Russia, processo Navalny: tre anni e mezzo per il più grande oppositore di Putin

Si è concluso martedì intorno alle 18:30 il processo nei confronti di Alexei Navalny, il più noto oppositore del presidente russo Vladimir Putin, che lo scorso agosto era stato avvelenato con un agente nervino ed è rientrato recentemente in Russia, dove è stato immediatamente arrestato dalle autorità locali. L’esito della sentenza è di tre anni e mezzo di carcere con l’accusa di avere violato la libertà vigilata decisa a seguito di una precedente condanna.

Secondo alcune fonti giornalistiche l’avvelenamento sarebbe stato ordinato dai servizi di sicurezza russi; Max Seddon, giornalista esperto, ha parlato di “giorno storico” per il paese, con conseguenze rilevanti su tutto il fronte politico interno ed esterno russo del prossimo futuro.

Chi è Alexei Navalny

(fonte: Ispi)

Alexey Navalny è un avvocato 44enne, attivista contro la corruzione ed è probabilmente il russo più famoso al mondo oggi dopo Vladimir Putin. I due, infatti, nel corso di questi anni sono stati i vertici dei due massimi schieramenti politici: “o con l’uno o con l’altro”.

Navalny si è guadagnato questa posizione con l’attivismo, la tenacia e il sangue freddo davanti al rischio costante di morire ma anche grazie a una dose notevole di trasformismo.

È il lontano 1999 quando Navalny entra a far parte del piccolo partito Yabloko: in una Russia che usciva da un decennio disastroso il piccolo partito offriva una piattaforma liberale di attivismo politico.

La Russia di quegli anni si trova davanti a un bivio: mantenere l’eredità geopolitica dell’Unione Sovietica, salvando la struttura dell’impero (ex URSS) multietnico e multireligioso, oppure concentrarsi sul miglioramento della parte più etnicamente russa.

Mentre Putin era un forte sostenitore della prima ipotesi, Alexei Navalny si avvicinava sempre di più alle idee del nazionalismo russo, dando vita ad una vera sfida geopolitica.

Il passato nazionalista di Navalny è scandito da diversi episodi, dalle critiche sullo scontro armato eseguito da Putin nel Caucaso alla partecipazione alla Marcia Russa- un raduno di forze xenofobe dell’ultradestra russa-, dal suo supporto alle operazioni di guerra del 2008 contro la Georgia alla richiesta di espulsione di tutti i cittadini georgiani dalla Federazione Russa.

Nel 2007 darà vita al movimento patriottico Narod (Popolo), ed è proprio di quell’anno uno dei video più controversi in cui paragona gli abitanti musulmani del caucaso settentrionale a scarafaggi contro cui consiglia di usare la pistola.

Nel 2011 Navalny partecipa alla campagna “Stop Feeding The Caucasus” (basta sostenere il Caucaso) sottolineando come Mosca sostenga regimi sanguinari a discapito degli interessi dei russi e degli abitanti stessi di quelle regioni.

Di lì a poco la politica estera travolge la politica interna russa, l’esplosione del conflitto in Ucraina prima e l’intervento russo in Siria poi monopolizzano il dibattito interno; il paese si ricompatta attorno al suo presidente e il rating di Putin torna alle stelle.

Nel 2014 fu costretto agli arresti domiciliari per un caso di corruzione che lui definisce “fabbricato ad arte”: in una celebre l’intervista di Aleksey Venediktov caporedattore di Radio Echo di Mosca alla domanda “se lei diventasse presidente restituirebbe la Crimea all’Ucraina?” Navalny rispose “la Crimea non è mica un panino al prosciutto che si prende e si restituisce così”, risposta che gli costò critiche di altri oppositori e l’ira di mezza Ucraina.

(fonte: sputnick italia)

È nel 2016 che Aleksei Navalny entra nel personaggio conosciuto oggi da mezzo mondo quando annuncia di voler correre alle presidenziali del 2018 contro Vladimir Putin, tuttavia a pochi mesi dalla sua candidatura la corte di Kirov riapre un procedimento per corruzione sospeso in passato e annulla di fatto la sua possibilità di candidarsi. Alle elezioni del 2018 Putin corre praticamente da solo e porta a casa un solido 77 per cento di consensi.

L’occasione per rifarsi arriva con le elezioni per la Duma di Mosca nel 2019: Navalny e il suo movimento rilanciano sulla piattaforma un sistema di Smart Voting” (“Voto Intelligente”), un metodo di opposizione politica al partito dominante, la cui strategia è stata quella di suggerire agli elettori di votare per un qualsiasi “singolo” candidato non associato al partito della Russia Unita, il partito di Putin, piuttosto che astenersi, al fine di ridurre rappresentanza di questo partito nel parlamento di Mosca.

I risultati si vedono: hanno avuto più voti i candidati tramite il “voto intelligente” che i rappresentanti del partito Russia Unita. Su 45 seggi nella Duma, i candidati della Russia Unita ne hanno ottenuto 25 e, a differenza delle elezioni precedenti, nessuno di costoro ha ricevuto più del 50% dei voti.

Il resto è storia recente, il 20 Agosto 2020 Navalny si accascia al suolo sul volo che da Tomsk (in Russia) doveva riportarlo a Mosca; dopo giorni di agonia in un ospedale la famiglia riesce ad ottenere il trasferimento in Germania. A Berlino i medici certificano l’avvelenamento tramite utilizzo di una sostanza nota come Novichok, largamente utilizzata dai servizi russi. Mosca nega tutto ma in uno spettacolare video Navalny riesce a contattare un funzionario dei servizi segreti russi pretendendo di essere un alto ufficiale dove riesce ad estorcere rivelazioni compromettenti sul coinvolgimento dei servizi russi nel suo avvelenamento.

Rimesso in salute Navalny torna in Russia il 17 gennaio dove viene arrestato al suo atterraggio per aver violato la sua custodia cautelare.

Il processo Navalny

Il 28 dicembre, mentre Navalny era ancora in Germania, la polizia russa gli aveva ordinato di presentarsi entro l’indomani per un controllo, dicendo che se non lo avesse fatto sarebbe scattato un ordine di carcerazione nei suoi confronti. Tuttavia, Navalny era ancora in fase di convalescenza e non si è potuto presentare. A causa di questa presunta violazione, le autorità russe avevano chiesto che il tribunale convertisse la condanna sospesa nei suoi confronti in una reale pena detentiva in carcere.

Nel processo di martedì, quindi, si è dibattuto sull’effettiva impossibilità di Navalny di tornare in Russia. I suoi avvocati dovevano dimostrare la gravità delle condizioni cliniche, mentre l’accusa sosteneva che potesse tornare ma che non lo abbia fatto deliberatamente.

