Trump e Zelensky: equilibri in bilico

Il catastrofico confronto

Si era concluso in maniera disastrosa l’incontro tenutosi il 28 febbraio scorso alla Casa Bianca presso lo Studio Ovale tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. I due, insieme al vicepresidente americano JD Vance, avevano tentato di discutere le condizioni che avrebbero potuto dare inizio delle trattative di pace per la guerra in atto tra Ucraina e Russia. Ma alla fine i toni si sono accesi, divenendo denigratori nei confronti del leader ucraino, accusato di non essere abbastanza diplomatico, addirittura un dittatore, e di non auspicare ad una vera pace per il proprio paese.

Il colloquio si era concluso con l’abbandono anticipato del suolo americano da parte di Zelensky, la mancata concessione delle terre rare e, di conseguenza, la mancata firma degli accordi.

Zelensky pronto alle trattative in virtù di un nuovo dialogo

Subito dopo, la notizia che aveva messo in agitazione tutto il mondo: l’America non avrebbe più fornito a Kiev le armi, e sarebbe saltata anche la condivisione di dati di intelligence da parte della Cia, come affermato dal suo capo John Ratcliffe. Tali pressioni probabilmente avevano l’obiettivo di “costringere” l’Ucraina ad accettare senza troppe pretese le condizioni americane, privandola delle sue difese.

Dunque, messo alle strette, Zelensky alla fine sembra cedere, dichiarando che il dialogo con gli Stati Uniti è stato ristabilito, e “molto presto” avverrà un nuovo incontro, in cui probabilmente i leader ridiscuteranno l’intesa sui minerali. Ad esortare il presidente ucraino affinché avvenisse un riavvicinamento era stato anche il primo ministro inglese Keir Starmer.

Sul social X Volodymyr Zelensky scrive: “Vogliamo tutti un futuro sicuro per il nostro popolo. Non un cessate il fuoco temporaneo, ma la fine della guerra una volta per tutte. Con i nostri sforzi coordinati e la leadership degli Stati Uniti, questo è del tutto realizzabile”, riferendo della telefonata avuta con il cancelliere tedesco Olaf Scholz.

Dmitry Peskov, portavoce di Putin, afferma che il Cremlino giudica ora positivamente il riavvicinamento di Stati Uniti d’America e Ucraina per le trattative.

Le reazioni dal mondo

Tutti i paesi europei, nel frattempo, stanno avviando un processo di mobilitazione compatto per correre al riparo.

Visto il cambiamento delle posizioni americane, il presidente francese Emmanuel Macron si è mostrato preoccupato, e nel suo discorso alla Nazione francese, sottolineando la pericolosità della Russia per la Francia e per tutti i paesi europei, ha invitato questi ultimi ad un “summit militare con chi vuole la pace”, affermando: “L’Europa rafforzi la difesa e sia più indipendente”.

A questo proposito, si è riunito nella giornata del 6 marzo il vertice europeo straordinario di Bruxelles sull’Ucraina e sulla difesa, per discutere il ruolo dei paesi europei nel progetto illustrato dalla presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen, confluito nel piano ReArm Europe, che prevede 800 miliardi di euro da investire per equipaggiare militarmente Kiev.

Noemi Munafò

Un cambio di rotta politico possibile in Moldavia e Georgia

L’espansione russa, anche a causa della guerra con l’Ucraina, sembra aver preoccupato molti paesi, stanchi della continua ingerenza politica della Russia nei loro confronti. Infatti questi giorni sono stati decisivi per decidere il cambio di rotta politico di due paesi: Georgia e Moldavia.

Il quadro politico moldavo

La Moldavia ha sempre subito l’ingerenza e l’influenza della Russia, sia economica che politica. A ciò bisogna ricordare anche la presenza del territorio de facto indipendente della Transnistria, una regione autoproclamatasi indipendente a seguito della caduta dell’Unione Sovietica e che viene fortemente supportata dalla Russia. Questo piccolo territorio è diventato nuovamente oggetto di discussione a seguito dell‘ invasione russa dell’Ucraina nel 2022, infatti si è tenuta d’occhio questa regione a causa della forte presenza russa nel territorio, che ha portato a forti timori di una possibile escalation del conflitto sul suolo moldavo. Il suo territorio ha come capitale la città di Tiraspol, dove ha sede la società Sheriff, fondata da due ex membri del KGB russo. Essa ha un forte potere politico  ed economico sul piccolo Stato.

