Ho deciso: mi rifaccio le labbra

Immaginiamo una tipica conversazione a tavola di una famiglia comune. Qualunque genitore storcerebbe un po’ il naso se improvvisamente la figlia esclamasse “voglio rifarmi le labbra”. Ne discuterebbero al massimo per qualche ora o qualche giorno se i motivi fossero validi; certo è, che non si potrebbe biasimare una possibile invocazione di Zeus in persona se invece l’unico motivo di quella decisione fosse semplicemente “perché ce le hanno tutte così”. Eh sì, perché ormai non compiamo delle scelte spinti da un desiderio recondito o perché dettati dalla nostra coscienza, piuttosto siamo spinti da ciò che vuole la massa. Ma MASSA non significa TUTTI.

Noi donne soprattutto, lo ammetto con amarezza, tendiamo più facilmente a cadere nella trappola di falsi miti estetici, celando dietro un nostro cambiamento la vera ragione che ci ha spinto a farlo, che non è di voler piacere di più agli uomini o peggio ancora “per piacere a noi stesse”. La realtà è di voler piacere alle altre donne e competere con loro, per ostentare attraverso i social quanto sia vantaggioso avere lo stesso identico viso di un’altra persona e come migliorerebbe persino il nostro stile di vita che altrimenti risulterebbe sciatto, monotono, out, abitudinario.

La moda del bisturi esiste da tempi immemori, ancor prima del primissimo intervento ai canotti di Valeria Marini, quindi pensate un po’. Oggi però le cose sono peggiorate: diciottenni e anche meno, in piena crisi adolescenziale, che non sanno nemmeno se siano carne o pesce, si ingrandiscono le labbra col filler per aver visto su instagram una miriade di selfie di tizie perfette, con naso perfetto, labbra perfette, zigomi perfetti e altre foto correlate che testimoniano i loro primi esordi nello spettacolo. Quelle stesse ragazzine cominciano quindi a desiderare lo stesso, ma per aspirare a far cosa? A diventare fashion blogger? I risultati sono poi stupefacenti, IDENTICHE tra loro, forse perché arrivano dal chirurgo con le medesime foto di modelle a cui ispirarsi o di una ”Nasti Love” qualsiasi (sconosciuta tra i comuni mortali) che conta straordinariamente milioni di followers grazie al seno rifatto e il bel canotto attraccato sul viso, anche se dicono sia per come abbini i vestiti.

Bambole Bratz che continuano a riprodursi in quantità esorbitanti e non necessarie, le quali smentiscono, quanto sostenuto da chirurghi plastici e psicologi, cioè che gli interventi (quando non indispensabili) possono essere utili per acquisire fiducia in se stessi e per sentirsi più apprezzati allo specchio. Invece no, oggi servono come passepartout per Cinecittà. In tutto ciò molti genitori, dalla sanità di mente molto discutibile, permettono il clonaggio di Barbie sulle loro ex-bellissime figlie e intanto su Instagram si iscrivono le nuove 2006 o persino le 2010; tutte ragazzine cioè, che a lungo andare vivranno un’adolescenza di plastica e penseranno di avere sul viso dei tratti somatici sbagliati, non accettati dalla società e per questo sentiranno l’esigenza di modificarsi.

È questo il prototipo di bellezza che abbiamo raggiunto nel 2017? Siamo davvero disposti a rinunciare all’unicità per lasciare il posto alla noia e alla ripetizione? È davvero trapassato il tempo di quelle icone bellissime semplici e raffinate di Marilyn Monroe, Audrey Hepburn o Sofia Loren? 

Spero ci sia una preoccupazione generale… perché questa potrebbe stimolare un reale miglioramento dei modelli di bellezza esistenti, i quali tuttavia non dovrebbero diventare universali, non dovrebbero valere per tutti allo stesso modo. Perché, allora, non cominciare a mandare messaggi diversi tramite i social, un po’ più veri e naturali? Magari in prospettiva dei nostri futuri figli, che speriamo un giorno non dovranno avere difficoltà a riconoscerci in delle foto con vecchi amici, a causa delle nostre facce di gomma tutte uguali.

