Approvato il progetto del ponte sullo stretto, opera strategica… o forse no

Lo scorso 16 marzo il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto per riesumare la Società Stretto di Messina S.P.A. e dare il via alla realizzazione del fatidico ponte sullo stretto. La società è nata nel 1981, ma solo nel 2003 aprì il suo primo cantiere con il governo Berlusconi, per poi essere bloccata dopo 10 anni dal governo Monti, che decise di metterla in stato di liquidazione.

Tempo fa ci eravamo chiesti che fine avesse fatto questo progetto sul ponte e forse adesso avremo una risposta. Non c’è ancora un programma ufficiale, poiché verrà perfezionato entro e non oltre il 31 luglio 2024. Solo in seguito partirà l’opera, almeno secondo quanto dichiarato dal governo Meloni. Un ponte di circa 3,2 chilometri a campata unica tra Villa San Giovanni e Messina, nelle le relative zone di Cannitello e Ganzirri, dovrebbe emergere per rivoluzionare il nostro paese, ma sarà davvero così?

Ponte sullo stretto: una vita tormentata tra le diverse reazioni politiche

Dopo cinquant’anni di chiacchiere, questo Consiglio dei Ministri approva il ponte a campata unica, il quale unisce la Sicilia all’Italia e al resto dell’Europa.

Il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, la definisce come una delle opere più green al mondo, un vero e proprio «gioiello dell’ingegneria italiana nel mondo». Anche Berlusconi, che 20 anni fa aveva stanziato 30 milioni di euro per l’apertura di un primo cantiere fallendo miseramente, si dichiara entusiasta:

Questo è un progetto che rappresenta l’idea di un futuro che abbiamo sempre avuto. Questa volta non ci fermeremo!

L’Unione Europea con Adina Valean, commissaria europea per i Trasporti, aveva già in precedenza teso un mano per la realizzazione del progetto. Dichiarandosi disponibile a finanziarne la prima parte, in attesa di un «progetto solido». Mentre le dichiarazioni da parte di Giuseppe Provenzano, vicepresidente dei deputati del PD, sono differenti:

Un ponte immaginario (e salvo intese), per far passare l’autonomia differenziata che frantuma l’Italia e affossa il Mezzogiorno.

Ponte sullo stretto: tra vantaggi e sfide

Ci chiediamo tutti se questa possa essere la volta buona, dopo mille progetti e promesse. Prima di tutto, però, bisognerebbe partire dalle basi, guardare ai costi ed ai possibili benefici economici. Ad oggi, il ponte – pur non esistendo ancora – è già costato tanto. Lo Stato si trova, ad esempio, a dover adempiere a delle richieste di risarcimento pendenti da parte di alcune società e il costo delle sue casse potrebbe salire a circa 1,2 miliardi. Ad esempio, Eurolink (società che aveva vinto l’appalto per la costruzione nel 2005) chiede oggi 657 milioni di euro, per illegittimo recesso. La mancanza di un collegamento stabile costa alla Sicilia 6,5 miliardi di euro annui. Invece, il costo previsto per la realizzazione del ponte è di 7 miliardi di euro complessivi, di cui 3 per l’opera e 4 per i servizi aggiuntivi.

Il ponte dovrebbe essere a sei carreggiate e porterebbe dei vantaggi anche in termini di trasporti ferroviari. Negli ultimi anni, grazie anche al PNRR, sono stati stanziati 25 miliardi per potenziare le infrastrutture ferroviarie e stradali tra Sicilia e Calabria. Il ponte renderebbe il viaggio verso la Sicilia, dal resto della penisola e non solo, più facile da raggiungere in treno.

Ad esempio, secondo alcune stime, la tratta Roma-Messina che oggi dura otto ore, si ridurrebbe a quattro. Si parla anche di maggiore occupazione che esso porterebbe, con la creazione di 150 mila posti di lavoro. Si parla di una riduzione delle emissioni di anidride carbonica (di circa 312.000 tonnellate). Ma si pensi anche ai traghetti che percorrono ogni anno lo stretto 95.600 volte, contribuendo così all’inquinamento.

Ma dall’altro lato non mancano le sfide progettuali, poiché lo stretto di Messina è un’area soggetta ad alta sismicità. In più, il tratto di mare arriva fino a 250 metri di profondità, quindi i piloni del ponte non possono essere costruiti nel tratto centrale. La distanza da collegare è molta e le faglie geologiche sono in continuo movimento, tra raffiche di vento e forti correnti.

Ma sicuramente bisognerà andar contro ogni tipo di corruzione e fenomeno mafioso, pericoli non solo appartenenti al Mezzogiorno.

Non sono tutte rose e fiori: per molti quest’opera è una “minaccia”

Un’opera fallimentare, che porterebbe elevatissimi ed insostenibili costi ambientali, sociali ed e economico-finanziari.

Questo è quanto dichiara il WWF Italia, che più volte si è pronunciato sul tema. Non ritengono che questa possa essere un progetto“green”, anzi, secondo l’ONG bisognerebbe porci sopra una pietra tombale. Ma le preoccupazioni non vengono a mancare, soprattutto dai cittadini delle aree interessate: molti siciliani si chiedono come e dove avverrà la localizzazione e l’estensione dei 30 cantieri previsti, da Contesse a Torre Faro.

Da pochi giorni si è formato un comitato di opposizione al collegamento stabile tra Sicilia e Calabria. Si tratta del Comitato No Ponte Capo Peloro, che si sta impegnando a diffondere, tramite social e assiduo volantinaggio, tutte quelle informazioni finora strette nell’ombra. Come si legge in una loro nota:

Il comitato nasce per cercare di svolgere un lavoro di informazione e contro-informazione su di un’opera che minaccia di travolgere case, terreni, attività produttive, la nostra stessa vita quotidiana e di cui purtroppo non si ha ancora piena consapevolezza.

La preoccupazione, secondo il Comitato, è che l’alterazione dell’assetto ambientale potrebbe mettere a dura prova anche lo splendido lago di Ganzirri. Questi dubbi e perplessità di certo non sono gli unici e nemmeno i primi. Nel sentire generale c’è entusiasmo, ma c’è la possibilità che anche queste parole che ancora sono al vento (e nonostante l’approvazione) rimangano fiato sprecato.

 

Marta Ferrato

Ad una settimana dal voto: cosa succede adesso?

Ad appena una settimana dai risultati delle Parlamentari che hanno visto trionfare il partito della leader Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, vi proponiamo alcune considerazioni a caldo su quello che potrà essere – o non essere – il futuro del nuovo governo.

FdI a capo della coalizione

Con il 26% dei voti espressi, il partito della coalizione di centrodestra da solo ha riscosso più di quanto sia riuscito ad ottenere la coalizione di centrosinistra intera. Nessun dubbio sulla vittoria della Meloni sin da subito, nonostante i sondaggi avessero previsto una percentuale di voti nettamente inferiore. Tuttavia, si è anche trattato delle elezioni con la più bassa affluenza nella storia italiana, con poco meno del 64% degli aventi il diritto.

Adesso la leader si prepara a governare come prima Presidente del Consiglio donna, avendo già chiarito – la stessa notte degli spogli elettorali – di voler prendere la guida del futuro esecutivo, accompagnata da Matteo Salvini (Lega) e Silvio Berlusconi (Forza Italia).

Se dovesse riuscire a formare il governo, ha detto, la priorità sarebbe quella dell’energia: fermare la speculazione sul gas. E farlo non senza un aperto dialogo col Premier uscente, Mario Draghi, che si starebbe occupando di una relazione sul Piano Nazionale al fine di garantire una transizione chiara e ordinata, senza lavori incompiuti.

Sulla linea da seguire per la scelta dei suoi ministri, la Meloni si mantiene comunque cauta: le prime ipotesi sarebbero quelle di un governo formato anche da esperti non parlamentari, ma non sono ancora usciti i nomi per Economia, Esteri e Interno, ossia tre dei più importanti ministeri. Certo è che, nel trambusto generale creatosi con queste elezioni, la linea del silenzio scelta dalla leader di FdI risulta saggia, soprattutto adesso che la scena non solo nazionale, ma anche internazionale, guarda al futuro del Paese con non poca perplessità.