Il giudice ha però condannato Navalny a 3 anni e mezzo di carcere – di cui 9 mesi sono stati già scontati agli arresti domiciliari – per una controversa condanna per corruzione del 2014 che era stata precedentemente sospesa.

Secondo diversi corrispondenti di giornali internazionali che hanno assistito al processo, Navalny stesso si sarebbe difeso dicendo che si trovava prima in coma, poi in terapia intensiva, e di aver inviato non appena possibile i documenti che testimoniavano la sua situazione clinica.

Raccontano di un emozionante discorso, non strettamente legato alla propria difesa e con intenti più politici, in cui ha accusato ancora una volta Vladimir Putin di aver cercato di ucciderlo, facendolo avvelenare dagli agenti dei servizi di sicurezza.

(fonte IlPost)

“C’erano Alessandro il Liberatore e Jaroslav il Saggio. Beh, ora avremo Vladimir l’Avvelenatore di Mutande” – il veleno usato dai servizi di sicurezza russi per tentare di ucciderlo sarebbe stato messo nei suoi vestiti, specialmente nella biancheria intima e soprattutto all’interno dei boxer-.

I martedì mattina molti sostenitori di Navalny si sono radunati davanti al tribunale durante il processo per chiederne la scarcerazione:

Navalny ha anche detto che il suo arresto è solo un modo per spaventare milioni di persone e ha ringraziato “chi combatte e non ha paura”, riferendosi a tutti quelli che in questi giorni hanno protestato per chiedere la sua scarcerazione- secondo OVD-info, un sito che monitora gli arresti durante le manifestazioni di opposizione, oltre 300 persone sono state arrestate in poche ore– , ha aggiunto che sistema di repressione crollerà perché sempre più gente scenderà in piazza, “perché non potete mettere in prigione tutto il paese”.

Manuel De Vita

Proteste pacifiche in Russia per la scarcerazione di Navalny, migliaia in manette. USA e UE: “è violazione dei diritti umani”

Sono oltre 4mila i manifestanti fermati durante le proteste di sabato e domenica in Russia, contro la detenzione dell’oppositore, l’unico, di Putin, Aleksej Navalny.

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

Navalny è stato arrestato il 17 gennaio, al suo rientro dalla Germania, dopo esser stato in ospedale in seguito ad un avvelenamento per cui sospetta degli 007 del Cremlino. Una volta rientrato in Russia, è stato fermato con l’accusa di non essersi presentato dal giudice di sorveglianza a Mosca, come disposto da una controversa sentenza del 2014. Il fermo era previsto per 30 giorni, ma ora rischia tre anni e mezzo di reclusione. La sua battaglia continua da dietro le sbarre, dal carcere della Matrosskaya Tishina.

Navalny, oppositore numero uno di Putin (fonte: ansa.it)

La video-inchiesta che ha contribuito a riaccendere le proteste

Dietro lo scoppio delle proteste non vi è solo solo la volontà di far qualcosa per ottenere la liberazione dell’oppositore di Putin, ma anche dalla visione della video-inchiesta della Fondazione Anticorruzione di Navalny, messa sul web e diventata subito virale. Il video di due ore che ha suscitato lo sdegno di molti, mostra una villa sfarzosissima sul Mar Nero, con vigneti, casinò e lussi di ogni tipo. Secondo l’indagine, la tenuta sarebbe stata costruita con tangenti per oltre un miliardo di euro che Putin è accusato di aver incassato. Quest’ultimo nega. Intanto, un oligarca vicinissimo al presidente, Arkadi Rotenberg, ha dichiarato di essere lui il proprietario e che la super villa dovrà diventare un hotel che aprirà tra un paio di anni.

La villa dell’inchiesta (fonte: tg24.sky.it)

La tv di Stato, nelle ore successive, ha trasmesso delle immagini che mostrano che nella tenuta sono in corso dei lavori, per dimostrare che quanto dichiarato da Navalny è falso, ma per quest’ultimo e i suoi alleati si tratterebbe di una ristrutturazione dovuta a problemi tecnici, insistendo che Putin sia il proprietario che si avvale di prestanome.

I cortei e gli scontri con la polizia

Scontri con la polizia (fonte: ilfattoquotidiano.it)

Le manifestazioni sono cominciate dalla costa orientale, dalla città di Vladivostok, per poi coinvolgere ben 35 altre città, lungo tutto il Paese.

Sono stati organizzati cortei pacifici in contemporanea lungo tutta la Russia, partecipatissimi nonostante la neve, temperature anche venti gradi sotto zero e gli 11 fusi orari diversi. Tra i manifestanti anche diverse decine di giornalisti. Navalny ha definito i manifestanti suoi sostenitori “veri patrioti della Russia, la barriera che impedisce al Paese di scivolare nel degrado completo”.

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

Purtroppo la situazione è drasticamente precipitata e non sono mancate le scene di violenza, gli scontri con la polizia che aveva annunciato, sin dall’alba, di esser pronta a usare il pugno di ferro per contenere i cortei. Solo a Mosca, dove si è tenuta la manifestazione più cospicua, 1.349 sono finiti in manette. La capitale era stata blindata: sette le fermate della metro chiuse per impedire l’arrivo dei manifestanti, che non sono riusciti a raggiungere la Lubjanka, quartiere generale del Kgb, i servizi segreti accusati da Navalny di essere colpevoli del suo avvelenamento. Scontri e arresti anche a San Pietroburgo. “La Russia sarà libera” urlavano i giovani della città, come risposta ai colpi di pistola esplosi, che la polizia ha deciso di usare contro la folla per disperderla. Questa notizia è stata poi negata dalle forze dell’ordine. Intanto, cresce l’ira dei russi a favore di Navalny, ma anche il dispiegamento degli Omon, le squadre anti-sommossa.

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

Nella città di Krasnadarsk, per impedire che si riunissero i manifestanti nel centro della città, bloccati gli accessi a due piazze che si chiamano – per ironia della sorte – Piazza Rossa e Piazza della Rivoluzione.

È finita in manette anche la moglie dell’oppositore numero uno di Putin, Yulia Navalnaya, mentre si dirigeva con un gruppo di manifestanti verso il carcere in cui si trova il marito. Bloccata mentre usciva da una fermata della metropolitana, è stata trasferita al dipartimento di polizia di Shcherbinka, a nord est di Mosca. In serata, dopo qualche ora è stata rilasciata. Secondo delle fonti, un verbale amministrativo della polizia dichiarerebbe che il fermo è scattato per la “partecipazione a una protesta non autorizzata che ha implicato disturbi per passanti e trasporti”.

