Covid-19, quali mascherine per la Fase 2: chirurgiche, FFP2 e “Fai da te”

Indossare delle mascherine può aiutare a proteggere se stessi e gli altri dal contagio da SARS-CoV-2? Quali tipi di mascherine possono essere utili, come vanno indossate, rimosse e sanificate qualora le si voglia riutilizzare?

Il nuovo Coronavirus (denominato SARS-CoV-2) è un virus respiratorio che si diffonde fondamentalmente attraverso il contatto stretto con una persona infetta. I coronavirus hanno dimensioni di 100-150 nanometri di diametro (600 volte più piccoli di un capello), motivo per il quale tra le principali vie di trasmissione bisogna annoverare le goccioline (droplets) delle secrezioni di naso e bocca che vengono emanate durante la normale respirazione, quando si parla, e in grandi quantità in caso di tosse e starnuti (In particolare, lo starnuto può spingere queste goccioline ad una distanza di 4 metri). In casi rari il contagio può avvenire attraverso contaminazione fecale e normalmente le malattie respiratorie non si trasmettono attraverso gli alimenti, rispettando le corrette pratiche igieniche ed evitando il contatto fra alimenti crudi e cotti.

Tra le norme emanate dal Ministero della Salute, per far fronte all’epidemia da SARS-CoV-2 , vi è l’uso delle mascherine, queste ultime si dividono in due categorie:

  1. Mascherine chirurgiche, progettate per proteggere il paziente dalla contaminazione da parte degli operatori sanitari;
  2. FFP1, FFP2 e FFP3 (o N95, N99 e N100 nella normativa americana), progettate per proteggere gli operatori dalla contaminazione esterna e per questo denominate Dpi (Dispositivi di protezione individuale). 

MASCHERINE CHIRURGICHE

Le mascherine chirurgiche presentano due o tre strati di “tessuto non tessuto” (Tnt) costituito da fibre di poliestere o polipropilene:

  1. Lo strato che entra in contatto con l’esterno presenta un materiale di tipo spun bond (un tessuto non tessuto usato nel settore automobilistico e industriale) che, con l’effettuazione di un trattamento idrofobo, ha la funzione di conferire resistenza meccanica alla mascherina e proprietà idrofoba.
  2. Lo strato intermedio è costituito da Tnt prodotto con tecnologia melt blown e costituito da microfibre di diametro 1-3 micron, motivo per il quale svolge la funzione filtrante.
  3. Un eventuale terzo strato, tipicamente in spun bond, è a contatto con il volto e protegge la cute dallo strato filtrante.

Le mascherine chirurgiche sono contraddistinte da una capacità filtrante quasi totale verso l’esterno, superiore al 95% per i batteri, mentre hanno una ridotta capacità filtrante verso l’interno, ovvero verso chi le indossa (circa il 20%) non solo per l’aderenza al volto non particolarmente elevata ma anche per la mancata capacità di trattenere particelle fini o molto fini. Pertanto, se ben indossate, sono molto efficaci nell’impedire a chi le indossa di contagiare altre persone, ma non garantiscono una protezione elevata nei confronti dei virus che provengono dall’esterno.

MASCHERINE FFP1, FFP2 e FFP3

«Sono dispositivi di protezione individuale pensati per un uso industriale per proteggere da polveri, fumi e nebbie» spiega Pierpaolo Zani, General Manager di Bls, azienda italiana specializzata nella produzione di prodotti per la protezione respiratoria. I filtranti facciali vengono impiegati anche in ambito sanitario, nei reparti di malattie infettive per la loro elevatissima capacità di filtraggio dell’aria. Sono realizzati con tessuti-non-tessuti con proprietà e funzionalità differente:

  1. Lo strato esterno della mascherina protegge dalle particelle di dimensioni più grandi;
  2. Lo strato intermedio è solitamente in tessuto melt blown e filtra le particelle più piccole;
  3. Lo strato interno, a contatto con il volto, ha la doppia funzione di mantenere la forma della maschera e di proteggere la maschera dall’umidità prodotta con il respiro, tosse o starnuti.

La loro elevata capacità filtrante è associata agli strati filtranti che agiscono meccanicamente (come un setaccio) per particelle fino a 10 micron di diametro. Sotto queste dimensioni, l’effetto più importante è quello elettrostatico: la fibre cariche elettrostaticamente attirano e catturano le particelle. Tutte aderiscono bene al viso, e tutte sono disponibili in versione con e senza valvola.

 

DA COSA CI PROTEGGONO LE FFP1?

Le maschere respiratorie della classe di protezione FFP1 sono adatte per ambienti di lavoro nei quali non si prevedono polveri e aerosol tossici o fibrogeni. Queste filtrano almeno l’80% delle particelle che si trovano nell’aria fino a dimensioni di 0,6 μm e possono essere utilizzate quando il valore limite di esposizione occupazionale non viene superato di oltre 4 volte. Vengono particolarmente utilizzate nel settore edile o nell’industria alimentare.

DA COSA CI PROTEGGONO LE FFP2?

Le maschere respiratorie della classe di protezione FFP2 sono adatte per ambienti di lavoro nei quali l’aria respirabile contiene sostanze dannose per la salute e in grado di causare alterazioni genetiche. Queste devono catturare almeno il 94% delle particelle che si trovano nell’aria fino a dimensioni di 0,6 μm e possono essere utilizzate quando il valore limite di esposizione occupazionale raggiunge al massimo una concentrazione 10 volte superiore. Le maschere respiratorie della classe di protezione FFP2 vengono utilizzate nell’industria metallurgica o nell’industria mineraria in cui i lavoratori entrano in contatto con aerosol, nebbie e fumi.

DA COSA CI PROTEGGONO LE FFP3?

Le maschere respiratorie della classe di protezione FFP3 offrono la massima protezione possibile dall’inquinamento dell’aria respirabile. Con una perdita totale del 5% max. e una protezione necessaria pari almeno al 99% dalle particelle con dimensioni fino a 0,6 μm, sono inoltre in grado di filtrare particelle tossiche, cancerogene e radioattive. Queste maschere respiratorie possono essere utilizzate in ambienti di lavoro nei quali il valore limite di esposizione occupazionale viene superato fino a 30 volte il valore specifico del settore (industria chimica).

Le mascherine si possono utilizzare più di una volta?

