L’Ucraina accusa la Russia del massacro di Bucha e avverte: “Russia muove truppe in Transnistria”

Il 40esimo giorno di guerra tra Russia e Ucraina si apre con la lunga scia di sangue lasciata dal passaggio delle truppe russe, prontamente smentita dal Ministero della Difesa russo, ma confermata dai video e dalle fotografie che testimoniano le atrocità avvenute nella cittadina ucraina di Bucha, palcoscenico di un massacro ai danni di decine di civili freddati dai soldati russi di stanza nella città a 37 km a nord ovest di Kiev fino allo scorso venerdì. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si è detta “scioccatadai resoconti del massacro, poi ha richiesto un’indagine indipendente per approfondire e sostenendo che” chi ha perpetrato crimini di guerra sarà ritenuto responsabile”. Nelle ultime ore si è tornati a parlare della Transnistria per via di un’indiscrezione diffusa dallo Stato maggiore ucraino e riportata da Ukrainska Pravda. Secondo Kiev

“è stato intensificato il lavoro per mobilitare unità di truppe russe con sede nel territorio della regione transnistriana della Repubblica di Moldova al fine di condurre provocazioni e svolgere azioni dimostrative al confine con l’Ucraina”

Le accuse dell’Ucraina 

Nella giornata di domenica, le autorità ucraine e diversi leader europei hanno accusato l’esercito russo di aver massacrato decine di civili a Bucha, a nord ovest di Kiev, durante le cinque settimane di occupazione. Come ha riferito il sindaco di Bucha ad AFP, Anatoly Fedoruk, l’esercito russo ha seppellito 280 persone in fosse comuni, dichiarazione confermata dalle testimonianze dei giornalisti internazionali che negli ultimi due giorni sono riusciti ad entrare a Bucha. Secondo quanto riportato dai corrispondenti, le vie della città sarebbero ricoperte di corpi in decomposizione e di una gigantesca fossa comune scavata nel giardino della chiesa ortodossa della cittadina. Come riporta ilPost, gli abitanti di Bucha raccontano che le violenze e le esecuzioni sommarie sono iniziate già nei primi giorni di occupazione russa.

Soldati ucraini e mezzi militari russi distrutti a Bucha (fonte: ilpost.it)

Le testimonianze dei giornalisti 

Oliver Carroll, corrispondente dell’Economist ha raccontato di avere visto diversi corpi all’ingresso della città. Il New York Times ha raccontato di una donna uccisa con colpi di arma da fuoco durante il primo giorno di occupazione semplicemente perché era scesa in giardino a controllare se i carri armati in giro per la città fossero ucraini o russi. Ancora l’Economist scrive:

“Nove corpi giacciono a lato di un cantiere, altri due nella strada che collega Bucha a Irpin. Tutti avevano fori di ingresso di proiettili nella testa o sul petto, oppure su entrambi. Almeno due di loro avevano le mani legate dietro la schiena. Dall’odore dei corpi in decomposizione, si trovano lì da un bel po’ di tempo”

Il ministero della difesa russo respinge le accuse 

Di tutt’altro avviso è l’ambasciatore russo a Washington, Anatoly Antonov che, stando a quanto riporta la Tass, in risposta ad una domanda formulata da “Newsweekha negato categoricamente il coinvolgimento delle truppe russe nel massacro di Bucha, sostenendo che “non sono state segnalate vittime civili nella città ucraina di Bucha quando era controllata dalle forze armate russe“. Discolpando il proprio Paese ha poi rivolto l’attenzione sul comportamento degli Stati Uniti e dei media americani, accusandoli di aver “ignorato i bombardamenti della città da parte dell’esercito ucraino, che sono seguiti al ritiro delle truppe russe“. L’ambasciatore ha poi aggiunto:

“Questo è ciò che potrebbe aver causato vittime civili. Detto questo, il regime di Kiev sta chiaramente cercando di addossare le sue atrocità sulla Russia”.

 

La Russia chiede una riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite

La Russia avrebbe avanzato la richiesta di una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, da svolgersi nella giornata di oggi, lunedì 4 aprile, sulle accuse di crimini di guerra di Bucha. Secondo quanto riporta la BBC, Dmitry Polyansky, vice rappresentante russo del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ha affermato di aver avanzato la richiesta “alla luce della palese provocazione dei radicali ucraini“. Samantha Power, ex ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, ha così commentato la richiesta della Russia: “La Russia sta attingendo dallo stesso copione che ha già usato per la Crimea e Aleppoed è “costretta a difendere l’indifendibile”. Per questo sta chiedendo una riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in modo da poter fingere indignazione e chiederne le responsabilità”.

La mobilitazione in Transnistria

La Transnistria, repubblica indipendente filorussa, al momento ha il solo riconoscimento della Federazione Russa. Considerata la “terra di nessuno” e situata al confine tra l’Ucraina occidentale e la Moldova, “ospita” circa 1.500 soldati russi, ma “non ci sono informazioni che confermino la mobilitazione delle truppe in Transnistria” si legge in una nota. Secondo quanto riporta il Financial Times, anche le autorità della Transnistria hanno negato questo scenario definendo le informazioni diffuse da Kiev “assolutamente false”.

Secondo quanto denuncia lo stato maggiore ucraino, un eventuale intervento via mare nel Budjak colpirebbe una zona adiacente alla Transnistria invierebbe un segnale molto più aggressivo sia nei confronti dell’Europa che della Nato.

Elidia Trifirò 

Approvato il Decreto Ucraina, ma senza l’aumento della spesa militare. Ecco l’accordo della maggioranza

In mattinata si è svolto a Palazzo Madama il voto del Senato circa l’approvazione del cosiddetto “Decreto Ucraina”, il disegno di legge già approvato alla Camera contenente disposizioni urgenti per sostenere l’Ucraina contro l’invasione russa. Il governo aveva apposto la questione di fiducia sul decreto, dal momento che la notizia del possibile aumento della spesa militare italiana al 2% del PIL entro il 2024 – apposto come ordine del giorno da Fratelli d’Italia – rischiava di mettere in pericolo la stabilità dell’Esecutivo, soprattutto dopo il no secco del leader del MoVimento 5 Stelle Giuseppe Conte a qualsiasi aumento della spesa militare che gravi sul bilancio nazionale.

Ad ogni modo, il Governo Draghi non ha avuto particolari difficoltà ad ottenere la fiducia al Senato: il voto si è concluso attorno alle 12 con 214 voti favorevoli 35 contrari, senza astensioni. Il provvedimento si deve quindi ritenere approvato.

Il motivo sta nel fatto che la maggioranza è riuscita a trovare un punto d’incontro sul decreto facendo cadere l’ordine del giorno che prevedeva l’aumento delle spese militari. L’odg era già passato alla Camera, ma per essere definitivamente approvato avrebbe dovuto essere sottoposto alla votazione delle commissioni congiunte Difesa ed Esteri al Senato, ove però la votazione non è stata possibile per via del ritardo della commissione Bilancio a presentare pareri sul testo.

L’odg sull’aumento della spesa militare è stato, quindi, automaticamente espunto assieme agli altri emendamenti ed il testo è stato votato così come approvato già alla Camera. Alla fine, l’accordo è stato raggiunto anche grazie alla mediazione del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che ha affermato che l’aumento si avrà in modo graduale e l’obiettivo è stato spostato dal 2024 al 2028.