Le reazioni dagli Usa e l’Ue

Il segretario di Stato degli Usa, Antony Blinken, è intervenuto per difendere i manifestanti. Parole di condanna, dunque, da Washington, da dove il segretario americano ha twittato chiedendo pubblicamente alla Russia di “rilasciare i detenuti per esercizio dei diritti umani, compreso Aleksej Navalny”.

Gli Stati Uniti hanno condannato le autorità russe, per aver adottato misure dure contro manifestanti e giornalisti pacifici russi per la seconda settimana consecutiva. Ciò ha scatenato l’ira del Cremlino, scontento delle “grossolane interferenze negli affari interni della Russia”. Il ministero degli Esteri russo Sergej Viktorovič Lavrov  ha dichiarato che:

“sono un fatto dimostrato, così come la promozione di fake news e di appelli ad azioni non autorizzate su piattaforme internet controllate da Washington” e che “il sostegno a una violazione della legge da parte del segretario di Stato Usa Blinken è un’altra conferma del ruolo svolto da Washington dietro le quinte”.

Arrivata in serata anche la reazione dell’Ue:

 “Condanno gli arresti di massa e l’uso sproporzionato della forza contro manifestanti e giornalisti in Russia. Le persone devono poter esercitare il loro diritto di manifestare senza timore di repressione. La Russia deve rispettare i suoi impegni internazionali” ha scritto l’Alto Rappresentante Ue, Josep Borrell.

Si è dimostrata della stessa linea, dall’Italia, anche la Farnesina chiedendo “il rilascio di coloro che sono stati arrestati soltanto per avere fatto sentire pacificamente la propria voce e manifestato le proprie idee senza violenza”.

Ancora una volta gli avvenimenti che avvengono all’interno di un Paese, scatenano reazioni da tutti gli angoli del mondo. Gli equilibri si influenzano l’un l’altro, non sembrano esistere vere barriere. Ciò che traspare, inoltre, è che ormai in Russia non esiste solo Putin, come è stato per molti anni. Quest’ultimo ha trovato davanti a sé un uomo, al quale – aldilà di ogni schieramento politico –  bisogna riconoscere una grande capacità comunicativa, la quale gli ha permesso, inaspettatamente, di attirare una grossa fetta di opinione pubblica dalla sua parte, creando l’unica alternativa – per ora – al presidente russo.

 

Rita Bonaccurso

Russia, quando un paese civile manca nella tutela dei suoi cittadini

Domani inizierà un processo fondamentale per la storia dei diritti civili in Russia, quello “contro” le sorelle Khachaturyan. Il virgolettato è una precisazione doverosa da fare: le sorelle sono accusate di aver ucciso il padre ma se gli stessi fatti fossero successi in Italia il suddetto processo non avrebbe ragione di esistere né tanto meno esisterebbe.

Le tre sorelle Khachaturyan con il padre. Fonte: Daily Mail

Le premesse

Kristina, Angelina e Maria sono tre dei quattro figli del 57enne Mikhail Khachaturyan, un uomo benestante conosciuto per la sua forte religiosità. Non aveva un lavoro stabile e viveva con la famiglia a Mosca, precisamente in periferia. Secondo la CNN, era un eroinomane legato alla mafia russa. Mikhail e la moglie Aurelia Dunduk si sono conosciuti nel 1996 e le premesse matrimoniali non erano esattamente rosee. Aurelia racconta di essersi sposata piangendo, non di felicità ma a causa delle percosse.

Percosse che non si sono fermate nemmeno durante la prima gravidanza. Quando nacque Sergey, il primogenito, l’orco ha trovato un nuovo sfogo e, come scusa per le percosse al figlio, asseriva che lo facesse per “educarlo“. Tutti notano la situazione interna alla famiglia ma nessuno si espone. Nessuno denuncia. Nemmeno gli insegnanti. Quando poi nascono le tre figlie femmine, l’orco si trasforma in qualcosa di peggiore.

Qualcosa inizia a muoversi quando il figlio maggiore e la moglie denunciano l’uomo. Il mostro già abusava delle tre  figlie quando venne accusato di violenza domestica ma le testimonianze di Sergey e Aurelia in tribunale non portano a nulla. Anzi, portano i due fuori dalla porta di casa. Da quel momento in poi le ragazze diventano proprietà dell’uomo e vengono videosorvegliate in continuazione. Gli abusi a quel punto non hanno più limiti. Non si tratta esclusivamente di violenze sessuale, ma anche di violenze verbali e psicologiche.

Essendo sole con lui e non avendo nessuno dalla loro parte, non hanno strumenti per difendersi: non possono uscire, non possono vedersi con gli amici, non possono andare a scuola. Hanno il diritto di “vivere le quattro mura di casa loro” e di essere delle vere e proprie schiave. Gli abusi continuano e più passa il tempo, più sono disumani. Fino a quando Angelina, Kristina e Maria non ce la fanno più e scoppiano.

Kristina, Angelina e Maria. Fonte: Corriere della Sera

I fatti

Hanno rispettivamente 19, 18 e 17 anni quando nel luglio 2018 non ce la fanno più. Le torture sono diventate troppo da ” sopportare” e capiscono che quella non è vita. Le indagini si aprono il 27 luglio, quando il corpo del mostro viene trovato senza vita sul pianerottolo di casa. Ha decine di ferite da lama sul petto e una mortale sul collo. In casa vengono trovate varie armi come una balestra, un martello e dei proiettili.

Le indagini rivelano anche le dinamiche: Mikhail torna a casa alterato il 27 luglio da una visita in un centro di igiene mentale. Subito se la prende con le figlie e decide di punirle spruzzando loro dello spray urticante sugli occhi e poi le minaccia con un coltello. “Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso” ha detto la figlia Maria agli inquirenti.

Il mostro si mette a sonnecchiare tranquillamente dopo l’ennesima angheria. Le figlie lo guardano e poi decidono: lo aggrediscono con un coltello (lo stesso coltello usato poco prima per minacciarle) e un martello mettendo fine alla sua vita. Lui prova a scappare agonizzante ma muore sulle scale di casa. Il peggio sembra passato ma subito si rendono conto di essere incappate in qualcosa di più grande: il bigottismo cristiano-ortodosso che caratterizza gli ambienti russi.

Il padre Mikhail. Fonte: Dagospia

Il processo

Le ragazze diventano subito le prime sospettate dell’omicidio e vengono arrestate. Confessano e testimoniano più e più volte davanti a inquirenti, dottori e avvocati le torture perpetrate dal padre. Anche le prove raccolte sono schiaccianti e confermano la loro testimonianza, che è uguale per tutte e tre.

