Sanità pubblica al collasso: occorreva il coronavirus per farcelo capire?

Per il nostro sistema sanitario nazionale è guerra. Una guerra iniziata prima ancora dell’emergenza Coronavirus, non fatta di armi e trincee, ma di tagli al personale e investimenti inadeguati. Traducendo la situazione in numeri: carenza di oltre 50 mila infermieri negli ospedali e nel territorio; deficit di 16700 medici specialisti previsto per il 2025, più di 2000 solo in Sicilia; meno di tre posti letto per mille abitanti in molte regioni d’Italia; infine, investimenti in ricerca e sviluppo al di sotto del 1,5% del PIL (la Francia ne investe il 2,2%, la Germania il 3%).

L’epidemia in corso ha rilanciato il dibattito politico e sociale sulle difficoltà della sanità pubblica in Italia. Ma la domanda sorge spontanea: era proprio necessaria un’emergenza di questo calibro per dare un po’ di rilevanza mediatica all’affanno del sistema sanitario?

Pronto soccorso chiuso
Fonte: AGI © Nicola Marfisi / AGF – Pronto Soccorso Codogno

Il sistema sanitario nazionale era in difficoltà prima ancora che ce lo facesse notare il Coronavirus

Che ci volessero mesi di attesa per una visita specialistica o un intervento in elezione in regime SSN lo si sapeva già da prima dell’epidemia. Nell’ultimo anno sono quasi 20 milioni gli Italiani che sono dovuti ricorrere alla sanità a pagamento dopo aver constatato i lunghi tempi d’attesa.

Si è orientati verso un modello privato, sull’esempio di altri Paesi che, se da un lato possono garantire una sanità di maggior qualità e una miglior retribuzione per gli operatori, dall’altro limitano le cure per chi non può permettersele. In questo senso in Italia si accende un campanello d’allarme: secondo una recente stima dell’ISTAT 4 milioni di italiani rinunciano a curarsi per ragioni economiche; altri due milioni per ragioni di tempo, in relazione alle liste d’attesa.

Che nella sanità pubblica le risorse umane fossero sottodimensionate per gestire la domanda da parte della seconda popolazione per aspettativa di vita in Europa era ben chiaro. L’incremento dell’età della popolazione si associa ad un aumento dei pazienti cronici ed ospedalizzati. Ogni infermiere dovrebbe assistere al massimo 6 pazienti: un aumento si associa ad un maggior rischio di mortalità per il paziente e di burnout per l’operatore. In media in Italia gli infermieri assistono 11 pazienti; in Sicilia questo numero sale a 12 e in altre regioni fino a 17.

Aspettativa di vita in Europa
Fonte: State of Health in the EU · Italia – da banca dati di Eurostat

L’imbuto formativo nega ai medici la possibilità di specializzarsi, nonostante la carenza

I neomedici, dopo i 6 anni di studio, devono specializzarsi. L’ingresso in scuola di specializzazione dipende da un concorso, che però non garantisce la formazione specialistica ad ogni laureato. Nel 2019 i candidati sono stati 17595, a fronte di 8905 posti disponibili. Ciò significa che quasi la metà dei candidati si è vista interrotta la carriera poco dopo la laurea, in attesa del concorso dell’anno successivo.

Si verifica inevitabilmente un accumulo di candidati di anno in anno, che si sommano ai neolaureati in continuo aumento. Al contempo diminuisce il numero degli specialisti a disposizione, e si riducono le prospettive lavorative nel nostro Paese. Dal 2010 al 2018 oltre 8800 medici hanno lasciato l’Italia per trovare un posto di lavoro in un altro Paese europeo, con la perdita dell’investimento economico che lo Stato ha fatto per formarli. Tutto ciò nonostante la grave carenza verso cui siamo proiettati, frutto di un Paese in cui la riduzione delle assunzioni e la carenza di giovani specialisti si traduce nella classe medica più vecchia d’Europa.

Italia nazione con maggior percentuale di medici over 55
Fonte: State of Health in the EU · Italia – da Eurostat, riferito ad anno 2017

L’epidemia ha messo in evidenza tutte le carenze, frutto di anni di disinteresse politico

In questa fase la sanità è al centro dell’interesse mediatico. Vengono evidenziate le difficoltà e l’impegno di medici, infermieri e ricercatori in servizio ininterrotto da giorni o da settimane. Si parla degli ospedali e degli operatori messi in quarantena per due settimane, con la sola “colpa” di aver svolto il loro lavoro. Le misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza sono in prima pagina: si richiamano i medici in pensione, si anticipa la laurea degli studenti in scienze infermieristiche per dare manforte, si pensa di assumere nuovi medici a tempo determinato.