Le mascherine chirurgiche sono monouso e non ci sono procedure, scientificamente validate, per la loro «disinfezione» in quanto  disinfettanti o vapori di aria calda potrebbero danneggiarne il tessuto, con successiva perdita dell’ azione di barriera. Considerando la scarsa disponibilità di mascherine chirurgiche, in assenza di una nuova mascherina, si può lasciare la mascherina già utilizzata all’aria aperta per almeno 12 ore prima di riutilizzarla o almeno 4 giorni (per spegnere un’eventuale traccia del virus), facendo attenzione a non toccare la parte interna della mascherina. In caso di riutilizzo bisogna ulteriormente mantenere le distanze di sicurezza con la consapevolezza di una riduzione dell’efficacia della capacità di barriera.

I filtranti facciali FFP1, FFP 2 e FFP 3 possono essere riutilizzati se non vi è usura del materiale. I trattamenti possibili di rigenerazione sono tre:

  1. Esposizione ad alta temperatura (superiore a 60°) in ambiente umido (come indicato dall’istituto statunitense NIOSH per il SARS-CoV-2);
  2. Esposizioni ai raggi ultravioletti;
  3. Trattamento con soluzioni idroalcoliche al 60/70%. Esso è il trattamento più efficace ai fini del mantenimento delle proprietà meccaniche, inclusa la forma.
    Tuttavia, sulla validità di questi metodi non vi è accordo scientifico.

Le mascherine “fai da te” sono davvero utili?

In uno studio, condotto dal Departments of Civil and Environmental Engineering and Marine and Environmental Sciences Northeastern University of Boston, sono state valutate 10 mascherine di stoffa realizzate con tessuti di provenienza locale di diversi design, e 3 mascherine di tipo chirurgico. Le mascherine chirurgiche standard, se indossate con un filo metallico di regolazione sul naso, hanno avuto un’efficienza media del 75%. Le mascherine di stoffa hanno avuto tassi di efficienza filtrante inferiori (tra il 38% e il 96%) rispetto alle mascherine chirurgiche (3M considerate come punto di riferimento e livello base). Nessun modello ha avuto risultati pari a quelli dei respiratori N95 e in genere le mascherine di tessuto fornivano la metà della protezione rispetto alle maschere chirurgiche standard. I ricercatori hanno provato a “migliorare” le mascherine di stoffa sovrapponendo uno strato di calza di nylon per ridurre la perdita di aderenza attorno ai bordi del volto e migliorare l’efficienza filtrante delle particelle. Lo stesso studio ha dimostrato che l’aggiunta della calza in nylon ha migliorato l’efficienza da 15 a 50 punti percentuali.

Caterina Andaloro

Bibliografia:

https://www.uvex-safety.it/it/know-how/norme-e-direttive/respiratori-filtranti/significato-delle-classi-di-protezione-ffp/

http://www.salute.gov.it/nuovocoronavirus?gclid=Cj0KCQjwy6T1BRDXARIsAIqCTXoNTiwj7C120buZEM-vTSvDR5bhw5kWW8boFOmZQlNEWTFW-6-QHXEaAonJEALw_wcB

https://www.suva.ch/it-CH/materiale/Sched-tematiche-factsheet/i-dpi-delle-vie-respiratorie

 

Il 4 maggio il via alla fase due: distanza sociale e graduale ripartenza

Forza, coraggio, metodo e rigore.

Sono queste le parole-chiave con le quali il Presidente del Consiglio Conte ha esordito nella conferenza stampa di ieri sera convocata per l’annuncio del nuovo attesissimo Dpcm.

Rivolgendosi, come forse mai aveva fatto direttamente ai cittadini, il Premier ha esposto le misure, le disposizioni e le prescrizioni relative alla «fase 2» dell’emergenza coronavirus, la fase della convivenza con il nemico invisibile.

Evitare il rischio (scellerato e che non possiamo permetterci) che arrivi una seconda ondata di contagi: questo il “claim” fondamentale che ha attraversato in parallelo tutto il discorso trasmesso in diretta nazionale.

Conte ha ribadito la stringente necessità di rispettare le precauzioni, anche nelle relazioni con i propri familiari.
L’unico modo responsabile ed efficace per convivere con il virus è di mantenere la distanza sociale almeno un metro: «se vuoi bene all’Italia devi evitare la diffusione del contagio».

Le diposizioni del nuovo Dpcm per la Fase 2 saranno valide dal 4 al 17 maggio 2020; alle imprese che potranno riaprire verrà permessa la ripartenza mediante attività propedeutiche a partire dal 27 aprile.

Sarà possibile spostarsi, all’interno della propria regione, anche per visitare i propri familiari, nel rispetto delle distanze e con l’utilizzo delle mascherine. Resta in vigore l’autocertificazione.

E’ consentito tornare alla propria residenza, fare sport lontano da casa purché si rispetti la distanza di due metri.

Non sarà però ancora possibile spostarsi in altre regioni, eccezion fatta per urgenti motivi di salute o di lavoro.

Graduale ed appannata ripartenza anche per il settore della ristorazione, dove sarà aggiunta alle attività di servizio a domicilio anche la possibilità  di asporto.

Dal 4 Maggio, inoltre, potranno riaprire parchi e giardini pubblici (nel consueto rispetto della distanza di sicurezza); si potranno celebrare funerali con la partecipazione di non più di 15 persone (dotate dei presidi di sicurezza).

Confermato con rigore il divieto assoluto per tutte le modalità di assembramento in luoghi pubblici e privati.

 

Per la vendita al dettaglio ed i luoghi di cultura (musei, istituti d’arte) dovremo pazientare fino al 18 maggio.

Più dure e rigorose le misure prescrittive per le attività che si prestano naturalmente allo sviluppo di dinamiche di relazione sociale come bar, esercizi commerciali legati alla ristorazione e centri estetici potranno tornare ad essere frequentati dal 1 giugno.

Quanto alle scuole, Conte ha spiegato che tenere chiuse le scuole significa seguire con rigore e lungimiranza le indicazioni scientifiche degli esperti; riaprire irresponsabilmente gli istituti scolastici ed universitari comporterebbe una potenziale nuova esplosione di contagi, che rischierebbe di vanificare gli sforzi ed i sacrifici prodotti dagli italiani.

Il presidente del Consiglio ha dedicato un passaggio del suo discorso anche al tema caldissimo dell’Unione Europea.

Conte ha parlato del Recovery Fund come di un risultato storico, che adesso va traslato in termini di lavoro tecnico, affinché si eviti che questo strumento si trasformi in una macchina crea-debito.