Cosa contiene adesso il Decreto Ucraina

Il provvedimento approvato presenta ora misure per l’accoglienza dei profughi e dispone l’invio di equipaggiamenti militari a Kiev. Ai fini del primo obiettivo, è previsto lo stanziamento di 10 milioni di euro per incrementare di 16mila posti complessivi i centri di accoglienza e un fondo di 1 milione di euro per finanziare iniziative di università e enti di ricerca a favore degli studenti, ricercatori e professori di nazionalità ucraina che sono in Italia per ragioni di studio o di ricerca.

(fonte: tgcom24.mediaset.it)

Inoltre, sono state disposte misure per l’aumento della disponibilità di gas e la riduzione programmata dei consumi in qualità di strumenti di contrasto alla crisi del gas naturale derivante dal conflitto in Ucraina.

Un ulteriore punto di dibattito – per cui il capogruppo della commissione Esteri ed esponente del MoVimento Vito Petrocelli ha scelto di non votare la fiducia, nonostante le minacce di espulsione dal partito – è quello sul rafforzamento della presenza del personale militare italiano nelle iniziative della NATO e la cessione a titolo gratuito all’Ucraina sia di mezzi ed equipaggiamenti militari non letali di protezione sia di armi letali.

L’aumento della spesa militare e l’impegno preso con la NATO

In realtà, quello dell’aumento della spesa militare al 2% del PIL è un impegno decennale che l’Italia, assieme ad altri Paesi membri della NATO, si era assunta nel 2014 al vertice di Newport, in Galles. Da allora, nonostante l’aumento graduale della spesa militare, l’Italia non ha raggiunto la soglia prevista, fermandosi all’1,41% del PIL. Mancherebbero quindi circa 13 miliardi di euro per raggiungere quanto dedotto in accordo, ossia circa 38 miliardi in spesa militare entro il 2024.

Tuttavia, l’obiettivo in questione non rappresenta un accordo vincolante né un requisito per rimanere nella NATO: si pensava di accelerare il raggiungimento della soglia in occasione del conflitto in Ucraina. Invece, l’aumento sarà graduale e l’obiettivo è rimandato al 2028.

La NATO si finanzia tramite due tipi di contributi: diretti, che si realizzano tramite finanziamenti alle operazioni comuni dell’Alleanza, che presenta un bilancio annuale di 2,5 miliardi di euro; indiretti, che si realizzano tramite il contributo di ogni Paese ad un’operazione militare specifica. Pur non essendo vincolante, quello dell’aumento della spesa militare italiana rimane un impegno che gli ultimi governi alla guida del nostro Paese hanno rinnovato, assumendosene la responsabilità.

(fonte: teleborsa.it)

Il dibattito in aula questa mattina

Il voto in Senato è stato preceduto dalle dichiarazioni degli esponenti dei vari partiti, che hanno spiegato le proprie ragioni.

Delusi gli esponenti di Fratelli d’Italia come la senatrice Isabella Rauti, capogruppo della commissione Difesa, che ha affermato:

Avremmo votato a favore, come alla Camera, anche al Senato il decreto se avesse avuto un normale percorso con emendamenti, ordini del giorno, miglioramenti, confronto. Invece, il ricorso al voto di fiducia su una materia così sensibile sconfessa il governo.

Favorevoli invece le forze di maggioranza come Partito Democratico, Italia Viva, Forza Italia e Lega. Infine, favorevole anche il M5S. Durante il dibattito sono stati alzati da alcuni senatori dei cartelloni con scritto: «No alle armi», secondo un’iniziativa assunta dai gruppi di Alternativa, Italexit ed alcuni esponenti del gruppo Misto.

Le parole di Draghi

Intanto si sta svolgendo una conferenza stampa del Presidente del Consiglio Mario Draghi con la Stampa Estera, a cui ha dichiarato:

Sulle spese militari l’Ue superi le decisioni nazionali. Serve un coordinamento sulla Difesa, la Commissione proceda.

Il Premier ha anche commentato la telefonata col Presidente russo Vladimir Putin, affermando che -secondo quest’ultimo – non sarebbero mature le condizioni per un cessate il fuoco in Ucraina. Emerge, inoltre, la richiesta di avere l’Italia come garante – spiega il Premier – dell’attuazione delle eventuali clausole negoziate tra Russia e Ucraina.

Valeria Bonaccorso

Il ruolo degli oligarchi russi alla corte di Putin, dallo smantellamento dell’URSS all’opera di mediazione con l’Ucraina

La guerra tra Russia e Ucraina non è semplicemente un conflitto armato. Dietro ai missili, alle sparatorie, agli assedi si celano interessi che coinvolgono molti settori. Uno degli aspetti che mette a dura prova l’ equilibrio della Russia è la possibile recessione economica ed infatti l’occidente ha avuto chiare sin dall’inizio le potenzialità di uno strumento come quello delle sanzioni. Sebbene Putin sembra non risentirne particolarmente, altre personalità vicine allo “zar”  finite nella “lista nera” si sono ritrovate di fronte a numerosissimi sequestri di beni e soprattutto all’impossibilità di muoversi e di fare affari all’interno dell’UE. Molti oligarchi russi fino a questo momento hanno investito e possiedono capitale principalmente all’estero e non nella loro terra natale. Data la loro vicinanza a Putin e la loro importanza al fine di mantenere la stabilità – sia politica che economica – in Russia, colpire loro potrebbe significare fare un passo avanti al fine di ristabilire il clima di pace.

Da dove deriva la ricchezza degli oligarchi?

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica la federazione russa visse un periodo di forte crisi. Si vide costretta a privatizzare le enormi imprese che fino a quel momento erano state sotto il controllo degli enti pubblici. Borís Él’cin – in quel momento presidente della Russia – dovette prendere una decisione cruciale: provare a vendere le aziende statali al miglior offerente correndo il rischio di cederle a grandi compratori esteri oppure abbassare i prezzi così da permettere ad un gruppo di investitori russi, giovani e “vicini” a lui di poterle acquistare.

Borís Nikoláevič Él’cin, ex presidente russo. Fonte: wikipedia.org

Il predecessore di Putin preferì la seconda opzione. Gli imprenditori smembrarono le imprese in loro possesso e le rivendettero, creandosi un patrimonio che verrà poi reinvestito in diversi settori, dall’energia allo sport. Dopo l’avvento di Vladimir Putin come presidente alcuni di loro vennero agevolati e altri fortemente contrastati. Lo “zar” ristabilì le gerarchie assicurandosi il supporto di coloro che, da quel momento in poi, grazie alla ricchezza e alla caratura politica acquisita in breve tempo, vennero riconosciuti con l’appellativo di “oligarchi“.

Putin diventa presidente, nel 1999. Fonte: dinovalle.it

Sospetto avvelenamento a Roman Abramovich

Roman Abramovich è sicuramente tra i magnati russi più celebri nel mondo occidentale. Dopo l’invasione dell’Ucraina ha tentato di sfuggire dalla morsa delle sanzioni rendendo pubblica la volontà di vendere il Chelsea, club di calcio britannico da lui acquistato nel 2003. Tuttavia, data la sua stretta vicinanza con Putin in passato, rientra anch’egli nella “black list”. Tutte le sue attività finanziare all’interno del Regno Unito e dell’Unione Europea sono state bloccate. Nei giorni scorsi però ha tentato di rimediare offrendosi come possibile punto di mediazione tra Russia e Ucraina partecipando ad un incontro diplomatico con il primo ministro ucraino Zelensky. La particolarità è che dopo questo incontro lui, un suo collaboratore e alcuni componenti della delegazione ucraina avrebbero accusato sintomi di avvelenamento, in particolare occhi rossi, irritati, parziale perdita della vista, desquamazione della pelle sul viso e sulle mani.