Lo odiavamo e l’unica cosa che volevamo era che scomparisse per sempre o che non lo avessimo mai conosciuto.

Quando il processo inizia, si divide in due. Da un lato ci sono Kristina e Angelina, all’epoca dei fatti maggiorenni e nel pieno delle loro facoltà; dall’altro Maria, che non aveva ancora compiuto 18 anni. Prima vengono accusate di premeditazione, poi si aggiunge l’aggravante della cospirazione. La pena in questi casi va dagli 8 ai 20 anni secondo il Codice penale russo. Gli ambienti religiosi e conservatori fanno pressione per il massimo della pena ma a loro si oppongono i cittadini russi.

Questi ultimi infatti si mobilitano immediatamente: varie petizioni online raggiungono le 115.000 firme e le proteste raccolgono migliaia di partecipanti nelle piazze di Mosca e San Pietroburgo. A loro si uniscono l’ex candidato alla presidenza Ksenia Sobchak e il cantante dei System of a Down, Serj Tankian. Gli esperti di violenza domestica dicono che la causa di tutto ciò è da imputare alla quasi totale assenza di meccanismi protettivi all’interno sia delle forze dell’ordine sia del sistema giudiziario.

Un esempio di questa mancanza è data dalla cosiddetta “legge sugli schiaffi“, una legge che rende la violenza domestica un illecito amministrativo meno grave. Con questa legge, voluta fortemente dalla parlamentare conservatrice Yelena Mizulina, i reati “commessi nell’ambito familiare che non provocano ‘seri danni corporali’ sono puniti con una multa di circa €300 e 15 giorni di ‘arresto’“. Tutto ciò fa sì che, secondo varie associazioni indipendenti, in Russia circa 9.600 donne ogni 12 mesi siano vittime di abusi domestici. Per lo Stato russo però le statistiche sono meno gravi e contano 1000 omicidi e circa 300 vittime di violenza domestica nello stesso lasso di tempo.

Le sorelle in tribunale. Fonte: TGcom24

La tutela della famiglia ed il confronto con l’Italia

Secondo Amnesty International, “la violenza contro le donne è ancora diffusa e non adeguatamente contrastata“. Inevitabilmente sorge spontaneo voler paragonare lo Stato russo a quello italiano: se la stessa cosa fosse capitata in Italia (un padre-orco che tiene prigioniere le figlie e le violenta in continuazione privandole della libertà e che viene ucciso dalle stesse) cosa sarebbe successo? Si sarebbero fatte pressioni per avere una determinata pena? Ci sarebbe stata o meno una indignazione così vasta? Come sarebbero viste le ragazze, come vittime o come carnefici?

La risposta è quanto meno scontata: le accuse sarebbero cadute nella legittima difesa. Il nostro ordinamento giuridico afferma che sussiste la legittima difesa anticipata, cioè prevede il caso in cui una donna uccide l’uomo con cui vive se lei subisce sistematicamente delle violenze da parte di quest’ultimo. Come mai la stessa cosa o qualcosa di simile non è previsto nella legislazione russa? La risposta è controversa. Lo Stato russo non vuole interferire negli affari di famiglia. Questo è l’allarme su cui gli attivisti per i diritti umani fanno luce e sostengono che questa politica condanna una serie di persone che potrebbero invece essere salvate.

Diversi sono stati i tentativi di introdurre una legge per contrastare la violenza ma hanno tutti fallito. A dicembre verrà proposta una nuova legge che dovrebbe fornire validi strumenti alle vittime come ad esempio aiuti legali per impedire i contatti tra vittime e aggressori oppure l’allestimento di veri rifugi per potenziali vittime. Tuttavia non è certa la sua approvazione: molti deputati (perlopiù conservatori sostenuti dal clero locale) si oppongono in modo deciso al grido di: “la famiglia è il posto più sicuro sulla terra“.

Oksana Pushkina è una delle rare parlamentari che si battono per questa legge ma confessa di aver ricevuto varie ritorsioni nonostante le prove depositate alla Duma secondo cui “il 70 % delle famiglie sconta violenze domestiche; nell’80% dei casi le vittime sono donne. La categoria successiva sono gli anziani, poi i bambini”.

https://www.instagram.com/p/Bz-MO7niIHy/?igshid=n2vno8yco8u0

Sarah Tandurella

Disastro ecologico in Russia: moria di pesci nel Kamchatka e gravi danni ai visitatori

Nel corso degli ultimi anni le questioni concernenti la tutela ambientale sono diventate sempre più centrali all’interno del dibattito pubblico. Le prese di posizione di numerosi stati a favore dell’utilizzo di fonti di energia rinnovabili, i massicci investimenti nello sviluppo di tecnologie sostenibili e l’emergere di figure che hanno fatto della sensibilizzazione sul tema la loro missione (vedi Greta Thunberg) hanno reso il tema della salvaguardia del nostro pianeta e il contrasto all’inquinamento ambientale non un mero argomento di dibattito politico bensì una necessità comune. Quello della tutela ambientale è divenuto di conseguenza metro di giudizio con cui si percepisce lo sviluppo e la civiltà di una nazione.

Di recente alcune vicende ambientali riguardanti la Russia sono state sotto la lente dell’opinione pubblica internazionale. Nella nazione guidata da Vladimir Putin solo nel 2020 vi è stata una delle più grandi fuoriuscite di gasolio nella storia dell’Artico russo. A ciò si aggiunge inoltre il preoccupante aumento delle temperature dell’Artico con alcuni picchi da record e i numerosi incendi verificatisi in Siberia, fenomeni direttamente collegati ai cambiamenti climatici e causati soprattutto dallo sfruttamento dei combustibili fossili.

 

Gli effetti dell’inquinamento sulle acque, fonte: Wired

Ora, ancora una volta, i riflettori sono puntati sul gigante euroasiatico. Nella Kamchatka, una penisola grande quasi quanto l’Italia ma abitata da appena 300 mila persone e situata nell’estremo est della Russia, un disastro ambientale sta mettendo a rischio la vita marina della regione. Negli scorsi giorni migliaia di pesci e altri animali marini sono stati trovati morti per una forma di inquinamento, ancora di origine ignota, che sta interessando la spiaggia di Khalaktyrsky e altre baie vicine e che si sta muovendo verso i vulcani di Kamchatka, un sito Unesco patrimonio dell’umanità. Gli effetti dell’inquinamento non sono stati registrati solamente sulla flora e fauna locale ma anche sui visitatori del posto. Già da tre settimane i surfisti che si recavano preso le spiagge di Khalatyr e la Baia Avacha denunciavano la comparsa di strani sintomi anche senza il contatto con l’acqua. Bruciore agli occhi, mal di gola e vomito provocati dall’avvelenamento causato dall’insolito odore del mare sono solo quelli più lievi, alcuni surfisti hanno infatti subito lesioni alla cornea. L’amministrazione regionale ha confermato che già a fine settembre c’erano state segnalazioni che dicevano che alcune spiagge della Kamchatka presentavano colorazioni anomale oltre che la presenza di una spessa schiuma lattiginosa sulla superficie che causava anche un forte odore sgradevole.

