Talassemia, che rottura! Le prospettive di vita e l’importanza della donazione del sangue

La talassemia (dal greco θάλασσα, thàlassa, «mare», e αίμα, èma, «sangue») è una malattia genetica ereditaria del sangue che colpisce l’emoglobina, una proteina presente nei globuli rossi che è responsabile del trasporto dell’ossigeno dai polmoni ai tessuti del corpo. Conosciuta popolarmente come anemia mediterranea, la talassemia consegue, in chi ne soffre, una riduzione patologica dell’emoglobina al di sotto dei livelli di normalità.

I globuli rossi sono responsabili del trasporto di ossigeno ai tessuti, quindi la talassemia può portare a una serie di sintomi. I più comuni sono legati alla carenza di ossigeno come stanchezza, debolezza, colorito pallido della pelle e in casi più gravi può portare l’insorgenza di problemi cardiaci, ingrossamento della milza e del fegato e osteoporosi.

In Italia, la talassemia è più diffusa in Sardegna e Sicilia, dove la prevalenza dei portatori sani è superiore al 10%. Si stima che in Italia in totale vi siano circa 7.000 persone affette da beta-talassemia.

 

  1. Che tipi di talassemia esistono?
  2. Donazione di sangue, una (l’unica) cura necessaria
  3. La cultura della donazione del sangue in Italia

Che tipi di talassemia esistono?

Esistono diversi tipi di talassemia e la gravità della condizione può variare notevolmente. Un paziente talassemico necessita trattamenti continui per tutta la durata della vita. Ciò può avvenire per mezzo di trasfusioni di sangue o trapianto di midollo osseo per mantenere livelli accettabili di emoglobina nel corpo. L’emoglobina è costituita da quattro catene proteiche: due alfa (codificate da 4 geni sul cromosoma 16) e due beta (codificate da 2 geni sul cromosoma 11). A seconda di quali catene sono difettose si parla di alfa o beta talassemia.

  • Alfa talassemia: causata da una mutazione genetica che altera la produzione delle catene alfa dell’emoglobina
  • Beta talassemia: causata anch’essa da una mutazione genetica. Questa a sua volta viene distinta in major (morbo di Cooley) e talassemia intermedia a seconda della manifestazione clinica.

La gravità della talassemia dipende dal tipo e dalla severità della mutazione genetica. La forma più grave è la beta talassemia major, che si manifesta con sintomi importanti fin dalla nascita e richiede trasfusioni di sangue regolari. Le forme più lievi di talassemia, invece, possono essere asintomatiche o presentare sintomi lievi.

Donazione di sangue, una (l’unica) cura necessaria

Ad oggi, non esiste una cura definitiva per la talassemia. Tuttavia, esistono trattamenti che possono aiutare a controllare la malattia e migliorare la qualità della vita dei pazienti. Un paziente talassemico deve difatti seguire un programma di cure regolari come ad esempio le trasfusioni di sangue, necessarie per ripristinare i livello di emoglobina e prevenire le complicanze della malattia. La frequenza delle trasfusioni di sangue per i pazienti talassemici dipende dalla forma e dalla gravità della malattia.

Un paziente talassemico necessita mediamente una trasfusione di due sacche di sangue ogni circa 15-20 giorni (nel caso di beta-talassemia) e almeno una al mese in caso di beta-talassemia intermedia.

 

Video di FASTED Messina – Federazione Associazioni Siciliane di Talassemia Emoglobinopatie e Drepanocitosi

La cultura della donazione del sangue in Italia

In Italia operano numerose associazioni che si dedicano alla promozione della donazione di sangue e di emocomponenti. Queste associazioni sono indipendenti tra loro, ma collaborano attivamente con il Servizio Trasfusionale Nazionale.

Tra le principali associazioni di sangue che operano in Italia si trovano: AVIS, FIDAS e FRATRES. Le associazioni di sangue svolgono un ruolo fondamentale per il Servizio Sanitario Nazionale. Grazie al loro impegno, è possibile garantire la disponibilità di sangue e di emocomponenti di qualità per tutti i pazienti che ne hanno bisogno.