Roman Abramovich. Fonte: tg24.sky.it

Non solo lui ma anche altre personalità di spicco dell’economia russa si sono schierate contro la guerra a causa delle perdite economiche da essa causate. Secondo alcune fonti il valore dei beni confiscati ai componenti della lista nera dell’UE ammonta a circa 93,18 miliardi di dollari.

Gli oligarchi rimasti fedeli a Putin

Esistono però alcuni oligarchi rimasti dalla parte del presidente della federazione russa. Alcuni di loro sono considerati i “fedelissimi” e hanno condiviso con Putin gli anni di militanza nel KGB, l’agenzia dei servizi segreti russi. Un nome di spicco è Dmitry Peskov, addetto stampa e responsabile della comunicazione del Cremlino che di recente ha ribadito le sue posizioni in un’intervista alla CNN. Tra chi si è dichiarato favorevole all’invasione vi è anche Ališer Usmanov, imprenditore nell’ambito minerario e da poco tempo proprietario del quotidiano Kommersant per mezzo del quale sembrerebbe contribuire alla propaganda russa.

Francesco Pullella

 

 

 

 

Il dramma delle donne transgender: bloccate al confine ucraino in quanto “uomini”

Centinaia di donne transgender ucraine stanno tentando da giorni a mettersi in fuga dal conflitto.  A bloccarle è la presenza nei loro passaporti del genere maschile di nascita.

Ucraina: centinaia di transgender in fuga -Fonte:tgcom24.mediaset.it

La questione del riconoscimento del genere e dell’omosessualità risulta essere ancora un tabù e si configura come “una guerra nella guerra”. La mancanza di legittima identificazione comporta l’impossibilità per queste donne di attraversare il confine. Ciò accade in quanto, le regoli attuali in Ucraina, vietano ai residenti uomini dai 18 ai 60 anni di abbandonare il Paese poiché obbligati a imbracciare le armi e difendere la patria.

La legge marziale Ucraina: cosa prevede

Già introdotta nel 2018 durante le tensioni con la Russia nello stretto di Kerch, la legge marziale è stata nuovamente promanata dal Presidente Zelensky.

Dopo l’invasione su vasta scala è stata introdotta in tutto il Paese un sistema di governo straordinario. Si tratta di un ordinamento giuridico separato che cambia da Nazione a Nazione e che sostituisce quello normalmente vigente. Può entrare in vigore quando uno Stato si trova in guerra, oppure per eccezionali esigenze di ordine pubblico e anche dopo un golpe militare.

Ucraina: legge marziale -Fonte:adnkronos.com

Le norme riducono generalmente alcuni dei diritti normalmente garantiti ai cittadini e in linea generale viene limitata la durata dei processi, prescrivendo sanzioni più severe rispetto alla legge ordinaria.

Ad incidere notevolmente c’è la sospensione di alcune leggi ordinarie e il controllo della normale amministrazione della giustizia che passa ai tribunali militari. Tra la compressione ulteriore delle libertà dei cittadini è altresì introdotto il divieto di riunioni politiche e uno stringente coprifuoco.

Secondo quanto riportato dall’attivista dei diritti umani e Presidente dell’organizzazione Lgbt+ Ucraina “Insight”, Olena Shevchenko

“La legge marziale dice che tutti i maschi sono obbligati a prestare servizio militare, quindi non possono lasciare il Paese. Tecnicamente, la legge si applica anche alle persone trans, inclusi uomini trans certificati e donne trans che non hanno cambiato i loro genere sui documenti. Ma sembra che le guardie di frontiera ucraine stiano impedendo anche alle persone trans con un certificato valido che riflette il loro nuovo genere di lasciare l’Ucraina, e nessuno sa perché.”

In Ucraina cambiare il genere e il nome sul passaporto richiede un lungo processo che induce molte persone a non portarlo a termine data la capziosa burocrazia e le molteplici valutazioni psichiatriche. Ciò che viene in rilievo da una delle principali associazioni di beneficenza transgender è che chiunque abbia scritto “maschio” sul passaporto rischia di essere respinto dal confine. Si stima che ci siano centinaia di donne trans che tentano di fuggire, ma che il 90% di quelle con cui è in contatto ha finora fallito, finendo per contrassegnare un ulteriore esempio di transfobia legale.

Le difficoltà di legittimazione

La forte emarginazione e discriminazione della comunità Lgbt+ ha origini ben anteriori alla situazione bellica attuale. Prima del 2017 infatti i membri della comunità trans dovevano sottoporsi per diverso tempo alla supervisione di un istituto psichiatrico, che potesse far attivare il processo di transizione. Sebbene oggi questa procedura sia stata snellita, non sono state istituite leggi antidiscriminatorie a tutela della comunità.

Donne transgender respinte al confine -Fonte:luce.lanazione.it

Lo si vede anche dalla posizione che occupa l’Ucraina nella classifica per il “trattamento complessivo delle persone Lgbtq+”. Secondo la International lesbian, gay, bisexual, trans and intersex Association sarebbe al 39° posto su 49 Paesi europei. Ciò viene ad essere riconfermato dall’impossibilità dei matrimoni gay, seguendo la scia della Chiesa cristiano-ortodossa che considera l’omosessualità un peccato.

I racconti di Judis e Alice

Donne transgender “Ci spediscono a combattere” -Fonte:liberatv.ch

La vicenda raccontata al “The Guardian” mette in mostra il pericolo rappresentato dalle politiche transfobiche della Russia e la negazione del passaggio in Paesi più sicuri.

La storia di Judis tratta di una donna transgender il cui certificato di nascita la definisce femmina, ma che alle 4 del mattino del 12 marzo, dopo una lunga ricerca, le è stato negato dalle guardie della frontiera di arrivare in Polonia, stabilendo altresì che fosse un uomo. La donna ha così raccontato

“Le guardie di frontiera ucraine ti spogliano e ti toccano ovunque… Puoi vedere sui loro volti che si stanno chiedendo ‘cosa sei?’ come se fossi una specie di animale o qualcosa del genere.”

Esperienza simile è stata vissuta anche da Alice, donna trans di Brovary e da sua moglie Helen, non binaria.

“Ci hanno portato in un edificio vicino al valico di frontiera. C’erano tre agenti nella stanza. Ci hanno detto di toglierci le giacche. Ci hanno controllato le mani, le braccia, il collo per vedere se avevo un pomo d’Adamo. Mi hanno toccato il seno. Dopo averci esaminato, le guardie di frontiera ci hanno detto che eravamo uomini. Abbiamo cercato di spiegare la nostra situazione, ma a loro non importava.”

Un problema non solo ucraino

Il dramma provato dalla comunità riguarda anche i Paesi di arrivo, infatti, secondo le ultime stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) gli ucraini giunti in Polonia dall’inizio dell’invasione russa, lo scorso 24 febbraio, sono già due milioni.