Martina Casilli

Matricole, istruzioni per l’uso

461042. Non è il mio numero di cellulare (un po’ troppo corto in effetti anche se lo ricorda abbastanza) e neanche il mio CAP; né il codice dell’ultimo rossetto Red Wine che ho comprato da Wycon o i giorni che mancano all’estate. Nulla di tutto ciò. È il mio numero di matricola.

Quarantaseidieciquarantadue. Ma che vuol dire? Sono la quattrocesessantunomilaquarantaduesima iscritta? No, veramente. Spiegatemelo! È un dubbio che mi tormenta da anni, anzi mi ATTANAGLIA.

Giusto per farmi un po’ la secchioncella acculturata di turno. E sfigata aggiungerei, perché mentre vago alla ricerca di un ascensore al mio terzo anno di università, mi vedo inondata da una mandria di giovani altissime, levissime, purissime studentesse, che io, col mio metro e cinquantacinque portato pure male, posso solo levare i tacchi – che non indosso – e filarmela.

– Quelle sono sicuro matricole!
Già, perché le matricole le riconosci subito! Innanzitutto le vedi vestite di tutto punto (maschietti e donzelle) che la Milano Fashion Week a confronto diventa la sagra della melanzana di un qualche paese sperduto dell’entroterra catanzarese.
Secondo, si fanno accompagnare in segreteria dai loro genitori. Non ridete. L’abbiamo fatto tutti. L’ho fatto anch’io. Era il primo giorno del primo anno di università. Città nuova, vita nuova, la tremarella alle ginocchia e tanti quesiti a cui non sapevo dare risposta. “Risulterò iscritta?” “Ma gli esami come funzionano?” “I CFU cosa sono? Si mangiano?”. In merito a quest’ultima domanda, nei miei quasi tre anni da universitaria, mi sono resa conto che in effetti i CFU non si mangiano, si conquistano! E così, tra corsi, tirocini, palestra, conferenze, incontri case libri auto viaggi fogli di giornale, ho imparato a vivere “un quarto di CFU alla volta”.

Ma ritorniamo a noi. Cioè a voi. Cioè a loro, la combo matricola + genitore in segreteria. La coppia si apposta battagliera davanti agli sportelli ad orari improbabili, importunando lo stremato malcapitato di turno col quizzone “e tu, quando ti laurei?” (regola di sopravvivenza numero 1: mai porre questa domanda ad uno studente universitario!) e soprattutto passandoti avanti perché <<Ho la pasta sul fuoco, scusaci gioia, dobbiamo giusto capire due cosette. Saremo veloci, promesso>>. E lo sai tu e lo sanno loro che quel “saremo veloci” è più falso di tua mamma quando da piccolo cadevi e ti diceva “vieni qui, non ti faccio niente”.

Infine, ma non per importanza, le matricole sono sempre effervescenti e sorridenti.
Ora, effervescente solo se sei un’aspirina. Poi, a meno che non abbiate vinto al lotto o ereditato un bel po’ di quattrini da qualche sconosciuto e lontano parente morto chissadove e chissapercosa, io non capisco davvero cosa ci sia di così divertente nelle lezioni delle 09:00 del mattino.
Gli stessi geni caricano poi foto e boomerang nelle proprie Instagram Stories in diretta dalle proprie aule studio, accompagnati dagli originalissimi hashtag #machimelhafattofare e/o #nonnepossopiù al quarto giorno di lezione. Ma, esattamente, di cosa “non ne potete più” se avete passato la metà del tempo a ricercare la luce giusta per i vostri selfie o a fumare nei cortili per tentare di abbordare qualcuno/a? Vi dico solo una cosa, anzi due: SESSIONE INVERNALE e SESSIONE ESTIVA. E non penso di dover aggiungere altro.