Due attivisti di Greenpeace mentre raccolgono campioni, fonte: Quotidiano.net

La denuncia del disastro ecologico è avvenuta da parte di Greenpeace Russia che ha rinvenuto in acqua livelli di prodotti petroliferi quattro volte superiori la norma e la morte del 95% degli organismi marini. Nonostante la richiesta di un’inchiesta le autorità sostengono che non risultano essersi verificati incidenti industriali o altri eventi anomali nell’area interessata ed addirittura il ministro dell’Ecologia russo Dmitrij Kobylkine parla di possibili “cause naturali” che hanno provocato cambiamenti nel contenuto e nei livelli di ossigeno nell’acqua. Gli esperti dal canto loro ipotizzano invece che la causa del disastro possa essere individuata nella fuoriuscita di eptile, un carburante per missili estremamente tossico, avvenuta da una delle tante installazioni militari presenti nella regione. È a causa di queste strutture che la Kamchatka, già per le sue conformazioni naturali di difficile accesso, è stata chiusa al pubblico fino alla caduta dell’URSS prima di diventare una meta amata dai turisti per la sua flora e fauna selvatica suggestiva.

Filippo Giletto

Coronavirus: il punto sulla situazione mondiale

Pandemia Covid-19. Un evento di portata mondiale in rapida e continua evoluzione.

Siamo travolti da notizie dell’ultima ora e dati statistici in aumento.

È difficile avere una precisa comprensione della situazione attuale, in Italia e nel mondo.

Ecco un quadro generale fatto di fonti attendibili e completo di ogni prospettiva.

È necessario ricordare che la dicitura “casi totali” fa riferimento al numero di individui infetti nel corso del tempo, sono pertanto inclusi anche morti e guariti. Il numero di individui che attualmente risultano infetti non è quindi rappresentato dai numeri esorbitanti proposti.

La situazione a casa nostra

Il sito ufficiale del Ministero della salute, al suo ultimo aggiornamento alle ore 18 di ieri, riporta un totale di 86mila casi totali.

http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus

Lombardia, Emilia Romagna e Veneto le regioni più colpite.

I provvedimenti attuati sono quelli contenuti nei Dpcm attuati fin dai primi giorni di Marzo. Ad oggi sono chiuse scuole, università e attività commerciali non di prima necessità. È stato posto il divieto di lasciare la propria abitazione se non per comprovati motivi e muniti di autocertificazione valida. 

L’Italia si era sostituita alla Cina per primato mondiale nel numero dei casi. Tuttavia nelle ultime ore gli Stati Uniti hanno registrato un’impennata di contagi e resta da capire se, dunque, siamo il primo paese al mondo per numero di contagi. In termini di gravità della situazione, invece, la Spagna sembrerebbe versare in condizioni peggiori della nostra.

La situazione in Europa

I casi totali nel territorio europeo sono 200mila, come si evince dall’aggiornamento di questa mattina sulla mappa dell’organizzazione mondiale della sanità.

https://who.maps.arcgis.com/

Su un totale di 53 paesi con casi confermati, la classifica ci vede ancora in testa, seguiti da Spagna e Germania. L’Unione Europea sta lavorando ad una risposta comune a favore dei settori sanitario e socioeconomico per aiutare i membri.

In particolare, l’Unione sta agendo per:

  • garantire il rifornimento di dispositivi di protezione individuale (guanti, mascherine ecc..) e attrezzatura medica
  • istituire un gruppo europeo di esperti sul covid-19
  • assistere gli Stati membri nel rimpatrio dei cittadini rimasti all’estero
  • fornire tutti i finanziamenti necessari
  • creare accordi di condivisione sullo spostamento delle persone fisiche con comprovate necessità nell’obiettivo di garantire l’efficacia delle misure di prevenzione

La situazione in Spagna

Un potente focolaio si sta sviluppando in queste ore nella penisola Iberica producendo un totale di 64mila casi (aggiornamento del 27 marzo, sul sito ufficiale del Ministero della salute spagnolo).

Il governo ha prorogato lo stato di allarme fino all’11 aprile. Oltre ad organizzare i fondi per far fronte ai possibili danni economici, in termini di prevenzione è appena stato adottato il modello italiano.

La situazione in Inghilterra

Sul sito ufficiale del governo inglese il counter dei casi al 27 marzo, giornata di ieri, risulta stare a 14mila in totale.

https://www.arcgis.com/apps/opsdashboard/index.html#/f94c3c90da5b4e9f9a0b19484dd4bb14

Tra i positivi anche Boris Johnson e il principe Carlo.

La società corre ai ripari, dopo aver sottovalutato il pericolo e ignorato l’avvertimento italiano. Dal 23 marzo è stato attuata la chiusura delle scuole e adesso le limitazioni si fanno più restrittive: uscire solo in caso di vera necessità, esercizi commerciali di beni non essenziali chiusi e sospensione di celebrazioni religiose, ad eccezione dei funerali, con multe da 30 sterline ai trasgressori. 

Con l’aumento dei casi si prevede un perfezionamento di questi provvedimenti.

La situazione del mondo

I dati sulla mappa mondiale dell’OMS, aggiornata alle 18 di ieri, registra un totale di 500mila casi totali – già 614.884 secondo la Johns Hopkins University – e un totale di 23mila morti. 

La situazione in Cina

Attualmente il numero totale di infetti ad oggi è di 3000.

Si tratta di una decisiva diminuzione del contagio e i nuovi ammalati pare non abbiano contratto il virus sul territorio cinese. Si tratta, per la maggior parte, di individui provenienti dall’estero. Si teme, infatti, il contagio di ritorno. 

Wuhan, la città epicentro della malattia, dopo un blocco di oltre due mesi ha ripreso a ricevere i primi treni passeggeri. Tuttavia non è ancora concesso di lasciare la città.

La situazione USA

Gli Stati Uniti hanno visto il virus diffondersi in maniera rapidissima.