Ecco che al fine di proteggere le persone transgender da potenziali discriminazioni, numerose organizzazioni si sono attivate per aiutare i rifugiati. L’attivista della “Warsaw Pride” in Polonia, Julia Maciocha ha dichiarato ai microfoni dell’organizzazione indipendente e no-profit “National Public Radio (NPR)”

“Non vogliamo che vengano tenuti in campi profughi o in grandi edifici o luoghi enormi dove non sono al sicuro perché ovviamente l’omofobia esiste ancora in Polonia. Vogliamo assicurarci che vengano collocati con persone che capiscano i loro bisogni.”

Si comprende come probabilmente molti di questi lasceranno presto la Polonia, spostandosi nell’Europa occidentale, dove le “leggi sono più amichevoli”.

Julia Maciocha -Fonte:transnational-queer-underground.net

La possibile soluzione

Trans in fuga dall’Ucraina -Fonte:ilsussidiario.net

Le centinaia di segnalazioni ricevute inducono le associazioni Lgbtq di Kiev a proporre un’unica soluzione. Al fine di “tutelare”, seppur marginalmente la delicata questione, invitano le donne trans ad andare dal proprio medico e poi, con il certificato, recarsi all’ufficio militare per essere eliminate dalla lista per l’arruolamento.  

Ciò di certo non minimizza la difficoltà di doverlo spiegare a chi è riuscita a raggiungere il confine portando con sé documenti ufficiali, schivando colpi di mortaio ed esplosioni.

Giovanna Sgarlata

Russia-Ucraina: la situazione dopo quasi un mese dall’inizio del conflitto

Nella notte tra il 23 ed il 24 Febbraio le forze russe hanno invaso il territorio Ucraino. Un mese di attacchi aerei, bombardamenti e cruenti battaglie che non accennano a placarsi. Continuano ad essere insufficienti gli sforzi da parte di Zelensky (che di recente ha parlato in video-collegamento con Palazzo Chigi) per risolvere per via diplomatica lo scontro. La guerra, inoltre, sta mettendo in dura crisi l’Occidente sia per ciò che concerne l’economia ma anche (e soprattutto) l’equilibrio politico internazionale. L’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno sin da subito condannato l’operato di Putin ma, se da una parte, uno dei personaggi politici europei rilevanti come il Presidente francese Macron continua a cercare un punto d’incontro con Mosca attraverso dei colloqui diretti ad evitare ulteriori danni, d’altra parte il Presidente statunitense Joe Biden continua a rilasciare dichiarazioni e critiche molto dure nei confronti del Presidente russo Vladimir Putin.

L’accusa di Biden

«Putin valuta l’uso di armi chimiche e biologiche»

Queste le parole del Presidente degli Stati Uniti dopo aver aggiunto che in questo momento la Russia si troverebbe «con le spalle al muro». Mosca ha subito smentito queste affermazioni e tramite un comunicato del Ministero degli Esteri ha convocato l’ambasciatore statunitense John Sullivan. La tensione tra le due parti sembra crescere. Peraltro, il portavoce del Cremlino Dmitrj Peskov, di recente intervistato alla CNN, alla domanda su un possibile attacco nucleare da parte della Russia ha risposto:

«Solo in caso di minaccia all’esistenza della Russia stessa»

Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino. Fonte: ansa.it

Nel suo lungo intervento – documentato dalla giornalista Christiane Amanpour – si è potuto capire quanto l’attacco russo sia stato organizzato nei minimi dettagli. Queste le parole di Peskov:

«L’operazione procede secondo i piani»

Per quel che riguarda la durata ha aggiunto:

«Nessuno pensava che un’operazione militare speciale in Ucraina avrebbe richiesto un paio di giorni»

Tali dichiarazioni, così chiare e dirette, lasciano trasparire un’inquietante sicurezza da parte del governo di Vladimir Putin.

Il numero dei soldati russi caduti durante la guerra

Apparsi e poi spariti dopo pochi minuti, il dato che chiariva il numero dei soldati russi deceduti sul campo di battaglia era stato pubblicato su un tabloid pro-Putin. 9861 sembrerebbero essere i morti e 16153 i feriti. Il giornale, dopo aver cancellato la notizia, ha parlato di attacco hacker. Ingenti le perdite per Mosca, che secondo alcune fonti sarebbe sull’orlo di una crisi sanitaria, con la maggior parte dei posti letto occupati dai feriti di guerra. In alcuni ospedali sono stati sospesi i servizi medici essenziali per la popolazione.

Immagine dal campo di battaglia. Fonte: lanotiziagiornale.it

Problemi al fronte per i soldati russi

«Tutti abbiamo visto i soldati russi che saccheggiavano i supermercati»

Il portavoce del Pentagono John Kirby descrive così la condizione dei militari russi al fronte. Nelle ultime ore, infatti, si parla di come le «forze di Kiev stiano riguadagnando terreno» e probabilmente ciò è dovuto alle numerose difficoltà logistiche che sta affrontando l’esercito di Mosca, tra cui appunto la reperibilità del cibo.

Mariupol: la distruzione della città

L’elevato numero di combattenti russi deceduti testimonia quanto la voglia di arrendersi da parte dell’Ucraina sia veramente poca, ma soprattutto fa prendere atto di come, in situazioni come questa, sia difficile trovare un vinto o un vincitore ma solamente distruzione e morte su entrambi i fronti. Basti pensare alla città di Mariupol, continuamente presa di mira dall’esercito russo che ha iniziato a bombardarla quasi ininterrottamente. Un comune che – secondo i dati – prima dell’attacco contava ben 480.000 abitanti, adesso – secondo la BBC – vede il numero di persone scendere a circa 300.000. Le condizioni di vita dei cittadini rimasti sono disperate, privati dei beni di prima necessità, costretti a vivere senza acqua corrente né riscaldamento. Mettendo a confronto le immagini risalenti a più di un mese fa – prima dell’inizio del conflitto armato – con quelle attuali si fatica a trovare somiglianze. Il sindaco Vadym Boychenko ha affermato che ormai ben l’80% degli edifici della città sarebbe andato distrutto. In seguito, ha definito la sua città come una «nuova Hiroshima», ennesimo paragone con scenari bellici che credevamo ormai essere di esclusiva pertinenza storica e che invece, purtroppo, non sembrano più lontani nel tempo, bensì quanto mai attuali.

Immagini dal satellite: Mariupol prima e dopo i bombardamenti. Fonte: fanpage.it

Francesco Pullella

 

Zelensky in video-collegamento con Palazzo Chigi, ma non tutti sono presenti

Ospitato nelle scorse settimane, tramite collegamento video, al Parlamento Europeo, a Berlino, Londra, Washington, Ottawa e Gerusalemme, il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky è atteso oggi a Palazzo Chigi. Un viaggio virtuale per il mondo, iniziato il 1° marzo, per chiedere aiuti per il suo Paese, dilaniato dal conflitto con la Russia.

 

Zelensky in collegamento con il Parlamento tedesco qualche giorno fa (fonte: evenpolitics.com)

Le polemiche e gli assenti

L’incontro con il Parlamento italiano è stato preceduto dalla polemica. Alcuni parlamentari, nelle scorse ore, avevano annunciato la loro assenza al Parlamento stamattina, in segno di protesta contro il premier Draghi, accusandolo di non essersi confrontato con il governo prima di prendere la decisione di accettare l’incontro:

«Il Parlamento è stato zittito da Draghi. – ha detto il senatore Crucioli – È inaccettabile che non sia previsto un dibattito o una interlocuzione tra i parlamentari, per prendere una risoluzione con voto rispetto a quello che il presidente Zelensky ci dirà. Parlerà solo il presidente del consiglio Draghi nella casa del Parlamento italiano e solo lui potrà tirare le somme ed esprimere la posizione del Paese, senza nessun dibattito democratico.».

