Gabriele Muccino torna al cinema con “Gli anni più belli”

La dodicesima pellicola di Gabriele Muccino Gli anni più belli è la sintesi emotiva del percorso cinematografico del regista de La ricerca della felicità (2006), che torna al cinema con un racconto struggente di amicizia, di amore, di incontri, di comprensioni, che si adagia su un arco temporale di quarant’anni all’interno del quale i personaggi si evolvono.

L’epica del tempo e la sua esplorazione sono delle novità per il regista romano, ed è proprio attraverso la dimensione malinconica attribuita al tempo che Muccino dispiega il suo racconto. Dagli anni 70′ ai nostri giorni, dai sogni giovanili intrisi di ingenuità fino alle tristi consapevolezze dell’età adulta.

Fonte: l’opinionista.it

Gli anni più belli scardina con potenza narrativa la convinzione di avere il controllo della propria vita.

È il tempo che modella la nostra esistenza, è il tempo che scorre ineluttabile e ci modifica lentamente, ci fa accettare cose che parevano inaccettabili, ci disincanta per poi improvvisamente incantarci di nuovo facendoci sentire adolescenti anche quando non lo siamo più.

La vita ti scorre veloce davanti e realizzi quello che è accaduto nel frattempo; l’imprevedibilità del tempo ci sussurra che possiamo recuperare e rilanciare le nostre vite.

L’amore, l’attrazione verso l’altro, la voracità di emozioni sono il collante che intreccia le storie dei personaggi  e del loro vissuto nervoso.

Gli anni più belli raccontati da Gabriele Muccino, che ha scritto la sceneggiatura insieme a Paolo Costella, sono quelli vissuti da Giulio (Pierfrancesco Favino), Gemma (Micaela Ramazzotti), Paolo (Kim Rossi Stuart), Riccardo (Claudio Santamaria), amici fin da adolescenti.

Il film è il racconto di storie singole che vivono di vita propria, ma che al tempo stesso non possono sopravvivere l’una senza l’altra.

Fonte: La Repubblica

I protagonisti, per quanto la vita provi a tenerli distanti, torneranno sempre alle loro origini.

Una gioventù vissuta in fretta, nel desiderio di diventare grandi il prima possibile, interpretata magnificamente Michaela Ramazzotti nei panni di Gemma, una ragazza piena di pazzie, paure, ansie e un’infinita voglia di ricomporre tutti i pezzi del puzzle che è la vita.

Subito dopo una fuggevole giovinezza, arriva l’apice, quell’effimero impalpabile istante di felicità a cui segue subito il declino, rappresentato da Claudio Santamaria, che interpreta Riccardo: un uomo alla disperata ricerca della propria strada, che insegue instancabilmente i propri sogni, anche quando questi rischiano di portare via la serenità che è riuscito a crearsi.

 

Pierfrancesco Favino nei panni di Giulio, rispettato avvocato di Roma, e Kim Rossi Stuart, nei panni del professore di lettere Paolo, completano il quartetto di personaggi.

Due vite apparentemente distanti, ma che si attraggono come poli opposti: quello ricco di una Roma bene, solo nell’apparenza, tormentata dalla ricerca assidua dell’amante migliore, del cliente più importante; e quello semplice di una Roma popolare, che sogna un lavoro a tempo indeterminato e una famiglia normale.

Fonte: Mediaset Play

L’ultima sceneggiatura del cineasta romano trova spazio anche per l’esordio attoriale di Emma Marrone che interpreta Anna, moglie di Riccardo, personaggio cucito sulla sua pelle.

Gli anni più belli è il frutto della maturazione cinematografica di Muccino in  23 anni di carriera, periodo nel quale il regista ha atteso pazientemente di approdare all’età (artistica) per poter osservare la vita da un posto di guida che gli permettesse di tenere le mani sul volante, gli occhi sulla strada ed un sguardo allo specchietto retrovisore.