E sono molti i timori che, non infondatamente, si sollevano in questi giorni. Al di là delle accuse di fascismo, che vanno sempre e comunque affrontate nella sede adeguata, ci si chiede seriamente se un governo guidato da Fratelli d’Italia possa rappresentare il pettine destinato a sciogliere alcuni dei nodi principali dell’Italia. C’è chi ne dubita fortemente, ma anche chi ripone immensa fiducia in una formazione scelta, dopo molti anni, dal popolo.

Se non per altro, appunto perché l’ha voluto il popolo. Non resta che vedere se la coalizione riuscirà a mantenere quanto promesso nei recentissimi anni oppure se, secondo la normale tendenza del nostro sistema politico, sarà destinato ad aver vita breve. A quel punto, quante sarebbero le possibilità di trovare una nuova formazione governativa che metta d’accordo tutti?

In Parlamento sempre meno donne

Una cosa è certa: la rappresentanza formata da donne in Parlamento è nettamente calata rispetto alle elezioni del 2018, scendendo da un 35% al 31%. Non stupisce il dato: infatti, i due partiti che hanno riscontrato più voti (FdI e Partito Democratico) sono anche quelli che hanno presentato le percentuali minori di capolista donne a questo giro di elezioni, rispettivamente col 32,3% e il 36,6%. (Pagella Politica).

Molto male per un partito come il PD, che della parità di genere ha fatto un bastione della propria campagna elettorale.

Tempo di riflessione per il centrosinistra

Dopo la schiacciante sconfitta, per la coalizione di centrosinistra è arrivato il momento di riflettere: lo spiega Stefano Bonaccini, Presidente della Regione Emilia-Romagna e membro del Partito Democratico.

Il problema del Pd non sta nel nome o nel simbolo, ma nella capacità di rappresentare le persone e costruire un progetto coerente e credibile per gli obiettivi per cui è nato: dare diritti a chi ne ha di meno, realizzare una transizione ecologica che tenga insieme le ragioni dell’ambiente con quelle del lavoro, costruire un’Italia più moderna, più forte e più giusta.

Anche il segretario di Azione, Carlo Calenda, ha commentato i risultati elettorali: «Nel dibattito surreale su cosa debba fare la sinistra per rappresentare i più deboli si dimenticano le basi: la ricostruzione del welfare, a partire da istruzione e sanità».

Intanto, il segretario del PD Enrico Letta ha espresso negli ultimi giorni l’intenzione di non ricandidarsi a segretario del partito, pur volendolo in una certa misura “rifondare”. Infatti, in una lettera inviata a tutti i militanti, ha annunciato le quattro tappe del percorso necessario alla rifondazione del partito, che partirebbe dalla ridefinizione di aspetti quali «l’identità, il profilo programmatico, il nome, il simbolo, le alleanze, l’organizzazione». In sostanza, alcuni ritengono che Letta sia sulla strada per mettersi alla guida di un nuovo partito.

I passi successivi

La prossima data importante sarà il 13 ottobre, quando Camera e Senato si riuniranno per decidere i primi atti importanti: i rispettivi presidenti. Dopodiché, da lì alla formazione del nuovo governo potrebbe passare una relativa quantità di tempo, forse anche mesi. Dopotutto, a fronte delle precedenti elezioni tenutesi nel marzo 2018, il governo Conte I si insediò solamente nel giugno dello stesso anno.

La parola spetterà al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che avvierà le consultazioni e dovrà affidare l’incarico (probabilmente a Giorgia Meloni) per la formazione del nuovo esecutivo. Se l’incarico dovesse essere affidato con riserva, il presidente incaricato dovrà a sua volta svolgere delle consultazioni che lo porteranno a definire la lista dei propri ministri; in assenza, sarà costretto a rinunciare.

Se ciò dovesse verificarsi, il Capo dello Stato potrà affidare un incarico esplorativo a una personalità terza per vedere se si potrà dar vita ad una nuova maggioranza.

Da ultimo, entro 10 giorni dalla formazione, il nuovo Governo dovrà chiedere e ottenere la fiducia dai due rami del Parlamento. Se l’incarico dovesse spettare alla Meloni non vi sono molti dubbi sui numeri per raggiungere la fiducia – ma ancora, si parla di un futuro ipotetico ancora tutto da vedere e che potrebbe riservare altre sorprese. Ottenuta la fiducia, l’Esecutivo entrerà nel pieno dei propri poteri e potrà cominciare a definire l’indirizzo politico del Paese.

Valeria Bonaccorso

Catalfo: “Sia l’ultimo Primo Maggio senza salario minimo”. Ecco come si è svolta la Festa dei Lavoratori

Prima della fine della legislatura dobbiamo varare il salario minimo. Mi auguro che il Primo Maggio del 2022 sia l’ultimo in Italia senza una legge sul salario minimo.

Queste le parole dell’ex ministra del lavoro e delle politiche sociali Nunzia Catalfo, attuale senatrice per il MoVimento 5 Stelle. Un Primo Maggio che ha invitato alla riflessione sulla necessità, di cui si è tornati a parlare solo di recente, di un salario minimo; nonché, di maggiori misure di sicurezza per i lavoratori contro il fenomeno delle morti bianche sul lavoro. Ed incalza la madre di Luana D’Orazio, operaia di 22 anni morta di lavoro appena un anno fa: «Non c’è nulla da festeggiare. I lavoratori, invece di festeggiare, scendano in piazza».

I sindacati ad Assisi e le altre manifestazioni

Quest’anno i sindacati più rappresentativi a livello nazionale, CGILCISL UIL, si sono riuniti a Piazza San Francesco ad Assisi in occasione della Festività dei Lavoratori, ma anche per chiedere la fine del conflitto in Ucraina che dilania il Paese da febbraio.

Altre richieste che arrivano dai sindacati sono quelle di un confronto con l’attuale compagine governativa prima dell’emanazione di un decreto contenente aiuti a famiglie ed imprese, tanto necessari in seguito all’inflazione nonché all’aumento delle bollette soprattutto del gas (come conseguenza del conflitto avviato con la Russia).

Intanto, a Milano ha sfilato «Primaggia, corteo precari e antagonisti», con lo slogan Strike the war (“Boicotta la guerra”) che svetta tra i vari cartelli, alcuni di questi con scritto: «Non pagheremo noi la vostra guerra». Ed anche qui si richiede l’imposizione di un salario minimo di almeno 15 euro all’ora, come avviene già in molti Paesi europei. Invece, una manifestazione degli antagonisti a Torino è stata bloccata dalle forze dell’ordine:

L’intervista del Fatto Quotidiano a Scarpetta, OCSE

Il direttore del dipartimento lavoro ed affari sociali dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) Stefano Scarpetta è stato intervistato dal Fatto Quotidiano circa la situazione del lavoro in Italia. Tra i vari argomenti, si è parlato anche di record del precariato e di salario minimo legale.

Le ore lavorate sono di meno e, a fronte dell’incertezza sulla ripresa ulteriormente aumentata dalla guerra, i datori tendono ad assumere con contratti a tempo determinato, anche di breve durata e in alcuni casi a tempo parziale.

Ha affermato Scarpetta, per poi ricordare la diminuzione del 2,9% dei salari medi avuta in Italia negli ultimi tre decenni, contro un aumento del 30% in Francia e Germania e del 40% negli Stati Uniti.

Sul salario minimo non ci siamo proprio, secondo il direttore OCSE, che parla della necessità di una soglia minima che rispetti la dignità del lavoro, principio cardine della materia ribadito anche dall’articolo 36 della Costituzione. Ed aggiunge: la contrattazione collettiva non ne uscirebbe indebolita. Dopotutto, l’introduzione graduale in Germania già dal 1997 non ha mostrato effetti negativi sotto questo punto di vista. Sempre per Scarpetta, poi, bisognerebbe riconciliare un minimo retributivo netto per il lavoratore con il contenimento del costo del lavoro che grava sulle imprese (Il Fatto Quotidiano) in modo tale da non scoraggiare l’occupazione.

Scontro tra Confindustria e Ministro del Lavoro

Alcuni giorni fa il Presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha ribattuto alla richiesta del Ministro del Lavoro Andrea Orlando, che chiedeva di subordinare alcuni benefici per le imprese all’aumento dei salari da parte di queste ultime. «Un ricatto», per il Presidente di Confindustria ed accusa il ministro di anti-industrialismo. Arriva il botta e risposta del ministro: «Se significa chiedere qualcosa non è patto, ma patto è se ognuno mette una disponibilità». In sostanza, il rappresentante degli industriali dà un no secco all’aumento dei salari, ma chiede il taglio del cuneo fiscale. E presenta i progetti a Palazzo Chigi. «Proposta ridicola», rincara il Ministro.