L’arma della ragionevolezza, della pacatezza lucida e della lungimiranza pare stia iniziando a dare i suoi frutti nel contesto delle trattative europee.

Seguiranno sicuramente settimane difficili ma che, se affrontate con responsabilità e senso civico, potrebbero rivelarsi decisive nella prospettiva di una lenta e difficile guerra al coronavirus che pare, purtroppo, solo all’inizio.

Antonio Mulone

Coronavirus, quarantena almeno fino al 18 Aprile: le prime proiezioni

Un nuovo Dpcm dovrebbe estendere le misure restrittive almeno fino al 18 aprile, chiaramente in relazione all’andamento dei contagi ed alle indicazioni dei virologi, dovrebbe scattare una graduale riapertura delle attività in cui non vi sono assembramenti di persone. Per un ipotetico ritorno alla normalità, poi, si dovrà aspettare almeno la fine di maggio. 

Ad oggi appare inevitabile il prolungamento delle misure restrittive, a dirlo il presidente del Consiglio Superiore di Sanità Franco Locatelli:

non siamo in una fase marcatamente declinante ma in una fase, sia pure incoraggiante, di contenimento; dovremo immaginare alcuni mesi nei quali adottare disposizioni attente per evitare una ripresa della curva epidemica.

Una fase fondamentale nell’ottica di un allentamento della stretta imposta dall’esecutivo riguarderà, nelle prossime settimane, il calo dei casi nell’indice di contagiosità.
Prima di allentare la morsa all’intero paese, il dato numerico riportato dall’indice dovrà scendere sotto l’uno, ossia un soggetto positivo che infetti meno di una persona.

L’assoluta rilevanza di questo parametro è confermata anche dalle parole del presidente del Consiglio Giuseppe Conte: «Bisogna ragionare in termini di proporzionalità», ha evidenziato a proposito della riapertura delle attività attualmente sospese a causa dell’emergenza Coronavirus.

Sul tema caldissimo in termini socio-economici della chiusura prolungata delle attività commerciali, il premier ha risposto che questa è stata l’ultima e più drastica delle misure e, dunque, sarà anche la prima ad essere sciolta. Per le scuole e le università, invece si potranno apportare modifiche e migliorare il sistema al fine di far perdere agli studenti l’anno scolastico o gli esami universitari.

Ad una possibile apertura dell’Italia prima della fine della pandemia, Conte ha replicato:

Quando il comitato scientifico dirà che la curva inizia a scendere potremo studiare delle misure di rallentamento. Però dovrà essere molto graduale.

Il rischio, che l’Italia non può di certo permettersi, di una riapertura non calibrata e ponderata potrebbe determinare un drastico nuovo aumento dei casi, vanificando i risultati raggiunti con estremi sacrifici.

L’idea più razionale pare quella di una riapertura parziale di alcune fabbriche probabilmente quelle che operano in contesto di “vicinanza lavorativa” alla filiera agroalimentare e sanitaria, e quella meccanica e logistica.

Le progressive misure di ripartenza potrebbero interessare anche alcuni negozi, mentre tutte le attività caratterizzate dalla concentrazione di persone in spazi chiusi (bar, ristoranti, locali per il divertimento, cinema, teatri, stadi) andrebbero automaticamente in coda.

La graduale riapertura verrà monitorata  da un’intensa attività di controlli da parte delle forze dell’ordine, per verificare che le persone non escano più di quanto necessario.

Nella giornata di sabato i soggetti sottoposti a controlli sono stati 203.011, gli “irregolari” sono stati 4.942.

Cittadini che, nonostante i divieti, hanno ignorato tutte le misure di contenimento spostandosi dalla propria abitazione.  Cinquanta di questi sono usciti di casa nonostante fossero in quarantena, perché risultati positivi al Covid-19, adesso rischiano di essere processati per epidemia colposa.

Le settimane che seguiranno saranno sicuramente quelle decisive nella prospettiva di una vittoria che, in questo momento appare ancora lontana, ma raggiungibile se l’Italia tutta si dimostrerà coesa, determinata, responsabile e consapevole.

Occorre che i cittadini investano le ultime energie emotive rimaste, affinché il nemico invisibile e beffardo che ha sconvolto la vita e le abitudini radicate di miliardi di persone possa essere finalmente abbattuto.

Antonio Mulone

 

Coronavirus: calo dei contagi al nord e si riduce l’esodo al sud. I numeri dei rientri in Sicilia

Quella che si è appena aperta sarà una settimana cruciale nella lotta al virus che sta mettendo in ginocchio il mondo. L’ultimo report diffuso dalla Protezione civile sull’emergenza corona-virus appare come una speranza flebile ma dal valore simbolico ed emotivo enorme, soprattutto per il Nord d’Italia. Al Sud, invece, il numero dei contagi sembra andare in tutt’altra direzione.

Il dato nazionale dei nuovi contagi è 3.957, comunque tanti, ma meno rispetto ai 4.921 casi del giorno prima. Cala lievemente anche il numero dei nuovi decessi: nella giornata di domenica 142 in meno rispetto al giorno precedente.

L’importante rallentamento di decessi e contagi si registra soprattutto in Lombardia – regione in prima linea nella lotta al virus – è un dato che, se confermato dai prossimi bollettini, dovrebbe portare tra una settimana anche a un primo ma decisivo decongestionamento delle terapie intensive lombarde, vere e proprie trincee di guerra presiedute da medici ed infermieri, eroi del quotidiano.

Il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli negativo tra l’altro al tampone effettuatogli, parla di dati in controtendenza ma prega di  non abbassare la guardia.

Il presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli definisce il dato “in lieve deflessione” ma invita severamente a “non farsi prendere da facili entusiasmi” né “a sopravvalutare questa tendenza” perchè questa  settimana sarà  assolutamente cruciale.

L’impatto concreto delle severe misure, dunque, lo potremo valutare solo a fine mese, non da un giorno all’altro, anche perchè se al nord il virus potrebbe allentare la presa, al sud sembra essere appena iniziata la lotta al virus, con una consistente accelerazione dei contagi.

L’annuncio del premier Giuseppe Conte sull’ulteriore stretta alle attività produttive ritenute non di primaria importanza ed il nuovo decreto che blocca tutti gli spostamenti dal comune dove si risiede hanno arginato i rientri ma, di fatto, l’esodo al sud non sembra essersi esaurito del tutto.