La talassemia è una malattia che ancora non ha una cura. E’ necessario dunque agire, informarsi e fare prevenzione. L’unico modo per dare una mano e contribuire è diventare un donatore di sangue periodico, presso le associazioni menzionate ma anche presso i centri trasfusionali ospedalieri.

Diffondi la (l’unica) cura di cui disponiamo tutti: il nostro sangue.

 

Davide Giuseppe Allegra

 

 

Fonti:

Anemia mediterranea o Talassemia (humanitas.it)

Talassemia: farmaci, terapie, sperimentazioni e qualità della vita – Osservatorio Malattie Rare

Talassemie (telethon.it)

Sardegna Salute – Approfondimenti – Talassemia

I globuli rossi: cosa sono, come agiscono, anomalie possibili | TNT POST

Il ”nuovo” gruppo sanguigno Er: una scoperta iniziata nel 1982

Scoprire un nuovo gruppo sanguigno è importante perché, in questo modo, è possibile effettuare correttamente molte diagnosi. Il gruppo sanguigno più recentemente scoperto è stato quello denominato Er e gli studi su di esso hanno avuto inizio nel lontano 1982 a carico dei ricercatori dell’NHS Blood and Transplant e dell’Università di Bristol. 

Indice dei contenuti

  1. I gruppi sanguigni, gli antigeni e gli anticorpi
  2. Il  nuovo gruppo sanguigno
  3. Perché è importante distinguere i gruppi sanguigni?
  4. L’importanza della scoperta

I gruppi sanguigni, gli antigeni e gli anticorpi

I gruppi sanguigni sono delle componenti ereditarie e si identificano grazie agli antigeni presenti sulla superficie dei globuli rossi. Il Sistema AB0 è il più importante tra i 38 sistemi di gruppi sanguigni umani, ed è composto da quattro gruppi (A, B, AB, 0) a seconda che venga rilevato l’antigene A, il B, entrambi o nessuno.
Gli antigeni sono molecole riconosciute estranee dal nostro organismo. Esse provocano l’attivazione del sistema immunitario, con conseguente formazione di anticorpi destinati  al sangue o ai tessuti.
Gli anticorpi, detti anche immunoglobuline, sono invece delle proteine prodotte dai linfociti B nella loro forma matura di plasmacellule, in grado di combinarsi con una porzione dell’antigene, l’epitopo,  nel corso di una reazione immunitaria. Essi svolgono, infatti, una funzione protettiva nei confronti dell’organismo.

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Il nuovo gruppo sanguigno

La scoperta del gruppo Er  è dovuta a tre nuovi antigeni che non corrispondono a quelli che distinguono i quattro gruppi sanguigni già noti del sistema AB0.
Gli studi hanno avuto inizio quando, durante una gravidanza, due neonati morirono di morte cerebrale. La morte era causata, secondo i medici, da una incompatibilità tra il gruppo sanguigno della madre e quello, appunto, del neonato. Infatti, tale incompatibilità si verifica quando una madre Rh negativa partorisce un figlio Rh positivo come il padre.
Successivamente, il team di ricercatori dell’NHSBT del Regno Unito ha analizzato il sangue di 13 pazienti. Sono stati così identificati cinque varianti degli antigeni Er: Er a, Er b, Er 3, Er 4 e Er 5.
Sequenziando il codice genetico dei pazienti, il team è stato in grado di individuare il gene che codifica per le proteine della superficie cellulare.
Il gene preso in considerazione è il PIEZO1. Questo codifica per una proteina che aiuta le cellule a sentire le variazioni locali della pressione dei fluidi, in questo caso del flusso sanguigno. Ciò è necessario per aggiungere l’antigene Er alla superficie delle cellule ematiche.

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Perché è importante distinguere i gruppi sanguigni?

Quando i globuli rossi espongono sulla superficie della membrana degli antigeni che il nostro corpo ha classificato come non-self, il sistema immunitario si attiva, inviando anticorpi per segnalare la distribuzione delle cellule che contengono l’antigene sospetto.
In rari casi, può succedere che i tessuti del feto vengono riconosciuti come estranei dall’organismo della madre e, quindi, aggrediti. Gli anticorpi della classe G (IgG) che vengono prodotti passano attraverso la placenta, portando alla malattia emolitica nel neonato.