Il convegno di Fratelli d’Italia in occasione del Primo Maggio

E di taglio al cuneo fiscale si parla anche nel “Programma per un conservatore” di Fratelli d’Italia e presentato in occasione del convegno tenutosi ieri. Convegno che ha visto come ospiti alcuni imprenditori con le proprie testimonianze sugli effetti negativi della pandemia. Tra le proposte, anche smartworking per le donne con figli sotto ai 16 anni almeno 3 giorni a settimana e sgravi contributivi per i relativi datori.

(fonte: ilgiornale.it)

Fredda i rapporti con la Lega di Salvini una Giorgia Meloni che si dice pronta a governare anche senza un’alleanza. In occasione del Primo Maggio, il Leader leghista Matteo Salvini ha «dedicato una preghiera ed impegno» ai morti sul lavoro, auspicandone la prevenzione.

Le parole di Mattarella

L’integrità della persona e della salute dei lavoratori è parte essenziale della visione che ispira il nostro patto costituzionale

Ha ricordato il Presidente della Repubblica nel suo discorso in occasione della Festa dei Lavoratori. «Nei momenti di difficoltà, occorre che le aziende rifuggano dalla tentazione di ridurre le spese per la sicurezza».

Valeria Bonaccorso

Obbligo di Green pass sul posto di lavoro: si accende la protesta nel porto di Trieste

L’allerta era alta da giorni, sin dall’attacco alla sede romana della Cgil. Il 15 ottobre, giorno dell’entrata in vigore dell’obbligo di Green Pass sul luogo di lavoro, a Trieste, sin dalle prime ore del mattino, in molti si sono radunati nei pressi del porto, davanti al Varco 4 del molo 7. Quello il luogo di ritrovo della manifestazione annunciata e organizzata da Stefano Puzzer, leader del sindacato autonomo del Cltp, Coordinamento dei lavoratori portuali di Trieste. Tra i manifestanti, non solo operatori dello scalo, riconoscibili dai giubbottini gialli indossati, ma anche persone esterne contrarie alla certificazione verde.

Qualche fumogeno e qualche coro durante la prima notte di protesta al varco 4 del porto di Trieste, ma il clima non è teso (fonte: open.online.it)

L’annuncio del blocco al porto

Lunedì 11 ottobre, un grande corteo contro il Green pass, il giorno dopo, un incontro tra le aziende del settore marittimo, il prefetto Valerio Valenti e il segretario generale dell’Autorità portuale del Mare Adriatico Orientale, Vittorio Torbianelli. L‘intesa non viene raggiunta, quindi, il sindacato del Cltp, nel pomeriggio, pubblica un comunicato che conferma un blocco totale delle attività nello scalo marittimo per il 15.

Il presidente del porto, Zeno D’Agostino, in seguito all’accaduto, fa un annuncio shock, dichiarando di essere intenzionato a rassegnare le dimissioni in caso di un blocco a oltranza dello scalo.

Successivamente, iniziano a circolare varie voci, su un presunto compromesso con le aziende operanti nel porto di Trieste, le quali sembra abbiano proposto di provvedere di tasca propria a pagare i tamponi ai lavoratori fino al 31 dicembre.

Non tarda ad arrivare una risposta dai portuali alle voci: “Nulla di tutto ciò ci farà scendere a patti. Non solo noi, ma tutte le categorie di lavoratori”.

 

Il giorno tanto atteso

All’alba del 15, mentre Trieste ancora dorme, già alle ore 6 circa, si vede in giro qualche attivista No Green pass. Due giorni prima, Puzzer aveva dichiarato di aspettarsi circa 30mila adesioni alla manifestazione, considerando anche il resto della città; mentre D’Agostino, aveva fatto un pronostico meno cauto, immaginando che i manifestanti potessero crescere fino al numero di 50mila.

All’ultima assemblea della sera prima, il Cltp aveva riunito le adesioni di poche centinaia di lavoratori, circa 300: non abbastanza, dunque, per bloccare uno scalo in cui lavorano oltre 1.500 persone.

Mentre ci si prepara a situazioni molto impegnative, durante le prime ore di venerdì, l’accesso allo scalo portuale era consentito.

«Chi vuole lavorare, può entrare. Noi non fermiamo nessuno» dichiaravano dal Cltp.

Però i camionisti, provenienti anche da oltre confine, preferiscono non inoltrarsi dentro la folla che inizia a crescere.

Intanto arrivano troupe di giornalisti e i primi attivisti No Green pass esterni al gruppo dei portuali, per dare sostegno alla protesta. L’incremento del numero di partecipanti inizia a preoccupare: «Stanno continuando ad arrivare persone. Il problema non sono i portuali, è quando inizieranno ad arrivare tutte le persone per la manifestazione. Qui la gente entra ma non sa quando riuscirà ad uscire». Intanto 230 unità delle forze dell’ordine vengono fatti schierare in tutta la città. La tensione è alta, per la preoccupazione di poter assistere a scene simili a quelle verificatesi a Roma la settimana prima.

In migliaia intanto sfilano dentro Trieste (fonte: triestecafe.it)

Intanto, si guarda alla situazione nei maggiori scali portuali del Paese, avanzando l’ipotesi di una possibile reazione a catena.

A Genova, la protesta, effettivamente, si accende nello stesso momento, mentre a Gioia Tauro il primo turno della giornata di venerdì inizia senza problematiche: i lavoratori hanno organizzato un sit-in con un legale per le ore 10, ma poi svolgono normalmente la loro giornata lavorativa; assenti i non vaccinati, ma perché non è stato possibile, per questione di organizzazione, far arrivare i primi tamponi comunque messi a disposizione gratuitamente da Med Center Container terminal, che ha ne ha assicurato la disponibilità per tutto il prossimo periodo.

Il portavoce dei portuali si dimette dopo le tensioni di sabato notte

Delle migliaia di persone arrivate, nel primo giorno di protesta, dal resto d’Italia per sostenere i lavoratori del porto di Trieste ne sono rimaste qualche centinaia in questi giorni. Il clima generale è rimasto sereno, nessuna complicazione. Durante la prima notte, la protesta si affievolisce, si dà inizio a un vero e proprio party, si balla, ogni tanto si accende un fumogeno e i cori contro il Green pass o contro il premier Draghi iniziano a sparire.

D’Agostino dichiara che serve trovare una soluzione al più presto, pur se il porto ha continuato a funzionare sopperendo alla mancanza di funzionalità del molo 7 e perché i manifestanti hanno continuato a non interferire particolarmente sul traffico di mezzi. Questi sono, infatti, passati dal paventare un possibile blocco di tutto il porto a mantenere un presidio e assumere una linea soft.

Nella tarda serata di sabato, Stefano Puzzer annuncia, provocando una forte sorpresa in tutti, la fine della protesta. Secondo delle fonti, pare che già nel pomeriggio l’idea abbia sfiorato quello che era diventato volto della manifestazione. Il motivo? Un gruppo di No Vax, accampatosi per la notte lì vicino preoccupava i portuali.

Puzzer continua la protesta, ma non come portavoce dei portuali (fonte: lastampa.it)

Quando molti di questi iniziano a far ritorno a casa, dopo aver concordato il comunicato che chiudeva la vicenda, Puzzer inizia a chiamare le agenzie stampa per smentire, sotto forte pressione dei No Vax, indispettiti dalla piega presa dalla situazione.

Il telefono di Puzzer inizia ad esser tempestato di chiamate, mentre lui cerca di tenere a bada sia i suoi colleghi che il fronte opposto, ma la mattina dopo si dimette dal ruolo di portavoce del Clpt, pur dichiarando di voler, personalmente, continuare il presidio fino al 21 ottobre, come dichiarato inizialmente dai portuali.

Uno dei leader del comitato di Coordinamento, colui che per conto di tutti ha gestito la trattativa con l’autorità portuale e la Digos, era andato a dormire senza sapere del dietrofront fatto da Puzzer. Il suo commento a ciò è stato un colorito «Abbiamo fatto una enorme figura di m…».