85mila casi è il dato riportato ieri dal sito del Center for Disease Control and Prevention, ma per la John Hopkins University il numero ammonterebbe già ad oltre 100.000 casi e nella giornata di oggi si prevede un superamento nei numeri rispetto all’Italia. Gli USA diventeranno il primo paese al mondo nei casi totali. Il presidente Trump ha firmato un piano da 2mila miliardi per l’economia del paese, che già avverte le prime scosse. Inoltre ha provveduto a ordinare una massiccia produzione di respiratori nella città di Detroit.

La Russia

In Russia i casi totali registrati sono poco più di mille.

Per contrastare la diffusione è stata dichiarata come non-lavorativa la settimana dal 28 marzo al 5 aprile. Intanto il presidente Putin ha proclamato la chiusura di tutti i bar e i ristoranti sul territorio del paese.

Quali scenari per l’avvenire?

Nessuno può prevederli, data la poca conoscenza che abbiamo di questo virus.

Dobbiamo accontentarci di semplici intuizioni. I contraccolpi che subirà l’economia e il progressivo peggioramento di Spagna e Stati Uniti sono alla portata della logica.

Attualmente non ci resta che fare tutto il possibile per contenere la diffusione.

L’appello e l’esempio italiano non hanno riscosso molto successo e adesso altri paesi non stanno pagando le conseguenze.

Viviamo in un mondo iper-globalizzato, velocissimo e sempre connesso.

Questo rende le nostre vite ricche di più opportunità e sempre più facili, ma nel momento di un’emergenza può trasformarsi in un incubo.

Ne parlava già il sociologo Beck, quasi 35 anni fa, nel suo “La società del rischio“.

Un mondo interconnesso ha come effetto collaterale una maggiore insicurezza: il problema di uno stato diventa il problema di tutto il pianeta.

Quindi è obsoleto il ragionamento del “curare solo il proprio giardino” e bisognerebbe iniziare a percepirne uno, di grande giardino comune, da curare.

Se l’Italia o la Cina riusciranno a non avere più casi Covid-19 positivi questo non significherebbe in alcun modo che il “nemico invisibile” venga sconfitto.

Finchè tutte le nazioni del mondo non si impegnano seriamente nella prevenzione e nel contenimento la battaglia non potrà dirsi conclusa

Angela Cucinotta

 

Si abbassa il prezzo della benzina. Crollo del Petrolio ai minimi storici dopo la Guerra del Golfo

 

Parallelamente all’emergenza coronavirus, negli ultimi  giorni una nuova questione sembra rallegrare automobilisti e consumatori ma preoccupare gli economisti di tutto il mondo: ovvero il crollo di oltre il 30% dei mercati petroliferi.

Negli ultimi giorni, infatti, il greggio è calato a picco e in larga parte ciò è dovuto alla decisione dell’Arabia Saudita, uno dei principali produttori di petrolio al mondo che ha deciso di abbassare il prezzo della vendita del proprio petrolio con parallelo aumento della produzione fissata a più di 10 milioni di barili al giorno.

Si innesca così una guerra dei prezzi tra Arabia Saudita e Russia che probabilmente avrà conseguenze politiche ed economiche travolgenti.  Lo scopo del Paese Emiro, ha detta di molti esperti, sarebbe quello di rendere più appetibile il petrolio saudita nei mercati europei ed asiatici, a discapito soprattutto di quello prodotto dalla Russia. Le quotazioni del greggio hanno subito il secondo più grande declino storico nei secondi di apertura delle negoziazioni in Asia, dietro solamente al crollo durante la Guerra del Golfo nel 1991. Il benchmark globale del petrolio precipita a soli 31,02 dollari al barile. Mentre le Borse europee, condizionate dal crollo del petrolio così come dalle conseguenze nefaste del coronavirus, hanno aperto la settimana in caduta libera, con cali tra il 7 e l’8%. Dunque un lunedì all’insegna dello choc per i prezzi del petrolio crollati di oltre il 30%.

I motivi del calo erano prevedibili dopo il mancato accordo tra i paesi Opec  (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio) e quelli non Opec, in primis la Russia, su ulteriori tagli alla produzione per 1,5 milioni di barili al giorno per venire incontro al calo della domanda, e di fronte alle incertezze economiche causate dallo scoppio del coronavirus.

Proprio domenica, infatti, l’Arabia Saudita ha lanciato una vera e propria guerra dei prezzi decidendo unilateralmente di abbassarli, determinando il più grande taglio dei prezzi degli ultimi 20 anni. Di conseguenza, il petrolio destinato all’Asia è sceso di 4-6 dollari al barile, mentre quello degli Stati Uniti si è ridotto di 7 dollari al barile.

La decisione di abbassare ulteriormente i rendimenti prodotti dalla vendita di petrolio, danneggia quei paesi che già oggi faticano a mantenere i loro bilanci in ordine con i sempre più magri proventi delle esportazioni di idrocarburi. Circa metà del bilancio pubblico russo, per esempio, è finanziato con i proventi dell’industria petrolifera e del gas, mentre la situazione è altrettanto sbilanciata per diversi paesi africani e sudamericani.

Il resto del mondo, invece, pagherà ancora meno per acquistare petrolio, permettendo a molti paesi di risparmiare.

Le conseguenze a breve termine saranno probabilmente positive per i consumatori in Europa e in alcune zone dell’Asia – perché importare il petrolio costerà molto meno rispetto ai giorni scorsi – ma secondo diversi analisti nelle prossime settimane questa misura potrebbe comunque rendere più instabile il mercato mondiale, con conseguenze poco prevedibili.

Dunque ancora una volta si preannuncia uno squilibro economico mondiale, operato esclusivamente allo scopo di indebolire la forza di alcuni Paesi in favore di altri. Non sembrano aver sortito alcun effetto le parole del Santo Padre all’Angelus di due settimane fa, quando richiamava tutti alla responsabilità e alla comunanza per contrastare il grande nemico (coronavirus) che ha colpito il mondo nel 2020.

 

Santoro Mangeruca

Il Cavallo Rosso, l’opera epica di Eugenio Corti

Più grandi scrittori del ‘900. Voto Uvm: 5/5

 

 

 

 

 

Eugenio Corti nasce a Besana in Brianza nel 1921. Sin da giovane avverte il fascino della letteratura e coltiva la scrittura curando un diario personale, che solo di recente, a qualche anno dalla morte (4 Febbraio 2014) è stato dato alla stampa. In queste sue riflessioni giovanili si legge tutto l’impeto ed il desiderio di dedicare il proprio talento verso qualcosa di grande. Quella della scrittura cominciava ad intuirla come una chiamata, come il motivo del suo stare al mondo. E’ veramente impressionante come accanto all’entusiasmo tipico del giovane si affacci, già allora, la ferma consapevolezza di dover prima ben formarsi per poter maturare la propria opera. 