Chiesa della Natività, Tiraspol, Moldavia
Chiesa della Natività a Tiraspol, Moldavia

Le elezioni in Moldavia: tra ingerenze russe e voglia di libertà

Il 21 ottobre si sono tenute sia le elezioni presidenziali, dove la presidente uscente Maia Sandu è finita al ballottaggio col rivale Alexandr Stoianoglo (col turno di elezioni che si terrà il 3 novembre) sia un referendum per decretare o meno l’ingresso moldavo nell’Unione Europea. L’affluenza alle urne è stata importante, ma il risultato è rimasto incerto fino alla fine. Dalla Commissione Europea arrivano però allarmi di possibili interferenze russe per falsificare i risultati del referendum. Inoltre vi sarebbero stati casi di voto di scambio e compravendita di voti, oltre alla scoperta di tentativi russi di addestrare giovani per creare tumulti disordini durante le elezioni stesse.

urna di ballotaggio

Il risultato finale è stata la vittoria del , però è stata una battaglia combattuta fino alla fine. Questo perché il 49% della popolazione moldava ha votato negativamente l’ingresso nell’Unione Europea, ciò delinea una forte spaccatura all’interno dello stato moldavo. Infatti da un lato vi sono i giovani, che hanno votato per un cambiamento della sfera politica moldava, ma dall’altro lato vi sono i nostalgici, i più anziani e i filorussi, che hanno tentato di opporsi a questo cambiamento. Ciò significa che bisogna fare ancora tanta strada, nonostante il futuro del piccolo Stato sia più chiaro adesso.

Il background politico in Georgia

La Georgia è un altro paese dove la forte ingerenza politica russa è evidente. Così come i moldavi, anche i georgiani hanno dovuto far fronte a due questioni territoriali, tutt’ora irrisolte. I territori dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud hanno reclamato la loro indipendenza a seguito dello scioglimento dell’URSS, pur se non vengono riconosciute dallo stato georgiano. Quest’ultima regione inoltre è stata teatro della guerra russo-georgiana del 2008, che ha lasciato vari strascichi importanti nel Paese. Il governo georgiano è fortemente autoritario, con il partito Sogno georgiano che dal 2012 governa il Paese. Egli ha adottato delle leggi simile a quelle di Mosca, soprattutto per quanto riguarda i diritti degli omosessuali (che nonostante il tentativo di veto della presidente Zourabichvili è entrata in vigore) e i cosiddetti “agenti stranieri“. E’ chiaro quindi che la Georgia necessita di un cambiamento politico, per tentare di uscire dall’orbita russa.

Statua dell'amore, Batumi, Georgia
Statua dell’amore, Batumi.

I risultati delle elezioni georgiane

Nella giornata del 26 ottobre si sono svolte le elezioni parlamentari in Georgia. Il partito “Sogno Georgiano”, che governava il Paese da 12 anni, era alla ricerca dell’ennesimo mandato. A seguito delle leggi contro gli omosessuali, l’UE aveva temporaneamente fermato i negoziati per l’adesione del Paese. I partiti di opposizione pro-UE speravano in un grande cambiamento, che però non è avvenuto. Questo perché il partito ha stravinto le elezioni con il 54% dei voti, contro il 37% dei voti dell’opposizione. Nonostante questa vittoria netta, i rappresentanti delle opposizioni hanno dichiarato che non accetteranno questi risultati, a causa delle varie testimonianze di brogli elettorali ed intimidazioni nei confronti dei votanti. L’ennesimo mandato di  “Sogno Georgiano” porta non pochi problemi per il Paese in vista di una possibile entrata nell’Unione Europa, poiché nel corso degli anni esso ha mostrato atteggiamenti sempre più filorussi. Un avvicinamento sempre più imminente della Georgia alla Russia potrà significare un forte allarme per tutti coloro che speravano in un cambiamento della politica del loro Paese, che vedono il loro sogno (l’Ue) allontanarsi sempre di più. 