Benvenuti all’università, care gioiose matricole, una selva oscura di pentiti e peccatori. L’unico luogo in cui sai quando entri ma non sai quando e se esci. Una camera a gas ricolma di ingenui condannati a morte.

Quarantaseidieciquarantadue, quarantaseidieciquarantadue… forse ora inizio a capirci qualcosa.

Elisa Iacovo

De André, poeta al servizio della verità

”Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior” è la strofa finale del brano Via del Campo. Riassume sommariamente il pensiero di  De Andrè che nelle sue numerose canzoni si è soffermato a descrivere prostitute, giudici, chimici, caduti di guerra, dando a tutti questi una connotazione originale. Non si fermava alle apparenze, scavava nel profondo di questioni sociali delicate denunciando le ingiustizie palesemente senza peli sulla lingua e con un eleganza inattaccabile o quasi.

Alcuni dei suoi capolavori vennero inizialmente censurati e non furono trasmessi dalle emittenti radiofoniche dell’epoca. Il Pescatore è uno di questi, così come Bocca di Rosa nella quale, oltre a fare protagonista di questa storia una meretrice,  accusa pesantemente le forze dell’ordine per le quali il cantautore genovese non nutriva grande stima.

Anarchico convinto ed anticonformista, non appoggiò mai un partito, mantenne sempre un distacco più o meno netto dal mondo della politica, anche se non si tirò indietro quando ci fu da denunciare o da prendere parte a qualche protesta. Maggio ’68 divenne il manifesto musicale della lotta studentesca più famosa di tutti i tempi, una lotta che fece la storia. Saper criticare, disprezzare e talvolta insultare senza essere mai volgare e banale è una delle qualità che lo contraddistingue maggiormente.

La signorilità di Fabrizio resta una perla probabilmente unica nella storia della musica italiana della quale è riconosciuto all’ unanimità come uno dei più grandi esponenti di sempre. Non volle mai partecipare al Festival di Sanremo e si rifiutò di comparire in televisione nonostante i numerosi inviti. Scartò tutte le possibilità di avere notorietà facile, ma l’acquistò comunque senza problemi, non rinnegando mai i valori in cui credeva fermamente. A fine anni ’60 tenne un concerto al lido “Le Dune Bianche” di Bianco (R.C.). Moltissima gente rimase fuori, dal momento che non aveva potuto acquistare il biglietto. Quando vide il locale stracolmo, costrinse i proprietari ad aprire le porte a tutti, rifiutandosi in caso contrario di cantare.

Dopo essere stato sequestrato assieme alla moglie Dori Ghezzi in Sardegna, ai giornalisti non rivelò nulla di particolare circa i modi con cui erano stati trattati dai sequestratori. Quello che ritenne opportuno condividere col pubblico lo raccontò nella canzone Hotel Supramonte.

Fabrizio de André è in definitiva una miniera di saggezza in rima. Con lui Bocca di Rosa diventa colei che “portò l’amore nel paese”, il tipo strano de La Città Vecchia che “vendette per tremila lire sua madre ad un nano” non sarà un giglio, ma pur sempre figlio, vittima di questo mondo. Un matto non è un condannato alla discriminazione, ma uno che “ha un mondo nel cuore e non riesce ad esprimerlo con le parole”.  Il soldato Piero non uccide il nemico perché “se gli spari in fronte o nel cuore soltanto il tempo avrà per morire, ma il tempo a me resterà di vedere, vedere gli occhi di un uomo che muore”. Bisogna avere una grande umanità per avere un immagine del mondo così bella e ottimistica. Don Andrea Gallo, celebre parroco genovese molto legato a Fabrizio, ha soprannominato la sua discografia “Il Vangelo secondo de Andrè”. Sarà sicuramente tra gli apocrifi, ma le sue “parabole”, se così ironicamente possiamo definirle, ne danno d’insegnamenti. De Andrè vive ancora nell’animo di adolescenti e anziani, di chi semplicemente si emoziona ascoltando una sua canzone, perché ci ha sicuramente insegnato ad amare, a prendere le difese dei più deboli e a dare ascolto ai propri sentimenti.