Mattia Crucioli, ora nel gruppo di Alternativa, sostiene che, accettare di ascoltare le richieste che Zelensky da tempo fa al mondo, ancora una volta e in questa modalità, equivalga a schierarsi a favore delle scelte, in termini di guerra, dell’Ucraina e dunque contro la Russia, abbandonando una netta neutralità, almeno a livello teorico.

«Noi siamo contro l’invio delle armi, che, oltre ad essere contrario al nostro ordinamento, butta solamente benzina sul fuoco. E oltre alle questioni etiche, la nostra neutralità avrebbe evitato il rischio di una escalation militare e avrebbe permesso alla diplomazia, anche italiana, di fare la sua parte nel velocizzare le trattative per la pace.».

Ricevere il presidente significa, così, secondo alcuni, assecondare la sua linea d’azione, non vista di buon occhio, per le incessanti richieste di intervento nella dinamica della guerra rivolte al resto del mondo, come, ad esempio, con l’istituzione della no fly zone o l’invio di truppe. Se accontentato decreterebbe lo scoppio di una terza guerra mondiale.

L’incontro in agenda è visto, a detta di alcuni, come un “evento mediatico” svilente per il Parlamento, “un comizio tra il presidente Zelensky e Draghi, senza possibilità di interazione alcuna.”

Oltre il gruppo Alternativa, la pensano così, e avevano già dichiarato di aderire all’“ammutinamento” di stamane, il leghista Simone Pillon, Enrica Segneri del M5S, Emanuele Dessì, passato al PD e reduce da una trasferta in Bielorussia, e Gianluigi Paragone, leader di Italexit. Preannunciate anche due assenze tra le file di Forza Italia, quelle di altri parlamentari prima eletti con il Movimento 5 Stelle: Veronica Giannone e di Matteo Dall’Osso.

Quest’ultimo aveva pronunciato parole scottanti: “Sono orientato a non esserci, si dà visibilità solo a una parte. Anche Putin in Aula? Chi lo chiede fa bene”.

Ospitare Zelensky e non ascoltare quello che magari avrebbe da dire Putin, qualora gli venisse fatto e accettasse un invito, sarebbe una via più democratica, a quanto sembra, ascoltando le dichiarazioni di alcuni politici italiani.

Anche il presidente della Camera, Roberto Fico, si è espresso duramente sulla questione, dimostrando anche lui malcontento: l’Italia non dovrebbe affatto inviare armi, di cui il più recente convoglio è partito proprio stamattina dall’aeroporto civile di Pisa, tra altre critiche, per essere stato inserito sotto la dicitura di “aiuti umanitari”. Attenersi strettamente aun ruolo super partes”, promuovendo l’azione della diplomazia e la ricerca della pace immediata, per il presidente è l’unica cosa da fare.

 

Il “tour” per il mondo del presidente ucraino sta abbassando il sentiment nei suoi confronti?

Tutto ciò avviene all’indomani di una drastica svolta al Parlamento Ucraino: dopo la sospensione di 11 partiti e forze parlamentari, che non erano allineati al nazionalismo più oltranzista.

La stretta politica ha dato forza ai sospetti di chi già non apprezzava la linea di difesa di Zelensky, non disposto a ottenere la pace a tutti i costi, non fin quando questa prevedrà la cessione di anche solo una parte dei territori ucraini alla Russia, come proposto da quest’ultima in occasione degli scontri a Mariupol.

Negli scorsi giorni, inoltre, il presidente Ucraino, in collegamento con Gerusalemme, durante il suo intervento ha usato espressioni shock, che hanno scandalizzato molti, soprattutto il presidente israeliano. Ha paragonato quanto sta succedendo in Ucraina alla soluzione finale usata dalla Germania nazista contro il popolo ebreo.

«La nostra gente ora vaga per il mondo. Questa guerra totale vuole distruggere la nostra terra, la nostra cultura, i nostri figli» ha sbraitato Zelensky.

Queste parole non hanno suscitato sentimento positivo, anzi hanno scatenato critiche e proteste a Gerusalemme e Tel Aviv. Il presidente israeliano Naftali Bennett ha, infatti, dichiarato:

«Non credo che l’Olocausto dovrebbe essere paragonato a nessun altro evento. È stato un evento unico nella storia umana, con uno sterminio di un popolo metodico e su scala industriale in camere a gas. Un evento senza precedenti».

Zelensky, alla dura risposta ricevuta, ha controbattuto, dicendo che l’Ucraina scelse di salvare gli ebrei 80 anni fa. “Ora è tempo che Israele faccia la sua scelta“, ha proseguito. Bennett, però, non ci sta a paragonare Putin a Hitler, la guerra in Ucraina alla Shoa, anzi, ha ritenuto il paragone particolarmente oltraggioso.

Il presidente israeliano Bennett non ammette paragoni tra Ucraina e Shoa (fonte: lastampa.it)

Nonostante questo, Zelensky non si arrende, continuando a lottare per la sua causa. La pace a tutti i costi, per ora, non è una scelta contemplata, anche se è stata, nelle ultime ore, avanzata l’ipotesi di indire un referendum tramite il quale avere un riscontro dalla popolazione ucraina sulla linea adottata dal suo governo e quella da adottare in futuro.

 

Rita Bonaccurso

Mosca minaccia l’Italia di “conseguenze irreversibili” e punta il dito contro il Ministro della Difesa Guerini

Nel corso del fine settimana è andato in scena un pesante botta e risposta tra Mosca e Roma: Alexei Paramonov, direttore del dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo ha infatti minacciato il nostro Paese di “conseguenze irreversibili”. Ad essere stato destinatario dalle parole del dirigente russo è stato anche Lorenzo Guerini, attuale ministro della Difesa e reo, secondo il funzionario, di avere dimenticato degli aiuti prestati dalla Russia all’Italia.

L’intervista di Paramonov contro i “paesi ostili”

Nella giornata di sabato Alexei Paramonov ha rilasciato all’agenzia di stampa russa Ria Novostri un’intervista colma di lamentele e minacce, come tante provenienti in questi giorni dai funzionari russi, rivolte a gran parte dei paesi europei. Tra quelli chiamati in causa, oltre all’Italia, anche Spagna, Francia, Andorra e perfino San Marino, rei di essersi lasciati travolgere dall’ondata antirussa che ha animato l’Occidente ed essere divenuti ostili alla stessa. L’intervista nasce come risposta alle dichiarazioni del ministro dell’Economia francese Bruno La Maire, che negli scorsi giorni ha invitato l’Unione Europea a muovere una guerra economica e finanziaria totale contro la Russia. Parole che hanno messo in moto la macchina mediatica rispondente al Cremlino ed espressasi per bocca dello stesso Paramonov: “Non vorremmo che la logica delle dichiarazioni del ministro trovasse seguaci in Italia e provocasse una serie di corrispondenti conseguenze irreversibili”. Un attacco quanto mai insolito e specifico.

Palazzo Farnesina, sede del Ministero degli Affari Esteri, fonte: improntalaquila.com

Il Ministro della Difesa italiano tra i maggiori “falchi” contro Mosca

Nel proseguimento dell’intervista poi Paramonov ha puntato il dito contro il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, colpevole secondo il funzionario, di essersi scordato quanto la Russia abbia aiutato l’Italia, ed in special modo il suo ministero, nel corso della prima ondata pandemica risalente al primo semestre del 2020.