Nonostante le misure disposte sia dall’Esecutivo che dalla Regione Sicilia, gli sbarchi di questi giorni nelle città dello Stretto confermerebbero l’inarrestabilità del flusso dal nord d’Italia e dall’estero, anche se – comunque- si è registrato un calo consistente dei rientri.

 

Le code createsi agli imbarchi che ieri sera hanno allarmato la popolazione sarebbero dovute solo ai severi controlli e al termoscanner effettuato sui passeggeri.

Di seguito vi riportiamo i numeri contenuti nel report diffuso dal Gruppo Caronte & Tourist – l’azienda che gestisce il transito sullo Stretto in merito alla situazione di questi giorni agli imbarchi per la Sicilia.

Domenica sono partiti da Villa San Giovanni verso la Sicilia 551 passeggeri, in netto calo rispetto ai 739 del giorno prima, ai 729 di venerdì e ai 923 di giovedì.

Sono state 239 le auto imbarcate, secondo i dati di Caronte & Tourist. Il giorno prima, sabato, le auto erano state 319 per 739 passeggeri.

A tutti i viaggiatori è stata misurata la temperatura.

In poco più di una settimana, dal 13 marzo a ieri, sono stati 12.265 i siciliani rientrati su 3.869 auto. Ma nello stesso periodo sono partiti per Villa San Giovanni 8.877 passeggeri su 2.407 auto.

La situazione resta comunque poco serena al sud dove negli ultimi giorni l’effetto dei “contagi da rientro” delle scorse settimane sta, tra l’altro, esponenzialmente aumentando.  

“Siamo arrivati al massimo delle misure di prevenzione del contagio in termini di attività sociali e lavorative”, ha spiegato Ranieri Guerra dell’OMS che aggiunge, “è importante frenare il contagio inter-familiare, l’altro grande motore di diffusione del virus”.

L’appello è rivolto in particolare ai 23.000 positivi che si trovano in isolamento domiciliare: “occorre limitare i contatti esterni per interrompere la catena di trasmissione”, ha osservato Guerra.

Bisogna tenere duro, è questo l’appello lanciato dalle nostre autorità.

Mai come in questo momento sono necessari buon senso e responsabilità, solo così si potrà abbattere questo nemico invisibile.

Antonio Mulone

Martina Galletta

Il reale numero dei contagiati è maggiore, bisogna rifare i calcoli

Andrà tutto bene
quicomo.it

Sono trascorse più di quattro settimane dalla diagnosi di positività al SARS-CoV-2 del primo italiano, successivamente definito “paziente uno”. È stata quindi immediatamente attivata una task force allo scopo di risalire all’identità di un potenziale “paziente zero” che avesse importato il virus in territorio italiano. Le ultime evidenze ci orientano verso la Germania: dalle parole dell’infettivologo M. Galli il virus potrebbe originare da un iniziale contagio in territorio tedesco avvenuto tra il 25 e il 26 Gennaio. L’ipotesi più verosimile è che il virus sia quindi in circolazione da molto più tempo rispetto a quanto ci dicano i dati.

Nel frattempo, nonostante tutte le misure straordinarie per limitare il contagio, il numero di soggetti con diagnosi di Covid-19 è aumentato sia in Italia che nel resto dell’Europa e del mondo. Al momento abbiamo superato i 200.000 casi totali con una letalità compresa tra l’1 e il 10% a seconda della regione geografica presa in considerazione.

Le direttive dell’OMS per la conferma di un caso positivo

L’Organizzazione Mondiale della Sanità prevede l’esecuzione di un tampone per confermare la diagnosi dei casi sospetti. Il test consiste nel prelievo di materiale a livello nasale e orofaringeo e la successiva analisi alla ricerca degli acidi nucleici del SARS-COV-2. Si tratta di un esame impegnativo che difficilmente può essere proposto in larghissima scala, specie nell’ipotesi di effettuarlo a tappeto in Paesi con decine di milioni di abitanti.

Alcuni studi suggeriscono di dare importanza anche al quadro radiologico dei casi sospetti, che permetterebbe di fare diagnosi in un numero addirittura superiore di soggetti se paragonato al tampone. La metodica tuttavia rimane al momento di solo supporto alla diagnosi, che è confermata dal tampone come da direttive OMS.

L’approccio è diverso da parte delle nazioni: l’esempio della Corea del Sud

Fin dall’inizio della pandemia i Paesi hanno organizzato il lavoro di diagnosi e controllo dei contagi in modo non uniforme. Interessante l’approccio della Corea del Sud che trae un’importante esperienza dalla MERS, un’altra epidemia fronteggiata fino a pochi anni fa causata da un Coronavirus. In questo Paese i tamponi si fanno addirittura in auto con l’obiettivo di raggiungere quanti più soggetti possibili, anche se asintomatici. Sono state messe in atto persino misure che hanno generato qualche perplessità in materia di privacy come l’applicazione Corona 100m che, incrociando i dati GPS, della videosorveglianza e le transazioni, localizza i casi positivi e permette di monitorarne gli spostamenti. Ad oggi in Corea sono stati effettuati oltre 280.000 tamponi di cui soltanto circa il 3% (8.320) sono risultati positivi.

In Corea del Sud il test si effettua anche in auto
Focus – In Corea del Sud si effettuano i tamponi anche in auto

In Italia si procede in modo diverso

Nel nostro Paese l’approccio è stato fin’ora differente. Il tampone è previsto, soprattutto nelle aree più colpite dove la richiesta è altissima, principalmente per i soggetti che presentano un quadro respiratorio grave, associato ad altri elementi diagnostici caratteristici dell’infezione. Questo approccio, almeno per il momento, esclude gran parte dei soggetti asintomatici o paucisintomatici dalla possibilità di ricevere il tampone.

In Italia sono stati infatti effettuati meno di 150.000 tamponi di cui oltre il 20% (31.506) è risultato positivo. Ciò significa che nel nostro Paese si fanno meno tamponi per unità di popolazione, molti dei quali risultano positivi dato che coinvolgono più spesso soggetti già sintomatici, quindi con un decorso clinico potenzialmente peggiore.

I limiti del tampone orofaringeo

Il classico tampone orofaringeo sembrerebbe presentare dei limiti, ancora non perfettamente quantificabili. In uno studio cinese effettuato su circa 200 pazienti sono state valutate varie sedi biologiche dove effettuare la ricerca del virus. L’espettorato e il tampone nasale e orofaringeo non sempre fanno diagnosi con certezza, ma perdono alcuni casi potenzialmente positivi (fino a 3 su 10, ma il numero di dati analizzati è comunque basso e quindi poco significativo).