 

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L’importanza della scoperta

Alla luce della recente scoperta è difficile fare delle stime sulla frequenza delle varie versioni, ma sembrerebbe che l’isoforma più rara di Er sia Er b, mentre il Er 5 sembrerebbe quella più comune nelle popolazioni africane, dove darebbe un vantaggio nei confronti della malaria. Sebbene le informazioni sulle ultime tre versioni non sono approfondite, possiamo dire che lo studio ha messo in evidenzia il potenziale-antigenicità anche di proteine molto poco espresse e la loro rilevanza per la medicina trasfusionale.

Sofia Musca

Bibliografia

https://www.repubblica.it/salute/2022/10/11/news/scoperto_nuovo_gruppo_sanguigno-369513886/
https://www.rainews.it/articoli/2022/10/scoperto-un-nuovo-gruppo-sanguigno-si-chiama-er-b225ce8b-67ed-4c54-971f-6e9df949c227.html
https://www.vanityfair.it/article/er-e-stato-scoperto-un-nuovo-sistema-di-gruppi-sanguigni
https://www.pianetachimica.it/mol_mese/mol_mese_2018/07_Piezo1_Canale_Meccanosensibile/07_Piezo1_Canale_Meccanosensibile.htm
https://www.humanitas.it/enciclopedia/anatomia/sistema-immunitario-ematologico/gruppo-sanguigno/
https://www.wired.it/article/gruppi-sanguigni-nuovo-sistema-er-scoperta-utilita-clinica/

Dagli studenti per gli studenti: donazione del sangue cordonale

Il sangue contenuto nel cordone ombelicale (SCO) e raccolto al momento del parto, rappresenta una preziosa sorgente di cellule staminali emopoietiche capaci di generare le cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine). Può essere utilizzato, come il midollo osseo e le cellule staminali del sangue periferico, per effettuare il trapianto in pazienti affetti da molte malattie ematologiche (leucemie, linfomi) e da malattie genetiche quali ad esempio l’anemia mediterranea o Morbo di Cooley.

Elenco dei contenuti

Cos’è il sangue cordonale?

Il cordone ombelicale è l’anello di congiunzione tra la placenta e il prodotto del concepimento. E’ costituito da tre vasi ombelicali(una vena e due arterie), che permettono lo scambio di sangue tra la placenta della madre e il feto durante la gravidanza, al fine di garantire al piccolo l’ossigeno e le sostanze necessarie al suo sviluppo. 
Alla nascita, il cordone ombelicale non è più necessario. Per tale motivo viene bloccato (clampato) con una pinza sterile  per evitare la fuoriuscita di sangue e, subito dopo, tagliato. Non contiene nervi, di conseguenza la recisione non è dolorosa né per il bambino né per la madre.

Perchè è importante donarlo?

La donazione del sangue cordonale è importante perché aumenta le possibilità di cura delle persone affette da patologie trattabili solo attraverso un trapianto di cellule staminali emopoietiche. Può contribuire non solo a curare le malattie tumorali del sangue come la leucemia e i linfomi, ma anche le patologie non tumorali, come la talassemia, l’aplasia midollare e le immunodeficienze congenite.

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Come prepararsi?

Il percorso preparatorio prevede:

  • il colloquio della futura mamma con il personale qualificato dei reparti di Ostetricia e Ginecologia, per verificare che sussistano tutte le condizioni di salute necessarie alla donazione
  •  la firma del Consenso Informato

La donazione è totalmente volontaria, anonima e non retribuita. La scelta di non partecipare o ritirarsi da questo programma non richiederà giustificazioni da parte della paziente né comporterà discriminazioni da parte dei sanitari. Inoltre, non influenzerà in alcun modo le cure necessarie alla diade madre-bambino.
In caso di donazione solidaristica, successivamente alla raccolta, il consenso non potrà essere ritirato e non sarà possibile avanzare alcun diritto sull’unità di sangue cordonale. Nell’ipotesi  in cui dovessero sopraggiungere esigenze di un utilizzo clinico intrafamiliare e disponibilità dell’unità  donata, quest’ultima sarà messa a disposizione, dietro richiesta di un sanitario e riscontro di compatibilità, senza costo alcuno.
La futura mamma ha diritto ad una copia del Consenso Informato. Il materiale biologico donato e tutti i dati relativi alla donazione si intendono utilizzabili esclusivamente per quanto sottoscritto nel Consenso Informato.