“All’Italia è stata fornita un’assistenza significativa attraverso il ministero della Difesa, il ministero dell’Industria e Commercio e il ministero della Salute della Russia. A proposito una richiesta di assistenza alla parte russa fu inviata allora anche dal ministro della Difesa italiano Lorenzo Guerini, che oggi è uno dei principali ‘falchi’ e ispiratori della campagna antirussa nel governo italiano”.”… è deprimente che ora sullo sfondo dell’isteria anti-russa le autorità italiane abbiano improvvisamente dimenticato tutto”.

Parole che hanno immediatamente messo in allarme la Farnesina e costretto il presidente del consiglio Mario Draghi ad attivarsi il prima possibile per una risposta.

 

 

Nel tweet diffuso dal profilo ufficiale di Palazzo Chigi, oltre alla vicinanza alla persona di Guerini, viene apostrofato come “odioso e inaccettabile” il paragone tra “l’operazione speciale” russa e la crisi umanitaria verificatasi in Italia a inizio 2020. E benché debba sottolinearsi che Paramonov non sia che un funzionario ministeriale di medio livello, è difficile immaginare che in una macchina mediatica ben strutturata com’è sicuramente quella russa si lascino trapelare accuse e rinfacci così gravi, verso quello che è ancora oggi uno storico alleato del proprio paese, senza secondi fini. La storia diplomatica tra Roma e Mosca è sempre stata infatti particolarmente intrecciata e nel corso degli ultimi vent’anni l’Italia è divenuta un alleato fondamentale per Putin in Europa. D’altro canto però l’Italia ha sviluppato una forte dipendenza energetica nei confronti della Russia, un tema quest’ultimo divenuto centrale a fronte del rincaro benzina che ha paralizzato numerosi settori della nostra economia.

La Russia ha solo paura di ulteriori sanzioni

Mosca è conscia della propria posizione favorevole nel settore energetico, disponendo del coltello dalla parte del manico, e sa che paesi come Germania e Italia non possono nel breve periodo fare a meno del suo gas. il nostro Paese importa circa 29 miliardi di metri cubi di gas all’anno, poco più del 40% totale, e servirebbero circa tre anni per potere diventare almeno parzialmente indipendenti. Tempo che ovviamente non abbiamo e che non ha però nemmeno la Russia. Le sanzioni economiche inflittele dai “paesi ostili” stanno infatti logorando la sua economia, rendendole di fatto insostenibile l’invasione Ucraina nel lungo periodo. Putin farà qualsiasi cosa per evitare che nuove misure vengano approvate, ed è proprio in tale contesto che devono essere lette le minacce di cui sopra. Come un tentativo di dividere un fronte, quello europeo, che Putin non si aspettasse potesse essere così unito in questa circostanza. L’Italia non deve farsi intimorire ma deve, come già sta facendo, cercare soluzioni alternative. Bene sta facendo Di Maio ha svolgere visite diplomatiche in Algeria e Qatar al fine di ricevere garanzie sulle forniture di gas liquido alternativo. Nel frattempo altre soluzioni concrete potrebbero interessare lo stesso Paramonov. Benedetto Della Vedova, segretario di + Europa e sottosegretario agli Esteri, ha fatto sapere che chiederà al ministro degli esteri Luigi di Maio di rimuovere le onorificenze intestate allo stesso funzionario russo. Alexei Paramonov è infatti Cavaliere all’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e Commendatore dell’Ordine della Stella d’Italia, onorificenze riconosciutegli ai tempi del Governo Conte per aver acquisito “particolari benemerenze nella promozione dei rapporti di amicizia e di collaborazione” con l’Italia.

Alexei Paramonov alla cerimonia di consegna delle onorificenze italiane, fonte: secoloditalia.it

 

Filippo Giletto

Putin appare in pubblico per le celebrazioni dell’anniversario dell’annessione della Crimea

Nel mezzo del conflitto in Ucraina, in Russia si festeggia l’anniversario dell’annessione della Crimea nel 2014. L’evento, svoltosi ieri 18 marzo, ha subito attirato l’attenzione di tutto il mondo, perché connotato da un forte significato simbolico e per l’improvvisa e strana scomparsa di Vladimir Putin dal palco dal quale ha parlato alla folla. Il presidente russo ha infatti deciso di presenziare all’evento e per questo ha suscitato molto stupore. Dallo scoppio della guerra, quasi non vi sono state affatto apparizioni in pubblico, a parte rarissime eccezioni.

Putin allo stadio per parlare alla gente (fonte: stampa-tuttigiorni.com)

L’evento per le celebrazioni dell’anniversario dell’annessione della Crimea

Mosca, Stadio Luzhniki, 90mila spettatori e il presidente Putin al centro della scena, sul palco su cui poi si sono esibiti musicisti e cantanti per le celebrazioni. Intorno una folla esultante, in ovazione sugli spalti per le parole pronunciate. Numerosissime le bandiere dei nazionalisti sventolate. Nel frattempo, circa 100mila persone all’esterno, almeno secondo quanto raccontato dai media russi.

Una festa dalle sfumature patriottiche per l’importante ricorrenza: l’ottavo anno dalla data di annessione dei territori della Crimea alla Russia.

Queste, immagini completamente diverse da quelle viste nelle scorse settimane, per le strade delle città russe, dove sfilavano in pacifici cortei migliaia di cittadini contrari alla guerra in Ucraina, contrari alle scelte del loro presidente, repressi dalla polizia, e tra questi molti arrestati.

 

Il discorso di Putin: la lode alla Crimea e all’eroismo dei soldati russi

In mezzo allo stadio pieno, un Putin in un giaccone blu da più di un milione di rubli, circa di 13mila euro, di marca italiana. Per tutto lo stadio moltissimi slogan sugli striscioni: “Per un mondo senza nazismo!”, “Per il presidente!“, “Per la Russia!“. Moltissime “Z” sui vestiti di presentatori, musicisti e partecipanti all’evento, perché ormai simbolo importante, già visto sulle divise dei soldati e sulla carrozzeria dei mezzi militari russi, impegnati in Ucraina. Secondo quanto riferito dal ministero della Difesa russo, il segno starebbe per “Za pobedu“, cioè “Per la vittoria”. Inoltre le Z sono state realizzate con un nastrino, uguale a quello indossato ogni 9 maggio, il giorno di San Giorgio, giorno in cui ricorre anche l’anniversario della vittoria della Russia sulla Germania nazista, durante la Seconda guerra mondiale.

Gli slogan a favore della guerra (fonte: notizie.virgilio.it)

Il presidente ha pronunciato un discorso tutt’altro che conciliante: dalla celebrazione dell’anniversario ricorrente, si è, poi, pronunciato sulla situazione in Ucraina:

«Sono gli abitanti della Crimea che hanno fatto la scelta giusta, si sono opposti al nazionalismo e al nazismo, che continua ad esserci nel Donbass, con operazioni punitive verso quella popolazione. Sono stati loro le vittime di attacchi aerei ed è questo che noi chiamiamo genocidio. Evitarlo è l’obiettivo della nostra operazione militare in Ucraina»

Ancora una volta ha parlato di un’“operazione militare speciale lanciata per evitare il genocidio dei russi” nella regione del Donbass per mano del governo ucraino. Ancora una volta ha rivendicato le sue scelte, dimostrando un’ostinatezza inscalfibile: “Sappiamo cosa deve essere fatto e come farlo. E sicuramente attueremo tutti i piani”, ha poi aggiunto. Ha lodato la Crimea per aver voluto tornare a un destino comune alla sua storica patria, bloccando l’avanzata di presunti neonazisti, in nome di un’unità. Appare, dunque, chiaro l’intento dietro il parallelo Crimea-Ucraina.