“Io penso che un uomo senza utopia, senza sogno, senza ideali, vale a dire senza passioni e senza slanci sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di raziocinio, una specie di cinghiale laureato in matematica pura.”

Francesco Catanzariti

A Famigghia è a Famigghia (c’è poco da fare)

La amiamo, la odiamo, non la sopportiamo, torniamo indietro con la coda tra le gambe. La famiglia di certo non te la scegli (Mamma, ti amo più di ogni cosa al mondo ma se avessi potuto avere come padre BILL GATES non sarebbe stato male), eppure è sempre là per te.

‘’Piccola e disastrata’’, diceva Stich (se non sapete chi è, faccia al muro); ognuna fatta a modo proprio, con le proprie regole, ossessioni, modi di colloquiare, urla.

Ma, dai che è così, è sempre là. CAZZO, sempre. Ed è l’unico posto dove, dall’inizio alla fine, anche se non si viene capiti… Si viene accettati.

Perché Ohana significa famiglia. E famiglia significa che nessuno viene abbandonato o dimenticato.

 

E NOI VI ABBIAMO SGAMATI, UNA DI QUESTE È LA VOSTRA, LATELMENTE IMBARAZZANTE, FAMIGGGGGHIA.

 

1) Quelli del Mulino Bianco

Tutto parte più o meno da lì, da quando al catechismo ci hanno insegnato che in principio sono stati creati Adamo ed Eva; l’uomo e la donna che si riproducono e danno vita a Caino e Abele. Una bella famigliola felice insomma (certo fino a quando poi Caino accoltellò Abele, ma questa è un’altra storia…)

La famiglia tradizionale è sostanzialmente semplice: ci sono mamma e papà e, quasi sempre, una coppia di figli maschio-femmina. Perché si sa: “Abbiamo fatto il maschietto, ora facciamo la femminuccia e siamo al completo” come se il tutto fosse un’ordinazione Amazon con comprese le spese di spedizione.

“Ah, e dopo prendiamo pure un cane che con l’acquisto della femminuccia ci fanno il 30%”

La famiglia del mulino bianco è il paradiso. Tutti amano tutti e i ruoli sono ben definiti. Il papi porta a casa la pagnotta, mami tiene a bada gli equilibri e raccoglie i calzini sporchi da terra, i pargoletti hanno il solo compito di studiare e portare a casa pagelle degne dei migliori college americani per mantenere alto in buon nome della famiglia.

Si fa tutto insieme: le gite in barca, le passeggiate in montagna, le cene di famiglia e le riunioni straordinarie per fare il punto della situazione ed aggiornarsi sull’andamento delle dinamiche familiari.

“Dove c’è Barilla, c’è casa”… o forse sarebbe meglio dire: “Rooossitaaaa, ma quanto è bello il nostro mulino… bianco?!”

 

 2)  Aggiungi un posto a tavola

In queste famiglie non si capisce niente. Sono difficili da spiegare, i componenti stessi hanno difficoltà, tant’è che si riduce tutto in un ‘’è mio cugino/ zio/ padre/ madre’’. E poi devi stare là a spiegare come mai il padre moro alto e di nome Nicola, si è trasformato in biondo e con gli occhi azzurri e si chiama Nunzio.

Bel dilemma.

Allora, vi spiego. Queste famiglie nascono, per sfortuna o per fortuna, da un divorzio. E poi, Mamma e Papà, si sposano rispettivamente con altri due Mamma e Papà NUOVI e quindi da che sei figlia unica a che hai 55 fratelli, 30 sorelle, 294 zii e zie, 93 nonni e nonne e 292402 cugini.