 

Lo sgombero del varco 4, ma la manifestazione continua dentro Trieste

Stamane, presso il porto di Trieste, dove le proteste sono andate e tra gli occupanti del varco 4, ormai solo semi-bloccato, è iniziato lo sgombero da parte della polizia. Tra loro ancora un triste Puzzer, rimasto comunque convinto di voler continuare il presidio.

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

Dopo circa un’ora e mezza, con l’utilizzo lievi cariche di idranti, il varco è stato liberato. La situazione degenera in una guerriglia.

I manifestanti vengono prima spostati e il presidio al varco 4, spostato nel parcheggio in fondo alla zona presidiata da venerdì scorso, permettendo al porto di riprendere normalmente le attività.

«Non siamo violenti» gridavano intanto i manifestanti agli agenti schierati con gli scudi, per ribadire la presa di distanza da soggetti violenti, estranei alla protesta pacifica organizzata dai portuali. «Vogliamo evitare vi facciate male» ha risposto un dirigente della Polizia.

Durante l’operazione si è arrivati allo scontro solo con un gruppo di manifestanti e un agente è rimasto ferito. Le persone, attualmente 2 mila, si sono poi spostate in piazza Unità d’Italia, dentro Trieste. La protesta ora ha cambiato volto, è stata presa in mano dai No green pass. Tutti si sarebbero seduti in piazza una volta arrivati.

«Vediamo se hanno il coraggio di caricarci anche in piazza Unità d’Italia» ha detto Puzzer, ancora nella protesta.

Mentre si attendono novità, dalla politica arriva la solidarietà di Salvini e Meloni, contrari alle misure prese contro quelli che definiscono «lavoratori pacifici».

 

Rita Bonaccurso

Il piano di una misteriosa lobby per insinuarsi nella politica italiana

Per ben tre anni un giornalista del team “Blackstair” di Fanpage.it, Salvatore Garzillo, si è calato nelle vesti di un personaggio appositamente inventato come copertura, per far venire a galla una storia che, purtroppo, di fantasioso pare non aver niente. Ciò che se ne è ricavato da questa difficile impresa è un’inchiesta, che ha scatenato un forte tumulto nella politica italiana. Vi sono stati anche dei risvolti impensabili, subiti dalla stessa redazione, in seguito alla pubblicazione del primo compromettente video.

 

I tre volti della politica nel primo video dell’inchiesta: ( da sinistra verso destra) Fidanza, Valcepina e Jonghi. Fonte: Fanpage.it

 

La pubblicazione del primo video dell’inchiesta

La sera del 30 settembre scorso, su Fanpage.it, viene pubblicato un primo video dell’inchiesta intitolata “Lobby nera”. Al centro del mirino esponenti delle fila del partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, e la rivelazione di quello che sembra essere un presunto sistema di finanziamenti in nero per le elezioni amministrative a Milano, del 3 e 4 ottobre, parte di un piano ben più grande, con obiettivi ancora più ambiziosi.

Nella prima puntata della video inchiesta, le primissime immagini vedono Carlo Fidanza, europarlamentare e capo delegazione di Fratelli d’Italia, e il candidato sindaco della sua coalizione Luca Bernardo, l’avvocato Chiara Valcepina.

Con lo scorrere delle immagini, si inizia a sentir parlare dell’esistenza di un gruppo dinostalgici del fascismo” – così definiti da Fanpage – massoni ed ex militari. Successivamente il giornalista infiltrato, incontra Roberto Jonghi Lavarini, esponente di estrema destra conosciuto anche con il soprannome “Barone Nero“.

Quest’ultimo, candidato alla Camera, con Fratelli d’Italia nel 2018, e condannato con l’accusa di apologia del fascismo nel 2020, sarebbe la figura chiave per la misteriosa lobby.

L’indefinito gruppo eterogeneo – alla quale apparterrebbero anche esponenti del clero e sostenitori della Russia di Putin – punterebbe alla creazione di una nuova classe dirigente da far infiltrare nel centrodestra.

Il Barone Nero sarebbe il tramite, capace di metter mano ovunque. Così è stato, appunto, anche per le amministrative di Milano, tramite l’organizzazione della campagna elettorale della Valpicena, la quale, nel video, appare a suo agio nel lasciarsi andare a frasi razziste e saluto fascista.

La misteriosa lobby, dunque, si impegnerebbe a portare voti a determinati politici, con l’intento di influenzare pian piano la politica italiana in generale, muovendosi attraverso il centrodestra.

Questo meccanismo sembrerebbe esser stato messo in moto in almeno due occasioni: prima per il sostegno alle elezioni europee del 2019 di un candidato della Lega, l’eurodeputato Angelo Ciocca, e poi, in vista delle amministrative del 2021, appoggiando un gruppo di candidati di Fratelli d’Italia della corrente di Carlo Fidanza, capodelegazione a Strasburgo.

La strategia sembrerebbe, dunque, sempre la stessa: Jonghi farebbe in modo di “trovare” voti, chiedendo in cambio  “collaborazione”.

Nel caso dell’intesa con Ciocca, ad esempio, Jonghi, portando 5mila dei 90mila voti europei ottenuti dal gruppo di quest’ultimo, pretese in cambio “spazio” nella Lega nazionalpopolare di Matteo Salvini.  L’obiettivo era quello di abbordare il Carroccio nel momento della sua maggiore crescita elettorale, per far valere le proprie idee. Il Barone Nero decise di inserirsi nel solco tracciato da Gianluca Savoini e Mario Borghezio, stratega della corrente di estrema destra all’interno della Lega. Con quest’ultimo, in effetti, condivide sia ideali fascisti che l’aspirazione a lavorare dal dietro le quinte per raggiungere gli obiettivi.

Il progetto di Borghezio è chiaro da subito: “Salvini è un debole, questa situazione lo spinge nelle braccia della Meloni e questa cosa apre alla nostra area un’autostrada – disse l’ex deputato – È l’autostrada per la terza Lega, è una situazione che io attendevo da decenni. Dobbiamo cominciare a formare i quadri da inserire in questa Terza Lega.”.

Però, Jonghi, da questo momento continuò ad agire su due fronti: si spostò tra l’ala più moderata della Lega di Salvini e continuò a tessere rapporti con Fidanza, storico compare di militanza, che negli anni si è costruito l’immagine del conservatore moderato, ma che, in realtà, ben si è trovato a pronunciare, in determinati contesti, come quelli registrati nei video dell’inchiesta, commenti improbabili oltre che a prendere in giro il Paolo Berizzi, giornalista sotto scorta per le minacce ricevute dai neonazisti.

 

Le prime reazioni dopo la pubblicazione e l’oscuramento del video

In seguito alla pubblicazione dell’inchiesta, il tumulto scatenatosi è stato fortissimo.

Fidanza si è autosospeso da capo delegazione al Parlamento europeo, ma ha insinuato che Fanpage abbia strumentalizzato le immagini registrate dal suo giornalista.

Giorgia Meloni, leader del partito a cui appartengono i soggetti coinvolti nel “sistema” di Jonghi, ha deciso di non prendere subito le distanze. Prima, ha chiesto a Fanpage di visionare tutte le 100 ore di girato, “per sapere esattamente cose siano andate le cose e come si siano comportate le persone coinvolte per agire di competenza”. Poi, il contrattacco:

“Per quanto si possa fingere di non vederlo, era tutto studiato. Scientificamente, a tavolino. A due giorni dalle elezioni. Non da Fanpage, ma da un intero circuito, o circo, se vogliamo.”.

Jonghi con Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Fonte: open.online.it

Il direttore di Fanpage, Francesco Cancellato, si è rifiutato di acconsentire alla richiesta del leader di FdI e intanto la procura di Milano ha aperto un’inchiesta ipotizzando reati di finanziamento illecito ai partiti e riciclaggio.

Intanto, l’inchiesta era stata momentaneamente oscurata dal sito di Fanpage.it, suscitando una fortissima reazione anche nel direttore  che pubblicamente ha replicato con un video in cui definiva gravissimo l’accaduto.