Poi, anche un riferimento al linguaggio biblico, alzando i toni della sua retorica: “Non c’è amore più grande che donare la propria anima per i propri amici. Questo è un valore universale per tutte le confessioni in Russia e in particolare per il nostro popolo“.

Il discorso di Putin sembra dunque non lasciare dubbi sulle sue attuali intenzioni riguardo l’Ucraina. Un “Paese in mano a un regime neonazista”, che vuole sconfiggereper liberare un popolo che ritiene uguale e parte di quello russo. Abbiamo imparato a capire le convinzioni del presidente russo, con l’evento al “Luzhniki” di Mosca abbiamo capito che non sono cambiate.

Pare riuscire a mantenere il consenso anche di molti cittadini, oltre che di quello di personaggi potenti e facenti parte della sua cerchia politica più stretta, Putin punta tutto sul ricorso al patriottismo e alla lode dell’eroismo del proprio esercito. Di questo ha parlato anche il suo fedele sindaco di Mosca, Sergei Sobyanin, giudicando l’intervento delle forze armate russe in Ucraina, le quali starebbero combattendo per nobili valori, per la difesa di quella fetta di popolazione russofona vessata da “continui bombardamenti aerei” in atto nella regione del Donbass, per mettere fine al “genocidio”. Quindi, è per estinguere queste sofferenze che la Russia avrebbe deciso di attuare ciò che non definisce mai attacco militare.

(fonte: gazzettadelsud.it)

Il presidente russo, chiuso nella sua ostinatezza

Eppure, sembra che l’evento non sia andato realmente come raccontato. Ci sarebbero stati fischi contro Putin e, proprio per questo, la regia avrebbe interrotto il discorso del presidente della Russia con qualche secondo di musica.

È lo scenario delineato da un video pubblicato su Telegram dal canale Ateo Breaking. Secondo la ricostruzione, a fischiare sarebbero stati soprattutto studenti presenti tra il pubblico, contrari alla guerra in Ucraina.

Il Cremlino, invece, ha ufficialmente dichiarato che l’interruzione sia stata dovuta ad un problema tecnico ad un server. In ogni caso, quello che ha generato sospetto sull’accaduto è la scomparsa di Putin dal palco, per poi non tornare più. Alcuni hanno addirittura pensato che il presidente, in realtà, non fosse realmente lì, che il suo intervento sia stato architettato ad hoc con il computer.

Potrebbe esser stato, comunque, davvero un problema della diretta, ma ciò non cambia che l’evento abbia avuto un forte impatto sull’opinione pubblica.

Non era per niente scontato assistere a ciò che è stato organizzato: il politico attualmente con più nemici nel mondo, fino ad adesso è rimasto nel suo isolamento ben pianificato, sotto la massima protezione e un gruppo di assaggiatori personali per i suoi pasti. Lo avevamo visto in compagnia di Macron, qualche tempo fa, ma seduti agli antipodi di un lunghissimo tavolo, che segnava una grande distanza tra lui e il francese, e allo stesso tempo, lanciava un forte messaggio: quello che il presidente russo sembra davvero distante dal resto del mondo che lo supplica di segnare la parola fine.

 

Rita Bonaccurso

Ucraina: svolta nei negoziati. Sì alla neutralità, ma non come vuole Putin. “Garanzie di sicurezza contro la Russia”

«Ogni guerra termina con un accordo», ha affermato questa notte il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un videomessaggio dove ha reso noto che i negoziati con la Russia stanno procedendo «in modo più realistico». Si tratterebbe di un prima grande svolta nel panorama del conflitto che ha coinvolto l’Ucraina dal 24 febbraio scorso: svolta confermata per la prima volta anche da fonti ufficiali russe, quali il Ministero degli Affari Esteri russo Sergej Lavrov, che ha aperto alla possibilità di un compromesso.

Mi baso sulle valutazioni fornite dai nostri negoziatori, i quali dicono che i negoziati non stanno andando bene per ovvi motivi, ma che c’è comunque un margine di speranza di raggiungere un compromesso.

Tuttavia, il ministro Lavrov ha subito ribadito le richieste della Russia: smilitarizzazione dell’Ucraina e sicurezza delle popolazioni russofone nell’Est del Paese, oltre che rinuncia all’adesione al Patto Atlantico.

L’uso della lingua russa e la libertà di espressione sono importanti.

L’Ucraina rinuncia alla NATO: ma quale neutralità?

La notizia giunge in seguito ad un discorso tenuto in videoconferenza da Zelensky nel quale ha ammesso che «L’Ucraina non è nella NATO e non possiamo entrarci, va riconosciuto». Un passo indietro significativo, che ha subito indotto a credere che il Paese di avvii verso la neutralità.

Nelle ultime ore, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha fatto sapere che la neutralità dell’Ucraina potrebbe basarsi sul modello austriaco o svedese, ma Zelensky ha rigettato la proposta, chiedendo garanzie di sicurezza. (ANSA)

L’Ucraina è in uno stato di guerra diretto con la Russia. Pertanto il modello può essere solo ucraino.

Ha spiegato così il motivo del rifiuto dei modelli austriaco o svedese Podolyak, il consigliere presidenziale e negoziatore di Kyiv.

(fonte: ilmessaggero.it)

In un articolo dell’ISPI di alcuni giorni fa, si sostiene che il problema dei negoziati non verterebbe sulla neutralità di Kyiv, su cui entrambe le forze sono d’accordo: «La grande differenza è sull’interpretazione del principio». Sembrerebbe che Putin voglia fare dell’Ucraina una nuova Bielorussia, sbarazzandosi dell’attuale esecutivo per imporvi un presidente-marionetta alla stregua del bielorusso Lukashenko; eppure – scrive ISPI – i colloqui tenutisi in Turchia tra Lavrov e Kuleba, Ministro degli Esteri del “governo nazista” di Kyiv, indicherebbero un sostanziale segno di debolezza del Cremlino, ormai giunto al limite del default.

Ci sarebbe poi il modello di neutralità finlandese, che ben si concilierebbe ad un immaginario democratico e da membro dell’Unione, status a cui il Paese guidato da Zelensky aspira ormai da tempo.

Improbabile un intervento militare NATO

Durante un simbolico incontro tra Zelensky ed una delegazione europea composta dai vertici di Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia, il vice primo ministro polacco Kaczyński ha detto che la NATO dovrebbe inviare in Ucraina una forza di peacekeeping «armata». Si tratterebbe al momento di una strada altamente improbabile.

Nella giornata odierna è in corso un incontro d’emergenza dei membri del Patto Atlantico. Il Segretario per la Difesa statunitense Lloyd Austin ha affermato:

Rimarremo uniti in supporto dell’Ucraina, sostenendo il loro diritto ad autodifendersi.

È previsto che i vari Ministri per la Difesa impongano ai relativi comandanti militari di designare nuove strategie per scoraggiare la Russia, tra cui più truppe e difese missilistiche sul fianco orientale della NATO.  «Dobbiamo riadattare il nostro atteggiamento militare a questa nuova realtà», ha dichiarato martedì il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg.