Era evidentemente necessario il Coronavirus per ricordare le difficoltà del nostro sistema sanitario nazionale e rendersi conto dell’importanza del medico di base e dei medici specialisti, dell‘assistenza infermieristica, dei servizi di laboratorio pubblici e di un posto letto in ospedale.

Tra le ultime notizie, quella critica dei reparti di terapia intensiva quasi saturi, e in tal senso si programma un aumento dei posti letto di malattie infettive, pneumologia e terapia intensiva. Forse se tra il 2000 e il 2017 non si fosse assistito a una riduzione dei posti letto pro capite del 30% la sanità avrebbe potuto ammortizzare meglio l’emergenza.

Il Coronavirus mette in luce due fenomeni del nostro paese: la resilienza e il populismo

La prima è una caratteristica che ha contraddistinto storicamente il nostro popolo in ogni emergenza. La resilienza è la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Gli operatori sanitari confermano la qualità facendo miracoli: inventano aree di isolamento in strutture insufficienti, riciclano mascherine e dispositivi di protezione, portano avanti turni massacranti negli ospedali e nel territorio. Tutto ciò senza dimenticare gli altri pazienti che hanno bisogno di assistenza, i quali non possono certo farsi da parte per l’occasione.

Si cerca quindi di mettere le pezze laddove il populismo ha messo in secondo piano la sanità in favore della demagogia, con investimenti in iniziative politicamente più appetibili. L’Italia spende meno nei servizi sanitari rispetto a moltissimi altri Paesi europei, mantenendosi sotto la media europea, seppur nell’ultimo anno ci sia stato un aumento di circa 2 miliardi di euro, comunque non sufficienti.

Spesa sanitaria in Italia e in Europa
Fonte: State of Health in the EU · Italia – da OCSE, riferito ad anno 2017

Il futuro è incerto

Gli scienziati non sono concordi nel prevedere le modalità di evoluzione dell’epidemia e i tempi di risoluzione della stessa. Nel momento in cui vi scriviamo, i positivi in Italia sono 3296 in continuo aumento. Ad ogni modo, indipendentemente dai tempi di risoluzione della malattia, una domanda è lecita: dimenticato il Coronavirus, dimenticheremo nuovamente il nostro sistema sanitario nazionale?

Antonino Micari

Diagnosticare patologie analizzando il respiro: realtà e prospettive

L’associazione più immediata che operiamo quando ci viene menzionata la parola “analisi”, in ambito medico, è certamente il prelievo di sangue.

In pochi penseranno che ad essere analizzato possa essere proprio il loro respiro e le molecole che lo compongono, al di fuori ovviamente dell’alcol test.

Eppure, la cosiddetta “breath analysis” è una pratica ormai consolidata nella diagnosi di alcune patologie e nuove e interessanti prospettive si stanno affacciando nella pratica clinica.

Intolleranza al lattosio

Una delle condizioni più frequenti che può giovare di un breath test è sicuramente l’intolleranza al lattosio.

Una quantità standard di lattosio viene ingerita dal soggetto esaminato e successivamente si analizza la concentrazione di idrogeno nell’aria espirata attraverso un apposito strumento. Un eventuale aumento indica infatti la carenza dell’enzima lattasi, che normalmente metabolizza il lattosio: lo zucchero è così preda dei batteri intestinali che lo fermentano con formazione di vari gas, tra i quali, appunto, l’idrogeno.

Gastrite ed Helicobacter pylori

Tale batterio è associato a gastrite, ulcera duodenale, ma anche a cancro gastrico.  La ricerca dei prodotti del metabolismo di questo microrganismo è ormai diventata di routine. Tuttavia, per vedere direttamente H.pylori è necessaria una gastroscopia con biopsia della mucosa gastrica, non esattamente l’esame più comodo per un’analisi iniziale.

Questa volta a essere ingerita è l’urea-C13, ovvero contenente carbonio radioattivo: ciò permette di distinguere l’anidride carbonica (CO2) prodotta dal batterio dalla normale quota eliminata con la respirazione (che non contiene C13). Infatti, il microrganismo produce ureasi, enzima che scinde l’urea in CO2 e ammoniaca.

Nuove prospettive

Ma cosa accade se proviamo a spingerci oltre?

