Gravity: un’avventura nello spazio, tra fisica e fantascienza

Il film di Cuarón ha stregato la critica, un po’ meno gli scienziati.

Non solo Nolan, anche Alfonso Cuarón ha provato a giocare con la fisica a Hollywood. Col suo “Gravity”, uscito nella sale cinematografiche nel 2013, ha raccontato un’avventura spaziale molto avvincente. Ma quanto accaduto nel film è fisicamente possibile? Scopriamolo insieme.

Lo specialista di missione Ryan Stone (Sandra Bullock) e il tenente Matt Kowalsky (George Clooney), dotato di jet pack, stanno riparando un pannello posto all’esterno dello shuttle, a circa 600 km sopra la Terra.

I nostri protagonisti si vedono qui muoversi con una facilità disarmante, nonostante in realtà la tuta degli astronauti sia piuttosto ingombrante e delicata. Chi la indossa, infatti, non riesce a muoversi così velocemente come è stato visto nel film. Inoltre, ha un campo visivo molto ristretto e sicuramente non rischierebbe in nessun modo di urtare contro una parte della struttura, in quanto potrebbe danneggiarla facilmente. Infine, l’uso del jet pack è previsto solo in casi di emergenza, poiché, nella realtà, gli astronauti sono collegati tramite un cavo alla struttura. Infatti, nemmeno gli strumenti vengono lasciati fluttuare senza essere stati prima connessi alla base.

Ad un certo punto, Houston li avverte che i russi hanno lanciato un missile su un loro satellite: ormai frantumato in mille pezzi, la sua distruzione ha generato una tempesta di detriti. Questi, a loro volta, hanno danneggiato altri satelliti, causando a loro volta altri detriti, tutti diretti verso lo shuttle di Stone e Kowalsky.

Uno scenario catastrofico, se non fosse che i cosiddetti Tracking and Data Relay Satellite System (TDRSS), ovvero i satelliti utilizzati per le comunicazioni, si trovano ad una altitudine di 36000 km, e quindi non possono mai essere danneggiati da detriti provenienti da orbite più basse. Ed anche se fosse stato possibile, la formazione di ammassi di detriti richiederebbe settimane, se non mesi o anni per accumularsi. Ultimo appunto: nel film, Houston dice che i detriti hanno raggiunto la velocità di 45000 km/h. È praticamente impossibile vederli arrivare! Ciò che accade è invece che gli ammassi di detriti vengono costantemente monitorati e, qualora dovessero sopraggiungere nei pressi delle stazioni spaziali, basterebbe modificare di poco la rotta per evitarli e continuare indisturbati col proprio lavoro.

A questo punto, i detriti raggiungono e distruggono lo shuttle e Stone si ritrova a fluttuare nello spazio. Fortunatamente però Kowalsky, grazie al jet pack, ben presto la raggiunge ed insieme si dirigono verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Tuttavia, a causa di una serie di urti dovuti all’arrivo brusco Kowalsky, per salvare Stone, scollega il cavo di sicurezza e si lascia andare nello spazio. Stone, a questo punto, sale sull’ISS riuscendo, dopo svariate peripezie, a raggiugere il veicolo spaziale Sojuz che le permette di raggiungere la stazione cinese Tiangong 1.

Pensare che una stazione spaziale sia perfettamente nell’orbita di un astronauta è molto fantasioso, ma diamolo per buono. Le stazioni, però, non sono dotate di portelli con maniglie esterne. Prima di aprire un portello (apertura che avviene verso l’interno, e non verso l’esterno), bisogna anzitutto depressurizzare l’airlock (una camera di equilibrio) e solo dopo entrare dentro la stazione. Infatti, la differenza di pressione tra l’interno e l’esterno provocherebbe una forte spinta verso fuori che spazzerebbe praticamente via la nostra Sandra Bullock. Le navicelle Sojuz (che non sono pensate per fare passeggiate spaziali, come dice invece Kowalsky), inoltre, possono contenere al massimo tre persone. Visto che la ISS in genere è composta da 6 persone, se si trovasse abbandonata sarebbe di certo sprovvista dei Sojuz, che l’equipaggio avrebbe dovuto utilizzare per il ritorno sulla Terra.

Stone riesce infine ad usare la navetta di salvataggio cinese Shenzhou e a tornare, finalmente, sulla Terra. Qui, una volta atterrata, la vediamo prontamente alzarsi in piedi. Nella realtà non è così: gli astronauti devono affrontare un periodo di riabilitazione successivamente all’atterraggio per riacquisire il tono muscolare originale.

Oltre alle imprecisioni già elencate, ce ne sono diverse disseminate lungo tutto il film.

Per esempio, si vede più volte Stone mentre si toglie la tuta, apparendo in biancheria intima. Gli astronauti, in realtà, utilizzano biancheria più coprente e resistente, sotto una maglia speciale composta da decine di tubicini, contenenti acqua, che hanno la funzione di espellere all’esterno il calore corporeo. Di conseguenza, togliersi la tuta è un’operazione molto più lunga e delicata.