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Criteri per poter donare e Consenso Informato

Per donare il sangue cordonale è necessario essere in buone condizioni di salute e compilare un questionario anamnestico.  In Italia il Consenso Informato alla donazione allogenica contiene informazioni relative a:

  • Dati anagrafici della donatrice;
  • Modalità di raccolta e conservazione del sangue cordonale;
  • Modalità di utilizzo del sangue cordonale per trapianto;
  • Possibilità di esercitare la facoltà di ritiro alla donazione fino al momento della raccolta;
  • Consenso all’eventuale uso per ricerca nel caso in cui non possa essere utilizzato per trapianto;
  • Richiamo della donatrice a 6 mesi dal parto, per eseguire un prelievo ematico di controllo e valutare lo stato di salute del bambino

Criteri di esclusione

Come per le donazioni di sangue, esistono condizioni cliniche e comportamenti a rischio che precludono la donazione del sangue cordonale. Le principali condizioni cliniche che precludono la donazione riguardano l’esistenza di patologie a carico dei genitori e/o famigliari quali:

  • Malattie autoimmuni;
  • Malattie cardiovascolari;
  • Malattie organiche del sistema nervoso centrale;
  • Neoplasie;
  • Malattie della coagulazione;
  • Crisi di svenimenti e/o convulsioni;
  • Malattie gastrointestinali, epatiche, urogenitali, ematologiche, immunologiche, renali, metaboliche o respiratorie gravi o croniche e/o recidivanti;
  • Diabete insulinodipendente.
  • Malattie infettive (quali AIDS, epatite)

Altri criteri di esclusione sono di natura ostetrico/neonatale e vengono valutati dal personale medico ostetrico durante la gestazione e al momento del parto quali:

  • Febbre in travaglio (febbre >38°C);
  • Rottura delle membrane da oltre 12 ore;
  • Età gestazionale inferiore alle 37 settimane;
  • Distress fetale;
  • Parto vaginale operativo;
  • Malformazioni congenite del neonato;
  • Liquido amniotico tinto;
  • Tampone vaginale assente o positivo per streptococco β-emolitico.

Escludono inoltre la donazione criteri laboratoristici legati alla modalità di raccolta, che possono esporre l’unità a contaminazione microbica o alla formazione di aggregati capaci di innescare la cascata coagulativa, valori volumetrici o cellulari del campione raccolto non adeguati, eventi avversi nel sistema di trasporto, di manipolazione o di congelamento.

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Come avviene la raccolta?

Il SCO, può essere raccolto esclusivamente in parti spontanei a termine non complicati e nei parti cesarei di elezione. La raccolta richiede pochi minuti e viene effettuata senza modificare le modalità di espletamento del parto. La procedura di raccolta non comporta rischi e prevede il recupero del sangue rimasto nel cordone in un’apposita sacca.
La sacca e tutti i materiali utilizzati sono sterili e validati per l’uso specifico. Il sistema prevede che, per ogni donazione, sia possibile raccogliere una quantità di sangue che va da 70 a 200 ml. Se la raccolta non può essere utile ai fini del trapianto, può comunque rappresentare un’importante risorsa per altre finalità cliniche (colliri, concentrati piastrinici, gel piastrinico) o per la ricerca, in conformità alle norme vigenti in materia.