Sebbene le condizioni sopra esposte siano abbastanza frequenti, se precocemente diagnosticate, non comportano particolari problematiche per il paziente (il cancro gastrico si sviluppa a distanza di molti anni).

In altre parole: è possibile diagnosticare patologie gravi quali i tumori esaminando l’aria che espiriamo?

L’intuibile “labilità” di un campione biologico gassoso rispetto a liquidi e solidi (sangue, urine, feci, porzioni di tessuto, ecc.) e la mancanza di tecniche e strumentazioni validate ha fortemente limitato tale pratica.

Eppure c’è chi, come la regione Puglia, decide di investire sulla breath analysis non solo in ambito di ricerca ma anche nella pratica ospedaliera di tutti i giorni.

Dopo una serie di studi sperimentali è da poco stato aperto il Centro regionale di Breath Analysis, all’interno dell’Istituto Tumori di Bari.

L’intento è completare gli studi precedenti sperimentando quotidianamente questa nuova tecnica, grazie allo strumento campionatore Mistral.

In particolare, i tumori presi in esame sono:

  1. Mesotelioma pleurico: neoplasia associata all’esposizione all’asbesto, il cui uso è oggi proibito. Presenta bassissime possibilità terapeutiche e la diagnosi è gravata da procedure molto invasive e difficoltà nel distinguerlo da patologie benigne (più frequenti, sempre asbesto correlate) e altri tumori.
  2. Carcinoma del colon-retto: tra i 3 tumori più frequenti in Italia sia nell’uomo che nella donna. Richiede comunque una colonscopia per la diagnosi.
  3. Carcinoma polmonare: prima causa di morte per tumore, da anni si stanno cercando procedure di screening da usare su ampia scala.

Appare evidente come, in termini di costi e praticità, sia molto più semplice far soffiare una persona dentro un tubicino di metallo, rispetto a proporgli una TC o una colonscopia.

Ma quali sono i presupposti scientifici di tale metodica?

Le cellule tumorali rilasciano numerosi prodotti nel circolo sanguigno.

Parte di essi, i VOCs (composti organici endogeni volatili) raggiungono il polmone per essere poi eliminati attraverso la respirazione. Inoltre, anche sostanze non volatili come le proteine possono essere espulse in particelle di vapore (EBC, aria espirata condensata).

L’immagine, tratta dall’articolo “Exhaled volatile organic compounds in nonrespiratory diseases”, mostra come potenzialmente numerose altre patologie possano correlare con alterazione dei VOCs

Da un lato, il metabolismo aberrante del tumore porta a un’alterazione dei VOCs; dall’altro, le mutazioni genetiche delle cellule neoplastiche comporteranno l’espressione di proteine differenti da quelle normali, ovvero un EBC alterato.

Pertanto, la breath analysis si propone come arma doppiamente efficace, almeno in linea teorica.

Le difficoltà maggiori derivano dalla selezione del tipo e della quantità delle molecole da analizzare: infatti, solo combinazioni di più marcatori sono efficaci nel rivelare il tumore. In più, tale metodica non sostituirebbe le indagini standard, ad oggi considerate irrinunciabili, ma selezionerebbe i soggetti che necessitino realmente di ulteriori esami.

Da non trascurare è la grande potenzialità in termini di diagnosi precoci, che corrispondono a maggiori possibilità terapeutiche e riduzione della mortalità. Da ciò nasce “l’obbligo” per la ricerca di trovare sempre nuove indagini che invoglino i soggetti a sottoporvisi, a maggior ragione se essi sono sani e non avvertono la necessità di essere esaminati.

Nell’attesa che i risultati trovino ulteriori riscontri scientifici, l’iniziativa pugliese rappresenta certamente un passo avanti verso una medicina più smart. Lo studio sistematico su un grande numero di pazienti permetterà di vagliare attentamente la validità di questa interessante e nuova tecnologia.

A trarre vantaggi da approcci sempre più semplici e meno invasivi non sarà soltanto il Sistema Sanitario Nazionale in termini costi e risorse, ma soprattutto il paziente che si vedrà accompagnato, e non più forzato, nelle procedure diagnostiche.

In parole povere: un classico esempio di come prendere due piccioni con una fava.