Gli ultimi aggiornamenti

Tutto questo, fino ad arrivare a ieri sera, quando, anche in diretta tv, su La7, nel programma “Piazza Pulita”, oltre che sul sito di Fanpage, è stato pubblicato il secondo video dell’inchiesta, nel quale si vede: il giornalista Garzillo, insieme a Jonghi, incontra l’ex eurodeputato Borghezio, che ha in mente un piano per creare unaterza Lega“, formando una nuova corrente nel partito con elementi di estrema destra. Nel video vengono ripresi anche i militanti di Lealtà Azione e il consigliere regionale leghista Massimiliano Bastoni, che con il gruppo ha rapporti strettissimi. L’eurodeputato Angelo Ciocca, che sembra coinvolto nel progetto, secondo quanto dice il Barone nero può ambire a diventare il capo della Lega post Salvini.”.

Contemporaneamente, ieri sera, la Meloni è stata ospite nel programma “Dritto e rovescio”, su Rete 4. Nonostante continui a richiedere di visionare tutto di girato prima di esporsi definitivamente, ha comunque dichiarato che nel partito “non c’è spazio né per la disonestà eventuale, né per atteggiamenti che non siano chiari su temi come razzismo, antisemitismo, nostalgismo, folkrorismo”.

In attesa degli ulteriori sviluppi di questa triste vicenda, sicuramente, il ritorno online dei contenuti dell’inchiesta e la possibilità di poter esser visti da chiunque, ci solleva, perché la libertà di stampa è alla base di un Paese civile come l’Italia.

Rita Bonaccurso

 

 

Elezioni Amministrative: trionfo del centrosinistra. Crollano Lega e 5 Stelle mentre cresce Fratelli d’Italia

fonte: mam-e.it

Il 3 e il 4 ottobre si è votato in 1192 comuni italiani per l’elezione dei nuovi sindaci e dei nuovi consigli comunali. 12 milioni gli italiani chiamati al voto e tra le città interessate vi sono state ben sei capoluoghi di regione e tredici di provincia. Particolarmente elevata è l’attenzione su cinque delle principali italiane: Milano, Roma, Torino, Napoli e Bologna. Chiamati alle urne sono stati anche i cittadini calabresi per l’elezione del nuovo presidente regionale successivamente alla fine anticipata della precedente legislatura. La Calabria è stata infatti l’unica regione interessata da un rinnovo dei suoi vertici. Ad un giorno di distanza dalla chiusura dei seggi, è già possibile iniziare un’analisi sui risultati delle urne che nella maggior parte dei casi sembrerebbero confermare i dati degli exit poll di ieri.

Cresce l’astensionismo e la differenza di genere

Prima di soffermarci su qualsiasi ragionamento è giusto sottolineare un dato che fin da subito è parso eloquente. In tutti i comuni interessati si è registrato un drastico calo nell’affluenza alle urne. Al primo turno delle amministrative hanno espresso il proprio voto soltanto il 54,69% degli aventi diritto. Un dato al ribasso di circa sei punti percentuale rispetto alle ultime consultazioni svoltesi nel 2016. In quell’occasione l’affluenza fu del 61,58% nonostante le urne fossero rimaste aperte solamente un giorno.

A differenza delle scorse consultazioni amministrative, inoltre, nessuna donna non è stata eletta e né è andata al ballottaggio in nessuna delle grandi e medie città .

I risultati del primo turno di amministrative 2021, fonte: Il Post

Pesante ridimensionamento del Movimento 5 Stelle

Oltre all’alto astensionismo, l’ ulteriore dato che colpisce è il forte ridimensionamento del MoVimento 5 Stelle. Il movimento di Grillo e Casaleggio infatti perde le due grandi città che governava. A Roma il sindaco uscente Virginia Raggi si piazza al quarto posto, alle spalle di Calenda, dimezzando i voti con cui è riuscita cinque anni fa a superare il primo turno e registrando un generale malcontento nell’amministrazione del Campidoglio. Si ferma al 9% invece la candidata sindaco di Torino Valentina Sganga, sostenuta dal solo M5S nella corsa alla successione a Chiara Appendino. Se a Roma e Torino la sconfitta del M5S è apparsa netta, tale dato trova conferma anche ove i pentastellati correvano all’interno della coalizione di centro sinistra. A Napoli e Bologna il loro supporto è risultato essere praticamente ininfluente per il superamento del primo turno da parte di Gaetano Manfredi e Matteo Lepore, a cui hanno contribuito rispettivamente con il 9,7% e  il 3,3%. Disfatta ancor più netta nel capoluogo lombardo dove hanno raccolto soltanto il 2,7% dei voti e si sono visti superare dal partito “no vax” di Gianluigi Paragone fermatosi al 3%.

Il sindaco uscente di Roma Virginia Raggi, fonte: romalife.it

Risalita del centro sinistra: vittoria già al primo turno a Milano, Napoli e Bologna

A dimostrarsi in buona salute è invece il centro sinistra che vince già al primo turno a Milano e, come detto, a Bologna e Napoli. Beppe Sala, Matteo Lepore e Gaetano Manfredi sono riusciti a superare il 50% delle preferenze ed evitando così un ballottaggio al secondo turno con il diretto concorrente. Dove invece questo accadrà sarà invece a Roma, Torino e Trieste. Roberto Gualtieri ha raccolto il 27% delle preferenze nella capitale e tra due settimane sfiderà in una nuova consultazione il candidato di centrodestra Enrico Michetti, attestatosi invece al 30,2%. Medesima sorte anche per Stefano Lo Russo (Torino) e Francesco Russo (Trieste). Il PD si conferma dunque essere effettivamente l’asse trainante del centrosinistra, capace di essere indipendente dal sostegno dei pentastellati o prima forza quando in coalizione con questi ultimi.

Bappe Sala (PD) confermato sindaco di Milano, fonte: internazionale.it

Centrodestra: crolla la Lega mentre cresce Fratelli d’Italia

Il racconto unanime delle principali testate descrive il partito di Matteo Salvini come il primo sconfitto di queste consultazioni. Il leader leghista ha sostenuto in prima persona la candidatura del primario di pediatria Luca Bernardo, la cui corsa alla carica di sindaco di Milano è risultata essere una delle più deludenti. Nel capoluogo lombardo la Lega non è arrivata nemmeno all’11%, il risultato più basso da dieci anni ad oggi e sicuramente il tonfo più eclatante da quando vi è alla guida l’attuale leader del Carroccio. Salvini rischia di vedere anche la sua leadership messa in discussione. Paolo Damilano, candidato sindaco per il centrodestra a Torino è infatti considerato essere più vicino a Giorgetti, rispetto che all’ex ministro dell’interno.

fonte: fanpage

I risultati migliori della coalizione provengono certamente da Fratelli d’Italia. Non solo a Milano il partito ha raggiunto il 10% ma Enrico Michetti, scelto proprio dalla Meloni, è ancora in lizza per il ballottaggio a Roma, città dove Fratelli d’Italia ha ottenuto tre volte le preferenze dell’amico Matteo. Il primato nella coalizione a Bologna e Triste e sono l’ulteriore testimonianza di un definitivo mutamento degli equilibri nel centrodestra.

Ultima nota di colore da registrare è l’exploit di Forza Italia in Calabria. Il partito di Silvio Berlusconi è cresciuto di ben cinque punti percentuali rispetto alle elezioni dello scorso anno raggiungendo il 17,3% e guidando la coalizione di centrodestra che si conferma alla guida della regione con il nuovo candidato Roberto Occhiuto.

 

Filippo Giletto

 

 

 

 

Sea Watch 3, l’inchiesta su Carola Rackete è stata archiviata

Era la notte del 29 giugno del 2019 quando la Sea Watch 3, nave battente bandiera dei Paesi Bassi, forzò l’ingresso all’interno del porto di Lampedusa. Al momento dell’attracco la nave fece scendere a terra ben 42 persone, migranti recuperati a largo della costa libica. Questa faceva, e fa tutt’oggi, parte della ONG tedesca Sea Watch, da anni impegnata nel recupero e salvataggio di migranti nel Mediterraneo. La vicenda ebbe particolare risalto mediatico e monopolizzò nei giorni successivi l’attenzione dei principali salotti televisivi. In particolar modo, a finire nell’occhio del ciclone fu il comandante dell’imbarcazione, la tedesca Carola Rackete. Fu la 31enne a decidere volontariamente di violare le indicazioni delle autorità italiane e sbarcare sull’isola finendo con l’urtare, nel corso delle manovre di attracco, con una motovedetta della guardia di finanza italiana. Anche per questo motivo Carola venne successivamente arrestata con l’accusa di resistenza a una nave da guerra e tentato naufragio. Oggi, a due anni di distanza da quei fatti, la Procura di Agrigento ha visto accogliersi la sua richiesta di archiviazione delle accuse a carico della comandante della nave Sea Watch 3 da parte del gip di Agrigento.