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Conservazione

L’unità viene trasferita presso la Banca di Raccolta e sottoposta ad una serie di controlli ed esami al fine di definire le caratteristiche del sangue e stabilirne l’idoneità alla conservazione e all’uso terapeutico. Vengono bancate esclusivamente le unità cordonali che rispondono ai requisiti di qualità e sicurezza definiti dalle leggi vigenti. Tutti gli esami infettivologici devono risultare negativi e il numero minimo di cellule deve essere rispettato così rendere utilizzabile il campione a scopo trapiantologico.
Se valutato idoneo, il SCO viene congelato e conservato in azoto liquido a –196°C all’interno di , contenitori di stoccaggio costantemente monitorati tramite un sistema di registrazione e di allarme. la conservazione può avvenire in tali condizioni per oltre 20 anni dal prelievo. Tutte le procedure sono rigorosamente documentate per garantire la rintracciabilità  e la sua immediata disponibilità nel caso di richiesta da parte di un Centro che ha in cura un paziente che necessita di un trapianto di cellule staminali.

Utilizzo

Nel nostro Paese la donazione del sangue cordonale più diffusa è per trapianto allogenico non familiare.
La Banca del Sangue Cordonale detiene i dati genetici e biologici del sangue donato e li trasmette al registro nazionale IBMDRRegistro Italiano Donatori di Midollo Osseo e internazionale BMDWBone Narrow Donor World Wide. In questi due database elettronici, su richiesta del centro trapianti che ha in cura un malato, si esegue la ricerca  delle unità di sangue compatibili e, quindi, trapiantabili. Le donatrici vengono informate per iscritto del destino del sangue donato.
E’ possibile anche un’altra donazione, quella per trapianto allogenico familiare per curare un consanguineo del neonato (fratello, sorella…). La conservazione per uso autologo (cioé per un eventuale uso a favore del bambino stesso che lo ha donato), in Italia, è vietata poiché non è sostenuta da evidenze scientifiche.

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Rischi

La donazione non è dolorosa e non si sono mai registrati casi in cui donare il sangue cordonale abbia causato problemi di salute alla madre o al neonato. La donazione non sottrae al bambino in alcun modo risorse di sangue: infatti, in assenza della donazione, il sangue contenuto nel cordone reciso viene smaltito.
Al momento del parto e a distanza di 6-12 mesi verranno effettuati alla mamma dei prelievi per test infettivologici obbligatori per legge, al fine di confermare l’idoneità del sangue prelevato e contemporaneamente sarà eseguita al bambino una visita pediatrica per escludere la presenza di patologie ereditarie.

www.asp.rg.it

Conclusioni

Informarsi sulla donazione e conservazione del sangue del cordone ombellicale è fondamentale e rappresenta una reale speranza e un’importante possibilità di cura per chi è affetto da gravi malattie.
Donare fa bene al cuore.

Alice Pantano

Bibliografia

donazione-del-sangue-del-cordone-ombelicale

donare-il-sangue-cordonale/

donazione_sangue_cord_omb.pdf

www.saperidoc.it

https://www.ibmdr.galliera.it/ibmdr/info/iscrizione

 

 

 

 

Donating is caring! A San Valentino dona un gesto d’amore

Questo evento è dedicato alla sensibilizzazione sul tema della donazione del sangue.
Appuntamento ore 10:00 Piazza Pugliatti di fronte all’Università Centrale, venerdì 14 febbraio.

Quest’anno più che mai cercheremo di spronare la cittadinanza a partecipare ad un evento il quale oltre a prendere i connotati di un esempio di generosità e di altruismo sarà anche un momento di aggregazione e di partecipazione sociale, grazie all’impegno dell associazione AVIS, all’Università degli Studi di Messina e le associazioni organizzatrici: AEGEE Messina, ESN Messina e BEST Messina.

I partecipanti potranno effettuare IL PRELIEVO PRELIMINARE alla donazione, grazie alla presenza dei volontari dell’Avis Messina che effettueranno in loco i prelievi presso le autoemoteche dell’associazione, con massima professionalità e nel pieno rispetto delle norme igienico-sanitarie.

Non è un caso che sia stata scelta come data il 14 Febbraio, San Valentino, una giornata storica dedicata all’amore. Ma quante tipologie di amore ci sono?