E poi ci sono quelle che Mamma e Papà Nuovi, cioè dopo che si sono lasciati con i VECCHI, figliano come conigli in calore e poi si lasciano e incontrano Mamma e Papà nuovi bis e quindi hai 8 padri 8 madri e non capisci più di chi cazzo sei figlio, ma va bene così perché dai con le paghette settimanali OTTUPLE.

“Sai cosa c’è, c’è un mondo nuovo qui che aspetta solo noi, adesso che ci siete voi… in tanti si sta bene!”

E, santi Cesaroni, siete diventati il riassunto perfetto per cercare di spiegare tale confusione: ‘’HAI PRESENTE I CESARONI? ECCO, CASA MIA È UN PO’ COSI’’’, arrivederci e grazie.

 

3) 44 gatti in fila per 3 col resto di 2

Eh beh, che non le consideriamo famiglie? Lo scenario è il seguente: una zia, spesso anziana e chiaramente zitella da una vita, restìa a qualsiasi legame interpersonale con la specie umana.

Si dai, lo so che voi giovani donzelle sulla ventina starete pensando “presto anch’io sarò una vecchia zitella rimbambita e senza speranze” ma sappiatelo, care ragazze, che per dar corpo alla vostra idea di famigliola felice dovrete chiaramente possedere DEI GATTI.

No, non sto parlando di uno, due o tre micetti coccolosi da lasciare sull’uscio di casa solo per dargli ogni tanto qualche avanzo da mangiare. Sto chiaramente parlando di avere letteralmente QUARANTAQUATTRO gatti, coi quali parlare, mangiare, dormire, dialogare sui drammi esistenziali dell’universo in un linguaggio misto fra quello umano e quello delle fusa animalesche.

Avete presente “Sepolti in casa” su Real Time? Io questo genere di famigliola la immagino così: un ammasso di gatti a ricoprire interamente la figura della vecchia zia che quando esce di casa puzza di piscio e sa di pelo. Siete carini però, molto carini.

 

4) Il Terrone fuori sede

Un giorno, u cucinu SABBATURI, pigghiau bagatti e burattini e sinni annau in America. O in Veneto, o in Francia o dove più gli garbava (cosa c’entra sta botta di fiorentino ora? Boh).

U cucino Sabbaturi, però, non seppi mai abbbituarsi agli usi e ai costumi del resto del mondo. Conosceva solo quelli i ccà!

E quindi, niente, vai con i pranzi di Natale che durano 60 ore, con le tavolate costituite da 90 parenti, con le bbuci fino alle 3 del mattino, con i ‘’si, ni videmu all’incirca verso le 20’’ e, puntualmente, si fanno le 21. Perché noi il SUD lo abbiamo dentro! ‘NTO CORI!

Con il povero vicino di casa Nordico/ Straniero che ha imparato ad usare i tappi per le orecchie perché, ALLE 19 IO DEVO DORMIRE VICINO DEL SUD DEI MIEI STIVALI. E, manco fossimo in Beautiful, il vicino lo dice al collega che lo dice al benzinaio, mentre fanno l’aperitivINO, che il vicino del sud è proprio UN GRAN CAFONE.

Però poi a pammiggiana i mulinciani te la vieni a mangiare eh, GIUDA CHE NON SEI ALTRO.

 

5) Somewhere over the RAINBOW

Nel 2017 oramai non dovrebbe più nemmeno essere un tabù dunque, se farò dell’ironia, non querelatemi; la farò in virtù del fatto che stiamo parlando di NORMALITA’.