(fonte: nato.int)

Alcuni giorni fa, delle fonti della BBC hanno rivelato che la NATO sta facendo il possibile per evitare un’escalation e, di conseguenza, l’attivazione dell’Articolo 5 del Patto Atlantico, ossia il principio della difesa collettiva, che prevede che un eventuale attacco armato contro una o più delle parti in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza si conviene che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, potrà procedere anche all’utilizzo della forza armata.

«Tuttavia – afferma Jenny Hill, corrispondente a Mosca per la BBC – più le truppe russe avanzano ad ovest, più aumenta il rischio di un attacco accidentale (o intenzionale) in territorio NATO». Per di più, il 13 marzo dei missili russi hanno colpito una base ucraina al confine con la Polonia, membro del Patto Atlantico, allarmando immediatamente il Paese confinante.

Altri bombardamenti nella notte. In arrivo controffensiva ucraina

Intanto, nelle ultime ore, Mariupol è stata attaccata anche dal mare di Azov. Lo riferisce Petro Andryushchenko, consigliere del sindaco della cittadina ucraina, precisando che gli attacchi delle navi da guerra vanno ad aggiungersi ai raid aerei.

Anche Kharkiv è stata attaccata durante la notte, con due morti confermati e due edifici residenziali distrutti (The Guardian). Le navi russe presenti nel mar Nero hanno iniziato a bombardare le coste vicino alla città di Odessa, porto principale del paese. A Kyiv è stato distrutto un palazzo di dodici piani, causandone il parziale collasso. Le operazioni di soccorso sono state particolarmente difficili per questa ragione.

Secondo quanto rivelato da Podolyak, le forze armate ucraine starebbero lanciando «controffensive in diverse zone operative», ma al momento non sono stati aggiunti ulteriori dettagli.

Valeria Bonaccorso

 

Russia-Ucraina: dal conflitto alla lotta contro le fake news. Oggi, nuovo round di negoziati

Le sirene continuano a risuonare in 19 regioni Ucraine su 24, il che lascia presagire un attacco su larga scala. Il conflitto che da 19 giorni sta interessando Russia, Ucraina ed economia mondiale, deve anche far fronte all’enorme dilagare di fake news. Così viene minacciata un chiara e veritiera ricostruzione dei fatti, inficiando l’informazione globale e le sorti del conflitto.

Nella giornata di oggi, due incontri diplomatici fondamentali per la risoluzione del conflitto, che nelle ultime settimane ha cambiato radicalmente il quadro geopolitico, strategico e di sicurezza dell’Europa. Il ministro degli Esteri italiano, Di Maio si è detto positivo in vista dei vertici:

“Abbiamo sentito i cinesi, i turchi, gli israeliani bisogna parlare con tutti per arrivare prima a una tregua umanitaria e poi ad un accordo di pace”.

Il vertice Usa-Cina

È attualmente in corso, a Roma, l’incontro del consigliere alla Sicurezza nazionale americano, Jack Sullivan, e il capo della diplomazia del Partito comunista cinese, Yang Jiechi, per cercare “una forte risposta internazionale e per delineare una strategia di sicurezza globale“. Il vertice arriva in un momento denso di indiscrezioni sulla richiesta della Russia di assistenza militare e potrebbe disattendere le aspettative. Non è escluso che, al termine del colloquio, la Cina decida di rispondere alle richieste di aiuto militare di Mosca.

Per fronteggiare tale eventualità, gli Stati Uniti avrebbero preparato il warning per gli alleati.

La posizione della Cina nel corso dei 18 giorni di guerra non è mai apparsa troppo chiara: nessuna condanna è stata avanzata e Pechino si è astenuta sulla risoluzione dell’Onu di condanna nei confronti della Russia.

Tuttavia, solo nel corso di una chiamata con il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente francese Emmanuel Macron, la Cina ha pronunciato per la prima volta il termine ‘guerra. Però, ha subito controbilanciando con le critiche rivolte alle sanzioni occidentali che “danneggeranno la ripresa dell’economia globale dalla pandemia del Covid-19“.

Intanto l’ambasciata cinese a Washington ha dichiarato:  “Speriamo con sincerità che la situazione si allenti e la pace torni presto“, precisando “di non aver mai sentito parlare” della richiesta di aiuto militare. La priorità della Cina è di:

“Impedire che la situazione di tensione in Ucraina possa sfuggire dal controllo. È una situazione davvero sconcertante”.

Le sanzioni

Gli Usa sfrutteranno il tema sanzioni per mettere pressione alla Cina.

“Ogni mossa da parte di Pechino o di altri Paesi per offrire un’ancora di salvezza alla Russia o aiutarla a evadere le sanzioni occidentali avrà conseguenze. Faremo in modo che né la Cina, né nessun altro, possano risarcire Mosca per queste perdite”.

Le parole del consigliere Sullivan non lasciano spazio a fraintendimenti, gli Stati Uniti punteranno a convincere Pechino a entrare in campo in modo più diretto per fare pressioni su Mosca e cercare di trovare una via d’uscita alla guerra. Inoltre, come molte fonti diplomatiche fanno notare, le sanzioni destinate a durare nel tempo avrebbero gravi ripercussioni anche all’economia cinese.

 

Le fake news sull’attacco russo all’ospedale di Mariupol

Continua il braccio di ferro tra i colossi dei social media e la propaganda di Mosca sulla guerra in Ucraina. Al centro dell’ennesimo tentativo di disinformazione, poi inevitabilmente sfociata in misinformazione, è l’attacco all’ospedale pediatrico di Mariupol del 9 Marzo.

Nel post pubblicato dall’ambasciata russa in Gran Bretagna, questi ultimi sostenevano che le immagini delle vittime dell’attacco all’ospedale fossero false. “L’ospedale – si legge nei post poi rimossi – non era più operativo da tempo, perché passato sotto il controllo delle forze armate ucraine che avrebbero fatto evacuare pazienti e personale medico. Di conseguenza i soggetti che compaiono nelle immagini altro non sarebbero che attori.“.

La denuncia innescata ha coinvolto altre rappresentanze diplomatiche russe in altri Paesi. La sede italiana, ad esempio, ha parlato del “tentativo di gonfiare lo scandalo” da parte dei media occidentali e ucraini.

Attacco all’ospedale pediatrico di Mariupol (fonte: lasicilia.it)

Le informazioni diffuse hanno sin da subito innescato la caccia alla verità da parte di giornalisti e lettori. Il giornalista James Clayton della BBC, ha rintracciato un post Facebook del nosocomio del 2 marzo in cui si chiede supporto di gasolio e altri strumenti per fare funzionare la struttura.

L’intervento di Anonymous 

L’intervento di Anonymous in funzione della divulgazione delle informazioni sulla guerra continua a dimostrarsi fondamentale.

Il gruppo GhostSec, come riportato su Twitter da uno degli attivisti, avrebbe violato centinaia di stampanti governative e militari russe.

“Questa non è la tua guerra. Questa è la guerra del tuo governo. Mentiamo a fratelli e sorelle. I soldati di alcune unità militari pensano di eseguire attività di formazione” si legge. “Ma quando raggiungono il loro obiettivo, vengono accolti da ucraini che vogliono vendicarsi per la distruzione della loro terra portata avanti dai burattini di Putin”.

 

Elidia Trifirò