L’invito nel corso di questa giornata è chiaro e diretto: donate! Donare il sangue non è solo un gesto altruistico e di amore verso gli altri, ma presuppone anche un controllo sul proprio corpo, la propria salute e il proprio stile di vita.

Saranno coinvolti nel progetto anche studenti Erasmus Internazionali, con lo scopo di permettere l’integrazione nel tessuto sociale della realtà ospitante. Un’attività da svolgere insieme, utile e necessaria: la fascia di donatori di età compresa tra i 18 e i 35 anni è infatti cruciale per il mantenimento del sistema di donazioni di sangue, un piccolo grande gesto d’amore e consapevolezza.

È possibile diagnosticare un tumore con un prelievo di sangue?

Una delle maggiori problematiche della medicina moderna è la diagnosi precoce dei tumori maligni: identificarli in uno stadio iniziale corrisponde a dare ottime chance di guarigione al paziente. I metodi oggi a disposizione per ottenere tale scopo sono essenzialmente 2 ed entrambi presentano grossi limiti:

  1. Metodiche di imaging: ecografia, radiografia, TC (ex TAC), risonanza magnetica e altre, che ci permettono di visualizzare strutture all’interno del corpo umano. Tuttavia, neoplasie molto piccole sfuggono costantemente a queste metodiche, nonostante un tumore sia considerato tale già quando composto da poche cellule.
  2. Dosaggio di marcatori tumorali: sostanze che se rilevate su un campione di sangue in quantità elevate indicano la presenza di un tumore. Esempio noto è il PSA (Antigene Prostatico Specifico) per il cancro della prostata. Tuttavia questi markers mancano spesso sia di specificità (ovvero si riscontrano elevati anche in patologie benigne) sia di sensibilità (anche se è presente una neoplasia sono a livelli normali).

Moderna TC

Inoltre, per evitare indagini inutili e costose, l’utilizzo di entrambi deve essere mirato a quei soggetti che seppur sani presentano dei fattori di rischio (condizioni ambientali o ereditarie/familiari) che aumentano la possibilità di sviluppare un cancro.

In altre parole: sarebbe impensabile sottoporre annualmente tutta la popolazione a TC total-body nel tentativo di evidenziare una neoplasia, considerando anche che questa metodica usa radiazioni ionizzanti e quindi è potenzialmente dannosa se usata indiscriminatamente.

Ma veniamo al dunque: è possibile identificare tumori con tecniche non invasive per il paziente e allo stesso tempo efficaci?

Da qualche anno ormai si sta puntando sulla cosiddetta biopsia liquida. Questa tecnica non è altro che un prelievo di sangue, adeguatamente processato in laboratorio. Permette di rilevare molecole rilasciate dal tumore (ccDNA, DNA circolare circolante) e in alcuni casi cellule neoplastiche.

Comporta per il paziente un disagio minimo (per coloro i quali hanno timore del prelievo ancora la scienza non offre molte alternative), se confrontata alla biopsia classica. Questa consiste nel prelevare mediante un ago un campione di tumore, presenta rischio di complicanze e certamente chiunque preferirebbe fare un prelievo sanguigno piuttosto che vedere un ago abbastanza lungo bucare la propria pelle.

Se fino ad ora vi è sembrata una metodica promettente, è inutile sottolineare che -come tutte le cose belle- presenta notevoli difficoltà (soprattutto tecniche). Pertanto ad oggi più che per la diagnosi è usata per monitorare i pazienti con una neoplasia già nota, evitando l’esecuzione di più biopsie invasive.

Ma come è possibile isolare componenti del tumore in mezzo a tutte le altre cellule del sangue?

E se in quel campione specifico non fossero presenti?

A questi problemi ha provato a dare delle risposte il team di ricerca italiano dell’Università degli studi di Catanzaro, guidato dalla dottoressa Malara, in uno studio pubblicato su Nature (sezione oncologia di precisione) nel novembre 2018. Lo studio si concentra non sulla rilevazione di cellule o ccDNA, ma ha un approccio totalmente nuovo: la valutazione delle modificazioni del secretoma. Sicuramente ognuno di voi avrà sentito parlare di genoma, l’insieme di tutti geni presenti nel nostro DNA. Il secretoma non è altro che l’insieme di tutte le proteine secrete, ovvero immesse nei liquidi al di fuori delle cellule, dalle cellule stesse. In particolare, in caso di neoplasia è stato riscontrato un aumento della protonazione, ovvero della quantità di protoni legati a tali proteine.