Fatta la doverosa e delicata premessa, PROCEDIAMO. Le famiglie arcobaleno tutto sono tranne che ARCOBALENO. Io le avrei chiamate MONOCROMO (vi ricordo che sto facendo ironia, eh): O solo blu, o solo rosa (è più complicato di quanto pensassi il dover fare ironia senza rischiare la querela…) ANYWAY…

Queste famiglie sono così composte: due Mamme (e quindi tutto rosa) o due Papà (e quindi tutto blu, alla faccia dell’arcobaleno). In realtà non sempre si tratta di madri e/o padri poiché non è quasi mai scontata la presenza di un figlio all’interno di queste coppie (eh beh, siamo in Italia… ve lo ricordo)

Quindi pensiamo alle coppie: io una cosa ve la voglio dire, cari miei amici arcobaleno; io non sopporto me stessa, i miei umori, il mio carattere, LA MIA PERSONA. Vi stimo al solo pensiero che riusciate a sopportare il vostro ciclo e quello della vostra compagna, i vostri rutti e quelli del vostro compagno, la vostra ceretta e quella della vostra compagna, la vostra peluria e quella del vostro compagno.

Scherzo raga, lo avete capito no? Siete comunque più simpatici di quelli del Mulino Bianco (che bacchettoni quelli…)

 

6) Il Coinquilino di Merda

Molti di noi a 18 anni, similmente al cugino Sabbaturi, si fanno la valigia e vanno a studiare fuori. O, magari, vogliono iniziare a vivere da soli ma non hanno manco le pezze da mettersi al culo. E quindi sono due: o ti cerchi una casa con dei coinquilini o te ne vai sotto i ponti.

Se scegli il coinquilino, due sono i possibili scenari di famiglia che ti aspettano.

  • Vai a vivere con l’amico di una vita perché tanto conosco tutto di te e saremo friends Ma mia nonna, sempre quella che mi ha introdotta nel mondo dei peccati mortali, diceva una cosa: finchè non vai a convivere con una persona, non hai idea di chi sia. Eccola là.

 

Possibili conseguenze? O siete così matti entrambi che rimanete amici FOREVA, oppure QUANTO È VERO IDDIO SE NON TE NE VAI TI TAGLIO LA GIUGULARE NEL SONNO.

 

  • Vai a vivere con uno sconosciuto. È più semplice: ognuno ha la possibilità di vivere la sua cazza di vita senza che nessuno dia fastidio. E quindi, sono due: o diventate così complici che ‘’DAI FACCIAMO CHE IN QUESTA CASA RUTTI E PETI LIBERI?’’, oppure condividete gli spazi vitali come dua amabili estranei.

Aaaaah, casa dolce casa.

 

7) Modern Family

Lo abbiamo capito, i tempi sono cambiati. Gli esseri umani sono cambiati. LE FAMIGLIE SONO CAMBIATE.

Ad oggi, non è più una lotta per “tutti a tavola in silenzio e finite tutto il piatto sennò niente tv per un mese” ma siamo passati al “Lo hai visto quel video su facebook della scimmia nuda che balla?” e SPLASH… l’iphone dentro il piatto di polpette al sugo.

Le Modern Family sono estremamente social. Comunicano rigorosamente tramite whatsapp. “Mamma mi porti l’acqua?”, chiaramente urlato tramite una nota audio che demente ti ha sentito pure il vicino sordo del palazzo accanto, che ti urli a fare davanti al telefono?; e “Mamma dove sono i miei calzini con le caramelle?” “Non lo so amore vedi se li ho messi sull’hard disk”. Terrificante, per certi versi.

Le Modern family sono altamente tecnologiche ed al passo con tempi. Wi-Fi, Mac, Hi-tech… Sembrano usciti da un film sul futuro e si muovono sugli ottovolanti (si ok, forse sto esagerando).

Sono carini però, anche loro: la mattina si mandano i “buongiorno” con le immagini personalizzate con nome e annessa foto e poi a colazione si rubano i cereali e si tirano calci sotto il tavolo che manco i muli che non vogliono seguire il padrone. Alzatela la testolina dagli schermi ogni tanto… baciatevi ed abbracciatevi. Amen.

 

8) The Addams Family

Avete presente i Rom, i testimoni di Geova, le sette sataniche, la Mafia? Ecco, se questa è la tua famiglia, siete così descrivibili. E, fattelo dire, siete abbastanza inquietanti.