La Sea Watch 3, fonte: Vita.it

I pregressi della vicenda

La Sea Watch-3 recuperò 53 persone nelle acque della zona SAR (search and rescue) libica il 12 giugno 2019. Di questi, 11 furono immediatamente portate a terra trovandosi in condizioni fisiche critiche e necessitanti immediato intervento medico. Le restanti 42 rimasero a bordo della nave che si diresse verso l’Italia. Il porto più vicino era quello di Lampedusa ma l’imbarcazione dovette rimanere in posizione di attesa in acque internazionali poiché le autorità italiane non rilasciavano il permesso di entrare. Col passare dei giorni e il perdurare del divieto, il 21 giugno venne fatta richiesta alla Corte europea dei diritti dell’uomo affinché questa costringesse l’Italia a far approdare la nave. La richiesta, proveniente dal comandante Carola Rackete, venne respinta poiché il tribunale disponeva tali misure solo in caso vi fosse un “rischio immediato di danno irreparabile”. Per il tribunale la situazione a bordo non era tale per cui obbligare l’Italia, che nel frattempo, comunque, si era premurata di assistere le persone ferite, le donne e i bambini.

L’allora Premier Giuseppe Conte e l’ex Ministro degli Interni Matteo Salvini. fonte: money.it

La situazione in Italia era enormemente differente rispetto ad oggi e il tema dell’immigrazione era tra i topic principali dell’agenda politica. La presenza al governo (l’allora Conte I) di un partito politico come la Lega, che faceva e fa tutt’oggi della lotta all’immigrazione uno dei suoi principali cavalli di battaglia, rendeva agli occhi di molti difficile la possibilità di risolvere diplomaticamente tali tipi di questioni. Il muro contro muro era la scelta normalmente più percorsa sebbene la maggior parte delle vicende si risolvessero, lontano dal clangore mediatico, con il salvataggio degli sfortunati. Inoltre era da poco stato varato il Decreto Sicurezza-bis, voluto fortemente dall’allora segretario della Lega e Ministro dell’Interno Matteo Salvini, e previsto dal “contratto di governo” stipulato con il MoVimento 5 Stelle.

 

L’approdo della Sea Watch 3

Dopo due settimane di navigazione, la nave da diporto entrò nelle acque territoriali italiane. Ciò avvenne in violazione del divieto emesso dalle stesse autorità italiane e provocò immediatamente le ire del Ministro degli Interni. A rendere ancor più incandescente la questione certamente contribuì l’urto della Sea Watch 3 con una motovedetta della guardia di finanza. Quest’ultima, ponendosi tra l’imbarcazione e la banchina del porto, cercò di impedire l’attracco della nave dell’ONG tedesca che, impegnata nelle operazioni di ormeggio, finì con l’urtarla. Nel corso delle ore successive ai migranti vennero prestate misure di primo soccorso ma l’attenzione mediatica fu tutta riversa nei confronti della comandante tedesca.

Carola Rackete al momento dell’arresto, fonte: LaRepubblica

L’immagine di Carola Rackete fu letteralmente presa di mira, non solo per il ruolo svolto nella vicenda, ma in quanto donna, tedesca e facente parte di una ONG. I suoi capelli, la sua provenienza da un contesto familiare agiato e il fatto di essersi presentata alla Procura di Agrigento senza reggiseno divennero i temi caldi di quei giorni estivi e parvero divenire aggravanti alle azioni da lei commesse. La nave fu sottoposta a fermo dalla guardia costiera e la sua comandante accusata di resistenza a nave da guerra e tentato naufragio, per cui è prevista la reclusione dai tre ai dieci anni.

La solidarietà e gli insulti verso Carola Rackete

L’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia, venuto a sapere della vicenda, offrì di prendersi cura dei migranti senza costi per lo Stato italiano. Offerte simili provennero da diverse città tedesche e vennero ribadite da Horst Seehofer, Ministro degli Interni tedesco, a patto però che venissero coinvolti altri stati dell’Unione Europea. Il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio dispose nei confronti della 31enne tedesca gli arresti domiciliari ma la gip (giudice delle indagini preliminari) di Agrigento, Alessandra Vella, decise successivamente di non convalidare il fermo. Nel frattempo la vicenda animava non solo i tribunali e le tv ma anche i social.

post sulla pagina facebook di Matteo Salvini, fonte: Globalist

Carola Rackete divenne bersaglio principale della “bestia” di Matteo Salvini. La macchina social, vero e proprio fulcro della propaganda salviniana, non elemosinava certo commenti di plauso o vicinanza. Nonostante il trattamento riservatole, nel settembre 2019, la comandante tedesca querelò l’oramai ex ministro degli interni per diffamazioni. Ai messaggi di odio e insulti si contrapponevano però anche quelli di elogio e solidarietà. Una raccolta fondi imbastita nei giorni successivi all’approccio della Sea Watch 3 raccolse più di 500 mila euro per coprire le spese legali. 

fonte: LiberoQuotidiano

La conclusione

Oggi, a due anni dai fatti, come detto la vicenda si è conclusa. Già nel febbraio 2020 la Cassazione aveva confermato la legittimità del “no” all’arresto di Rackete. Nelle motivazioni depositate si legge che “la comandante della Sea Watch 3 ha agito correttamente in base alle disposizioni sul salvataggio in mare. Ella è dovuta entrare nel porto di Lampedusa poiché l’obbligo di prestare soccorso non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro”.

È inoltre stata esclusa la natura di nave da guerra della motovedetta perché “al comando non c’era un ufficiale della Marina militare, come prescrivono le norme, ma un maresciallo delle Fiamme Gialle”.

Carola Rackete ha dunque agito in maniera “giustificata” dal rischio di pericolo per le vite dei migranti a bordo della sua nave.

Filippo Giletto

“Fedez-Rai gate”: la polemica per il tentativo di censura

«Mi hanno chiesto di omettere dei partiti e dei nomi ed edulcorarne il contenuto. Ho dovuto lottare un pochino, ma alla fine mi hanno dato il permesso per esprimermi liberamente».

Fedez sul palco del concerto del Primo Maggio (fonte: rollingstone.it)

Questo l’incipit dell’ormai super virale monologo del rapper che vanta un seguito di circa 30 milioni di persone sparse in tutto il mondo, diviso con la moglie con la quale è diventato re dei social. Si tratta di Fedez, che, ancora una volta, non ha esitato a chiarire la propria posizione in merito a questioni attualissime, questa volta sul palco del Concertone del Primo Maggio, trasmesso dai Rai Tre, sabato scorso.

Ripercorriamo gli eventi prima di analizzare la polemica che è scoppiata.

Il monologo e la telefonata con i vertici Rai

Fedez, in diretta, ha sin da subito reso noto l’avvenuto tentativo di censura da parte di Rai Tre. La prima parte del suo discorso incentrato sul sottolineare un sempre più forte bisogno di aiuti statali ai lavoratori dello spettacolo ritenuti insufficienti, soprattutto in confronto alle attenzioni riservate al calcio, anche dallo stesso premier Draghi – a cui il cantante si è rivolto direttamente durante l’intervento – scosso dalla polemica sulla Super Lega; poi, la parte che la Rai non ha approvato. Ancora una volta al centro dell’attenzione il Ddl Zan, disegno di legge divenuto strumento per la lotta all’omotransfobia e punto di divisione nel mondo politico e non solo.

Nella seconda parte, infatti, la lista di nomi e cognomi di politici leghisti che, in pubblico, hanno pronunciato frasi offensive, ma che la Rai avrebbe preferito non riportare in una tale occasione, evitando la polemica più aspra. Ma la polemica è scoppiata e più violentemente del previsto, proprio per il tentativo di dissuadere Fedez, prima che salisse sul palco, dall’essere così diretto. Tra l’altro, tutto ciò è stato documentato da un video.