Le vicende umane del secolo scorso lo portarono a combattere nella seconda guerra mondiale, e quest’esperienza risulterà fondamentale per il suo essere scrittore, tant’è vero che la guerra divenne, una volta tornato, il suo motivo d’ispirazione. Questo avvalora ulteriormente il suo contributo letterario all’umanità: non si tratta di una scrittura reazionaria e/o ideologica- come del resto gli é stato tristemente “rimproverato” da chi mal (o per nulla) ha conosciuto l’uomo Eugenio Corti attraverso quanto ha scritto; é stato piuttosto il senso di responsabilità scaturito dalla consapevolezza di trovarsi coinvolto in una vicenda umana immane che l’ha portato a raccontarla, affinché la memoria dei fatti non si perdesse e le generazioni future potessero evitare di ripercorrere le stesse strade che segnarono in modo drammatico il secolo breve dominato dai totalitarismi, di fatto, «marxismo e nazismo (…) erano dello stesso sangue».

Il Cavallo Rosso, rappresenta l’opera maggiore ed anche la più conosciuta di Eugenio Corti. In poco più di 1000 pagine l’autore narra le vicende di diversi uomini e donne ben radicati nel comune humus della società contadina e cattolica del tempo che, improvvisamente, si trovano proiettati nei tragici eventi del Novecento. L’opera è divisa in tre parti di cui, nella prima, dalla descrizione iniziale della vita civile a Nomana– nome immaginario di un paese in Brianza (probabilmente la stessa  Besana) si passa alle vicende belliche ed in particolare, trova ampio spazio la narrazione della campagna in Russia. Qui il romanzo si fa fortemente autobiografico perché per la narrazione lo scrittore ha ampiamente attinto alla sua esperienza diretta della guerra, essendo stato uno tra i pochissimi italiani che sono riusciti a sopravvivere alla terribile ritirata di Russia dal Dicembre 1942 al Gennaio 1943. In queste pagine si legge la sofferenza di un popolo, quello russo, completamente ridotto alla miseria dall’utopia comunista, storie di intere famiglie straziate dalla fame dopo la collettivizzazione delle terre, il dolore di chi si è visto sparire di punto in bianco qualcuno di caro perché ingiustificatamente etichettato come “nemico politico”, gli agghiaccianti atti di cannibalismo descritti nel Gulag sovietico di Crinovia, come molti altri tragici eventi compiuti anche da parte delle truppe naziste spesso colpevolmente sottaciuti dalle nostre parti.

 

 

Allo stesso modo la narrazione documenta l’incredibile inadeguatezza di mezzi e l’imbarazzante ristrettezza di risorse con cui il fascismo spinse l’Italia in guerra. Per contro, Corti non manca di raccontare il valore degli uomini chiamati a combattere e, specie, gli atti di vero eroismo compiuti dal Corpo degli Alpini. 

Nelle altre parti del libro, mentre alcuni protagonisti fronteggiano la guerra, altri personaggi, soprattutto femminili, vivono in Italia le vicende di quegli anni. Viene descritto lo scontro politico tra la Democrazia Cristiana, luogo naturale di collocamento ideale e politico di alcuni dei protagonisti, ed il partito comunista. Com’é noto lo scontro si conclude il 18 Aprile 1948 con la vittoria della DC. Vittoria successivamente inficiata dal declino dei cattolici nella vita politica italiana, decadenza che paradossalmente si verifica mentre la DC si mantiene come partito politico dominante. Sappiamo anche che all’occupazione della cariche di potere é corrisposta un’azione politica incoerente con quei princípi che nel ’48, si pensava, venissero rappresentati. Quindi si arriva alla terza parte in cui il romanzo prosegue seguendo i protagonisti ed i loro discendenti fino alle soglie della data del referendum sul divorzio negli anni settanta.

L’autore rende la lettura della sua opera estremamente attiva in quanto accanto allo snodarsi della trama si ripropongono costantemente riflessioni sul senso della storia, del vivere e del morire, sulla fede e la presenza di Dio nelle vicende umane. Riflessioni che, certamente, investono l’occhio che legge ed in generale ciascuno, configurandosi come le domande fondamentali dell’uomo. Anche per questo “Il cavallo Rosso” è stato considerato alla stessa stregua del racconto epico. L’epica, infatti, è un’opera esemplare che narra le gesta -storiche o leggendarie- di un eroe o di un popolo, attraverso le quali si conserva la memoria e l’identità di una civiltà. Questo romanzo realizza l’epica delle persone comuni trascinate in vicende molto più grandi di loro.                               

Buona lettura!

 

 

Ivana Bringheli

 

 

Mondiali Russia 2018: il circo delle polemiche

Lo sappiamo bene ormai, quando un argomento viene trattato a livello mediale-informativo, è quasi impossibile non perdersi in una fitta rete di polemiche, bufale e situazioni sgradevoli. Non poteva quindi evitare tutto ciò un evento di importanza internazionale come il Mondiale di calcio 2018 iniziato lo scorso 14 giugno in Russia (in particolare a Mosca) e che ci terrà compagnia fino al 15 luglio.

È da mesi, infatti, che sui giornali di mezzo mondo si susseguono notizie relative all’importante torneo sportivo, una fra tutte, quella relativa alla soppressione di massa dei cani randagi presenti nelle città che ospiteranno le partite delle fasi a gironi e delle eliminatorie. Quello dell’allontanamento o dell’uccisione di queste bestie è un tema che, sfortunatamente, ritorna puntuale ogni 4 anni e che già aveva destato numerose polemiche in occasione del mondiale scorso avuto luogo in Brasile. Ad inizio anno, però, il governo russo ha incontrato una rappresentanza dei gruppi animalisti nazionali ed internazionali, per aprire un dialogo sulla questione ed evitare inutili polemiche o manifestazioni violente, rassicurando che nessun massacro sarebbe avvenuto; ma la situazione si è dimostrata diversa. Per i circa 2 milioni di randagi presenti sul territorio interessato, il governo avrebbe stanziato 136 di euro per la loro cattura e successiva uccisione, scatenando l’ira degli attivisti.

