello della SARS (sindrome respiratoria acuta grave), una forma atipica di polmonite apparsa per la prima volta nel novembre 2002 nella provincia del Guangdong in Cina. La malattia, identificata per la prima volta dal medico italiano Carlo Urbani, era risultata mortale in circa il 15% dei casi.

Il timore dei governi è che, con i flussi migratori ed i quotidiani scambi di merci tra Paesi, la malattia possa propagarsi molto velocemente, arrivando ad avere un impatto su scala globale.
Sono stati segnalati anche alcuni casi oltreoceano, di persone provenienti dalla Cina che hanno manifestato segni di febbre e compromissione respiratoria.
È infatti di poche ore fa la notizia di una cantante italiana, rientrata da un viaggio in oriente, ricoverata per sospetto contagio da parte del virus incriminato.
Ma di cosa si tratta esattamente?

I coronavirus

Questo nuovo virus, per adesso è stato intitolato “2019‐nCoV”, appartiene alla famiglia dei coronavirus, virus costituiti da RNA, così chiamati per la loro forma a corona.
I coronavirus si attaccano alla membrana cellulare delle cellule bersaglio grazie a delle proteine di ancoraggio e rilasciano al loro interno l’RNA virale che intacca i ribosomi, organelli cellulari importanti per la sintesi proteica.
Il virus si replica e forma i virioni che sono poi rilasciati per esocitosi, andando a infettare altre cellule.
Dal punto di vista clinico, se alcune volte la sintomatologia di un soggetto infetto può essere indistinguibile da un semplice raffreddore, sembra che questa famiglia sia anche responsabile di circa il 20% delle polmoniti virali.

Dov’è iniziato tutto

Secondo le fonti ufficiali, il contagio sarebbe iniziato a Wuhan, capoluogo della provincia dello Hubei, popolosa città della Cina centrale, in un mercato ittico.
Come spesso accade, all’interno di questi centri di commercio vengono venduti anche animali vivi o selvaggina abbattuta, non sottoposta a controlli sanitari. Il rischio in questi casi è che gli animali siano portatori asintomatici di patogeni che una volta a contatto con l’uomo possono infettarlo.
Similmente alla SARS isolata nello Zibetto, anche questo coronavirus riconosce come iniziale serbatoio un ospite animale:
i pipistrelli ed i serpenti, come dimostrato da uno studio di ricercatori cinesi appena pubblicato.

Il salto di specie

Una volta penetrato il corpo umano, il virus ha subito un’ulteriore mutazione, diventando qualcosa di completamente nuovo. È stato infatti visto che il virus ha acquisito la capacità di trasmettersi da uomo a uomo, un problema non da poco, considerando l’alta densità demografica della Cina.
Non c’è da stupirsi infatti che l’epicentro del contagio sia stato isolato dal resto del Paese (e del mondo) e che la sua popolazione sia stata messa in quarantena.

Precauzioni e rischi

La natura sconosciuta di questo virus, la sua rapidità di diffusione e la pericolosità per la salute hanno fatto presto a scatenare il panico tra la popolazione mondiale, a causa del rimbalzare delle notizie sui social. Come accennato, il Governo cinese ha attuato delle misure imponenti per evitare che l’infezione si allarghi a macchia d’olio, arrivando a chiudere centri culturali e monumenti storici. Nonostante le voci di un fantomatico vaccino, gli esperti smentiscono un suo sviluppo in tempo utile e guardano al futuro con prudenza.

Il timore più grande è dovuto alla mancata condivisione di informazioni da parte della Cina circa l’effettiva gravità della situazione, visti i precedenti con la gestione della SARS.
Al momento non sembra esserci alcun allarme pandemia, nonostante continuino ad arrivare segnalazioni di nuovi casi.
Se dovesse presentarsi il problema, tuttavia, i nostri medici si dicono pronti ad affrontarlo con tutte le armi a loro disposizione.

                                                                                                      Maria Elisa Nasso