Nel video, si può assistere a una telefonata con i vertici Rai, pubblicata dal rapper dopo che l’emittente televisiva aveva emesso un comunicato, sostenendo che non ci fosse stato questo tentativo di censura, né chiesti «preventivamente i testi degli artisti intervenuti al tradizionale concertone, “per il semplice motivo che è falso, si tratta di una cosa che non è mai avvenuta”.

Un frame del video diffuso da Fedez (fonte: larepubblica.it)

Però, nella telefonata – avvenuta qualche ora prima dell’esibizione – si sentono alcuni membri dell’organizzazione e la vicedirettrice della rete, Ilaria Capitani, chiedere di avere i dettagli dell’intervento e di “adeguarsi a un sistema”.

Censura sì, ma da parte di Fedez?

Nella mattina di domenica, la Rai ha replicato alla diffusione del video, sostenendo che, piuttosto, a usare la censura sia stato proprio Fedez ai danni del video pubblicato e che, dunque, sulla telefonata sia stato fatto un “taglia e cuci”. È stato ribadito di non avere tentato di applicare censura. Ma il cantante ha subito risposto, rendendosi disponibile a rendere pubblica la versione integrale.

“Né la Rai né la direzione di Rai3 hanno mai operato forme di censura preventiva nei confronti di alcun artista del concerto: la Rai mette in onda un prodotto editoriale realizzato da una società di produzione in collaborazione con Cgil, Cisl e Uil, la quale si è occupata della realizzazione e dell’organizzazione del concerto, nonché dei rapporti con gli artisti, Il che include la raccolta dei testi, come da prassi.” si legge nella nota dell’Ad Fabrizio Salini.

Il botta e risposta con Salvini e le diverse reazioni

Già prima del concerto era iniziata una discussione sui social tra Fedez e il leader della Lega. Quest’ultimo non ha aspettato nel dire la sua, subito dopo l’intervento sul palco del rapper, scrivendo su Twitter:

“La Rai non può comprare interventi d’odio a scatola chiusa e non si invochi la censura, perché al rapper non mancano certo spazi per manifestare il suo pensiero, tra l’altro noto anche ai sassi. Viale Mazzini ha ancora qualche ora per rimediare, dopodiché la Lega si muoverà in tutte le sedi competenti. E i sindacati si ricordino che il lavoro appartiene a tutti, non lo si svilisca per regalare qualche like a un cantante milionario.”.

“Un cantante, può porre in essere questi attacchi personali senza possibilità di contraddittorio? Nelle sue parole ho percepito una violenza inaudita.” ha replicato Jacopo Coghe, vice presidente di Pro Vita e Famiglia onlus, definito da Fedez “ultracattolico e antiabortista e amicone del leghista Simone Pillon”.

Non manca neanche la risposta dal Codacons, con cui il rapper ha avuto diversi e asprissimi screzi, finiti in tribunale. Se in prima battuta esso abbia attaccato la Rai, in secondo luogo ha portato l’attenzione su quella che ha accusato essere pubblicità occulta da parte del cantante che ha indossato capi di abbigliamento con marchi ben in vista, motivo per il quale procederà un esposto all’Antitrust e alla Commissione di vigilanza Rai.

Non è mancato l’intervento a favore di Fedez, da parte di Fabrizio Marrazzo, portavoce Partito Gay per i diritti LGBT+, Solidale, Ambientalista e Liberale, il quale ha ribadito essere necessario allontanare la politica dalla Rai, o meglio, da certe situazioni che dovrebbero rimanerne distanti, nel rispetto della libertà di pensiero.

Solidarietà anche da politici, come l’ex premier Giuseppe Conte, che senza molti giri di parole, ha scritto sui propri social “Io sto con Fedez. Nessuna censura.”. Nicola Zingaretti ha espresso tutta la sua indignazione nei confronti delle frasi riportate nel monologo e pronunciate in varie occasioni da politici leghisti, ricordando tutto il suo supporto a Fedez e per l’approvazione al Ddl Zan.

“La musica è libertà, trasmette emozioni e ci aiuta a comprendere, analizzare, maturare. Penso che il rispetto sia la cosa più importante e stia alla base di tutto, significa saper accettare le critiche e le idee diverse dalle nostre. E un Paese democratico non può accettare alcuna forma di censura.”. Queste le parole scritte su Facebook dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, aggiungendo tutta la stima nei confronti di Fedez anche per precedenti vicende.

La censura al Concertone: i precedenti

Alla seconda edizione del Concertone, Elio e le Storie Tese suonarono “Cassonetto differenziato per il frutto del peccato”, ma dopo pochi secondi rivelarono che quello fosse “un depistaggio per i funzionari della Rai” e attaccarono con una versione inedita di “Ti amo”, un pezzo che qualche mese prima avevano suonato per dodici ore consecutive. In quell’occasione, invece, si fermarono a cinque minuti, pure perché il nuovo testo – preparato accuratamente e scritto su un foglio – faceva nomi e cognomi della politica di allora, da Andreotti a Cossiga fino al presidente della Rai Enrico Manca. Così, si interruppe tutto. Un sarcastico e compiaciuto Elio allora esclamò “come Jim Morrison!” e poi si improvvisò un’intervista più “Rai-friendly” con il giornalista Vincenzo Mollica a Ricky Gianco. Un’edizione intensissima quella del ’91, perché anche la band – mai più vista – “I Gang” aveva annunciato di voler cantare Ombre rosse, per poi virare su Socialdemocrazia e annunciare uno sciopero contro Andreotti.

Dopo Elio e le Storie Tese, l’altro vero momento caldo della censura al Primo Maggio, arriva nel 2003, in pieno governo Berlusconi. Daniele Silvestri – all’epoca famosissimo per il brano “Salirò” – puntò l’attenzione sull’ostilità di Berlusconi nei confronti della magistratura italiana. Così, l’edizione del concerto dell’anno successivo fu l’unica andata in onda in differita di 20 minuti, per evitare frasi scomode, “comizi” e slogan politici.

Dunque, se in passato molti provarono a fare come Fedez, è innegabile che i social rendano tutto ancor più risonante, lasciando la possibilità ai singoli italiani di esprimersi in merito. Questa volta moltissimi hanno potuto manifestare ancor di più la propria solidarietà a un artista coraggioso. Ciò che ha colpito particolarmente è, non solo il coraggio, ma la gran empatia di Fedez, chiaramente un “privilegiato”, che invece di starsene tranquillo nel suo mondo dorato, ha comunque scelto di usare il suo privilegio per gli altri.

 

Rita Bonaccurso

Il discorso di Conte al Senato: le sorti di un Paese

Dopo aver ottenuto la maggioranza alla Camera con ben 321 sì, il Presidente del Consiglio Conte sta affrontando oggi la fase maggiormente decisiva a Palazzo Madama, dove gli equilibri sono diversi.

(fonte: open)

È durato circa un’ora l’atteso discorso del premier, tenuto stamattina in Senato e scandito da 31 applausi, più numerosi dei 14 ricevuti ieri a Montecitorio. Un intervento che ricalca in gran parte quello fatto ieri: “Con la pandemia, con la sua sofferenza, il Paese si è unito. Si è elevato il senso di unità del governo, si sono elevate le ragioni dello stare insieme”.

Al Senato, il presidente del Consiglio conta sul voto di Liliana Segre, tornata a Roma appositamente per confermare la fiducia, e del gruppo Maie-Italia23, formatosi per sostenerlo.

Dure ancora le opposizioni. Ieri Giorgia Meloni ha attaccato tutto il Governo alla Camera, accusando Conte di “poltronismo” e chiedendo il voto.

Attesissimi gli interventi di Matteo Renzi che, dopo la vicenda che lo ha avuto come antagonista, promette “la verità”. Si aspetta anche quello di Matteo Salvini.

Il discorso di Conte in Senato

Conte ha iniziato, alle 9:30 circa, dai banchi del Senato. Siedeva insieme ai ministri Franceschini, Speranza, Gierini, Bonafede, Di Maio, Lamorgese, D’Incà e Amendola; ad ascoltarlo un’aula quasi al completo, sotto gli occhi anche di Salvini e Renzi.

Prima osservato un minuto di silenzio in memoria di Emanuele Macaluso, lo storico dirigente Pci morto a 96 definito – a prescindere dai propri ideali – un grande protagonista della vita politica e culturale italiana”.