Anche l’utilizzo dell’estintore per spostarsi appare alquanto inverosimile: spostarsi con esso, nello spazio vuoto, senza calcolare prima con minuziosa attenzione e assoluta precisione posizionamento e orientamento, potrebbe comportare un effetto contrario a quanto voluto dalla nostra protagonista.

L’atteggiamento di Kowalsky, inoltre, appare piuttosto poco professionale e l’addestramento di sei mesi di Stone non sarebbe adeguato agli standard previsti per le missioni spaziali: Samantha Cristoforetti, la nostra amata astronauta tricolore, ha dovuto superare un addestramento di oltre due anni.

Potremmo continuare a lungo, descrivendo come le lacrime della Stone non dovrebbero staccarsi dal viso a causa della tensione superficiale o come i suoi capelli, in assenza di gravità, dovrebbero fluttuare sopra la sua testa.

Ma dopo molte critiche, è giusto spezzare anche qualche lancia in favore di Gravity, che presenta diversi aspetti veritieri. Infatti, le varie strutture (come la ISS e la navicella Sojuz) sono riprodotte fedelmente. La distruzione dei satelliti, con conseguente generazione di detriti, avviene anche nella realtà. Molto fedeli sono stati anche gli effetti della luce e la conservazione del momento angolare. Infine, la visuale della Terra dallo spazio è piuttosto verosimile.

Grazie ai suoi effetti speciali, Gravity è stato molto apprezzato dalla critica, vincendo numerosi premi e incassando svariati milioni di dollari al botteghino (a fronte di un budget di 100 milioni di dollari). Che dire, tutto sommato niente male!

 

Giovanni Gallo

Giulia Accetta

Ocean’s 8: il gruppo di ladre al femminile.

C’è chi lo definisce un sequel, chi uno spin off ma Ocean’s 8 è una storia a sé che di condiviso ci ha solo il cognome della capitana della associazione di ladre : Debbie Ocean la sorella di Danny.
Debbie Ocean è la cara Sandra Bullock la quale progetta da “5 anni, 8 mesi e 12 giorni” di rubare una collana di Cartier , la Toussaint, dal valore di 16 milioni di dollari durante l’annuale MET Gala al Metropolitan Museum.
Viene rilasciata e contatta l’amica di vecchia data Lou (Cate Blanchett) e con lei formano il team : Rose la stilista (Helena Bonham Carter), Daphne Kluger la star (Anne Hathaway),  l’hacker Nine/Eight Ball (Rihanna), Amita (Mindy Kaling) la contraffatrice, il palo Tammy (Sarah Paulson) e Constance (Awkwafina).

Dal predecessore assoluto Frank Sinatra alla trilogia di Clooney & co. il “brand” Ocean rientra nelle commedie brillanti con quel pizzico di azione che non guasta mai.
Questo film dal cast stellare, composto da attrici impeccabili, comiche (Mindy Kaling) e il pezzo da novanta dell’industria musicale che è Rihanna. La sceneggiatura è stata scritta da Gary Ross (che ha anche diretto il film) e Olivia Milch.

Il film è stato girato a New York nel periodo delle elezioni americane, implicitamente si potrebbe pensare a un prodotto creato solo ed unicamente per il vento di cambiamento che soffia in USA, per il movimento “Metoo”, per tutti gli argomenti “caldi” che hanno al centro la donna.
Ma la verità è che in un mondo migliore (forse quello che arriverà presto) l’idea e la creazione di un film dove il genere dei protagonisti viene invertito rispetto all’originale,  o che hanno al centro solo personaggi femminili , non dovrebbe essere una idea innovativa, una notizia clamorosa. Se non la decisione più naturale da seguire.

 

 

Una lettura del film in questo senso svilirebbe il lavoro compiuto dal cast e dalla troupe.
Il franchise Ocean’s ci racconta la storia di un gruppo di persone,  dei ladri, che lavorano sodo per raggiungere un obiettivo comune, irraggiungibile da sole.
Sono in genere film piacevoli per i personaggi, i dialoghi e dell’esecuzione complessiva, ma sarebbe noioso e fastidioso senza la dinamica collettiva dei suoi protagonisti.

Ocean’s 8 ha tutte le carte in regola per essere un buon prodotto, non ci resta che aspettare il 26 luglio per poterlo vedere in sala.

NB: in America nelle prime due settimane ha sbancato il botteghino, la prima settimana si è classificato al primo posto con 41.5 milioni e la seconda settimana al secondo posto con 19.5 milioni. Insomma chi dice che i film con protagoniste donne non portano denaro si sbaglia di grosso (per riprendere il discorso della Blanchett agli Oscar del 2014 quando vinse).

 

Arianna De Arcangelis