Emanuele Chiara

 

Bibliografia:

Breath Analysis: A Systematic Review of Volatile Organic Compounds (VOCs) in Diagnostic and Therapeutic Management of Pleural Mesothelioma

Detection of cancer through exhaled breath: a systematic review

Grande successo per l’evento del SISM di Messina: “La salute scende in piazza”

 

Sabato 16 febbraio dalle ore 9:30 sino alle 19:30 a Messina, a Piazza Cairoli, si è tenuto un evento fortemente voluto da diverse associazioni no profit messinesi (SISM, Cambiamenti APS, Croce Rossa Messina, Admo, Aido, Avis, Unicef, UICI, AISO, A.G.D. Messina e Nonno Ascoltami).

È Roberta Minasi, presidentessa del Sism Messina, a fornirci delucidazioni in merito all’evento:

“Già da tempo, grazie anche al prezioso aiuto del policlinico di Messina, il SISM Messina organizza iniziative di sensibilizzazione su tematiche specifiche con lo scopo di educare la popolazione alla conoscenza di alcune tematiche attuali di rilievo nell’ambito della salute e della sanità pubblica.

Il SISM, come ogni anno, si è fatto portavoce de “La salute scende in piazza”, un evento di salute pubblica, che si pone l’obiettivo di portare all’attenzione della cittadinanza sia il vero significato di “salute”, sia i suoi principali determinanti. In tal modo si rende la popolazione capace di conoscere e di conseguenza riconoscere eventuali comportamenti nocivi, facendo sì che gli stessi cittadini diventino fautori della diffusione di tale ideale.

Si tratta di un evento dedicato non solo all’intera popolazione, dai progetti per i più piccini agli screening per adulti ed anziani, ma mirato anche alla crescita e formazione degli studenti di medicina, consapevoli dell’importanza della prevenzione.

Numerose le associazioni che, già da tempo, hanno lavorato e lavorano in sinergia con il SISM e che sono scese in piazza, come la Cri Messina, che in occasione della giornata di sensibilizzazione è presente con un importante progetto: “Non sono un bersaglio”.

Il presidente del Comitato di Messina della Cri, Dottor Dario Bagnato, dichiara attraverso un’intervista che:

Sono 3.000 i casi di violenza a operatori sanitari italiani registrati nel 2018, a fronte di sole 1.200 denunce all’Inail: aggressioni a medici e infermieri in ospedale, nei Pronto Soccorso e nei presidi medici assistenziali.

Altro drammatico aspetto è quello delle aggressioni agli operatori delle ambulanze e dei danneggiamenti ai mezzi stessi. Basta leggere i giornali e troviamo frammentate ma cicliche notizie al riguardo, da nord a sud.

Ecco perché, tenendo conto dei logici distinguo, la Croce Rossa Italiana ha deciso di realizzare una campagna per denunciare, oltre a quanto accade in scenari internazionali, una realtà pressoché sconosciuta o spesso sottovalutata che ci coinvolge da vicino e che riguarda anche (e non solo) i volontari CRI: quella delle violenze ai danni dei nostri operatori e/o strutture sanitarie. Così nasce “Non sono un bersaglio”.

Il Dottor Bagnato ricorda che chi aggredisce un operatore socio-sanitario si sta precludendo la possibilità di essere curato. È come se si stesse aggredendo da solo, come suggerisce l’immagine stessa scelta per la loro locandina. Pertanto, fa appello alla coscienza di ogni cittadino onde evitare il perpetuarsi di altre violenze.

I volontari delle varie Onlus partecipanti hanno realizzato dei punti informativi affinché ogni cittadino potesse avere tutte le notizie desiderate sulle attività svolte dai gruppi associativi e più in generale sulla tutela del bene salute. Durante la giornata è stato possibile effettuare vari test di screening come quello dell’HIV (sia ematico sia salivare). È stata inoltre dedicata una particolare attenzione a due progetti, interamente indirizzati ai più piccini: lo Smile-X (progetto dei dottor clown, che effettuano ogni giovedì clown therapy al policlinico), e l’Odp, cioè l’Ospedale Dei Pupazzi: un progetto di sensibilizzazione volto a ridurre il timore dei più piccoli nei confronti del camice bianco e dell’ambiente ospedaliero: la paura viene esorcizzata attraverso dei peluche che vengono curati dai più piccoli su dei tavoli da gioco.

 

 

Gabriella Parasiliti Collazzo

“Fleming”: un messinese nella lotta all’antibiotico-resistenza

Paolo Pino, 23enne messinese doc, ex archimedino, Dottore in Ingegneria industriale presso UNIME e specializzando in Ingegneria dei materiali presso il Politecnico di Torino, è l’ideatore di Fleming, una nuova piattaforma che ha tutte le carte in regola per diventare uno strumento indispensabile per il mondo sajnitario del futuro. Noi di UniVersoMe lo abbiamo intervistato, spinti a capire quanto Fleming potrà essere utile.