Subito dopo, ha ricordato le difficoltà derivate dalla alla pandemia, dove il governo ha dovuto “operare delicatissimi, faticosissimi, bilanciamenti dei princìpi e dei diritti costituzionali.”.

In questi mesi così drammatici, pur a fronte di una complessità senza precedenti, questa maggioranza ha dimostrato grande responsabilità, raggiungendo – certamente anche con fatica, convergenza di vedute e risolutezza di azione, anche nei passaggi più critici.” – ha detto per poi attaccare l’opposizione – “In questi giorni ci sono state continue pretese, continui rilanci concentrati peraltro non casualmente sui temi palesemente divisivi rispetto alle varie sensibilità delle forze di maggioranza. Di qui le accuse a un tempo di immobilismo e di correre troppo, di accentrare i poteri e di non aver la capacità di decidere. Vi assicuro che è complicato governare con chi mina continuamente un equilibrio politico pazientemente raggiunto dalle forze di maggioranza”

(fonte: ilMattino)

Nel suo discorso – accompagnato da brusii ed applausi ironici, cori “Bravo, bravo!” – il premier ha toccato anche altri punti fondamentali del progetto di governo: rilancio del Sud, digital divide, riforma meditata del titolo V della Costituzione, piano vaccinazioni, ma anche la necessità di un governo e di forze parlamentari che riconoscano l’importanza della politica indirizzata al benessere dei cittadini.

La richiesta di “un appoggio limpido, che si fondi sulla convinta adesione a un progetto politico” perché “questo è un passaggio fondamentale nella vita istituzionale del nostro Paese ed è ancora più importante la qualità del progetto politico”

Ha poi concluso usando le stesse parole dell’intervento alla Camera:

“Costruiamo questo nuovo vincolo politico, rivolto alle forze parlamentari che hanno sostenuto con lealtà il Governo e aperto a tutti coloro che hanno a cuore il destino dell’Italia. Io sono disposto a fare la mia parte. Viva l’Italia”

A seguire un lungo e caloroso applauso finale, durante il quale, addirittura i parlamentari del Pd e del M5s si sono alzati in piedi.

Subito dopo, non è mancato un acceso mormorio in Aula. La presidente del Senato Elisabetta Casellati ha dovuto chiedere silenzio per poter dare avvio al dibattito.

Il dibattito

Concluso l’intervento del premier, è iniziata la discussione generale. Risultano essere 45, almeno per ora, i senatori iscritti a parlare, tra cui il senatore a vita Mario Monti, Emma Bonino, Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega, e Matteo Renzi, leader di Italia viva. Otto gli interventi previsti per le dichiarazioni di voto. Per Italia viva interverrà Teresa Bellanova, ex ministro dell’Agricoltura, Andrea Marcucci, presidente dei senatori del Pd, e Matteo Salvini, segretario della Lega.

Un lungo applauso ha accompagnato la senatrice a vita Liliana Segre, accolta dal saluto di Pier Ferdinando Casini.

“Conte – ha detto – ha dimostrato in queste vicende una sua solidità e una capacità”, annunciando il suo voto a favore.

Tendente a essere positivo si è detto anche Mario Monti del Gruppo Misto:

 “Annuncio il mio voto di fiducia nel modo che mi è proprio. Non le porto voti, se non il mio. Il mio un voto di fiducia è libero e condizionato ai provvedimenti, se corrisponderanno alle mie convinzioni.”.

(fonte: flipboard)

Tra i senatori già in maggioranza, si segnala oggi l’assenza per Covid di Francesco Castiello del M5s.

Sono 153 ritenuti certi – finora – a favore della maggioranza, ma il pallottoliere viene continuamente aggiornato. C’è chi confida che l’asticella a sostegno di Conte salga fino ad almeno 158.

L’obiettivo, secondo alcune fonti, sarebbe quello di lasciare più di 18 senatori di margine tra i Sì e i No, per dimostrare che Italia Viva non è essenziale alla maggioranza.

Dopo l’abbandono del governo, la suddetta aveva annunciato che si asterrà nel voto finale, come confermato dal senatore umbro Leonardo Grimani. Questo consentirà all’esecutivo di ottenere la fiducia con una maggioranza relativa, per la quale non è richiesto un quorum minimo ed è sufficiente superare l’opposizione anche di un solo voto.

Considerata, Iv, responsabile della “crisi assurda e incomprensibile” da parte di Franco Mirabelli, vicepresidente del gruppo dem a Palazzo Madama, questo ha aggiunto ai microfoni:

“E’ necessario sostenere l’azione del governo per aiutare il Paese, con le risorse del Recovery, a superare la pandemia, a fare ripartire l’economia e fare le riforme. Per questo il Partito democratico appoggia l’impegno del presidente Conte a un nuovo patto di legislatura”.

Netta l’opposizione del centro-destra, che chiede le dimissioni del presidente del Consiglio anche al Senato. Il testo, uguale a quello presentato ieri alla Camera, è firmato dai capigruppo di Lega, Massimiliano Romeo, di Forza Italia, Annamaria Bernini, di Fratelli d’Italia, Luca Ciriani e da Paolo Romani di ‘Cambiamo’.

Alle 16:30 la seduta sarà sospesa per un’ora per consentire la sanificazione dell’Aula. Per le 17:30 si attende, invece, la replica del premier che precederà le dichiarazioni di voto sulla fiducia e la chiama, prevista per le 18.

L’esito dello scrutinio resta ancora totalmente incerto ma dovrebbe essere annunciato circa alle 20:30.

Manuel De Vita

Luciana Lamorgese lancia l’allarme: rabbia sociale come conseguenza della crisi

Il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese interviene sui temi più discussi del momento e lo fa ad Agorà Estate su Rai 3 e lancia l’allarme della “rabbia sociale” come conseguenza della crisi economica dovuta alla chiusura del paese e afferma: “Il rischio è concreto, a settembre vedremo l’esito di questa crisi che ha colpito le aziende. Vediamo negozi chiusi, cittadini che non hanno la disponibilità di provvedere ai propri bisogni quotidiani. Il Governo ha posto in essere tutte le iniziative per andare incontro a queste necessità. Il rischio però è concreto. Vedo oggi un atteggiamento di violenza verso le nostre forze di polizia, a cui deve andare il ringraziamento di tutti gli italiani. Le forze di polizia tutelano l’ordine democratico e tante volte non viene inteso in questi termini’’ e continua dicendo “comportamenti violenti nei confronti di chi ci tutela sono assolutamente da condannare”. Si esprime in merito anche alle misure per fronteggiare l’emergenza, e pone come obiettivo “del governo evitare il crearsi di nuovi focolai”. Non esclude neppure l’arrivo di nuovi contagi:  “Non possiamo ignorare la possibilità di un ritorno del virus, come la comunità scientifica ci sta purtroppo dicendo, ma proprio per questo i nostri atteggiamenti devono essere ancora più responsabile perché dobbiamo evitare un nuovo lockdown: con il nostro comportamento dobbiamo essere responsabili e contenere un eventuale nuovo focolaio a ottobre”

Il ruolo europeo sui migranti

Papa Francesco nel corso della celebrazione della messa nella cappella di Casa Santa Marta, in occasione dei sette anni dalla sua visita a Lampedusa dell’8 luglio 2013, ha denunciato infatti come con la Libia “ci dà una versione distillata, non immaginate l’inferno che si vive lì, nei lager di detenzione “. Il ministro ha voluto commentare dicendo “Mi colpiscono sicuramente, però vorrei dire che già parecchi giorni fa ho scritto al ministro degli Esteri Di Maio, che mi ha risposto prontamente, sull’esigenza di procedere ai corridoi umanitari a livello europeo per liberare i campi di detenzione in Libia”. Ed sottolinea che l’argomento non sarà sottovalutato “in questo semestre di presidenza tedesca. Spero che questo semestre possa dare un segnale di vicinanza dell’Europa di tutti e 27 i Paesi membri su questo tema. L’Italia e gli altri Paesi” del Mediterraneo “non possono essere lasciati soli”.

Vertice posticipato

E’ stato invece rinviato al pomeriggio di martedì 14 luglio il vertice di maggioranza (Leu-Pd-Iv-M5S) al Viminale con col ministro Lamorgese sulla revisione dei decreti Sicurezza a causa dei lavori dell’aula alla Camera.

Paola Caravelli