Percentuali varie sedi di prelievo per tampone

Questa limitazione della sensibilità della metodica può essere superata facendo più tamponi in tempi diversi. Altrimenti, in casi selezionati, è possibile effettuare, attraverso una tecnica che prende il nome di lavaggio broncoalveolare, un’analisi del materiale presente a livello dei piccoli bronchi e degli alveoli, con una corretta diagnosi nella quasi totalità dei casi.

Quella che vediamo è solo la punta dell’iceberg, ma c’è del buono

La saturazione del Sistema Sanitario nelle zone italiane più colpite, associata alle modeste limitazioni del tampone, determina il fatto che gran parte dei soggetti asintomatici o paucisintomatici non riceveranno una diagnosi. L’OMS ci suggerisce che per ogni persona che richiede l’ospedalizzazione ci siano quattro soggetti asintomatici. Sulla base di questo rapporto è possibile ipotizzare che quella che vediamo sia solo la punta dell’iceberg e i soggetti infetti siano molti di più di quanto ci dicano i numeri.

Uno studio della fondazione GIMBE ipotizza che ad oggi in Italia possano esserci fino a 100.000 contagiati, di cui circa 70.000 casi non identificati.

Questa può essere letta, in parte, come una buona notizia: infatti permetterebbe di rivalutare il tasso di letalità dell’infezione in Italia. Questo valore fa molto preoccupare dato che raggiunge livelli molto alti (fino al 10%) in alcune zone del nostro Paese. La letalità si calcola mettendo in rapporto i decessi legati alla malattia e i casi identificati della malattia stessa (confermati quindi dal tampone). Se il numero effettivo dei contagiati, com’è verosimile credere, è notevolmente più alto, allora il tasso di letalità sarebbe più basso e in linea con quello di altri Paesi.

Anche se il Coronavirus così può fare meno paura, gli effetti di un rapido aumento delle ospedalizzazioni rimangono devastanti per il Sistema Sanitario, già allo stremo prima dell’emergenza. Soltanto evitando i contatti tra le persone e quindi isolando gli asintomatici potremo ridurre i contagi e tornare, al più presto, ad apprezzare il valore della normalità.

Antonino Micari

Coronavirus in Uk: immunità di gregge e misure sui generis

Grande subbuglio e preoccupata polemica, queste le caratteristiche del clima che si respira in Gran Bretagna per la strategia del Governo di “ritardare” l’impatto del coronavirus evitando le disposizioni drastiche imposte in altri Paesi.

L’esecutivo inglese non minimizza affatto la dimensione di gravità della situazione socio-politica, ma ha comunque deciso di intervenire con modalità diverse.

Il premier Boris Johnson ha avvertito bruscamente le famiglie inglesi di prepararsi a vedere “molti dei loro cari morire prima che sia giunta la loro ora”, e ha detto che:” 10mila persone potrebbero già avere contratto il virus in Gran Bretagna”.

Il bilancio attuale non è severissimo: i morti nel Regno Unito sono 24 e i casi accertati sono quasi 1000.

Le autorità inglesi ammettono di aver eseguito, per il momento, pochi tamponi sulla popolazione, e che la situazione potrebbe rivelarsi molto più drammatica rispetto alle previsoni statistiche ufficiali.

Il Regno Unito, in questo delicato momento, si divide tra il classico fanatismo british da “keep calm and carry on” e tra chi invece critica la mancanza di trasparenza delle capacità reattive delle istituzioni politiche inglesi.

 

Le scuole, le università e gli istituti d’istruzione rimangono aperti, anche in seguito al forte attacco del PM inglese Boris Johnson rivoltosi ad alcuni atenei:

” Dovreste smetterla di adottare misure per vostro conto e seguire le indicazioni del governo e degli esperti.
Vorrei esortare qualsiasi istituto di educazione, scuole, asili, università e college ad attenersi alle indicazioni mediche e scientifiche, non c’è motivo di chiudere gli istituti in questo momento”.

Sono infatti sempre più numerose le università che si ribellano alla presunta mancanza di responsabilità da parte delle autorità britanniche, prima fra tutte la celebre Oxford che ha dichiarato:” Non siamo cavie del Governo”.

Il piano attuale per il contenimento del virus è che sia essenziale sviluppare una presunta immunità nella popolazione in riferimento all’ormai famosa definizione del consigliere scientifico del governo Sir Patrick Vallance di “l’immunità del gregge”.

Affinché si ottenga questa immunità è necessario, paradossalmente, che il 60% della popolazione contragga il Covid-19.

Questa leggerezza politica significherebbe che di una popolazione composta da circa 60 milioni di persone, 36 milioni di cittadini potrebbero contrarre il virus, dunque prevedendo un tasso di mortalità al 3% si rischierebbe di produrre 1,08 milioni di morti.

 

Proteggere gli anziani e i più deboli mentre il resto della popolazione sviluppa “l’immunità di gregge”, lasciandosi contagiare dal virus e sviluppando cosi una  propria immunità.

Pazienza dunque se si tratta di un popolo e non di un gregge è troppo tardi per contenere il virus quindi l’unica mossa da compiere è gestire, aprendo e chiudendo “i rubinetti” del contagio, mentre si tutelano solo i più deboli.

Così appare agli occhi attenti del mondo il ragionamento socio-politico quanto meno bizzarro e “sui-generis” delle istituzioni del Regno Unito.

Tutta l’Europa si augura che la “roulette russa” inglese non aggravi un quadro socio-politico già compromesso da una pandemia senza precedenti che continua a mietere vittime e a mettere in ginocchio la stabilità mondiale.

Antonio Mulone

Nuovo preoccupante esodo dal Nord Italia, prese misure precauzionali

Negli ultimi giorni si sta verificando un nuovo fenomeno di fuga dal nord, dalla Lombardia, da Milano.

Si potrebbe definire il “nuovo esodo milanese” quello compiuto da migliaia di studenti e lavoratori fuorisede che in questa complessa situazione di panico vogliono ricongiungersi con le famiglie.

Il rischio correlato a questa evasione di massa dal nord è quello di favorire la diffusione esponenziale del Coronavirus nelle regioni del sud-Italia che in queste ore appaiono come le meno colpite da quella che L’Oms ha definito una “pericolosa pandemia”.