Questa variazione è spiegata dalla predilezione delle cellule neoplastiche per la glicolisi , via metabolica che ha come risultato:

  1. La produzione di sostanze che rilasciano protoni che quindi si legheranno alle proteine secrete.
  2. La produzione di sostanze che alterano la struttura delle proteine, facilitando il legame ai protoni

In breve: cellula tumorale → glicolisi esclusiva → più protoni → proteine secrete maggiormente protonate. La tecnica prevede una biopsia liquida (5 ml di sangue), la successiva eliminazione delle cellule del sangue (globuli rossi e bianchi, piastrine) e la coltura del materiale rimanente per 14 giorni.

Dalle cellule rimanenti, che nel tempo si moltiplicano, si estrae il campione per l’analisi del secretoma: questo verrà analizzato da un dispositivo all’avanguardia facente parte delle nanotecnologie. È stato inoltre confrontato il campione così ottenuto con campioni estratti direttamente dal tessuto tumorale: le componenti sono risultate essenzialmente identiche, convalidando l’ipotesi che anche da piccole quantità di sangue si possa risalire alla presenza di una neoplasia.

Nei 36 soggetti sottoposti allo studio, alcuni dei quali con neoplasia maligna nota ma non trattata e altri sani, è stata ritrovata una corrispondenza del 100% tra aumento protonazione e cancro.

Non solo: di due pazienti con valori intermedi di protonazione ,uno ha poi effettivamente sviluppato un melanoma (tumore maligno della cute).

Tra gli svantaggi di questa tecnica ci sono la laboriosità ed il costo. Inoltre un risultato positivo indica soltanto la presenza di un tumore, ma non il tipo e la localizzazione. Tuttavia, studiando il singolo soggetto è possibile valutare il rischio personale cancerogenico ed eventualmente approfondire con altre tecniche diagnostiche.

Questa interessante metodica può rappresentare un punto di svolta nella diagnosi precoce di cancro.

In fondo basta solo un po’ di sangue!

Emanuele Chiara

Trasformare il sangue di gruppo A in sangue di gruppo 0 (donatore universale): la soluzione sta nel nostro intestino

Da gruppo A a gruppo 0, il donatore universale, grazie ad enzimi estratti da batteri contenuti nel nostro intestino. Lo studio è stato recentemente pubblicato su Nature Microbiology, importante rivista scientifica, da un gruppo dell’Università della Columbia Britannica, di Vancouver, Canada. Il nuovo sistema potrebbe potenzialmente rappresentare una svolta riguardo alla carenza di sangue di donatori universali, specie nelle situazioni di emergenza. Ma andiamo con ordine.

La trasfusione di sangue diventa un impiego pratico e diffuso dopo l’identificazione del sistema dei gruppi sanguigni AB0 da parte di Landsteiner. Precedentemente le scarse conoscenze non permettevano di definire in anticipo la compatibilità tra due soggetti da trasfondere, rendendola una pratica estremamente pericolosa. La scoperta, valsa il premio Nobel nel 1930, permise di trattare con maggior successo condizioni che prevedevano una perdita significativa di sangue, per esempio dopo eventi traumatici o in ambito ostetrico o chirurgico. Successivamente vennero scoperti altri sistemi sulla superficie dei globuli rossi, tra cui, da parte dello stesso Landsteiner, il fattore Rh, molto importante in ambito ostetrico e nelle trasfusioni.