 

Antonio Mulone

 

 

 

 

 

 

Santa Maria degli Alemanni: un angolo di gotico continentale, nel cuore del Mediterraneo

IMG_2932Più volte, nel corso del Medio Evo, le acque del Mare Nostrum sono state solcate da navi cariche di armati, dirette alla volta del Medio Oriente, in Terrasanta, a combattere quelle che sono passate alla Storia come le guerre di religione per antonomasia, le Crociate. Centinaia di migliaia di cavalieri, guidati dai principali monarchi dell’epoca, si imbarcano sotto il segno della Croce per liberare i luoghi santi del Cristianesimo dai musulmani; e, fra le loro schiere, si distingue una nuova tipologia di combattente, a metà fra il monaco e il guerriero, una figura in grado di conciliare il sanguinoso mestiere delle armi con i voti ecclesiastici e la devozione religiosa del clero. Nasce così l’epopea degli Ordini  monastico-cavallereschi: i Templari, i più celebri nell’immaginario collettivo; gli Ospitalieri, o Ordine di san Giovanni; e i Cavalieri dell’Ordine di santa Maria di Gerusalemme, meglio noto come Ordine Teutonico, in quanto composto esclusivamente di confratelli di origine tedesca.

Proprio questi ultimi, i Teutonici, ebbero modo, nel 1220, di incrociare la loro storia con quella della città di Messina, importante centro politico e militare del Mediterraneo da cui già nel 1190 erano partite le navi crociate guidate da Riccardo Cuor di Leone. In quell’anno infatti, all’allora Gran Maestro Hermann von Salza fu concesso di fondare un priorato dell’Ordine Teutonico nella città di Messina, per volere dell’imperatore Federico II di Svevia; proprio quel Federico II che, nel 1229, senza che venisse sparsa una sola goccia di sangue, riuscì a ottenere per i Cristiani importanti conquiste territoriali fra cui Gerusalemme, Betlemme e Nazareth, grazie alle trattative concluse con il sultano Al-Malik al-Kamil. Ma questa, naturalmente, è una altra storia…

Torniamo a Messina invece, e al priorato teutonico, perché proprio alla presenza dell’Ordine Teutonico si deve la costruzione della maestosa chiesa di santa Maria, detta “degli Alemanni”, cioè appunto “dei tedeschi”, perché una volta annessa al quartier generale dell’Ordine. Questa poderosa struttura, poi abbandonata dallo stesso Ordine sul finire del 1400, passata sotto il controllo della Confraternita dei Rossi, fu poi ampiamente danneggiata prima dalla caduta di un fulmine, nei primi del ‘600, e poi dal terremoto del 1783, a seguito del quale fu dichiarata inagibile e trasformata in un magazzino; in compenso, il terremoto del 1908 ne lasciò quasi indenni le rovine, consentendo quei lavori di ristrutturazione e consolidamento che ci permettono oggi di ammirarne i resti, nella via omonima, in prossimità dell’incrocio con la via Garibaldi.

IMG_2934La chiesa, oggi non più adibita al culto, conserva ancora la struttura originale a tre navate e tre absidi,benché la facciata anteriore, già arretrata a seguito del terremoto del 1783, sia oggi totalmente perduta, fatta eccezione per i resti del portale principale, custoditi al Museo Regionale. Resta invece in sede il portale laterale, i cui stipiti offrono un pregevole esempio di decorazione in stile gotico; l’arco, ornato dalle figure di angeli e profeti, culmina a sesto acuto in una figura di Cristo in trono dai tratti ancora severamente romanici, ed è sovrastato da una enigmatica mano benedicente.

 

L’interno, benché in buona parte spoglio e disadorno, si rivela nei lineamenti maestosi e possenti perfettamente in linea con lo stile gotico continentale, tipico del periodo, pur mancando in parte quell’ardito slancio in verticale che rende tutt’ora famose le grandi cattedrali francesi e tedesche dell’epoca. Una poderosa foresta sacra di pilastri a più colonne si presenta agli occhi del visitatore; le navate sono delimitate dagli inconfondibili archi a sesto acuto; dall’alto delle colonne, sui capitelli, spesso diversi fra loro, fanno capolino qua e là, in mezzo all’intricata decorazione floreale, volti umani o antropomorfi. Il piccolo cortile esterno conserva invece, oltre ad alcuni capitelli di epoche diverse, anche un piccolo frammento murario proveniente forse dall’ospedale annesso alla chiesa: ospedale in cui pare abbia trovato rifugio e cura, reduce da Lepanto e ferito da un colpo d’archibugio, Miguel de Cervantes Saavedra, il “papà” di Don Chisciotte.

 

Benché ridotto in rovine, il complesso di Santa Maria degli Alemanni conserva ancora tutto il fascino e il mistero delle grandi cattedrali gotiche e rappresenta un esempio, più unico che raro, di gotico duecentesco in Sicilia: come se i Cavalieri Teutonici avessero voluto ricreare, in mezzo al caldo e al sole del Mediterraneo, un piccolo angolo di Nord Europa.

Gianpaolo Basile

Foto: Giulia Greco