Due le tratte più affollate: la Milano-Siracusa-Palermo e la Milano-Lecce; importanti e preoccupanti anche gli afflussi nelle tratte notturne dei giorni precedenti.

Tante le denunce vane e disperate del personale a bordo dei treni che ha più volte evidenziato l’assenza di sicurezza sanitaria nei vagoni letto, la promiscuità tra passeggeri alla quale si è obbligati pur di raggiungere la meta dell’agognato viaggio.

Il Ministero dei Trasporti ha comunicato la sospensione totale ed immediata dei treni notturni al fine di contenere l’emergenza sanitaria.

Il Ministro di competenza De Micheli ha dichiarato in merito:

Il governo sta garantendo e sta attuando le misure che consentono alle persone di spostarsi esclusivamente per comprovate esigenze lavorative o per motivi sanitari urgenti e improcrastinabili. Resta quindi forte la raccomandazione di evitare gli spostamenti inutili, la partenza da una regione all’altra per incontrare familiari o amici.”

La decisione forte del ministero sullo stop ai convogli notturni è stata sollecitata anche da molti amministratori delle regioni del sud-Italia affinché potessero essere bloccate potenziali linee di contagio e garantite la tutela della salute della popolazione, del personale viaggiante fino ai cittadini delle regioni dove ancora il virus parrebbe darci il tempo di issare un argine.

Il Governatore della Puglia Emiliano si è sfogato così sulle sue pagine social:

Ci state portando tanti altri focolai di contagio che avremmo potuto evitare. In Puglia ieri, in un giorno, si sono registrati 50 casi in più, il conto è arrivato a 158 positivi”.

Le autorità hanno predisposto per le persone che arrivano in queste ore nuove e rigorose prescrizioni restrittive alle quali attenersi, come l’obbligo di segnalare il loro arrivo e rimanere in quarantena per 14 giorni.

Spostamenti non giustificati che rischierebbero di vanificare l’enorme sforzo degli italiani per arginare la diffusione del virus. Nelle ultime ore, infatti, sembra che sia ripreso il flusso di viaggiatori che lasciano le Regioni del Nord per raggiungere via rotaia il Mezzogiorno, soprattutto a seguito della soppressione dei voli.

Venerdì già il Governo Musumeci aveva dimezzato le corse degli autobus pubblici e privati e delle navi traghetto, sospendendo le linee non essenziali. “Non escludiamo, per quanto di nostra competenza, un’ulteriore stretta”, ha detto il presidente della Regione Sicilia.

Regole precauzionali in atto anche nei comuni dello Stretto di Messina, nello specifico la stazione di Villa San Giovanni e Messina impegnate sinergicamente, come ha comunicato il sindaco di Messina De Luca, nella supervisione e nel controllo degli arrivi attraverso autocertificazioni obbligatorie, controlli con il termoscanner agli imbarcaderi di Messina con obbligo di isolamento per eventuali casi sospetti.

Ci attendono sicuramente settimane difficili nelle quali a fare la differenza nella battaglia al Coronavirus saranno la responsabilità ed il buon senso collettivi, che gli italiani nei momenti complicati hanno sempre dimostrato.

Antonio Mulone

Terapia COVID-19: trattamenti attuali e novità promettenti con immunoterapia

L’infezione da SARS-CoV-2 mercoledì è stata dichiarata dall’OMS una pandemia. Il Sistema Sanitario Nazionale italiano potrebbe non reggere al crescere esponenziale dei numeri, si paventa soprattutto l’assenza di un numero di posti in terapia intensiva sufficienti a contrastare una pandemia.

Come agisce il SARS-CoV-2?

Nella nostra storia recente ci sono state tre epidemie correlate ad infezioni da parte di coronavirus:

  • SARS-CoV (Severe-Acute-Respiratory-Syndrome), 2002-03; 
  • MERS-CoV (Middle-East-Respiratory-Syndrome), 2012;
  • SARS-CoV-2, oggi. 

L’analogia nel nome con la prima epidemia, scoppiata ad Hong-Kong nel 2002, non è un caso perché anche SARS-CoV-2, come SARS-CoV, ha come primum movens dell’infezione il legame tra gli spikes dell’involucro glicoproteico ed il recettore enzimatico di membrana ACE2, mentre il MERS-CoV segue un’altra via.

ACE2 è un enzima che fa parte del sistema più importante di regolazione della pressione arteriosa, ovvero il sistema RAAS (Renina-Angiotensina-Aldosterone). ACE2 ed il suo omologo ACE hanno funzioni fisiologiche opposte: ACE2 ha azione vasodilatatrice ed antipertensiva, mentre ACE induce vasocostrizione operando sui recettori AT1.

Il RAAS può essere la chiave per il trattamento della COVID-19?

Purtroppo si tratta solo di ipotesi. Quando il virus penetra nelle nostre cellule, legandosi ad ACE2, porta con sé lo stesso recettore, comportando una down-regolazione della sua espressione e conseguentemente una riduzione dei suoi effetti vasodilatatori. Questa dis-regolazione del sistema RAAS sarebbe quindi, secondo diversi studiosi, uno dei fattori di rischio maggiori per l’aggravamento dei pazienti affetti da COVID-19.

A tal proposito una categoria di farmaci antipertensivi potrebbe migliorare il decorso della polmonite: gli inibitori selettivi del recettore AT1sartani. Questi hanno mostrato di aumentare l’espressione a livello cardiaco del recettore ACE2 dopo infarto del miocardio. L’effetto terapeutico è quello vasodilatatore, dato sia dal blocco diretto dei recettori AT1 sia dall’induzione dell’espressione di ACE2. La vasodilatazione a livello del circolo polmonare garantirebbe quindi un miglior rapporto ventilazione-perfusione e una diminuzione del rischio di insufficienza respiratoria. 

Prima di poter utilizzare i sartani, dovrebbero però essere eseguiti trial clinici per verificare il loro ruolo di “fattore protettivo”. Bisogna valutare l’incidenza della malattia nei pazienti che già ne facevano uso ed i loro reali effetti positivi sul decorso clinico.

Fonte: ANSA

Allora quali sono i farmaci che realmente vengono utilizzati oggi?