Il meccanismo prevede che, mischiando il sangue di due soggetti incompatibili, si verifichi una reazione che determina la distruzione dei globuli rossi donati con la liberazione del loro contenuto in circolo. Gli attori principali di questo fenomeno sono gli anticorpi del ricevente. Si tratta di proteine che sono capaci di legare dei “marcatori”, definiti antigeni, sulla superficie dei globuli rossi del donatore. Questi antigeni altro non sono se non le molecole che costituiscono il sistema AB0 e, in minor misura, gli altri sistemi.Sistema AB0 ed emolisi, fonte: Pinterest

Un soggetto di gruppo A presenterà anticorpi anti-B, un soggetto di gruppo B anticorpi anti-A, un soggetto di gruppo AB non presenterà anticorpi (ricevente universale) e un soggetto di gruppo 0 presenterà anticorpi anti-A e anti-B. In quest’ultimo caso si parla di donatore universale perché i suoi globuli rossi non sono marcati né dall’antigene A né dall’antigene B (per cui non possono essere attaccati dagli anticorpi del ricevente). La concentrazione di anticorpi presenti non è comunque sufficiente per determinare effetti importanti nel ricevente.

Ciò significa che il sangue con globuli rossi di gruppo 0, caratteristica di circa il 40% della popolazione in Italia, è estremamente prezioso. Esso può essere somministrato in (quasi) ogni situazione d’emergenza e rappresenta un’importante risorsa per i centri trasfusionali in Italia e nel mondo.

Da ciò l’importanza di produrre globuli rossi universali a partire da globuli rossi d’altro tipo. Negli ultimi 20 anni i tentativi sono stati molteplici, con discreti risultati sperimentali. Il problema fin’ora è stato riprodurre i metodi in larga scala a causa delle elevate concentrazioni di enzimi richieste o per la scarsa efficienza del processo.

Ora però i ricercatori della UBC hanno sviluppato un sistema che pare dare dei buoni risultati. A partire infatti da batteri che albergano all’interno del nostro intestino, hanno isolato degli enzimi capaci di modificare la porzione terminale dell’antigene A convertendolo con ottima efficienza nell’antigene 0 (detto, più precisamente, antigene H).

Più nello specifico la porzione degli antigeni del sistema AB0 capace di legare l’anticorpo (e determinare gli effetti post-trasfusionali) è una catena costituita da alcuni zuccheri. La differenza tra il gruppo 0 e il gruppo A sta in una molecola di N-acetilgalattosammina, uno zucchero per l’appunto, legato in posizione terminale. Attraverso gli enzimi isolati dal gruppo di ricerca è stato possibile deacetilare la molecola con la formazione di galattosammina e infine rimuovere il residuo con la conversione dei globuli rossi.

Il processo ha funzionato sia in una soluzione sperimentale sia all’interno di sangue intero. Sono stati infatti convertiti globuli rossi di gruppo A di 26 diversi donatori ed ha avuto successo anche la conversione di un’unità di sangue intera in modo completo. Gli enzimi sono poi stati rimossi dalla semplice centrifugazione a cui si sottopongono i globuli rossi durante la loro lavorazione.

Le concentrazioni di enzimi richieste non sono alte come nei lavori precedenti quindi il processo potrebbe essere potenzialmente eseguito in larga scala senza problemi di costi. Resta tuttavia da capire se i globuli rossi convertiti non possano comunque presentare un potenziale antigenico se somministrati a dei pazienti, a causa della formazione di nuove varianti antigeniche o per la modifica di altre proteine di superficie. Si tratta quindi di un’ipotesi attualmente lontana da un’applicazione pratica nella realtà clinica. Rimane comunque una prospettiva promettente.

Annualmente, infatti, in Italia si registrano gravi carenze di sangue durante i periodi estivi. La scorsa estate si è verificato un difetto di oltre 900 sacche, in alcune regioni della penisola, che hanno determinato grossi disagi per i soggetti periodicamente trasfusi e per chi doveva subire interventi chirurgici programmati e d’emergenza. In occasione della giornata mondiale del donatore di sangue, tenutasi il 14 Giugno, sono state diffuse le statistiche trasfusionali relative alla nostra penisola. Durante il 2018 sono state trasfuse più di 3 milioni di sacche di sangue. In media si parla di una donazione di sangue ogni 10 secondi che consente di trasfondere circa di 1.745 pazienti al giorno.
Antonino Micari