Vestiti tutti uguali, oddio, siete proprio tutti UGUALI MA COME SI FA, tutti che fanno le stesse cose, che ridono, con la loro bella dentatura d’oro, per le stesse cose, parlando un linguaggio solo loro.

Di quelle famiglie che ‘’vengo a casa tua a studiare?’’ ‘’certo’’, e poi ti ritrovi a ballare la danza della pioggia intorno ad un tavolino basso con sopra la tavola OUIJA dopo aver chiacchierato con tuo nonno deceduto, un teschio in mano, una pipa nell’altra e una vecchia anziana signora che ha letto nelle carte tutta la tua vita, i tuoi mai una gioia, il ciclo del tuo alvo e, infine, ti ha annunciato che il 10 marzo 3049 creperai di morte violenta.

L’unica variante in cui puoi inciampare sono loro: I NUDISTI. E lì, vai con la patata al vento, felice e contenta.

Comunque si vogliono bene e si vede. Solo che, una volta che ci entri, difficile uscirne. Perché i panni sporchi SI LAVANO IN FAMIGLIA.

 

9) Gli Hamish

Ce li avete presenti no? Se li definiamo una setta pensate che si possano offendere? (Hamish allo schermo, IRONIA…)

Lo so, non siamo qui a tenere una lezione di approfondimento su chi siano gli Hamish, vi basti googlare per capire di che parlo ma, questa categoria, trae libera ispirazione proprio da queste “organizzazioni”. In questo tipo di famiglie vige sicuramente un dress code degno delle migliori serate alla pineta (c’è mai stato un dress code alla pineta? zingari!).

L’abito, in questo caso, fa il monaco ed è dunque severamente proibito vestire alla Pamela Anderssons di Baywatch (col suo costumino rosso rende bene l’idea) .

Inoltre, è severamente vietato:

Bere e fumare,
Baciare qualcuno prima dei 35 anni (il sesso? ma che scherzi?) ,
Frequentare luoghi in cui bazzica gente poco raccomadabile ,
Avere un amico maschio anche se omosessuale perchè potrebbe ledere alla tua purezza ,
Cantare canzoni di Tiziano Ferro perchè se ascoltate al contrario sono demoniache ,
Utilizzare le parole “Cacchio”,Banana” e “Pere” perchè considerate volgari,
Andare al mare col bikini ,
Non tagliarsi la barba ,
Fare tardi la sera (coprifuoco alle 19.30 che alle 20.00 si cena)

Insomma, altro che regimi totalitari, queste famiglie sono vere e proprie prigioni legali. E fatevela na risata ogni tanto, no?

10) SINGLE

Queste famiglie sono etichettate un po’ come le famiglie arcobaleno: sono STRANE. Le persone le guardano e provano PIETA’. A me fa pietà il mondo pensando che tu sei un essere respirante, pensa ‘npo’.

Così strane che i signori pubblicitari hanno deciso di farci su le pubblicità dove ci sono famiglie con papà single (le mamme saranno tutte schiattate come nei film della Disney).

In un’epoca non molto lontana, questi genitori venivano chiamati: RAGAZZI/E PADRI/MADRI. Beh, mia mamma è una ragazza madre e ti risponde così:’’ mi hai fatto due complimenti: ragazza e madre. Capito, BRUTTA TESTA DI CESSO CAGATO?’’ (sì, la cortesia è di famiglia)

Questo perché i membri sono socialmente dimezzati: non si è in 4 ma si è in 2. E se si è in 4 ma 3 sono minorenni c’è qualcosa che non va.

Siamo cazzuti come tori durante la corrida spagnola, signori! ALTRO CHE. Una mamma per amica LEVATE, che io c’ho la rubrica di Eleonora Andronico.

Che dire: siamo in 2. Meno formalità, più tempo per poter occupare il bagno e per stare in mutande sul divano.

Chi è quello per cui provare pietà, adesso?

 

Elena Anna Andronico (Mamma Eleonora)

Vanessa Munaò (Mamma Cetty)