Nell’attesa di un vaccino, che non si renderà disponibile sicuramente prima di luglio, le principali armi per il trattamento della polmonite causata da SARS-Cov-2 a nostra disposizione sono i farmaci antivirali associati, in caso di necessità, all’ossigenoterapia. Fra gli antivirali quelli di prima linea sono non virus specifici, i più utilizzati sono i seguenti:

  • Ribavarina = analogo della guanosina contenente la base azota modificata, agisce inibendo la sintesi dei nucleosidi e utilizzata comunemente per il trattamento dell’epatite C, durante l’epidemia di SARS nel 2002-03 usata in alcuni casi ad Hong-Kong; 
  • Lopinavir e Ritonavir = entrambi degli inibitori delle proteasi virali, attivi contro il virus dell’HIV, operano impedendo che le poliproteine tradotte dal genoma virale vengano clivate a formare proteine funzionalmente utili all’attività del virus;
  • Remdesevir = analogo nucleotidico sviluppato per il trattamento del virus Ebola, per cui è stata successivamente dimostrata un’attività contro altri virus a RNA a singolo filamento come i coronavirus. La sua combinazione con l’interferone-beta (INFb) si è dimostrata adatta al trattamento della COVID-19. Per l’OMS è il miglior candidato per contrastare SARS-CoV-2 ed è il farmaco usato allo Spallanzani per i turisti cinesi trovati positivi a gennaio (i primi due casi in Italia).

Esistono anche degli antivirali coronavirus-specifici come gli inibitori della proteasi dei coronavirus; in questo gruppo rientrano la cinanserina, un vecchio farmaco conosciuto per la sua azione di antagonismo del recettore della serotonina, e i flavonoidi, dei composti di derivazione naturale con molte funzioni tra le quali quella antivirale ed antiossidante. Entrambi agiscono bloccando l’azione della proteasi chimotripsina-simile dei coronavirus e si sono dimostrati efficaci in passato nelle pandemie di SARS-CoV e MERS-CoV.

Immunoterapia: il Tocilizumab

Altra opzione terapeutica valida è l’immunoterapia: è di sabato scorso la notizia del suo primo utilizzo in Italia, a Napoli su due pazienti con polmonite severa. L’immunofarmaco in questione è il Tocilizumab, normalmente utilizzato nell’artrite reumatoide e gold standard nella cura della sindrome da rilascio citochimica nel trattamento con cellule CAR-T. Il Tocilizumab è un anticorpo monoclonale che agisce bloccando l’interleuchina 6, una delle principali citochine con attività proinfiammatoria; si tratta di un uso off-label, frutto della collaborazione tra oncologi ed infettivologi.  Gli effetti positivi si sono mostrati già nelle prime 24 ore così che da giovedì si è valutata la possibilità di estubare i due pazienti. Ora si valuta di estenderne l’utilizzo a più di 250 soggetti in condizioni critiche. L’inconveniente principale è rappresentato dal prezzo elevato, ma la nota casa farmaceutica Roche si è offerta di fornirlo gratuitamente in questo periodo di emergenza. 

Il nostro sistema immunitario si è dimostrato spesso la chiave giusta da inserire per un successo terapeutico e tutti noi speriamo lo sia anche questa volta.

Antonio Mandolfo

Bibliografia:

https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1002/ddr.21656

http://apjai-journal.org/wp-content/uploads/2020/03/5_AP-200220-0773.pdf

https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1002/jmv.25707

https://napoli.repubblica.it/cronaca/2020/03/08/news/napoli_coronavirus_farmaco_usato_su_due_casi-250676409/?ref=fbpr

Coronavirus: per l’OMS è pandemia. Cosa cambia per l’Italia

A causa dell’elevata diffusione del Coronavirus SARS-CoV-2, l’OMS (Organizzazione Mondiale Della Sanità) ha annunciato lo stato di pandemia. Ecco qual è il significato e quali sono le differenze tra focolaio, epidemia e pandemia.

CHE COS’E’ UN FOCOLAIO?

Quando una condizione patologica su base infettiva comporta un certo numero di contagi all’interno di una comunità, di una regione o di una stagione circoscritta, si parla di focolaio. Un tipico esempio è fornito dai focolai di Brucellosi (zoonosi associata ai batteri appartenenti al genere Brucella) in alcune città siciliane. In questi casi vengono effettuate indagini epidemiologiche, vengono tracciate mappe sugli spostamenti delle persone colpite, come è accaduto nei giorni scorsi nel Nord Italia.

CHE COS’E’ UN’EPIDEMIA?

Quando una patologia infettiva è caratterizzata da una manifestazione frequente, localizzata e di durata limitata nel tempo si parla di epidemia. E’ questo il caso dell’influenza, riscontrata stagionalmente, in cui non vi è un vero e proprio focolaio ma una trasmissione diffusa, contrastata da programmi di prevenzione (vaccinazioni). 

CHE COS’E’ UNA PANDEMIA?

Quando una patologia infettiva si propaga in molti Paesi o continenti, minacciando gran parte della popolazione mondiale si parla di pandemia (dal greco “pan-demos” ovvero “tutto il popolo”). La classificazione in 6 classi che descriveva progressivamente le varie fasi del processo infettivo (periodo intrapandemico con fase 1 e fase 2, periodo di allerta pandemica con fase 3, 4 e 5 e periodo pandemico con fase 6), precedentemente utilizzate per analizzare la diffusione della patologia infettiva, non sono più prese in considerazione. Una revisione effettuata nel febbraio 2009 sulla definizione e dichiarazione di pandemia, definisce le condizioni che oggi l’OMS deve riconoscere affinché si possa parlare di una vera e propria pandemia. Esse sono:

  1. La comparsa di un nuovo agente patogeno;
  2. La capacità di tale agente di colpire gli esseri umani;
  3. La capacità di tale agente si diffondersi rapidamente per contagio.

In seguito agli ultimi dati riguardanti l’infezione da Coronavirus SARS-CoV-2 (118mila casi segnalati  a livello globale in 114 paesi), il Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità , Tedros Adhanom Ghebreyesus, ieri ha dichiarato: “Abbiamo valutato che il Covid-19 può essere definito come una pandemia. Non abbiamo mai visto una pandemia di un Coronavirus, questa è la prima, ma non abbiamo mai visto nemmeno una pandemia che può, allo stesso tempo, essere controllata”. Walter Ricciardi dell’OMS, anche Consigliere per il Coordinamento con le istituzioni sanitarie internazionali del ministro della Salute italiano Roberto Speranza, ha dichiarato: “Con la dichiarazione dello stato pandemico l’OMS può mandare i suoi operatori in loco, come fanno i caschi blu dell’ONU e chiedere ai singoli Paesi di adottare misure di mitigamento, come il fermo di alcune attività o dei trasporti anche via terra“. Ha sottolineato l’esperto: “Il non rispetto delle disposizioni equivarrebbe alla mancata applicazione di norme internazionali, che implica l’applicazione di sanzioni“.