Paolo, puoi spiegarci cos’è “Fleming”?

“Partiamo da alcuni dati allarmanti: gli antibiotici stanno perdendo di efficacia a un ritmo esponenziale. Questo costa al mondo 700 mila vite ogni anno, ed entro il 2050 potrebbero diventare 10 milioni.
Fleming vuole essere uno strumento moderno nel contrasto di questa minaccia. Si tratta di una piattaforma informatica in grado di assistere tutti gli attori in gioco a diversi livelli. Si parte dagli ospedali, dando ai medici gli strumenti per coordinarsi e monitorare in tempo reale l’evoluzione della popolazione batterica locale, delle resistenze, delle malattie e del consumo di antibiotici, ottimizzando tempi e risultati delle terapie.

A questo punto, i dati dai singoli presidi confluiscono in un processo avanzato di trattamento dei dati in grado di ricostruire una mappa dettagliata del fenomeno e di distribuire informazione a governi e industrie farmaceutiche, consentendo loro di orientare al meglio interventi e risorse cruciali. Con Fleming pensiamo di poter raggiungere un livello di flessibilità e scalabilità del tutto nuovo, e di farlo mentre tutte le parti in gioco ne traggono vantaggio.”

La questione della resistenza agli antibiotici sarà tra le emergenze del 21° secolo, questa idea sembra essere la risposta alle necessità di un’era in cui la digitalizzazione può davvero fare la differenza tra la vita e la morte. Come e quando nasce questo progetto?

“L’idea è nata in occasione della European Innovation Academy, una scuola internazionale dedicata all’imprenditoria e all’innovazione durante la quale team di studenti da tutto il mondo lavorano per tre settimane allo sviluppo accelerato di nuove idee, sotto la guida di mentori ed esperti che vengono da Google, da Berkley, dalla Silicon Valley, e così via. Quando ho scoperto che avrei avuto un’opportunità così grande, mi sono detto che avrei dovuto sfruttarla per fare qualcosa di buono. Per la mia tesi al Politecnico sto studiando delle nanotecnologie che possano assistere – e in futuro, magari, sostituire – gli antibiotici nell’eradicazione dei batteri resistenti. E così ho proposto Fleming, e un team fantastico si è formato intorno a questa idea. La squadra è composta da due ingegneri informatici, Callum e Marina, che vengono dall’Australia e dalla Macedonia, da Aniket, un bioingegnere della Virginia Commonwealth University, e da Mallory, un’economista texana. Siamo molto affiatati e sin da subito ho messo in chiaro una cosa fondamentale: si dice arancino e non arancina.

Paolo nell’atto di “sicilianizzare” il team.

Sicilianizzare il team fa di te un vero “buddace in missione”, complimenti! Tornando a Fleming, perché sarà utile soprattutto ai medici di domani?

“I medici di domani vivranno in un mondo a iperdigitalizzato, in cui Big Data, intelligenze artificiali e tecnologie avanzate acquisiranno un ruolo centrale nell’evoluzione delle civiltà. In questa prospettiva, i medici capaci di cogliere la portata e le potenzialità di questi strumenti saranno gli artefici di un contributo rivoluzionario alla salute dell’uomo. Gli studenti che conosciamo hanno sempre dimostrato una spiccatissima sensibilità e una grande apertura nei confronti di questi temi, quindi siamo molto fiduciosi.”

Da studente di medicina posso confermarti quanto dici. Quali sono i prossimi step di evoluzione e promozione di questa piattaforma?

“Qui alla scuola ci ripetono sempre: “Build, measure, learn, repeat”: ci aspetta un susseguirsi di fasi di progettazione, sperimentazione e miglioramento del prodotto, da condurre sulla base di una continua interlocuzione con gli utenti finali. Abbiamo avuto un primo feedback positivo all’ospedale Regina Margherita, qui a Torino, e una clinica in Brasile ha mostrato interesse per l’idea, ma ovviamente c’è ancora molto lavoro da fare.”

Come possiamo noi, oggi, contribuire alla crescita di Fleming?

“Attualmente sarebbe per noi di grandissimo aiuto poter lavorare con medici e studenti per raccogliere suggerimenti e opinioni e per testare i prototipi. Un’iniziativa del genere non può prescindere dalla collaborazione con gli esperti del settore.
In più abbiamo una piccola pagina su internet che è la nostra prima interfaccia con il pubblico, e attraverso la quale raccogliamo i contatti degli interessati per coinvolgerli ed informarli sugli sviluppi.”