Risultati immagini per sterling tautaggioMa le polemiche non si sono fermate solo qui e, grazie anche all’arma preferita dal pubblico a casa, i social, si sono spostate anche su tematiche diverse. Una di queste è relativa al calciatore della nazionale inglese e del Manchester City, Raheem Sterling, che ha deciso di tatuarsi sulla gamba destra un fucile automatico. La reazione del web e dei tabloid inglesi non si è fatta aspettare, tanto da definire il gesto come oltraggioso e disgustoso, specialmente alla luce dei recenti e dolorosissimi fatti relativi al terrorismo di matrice islamica che hanno colpito la capitale inglese. A tutto ciò erano seguite le petizioni degli stessi tifosi volte ad allontanare il talento inglese dal ritiro della nazionale, situazione che ha richiesto l’immediato intervento dello stesso Sterling che con un post sul proprio profilo Instagram

Quando avevo due anni mio padre è stato ucciso da un colpo d’arma da fuoco, all’epoca avevo promesso a me stesso che non avrei mai toccato un’arma. In più io calcio di destro, dunque il tatuaggio ha un significato più profondo. E soprattutto non è ancora finito”

Dunque, tutto risolto, il caso si è chiuso e adesso si aspetta solo di vederlo in campo lunedì contro la Tunisia proprio all’esordio nel mondiale e, perchè no, magari proprio in gol con un bel tiro del suo personale fucile.

Ma, anche a pochi minuti dal fischio d’inizio della partita inaugurale del mondiale tra la Russia padrona di casa e la new entry Arabia Saudita (finita 5-0 per i padroni di casa), ecco che si presenta una nuova controversia relativa al dito medio mostrato alla fine della sua esibizione dalla pop-star inglese Robbie Williams, che ha avuto l’onore di aprire il match con una sua breve esibizione. Era da molti anni, infatti, che il cantante non si esibiva in Russia, specialmente dopo la pubblicazione del brano “Party like a Russian”, molto critico nei confronti del premier russo Vladimir Putin, e sicuramente il gesto star inglese, con un comportamento sempre molto al di sopra delle righe, non sarà passato inosservato. Ma si sa, agli artisti è permesso sempre tutto – o quasi.

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Chiudiamo però questa sfilza di notizie con quella che di più ci lascia sconcertati. Miguel F., un tifoso dell nazionale peruviana è ingrassato di ben 25kg negli ultimi 3 mesi per entrare nei parametri necessari per acquistare i biglietti destinati ai disabili. 

 

Sono un super tifoso della Nazionale, per me viene prima anche della mia squadra del cuore, l’Universitario di Lima. Per seguirla sono disposto a tutto. Già avevo assistito a tutte le partite nelle eliminatorie sudamericane. Avevo giurato a me stesso che sarei andato anche in Russia.”

queste le sue parole per rispondere ad alcuni giornalisti che si curiosi di capire cosa avesse spinto a tanto il tifoso peruviano.

Siamo solo al terzo giorno di questo Mondiale 2018 e sono già tantissime le polemiche che si sono create e che si creeranno nei prossimi giorni, ma speriamo che, oltre tutto questo, sia sempre la sportività a prevalere su tutto, anche se, dopo sessant’anni… l’Italia al mondiale non c’è.

Giorgio Muzzupappa

Arkadij Babchenko, la finta morte del reporter russo

Il 29 Maggio scorso, una delle notizie che è passata (ingiustamente) inosservata in mezzo al trambusto generato dalla questione del “Governo si, Governo no” è stata sicuramente quella relativa all’omicidio di Arkadij Babchenko, giornalista russo che da anni raccontava le atrocità che la guerra provocava su Moskovskij KomsomoletsNovaja Gazeta e altre testate nazionali.

Dal 2017 aveva lasciato il suo paese per rifugiarsi prima in Repubblica Ceca e poi in Ucraina, a Kiev, per sfuggire alle numerose minacce di morte che riceveva ormai quotidianamente, specialmente da parte dei sostenitori del governo di Vladimir Putin di cui si era sempre dimostrato un forte critico, pubblicando articoli e post sui propri social denunciando i mali che la Russia stava alimentando con gli interventi in Siria (2015) e nell’Ucraina dell’ Est (2014). E proprio a Kiev, in quella casa dove ormai abitava stabilmente da quasi un anno insieme alla moglie e alla figlia, è stato ritrovato il suo cadavere ricoperto di sangue e con tre fori di proiettile nella schiena. A darne l’allarme è stata proprio la compagna che per prima ha visto il corpo del marito, ormai senza vita. Il pensiero è arrivato spontaneo e l’omicidio è subito stato ricollegato alle numerose minacce di morte indirizzate a Babchenko scatenando così l’indignazione tra i colleghi giornalisti e le autorità locali.

Ma, solo 24 ore dopo l’accaduto, durante una conferenza stampa indetta proprio per dare maggiori spiegazioni sull’argomento, a presiedere l’incontro era presente proprio il giornalista russo che tutti credevano morto. Dopo i primi momenti di comprensibile sbigottimento e di lacrime per un collega che credevano morto, i giornalisti presenti in sala hanno avuto la possibilità di conoscere la realtà che si celava dietro quella tragica notizia.

“Sono ancora vivo. Mi scuso con mia moglie e con i miei colleghi per l’inferno che gli ho fatto passare negli ultimi due giorni”

Vassilij Gritsak, capo dei Servizi segreti ucraini (Sbu), ha spiegato che la sua “morte” era stata inscenata, in accordo con le autorità ucraine, per sventare un omicidio che era stato commissionato al prezzo di 40mila dollari e del quale le autorità erano venute a conoscenza 2 mesi prima. L’uomo che aveva organizzato il vero attentato alla vita di Babchenko, un cittadino ucraino, era stato arrestato proprio quella mattina.

Dopo aver reso pubblica la notizia la reazione dei social è stata duplice, da un lato in molti hanno espresso grande sollievo; dall’altro invece, in molti si sono detti indignati per la strumentalizzazione che gli Sbu hanno compiuto per manipolare l’informazione a loro vantaggio, forte sostenitore di questa tesi è stato Christophe Deloire, segretario di Reporter senza frontiere.

Dello stesso avviso è stata la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova che in un post su Facebook si è detta felice per le reali condizioni del giornalista, criticando però, duramente, il governo ucraino per la speculazione fatta sulla informazioni in loro possesso.

In un lungo articolo pubblicato da Babchenko un anno fa sul sito “The Question“, il giornalista rispondeva così alla domanda “Adesso hai paura di morire“:

“Certo, morire fa paura. Sempre. Se qualcuno dice il contrario, non credetegli. E, per quanto mi riguarda, più si va avanti, più fa paura. Perché non si può sempre avere fortuna. Il limite della fortuna è limitato. Puoi aver fortuna una volta. Due. Cinque. Ma prima o poi arriverà il giorno che…”

Giorgio Muzzupappa