COSA CAMBIERA’ PER L’ITALIA?

Lo stato di pandemia rappresenta una nuova dura prova per la penisola italiana (interamente dichiarata “zona protetta”), al fine di contrastare la diffusione del virus sono state attuate delle misure ancora più restrittive, queste ultime riguardano la sospensione su tutto il territorio nazionale delle attività commerciali al dettaglio (fatta eccezione per i beni di prima necessità), delle attività dei servizi di ristorazione e delle attività inerenti i servizi alla persona. Al fine di contenere l’emergenza sanitaria, come specificato dall’esperto Ricciardi, il Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro della Salute può disporre la programmazione con riduzione e soppressione dei servizi automobilistici interregionali e di trasporto ferroviario, areo e marittimo.

LE PANDEMIE DEL VENTESIMO SECOLO

Date le nuove direttive dell’OMS, possiamo affermare di vivere una nuova pagina di storia, una nuova pandemia del ventunesimo secolo, ma quali sono state le pandemie dello scorso secolo? E cosa possiamo apprendere da esse?

Nel ventesimo secolo hanno letteralmente scritto la storia della Medicina tre pandemie influenzali:

LA SPAGNOLA: è associata al Virus Influenzale A (sottotipo antigenico H1N1), nel 1918  un terzo della popolazione mondiale fu colpito dall’infezione, contraddistinta da una letalità maggiore del 2,5%, tale virus riemerse nel 1977 causando un’epidemia negli Stati Uniti. Dal 1995, a partire da materiale autoptico conservato, furono isolati e sequenziati frammenti di RNA virale del virus della pandemia del 1918, così come fu descritta la completa sequenza genomica di un virus e quella parziale di altri 4. Tramite questi studi emerse che il virus è l’antenato dei ceppi suini A/H1N1 e A/H3N2.

-L’ASIATICA: è associata al Virus Influenzale A (sottotipo antigenico H2N2), gli studi si basarono sui test di fissazione del complemento e sul test dell’emagglutinina virale e furono confermati dalla neuraminidasi. Il sottotipo del virus dell’Asiatica del 1957, che fu  identificato come un virus A/H2N2, scomparve dopo 11 anni.

L’INFLUENZA HONG KONG: è associata al Virus Influenzale A (sottotipo antigenico H3N2), tale virus differisce dall’antecedente (H2N2) per l’antigene emagglutinina ma aveva lo stesso antigene neuraminidasi.

LO STATO DI PANDEMIA SI PUO’ DEFINIRE UNA SCONFITTA?

Ghebreyesus ha dichiaro: Pandemia non è una parola da usare con leggerezza o negligenza, è una parola che, se usata in modo improprio, può causare paura irragionevole o accettazione ingiustificata che la lotta sia finita, portando a sofferenze e morte inutili”. L’esperto ha voluto, pertanto, sottolineare il costante impegno dell’OMS ai fini del contenimento di questa patologia che sta destando preoccupazione in tutto il mondo.

Caterina Andaloro

BIBLIOGRAFIA:

https://www.bag.admin.ch/bag/it/home/krankheiten/ausbrueche-epidemien-pandemien.html

https://www.epicentro.iss.it/passi/storiePandemia

 

 

La Cina pronta ad aiutare l’Italia: in arrivo team di medici specializzati e materiale tecnico

Importanti novità che fanno ben sperare sul fronte degli aiuti.

Il governo cinese, in seguito al colloquio telefonico tra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ed il ministro Luigi Di Maio, si impegna concretamente nella battaglia contro il Coronavirus nella quale sarà fondamentale lavorare in sinergia al fine sconfiggere o quantomeno tamponare questa emergenza sanitaria.

La Cina, nei prossimi giorni, fornirà all’Italia 1000 ventilatori polmonari, 100mila mascherine di ultima tecnologia e 20 mila tute protettive.

La fornitura prevede anche l’invio di 50 mila tamponi per effettuare nuovi test che ci faranno capire se le nuove restrizioni imposte negli ultimi giorni dal Presidente del Consiglio Conte avranno rallentato l’avanzare del virus.

Altro dato assolutamente rivelante nell’asse collaborativo Cina-Italia nato nelle ultime ore è l’arrivo di medici altamente specializzati del Chinese Center for Disease Control and Prevention che per primi hanno affrontato il picco dell’emergenza Coronavirus.

Ficcanti e significative in tal senso sono state le parole espresse nelle ultime ore dal leader del Movimento 5 Stelle Di Maio:

“In futuro ci ricorderemo di tutti i Paesi che ci sono stati vicini in questo momento”.

Il Governo Italiano, conscio della contestuale emergenza economico-finanziaria venutasi a sviluppare, ha poi comunicato nella giornata di oggi lo stanziamento di 25 miliardi di euro.
Lo ha annunciato Conte: “Abbiamo stanziato una somma straordinaria da non utilizzare subito ma da  per far fronte a tutte le difficoltà di questa emergenza. Siamo lieti del clima che si sta definendo a livello europeo”.

“Obiettivo prioritario è tutelare la salute dei cittadini ma non dimenticare gli altri interessi in gioco”, ha concluso il Presidente del Consiglio dei Ministri in chiaro riferimento ai danni che il tessuto economico e finanziario stanno subendo.

Il governo si è inoltre reso disponibile a potenziare la macchina organizzativa sanitaria, dunque l’acquisizione e la distribuzione delle forniture per la terapia intensiva e le protezioni individuali, mediante la nomina di una persona (un commissario) che possa coordinare al meglio le direttive imposte dall’emergenza.

 

L’Italia condividerà informazioni con l’UE affinché aumenti l’efficacia del contrasto alla diffusione del virus, procedendo verso un’azione sinergica che possa migliorare i nostri sistemi sanitari nazionali.

“Lavoreremo in coordinamento, manderemo i nostri scienziati per creare una task force europea per promuovere la ricerca e combattere questo virus ignoto”, ha spiegato il premier.

Mai come oggi la parola d’ordine dovrà essere unione, di intenti e di forze, solo così nelle prossime settimane si potrà con concretezza opporre resistenza al nemico comune preservando la salute pubblica, che mai come oggi, è stata messa in pericolo.

Antonio Mulone