Il mio sogno è che Messina possa essere tra i pionieri del progetto!
Per finire, Antonio, consentimi di ringraziare te e UniVersoMe per il tempo e l’attenzione dedicateci. Non solo questo ci entusiasma e ci incoraggia, ma mi fa anche sentire il calore di casa. Grazie a nome mio e di tutto il team Fleming.

Grazie a te Paolo, e a tutti gli altri ragazzi che, come te, rappresentano un vanto per la città e il Sud Italia in generale. Ci aiutate a credere più fortemente nei nostri sogni, nelle nostre capacità, nella nostra “identità meridionale”, troppo spesso denigrata da pregiudizi che la fanno vacillare. Abbiamo bisogno di voi.

Antonio Nuccio

“Obama out but save Obamacare”

o-obama-facebookPoche ore fa a Chicago di fronte a circa 20.000 persone,  Barack Obama ha tenuto il suo ultimo discorso pubblico in qualità di Presidente degli Stati Uniti d’America prima di cedere definitivamente la scrivania della sala ovale al suo successore Donald Trump.

Inevitabilmente questa notte è calato il sipario su una delle pagine più belle della storia occidentale, infatti Obama divenuto il primo presidente Afroamericano degli Stati Uniti è riuscito ad incentrare l’attenzione del dibattito politico-istituzionale su temi che fino ad allora erano stati relegati ai margini dai suoi predecessori.

Proprio la sua spinta riformista ci permette di etichettarlo come uno dei politici più liberal, insieme all’ex vicepresidente e premio nobel Al Gore.

Ma nonostante il clima di incertezza generale causato dalla rocambolesca elezioni del tycoon Trump, cosa rimarrà alle nuove generazioni dell’operato dell’ormai ex Presidente?

Sicuramente una pietra miliare dell’amministrazione Obama è rappresentata dal “Patient Protection and Affordable Care Act” ovvero la riforma sanitaria, che tramite mezzo stampa venne rinominata “Obamacare”. La suddetta riforma ha permeato la sua linea politica fin dal quando nel lontano 1997 venne eletto come membro del Senato per il 13° distretto dell’Illinois.

Entrata in vigore il 25 marzo 2010, la suddetta riforma diede la possibilità a circa 31 milioni di cittadini di poter usufruire di una copertura sanitaria totalmente gratuita. Infatti questo rivoluzionario atto legislativo rappresenta una netta cesura rispetto al sistema delle lobby assicurative sanitarie che da sempre risultano essere un elemento discriminate all’interno del welfare state  Americano.

Eppure nonostante essa rappresenti uno dei provvedimenti legislativi più importanti dell’ultimo decennio, a tutt’oggi l’Obamacare rischia di poter essere cancellata con un colpo di spugna. Infatti la maggioranza Repubblicana, che storicamente rappresenta gli interessi delle lobby assicurative ha più volte aspramente criticato la linea politica dell’amministrazione della Casa Bianca in merito, poiché essi ritengono che i trasferimenti monetari derivanti dall’assistenza sanitaria pesino eccessivamente sulla spesa pubblica.

Anche durante questa campagna elettorale, il candidato Donald Trump ha affermato più volte che la soluzione più congeniale in un’ottica costi/benefici sarebbe quella di sviluppare un sistema di assistenza sanitaria che sia a totale carico del datore di lavoro di ciascun cittadino. Ovviamente la suddetta manovra andrebbe ad escludere totalmente coloro i quali non risultano al momento occupati o non godono di un reddito fisso.

Tuttavia non sono solo le forze politiche a minacciare l’efficacia della riforma, infatti a seguito di un ricorso presentato alla Corte Suprema da parte di un ex reduce di guerra 7,3 milioni di persone rischiano di poter perdere la loro copertura sanitaria. La natura del ricorso risiede nella concezione di stato federale e dell’autonomia di cui gode ciascuno stato nel poter regolamentare il proprio mercato interno.

E’ palese che la vita dell’ Obamacare risulti essere appesa ad un filo sottile che lega le pressioni politiche con l’iter giudiziario. Ciononostante al netto delle valutazioni degli esperti del settore, siamo sicuri che l’America sia pronta a fare un passo indietro sui diritti civili, negando così un diritto garantito dall’ articolo 25 della dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo?

Simone Coletta