Samuele Di Meo

Attentato a Mosca: l’ISIS-K rivendica la strage

Lo scorso venerdì quattro uomini armati di fucili automatici, coltelli e armi incendiarie hanno fatto irruzione al Crocus City Hall di Mosca, uccidendo più di 130 persone e ferendone centinaia. La sala concerti si preparava ad ospitare una famosa rock band dell’era sovietica e ancora attiva, i Picnic. Non si conosce l’esatto numero di presenti al momento dell’attentato, ma i biglietti venduti sono stati più di seimila. Gli attentatori hanno sparato sulla folla cercando di uccidere quante più persone possibili. Successivamente hanno dato fuoco alla struttura causando il cedimento parziale del tetto.

I responsabili della strage

L’attacco è stato rivendicato nelle ore successive dall’ISIS-K, il braccio afghano dello Stato Islamico della Siria e dell’Iraq (ISIS): attraverso un comunicato rilasciato su diversi canali Telegram della forza jihadista, allegando poi filmati ripresi dalle bodycam indossate dagli attentatori. Nei video si sentono parlare gli uomini in arabo e tagiko, mentre infieriscono con armi da taglio e da fuoco sui corpi dei feriti.

Le forze armate russe hanno arrestato i quattro attentatori e altre sette persone coinvolte probabilmente nell’organizzazione dell’attacco. I quattro esecutori stavano fuggendo su una Renault bianca verso il confine bielorusso. In seguito all’arresto, le forze armate hanno torturato i sospettati con pestaggi e mutilazioni, condividendo i filmati su diversi canali Telegram. Si vedono uomini dai volti tumefatti e sanguinanti, alcuni in sedia a rotelle o con il volto coperto da un sacchetto. Ad alcuni di loro è stato persino tagliato un orecchio.

L’attentato è avvenuto due settimane dopo l’allarme lanciato dall’ambasciata statunitense in Russia, che aveva suggerito ai propri connazionali di evitare assembramenti nelle quarantotto ore successive. Il preavviso era stato giudicato da Putin e dalle autorità russe come “allarmismo” da parte dell’Occidente, intento a indebolire la Russia. Quest’ultima inoltre aveva già nelle precedenti settimane neutralizzato alcune cellule terroristiche: una di queste stava progettando un attacco in una sinagoga di Kaluga (vicino Mosca), poi sventato.

Il tetto della sala concerti collassato dopo l’incendio (Wikimedia)

Da dove viene l’ISIS-K

Sebbene l’ISIS sia ormai conosciuto in Occidente, specie a causa dei diversi attentati condotti in Europa (fra cui quelli di Parigi del 2015), la sua costola afghana ISIS-K gode di minor fama. La lettera “K” sta per Khorasan, una provincia compresa fra Afghanistan, Pakistan e Iran, dove il gruppo si è inizialmente strutturato.

Il primo nucleo dell’ISIS-K era composto da alcuni talebani pakistani fuggiti dal Pakistan per rifugiarsi in Afghanistan. Fra questi vi era il fondatore Hafid Saeed Khan, il quale giurò fedeltà all’allora neonato Stato Islamico di Siria e Iraq, ottendendo finanziamenti e uomini. Per anni il gruppo è rimasto all’ombra del suo corrispettivo siriano e iracheno, ma a partire dal 2020 diversi eventi e situazioni ne hanno consentito una notevole crescita. Fra questi spicca il ridimensionamento dell’ISIS in Siria e Iraq, combattuto dalle forze governative di Assad (sostenuto dalla Russia). Inoltre la ritirata degli statunitensi dall’Afghanistan ha lasciato il paese nelle mani dei soli talebani, più deboli nei confronti di uno Stato Islamico sempre più forte.

Forze armate afghane contro l’ISIS-K (DVIDS)

Perché la Russia?

Nonostante l’ISIS-K condivida con alcune organizzazioni terroristiche e paesi islamici la radicale applicazione della sharia, si trova in conflitto con molti dei loro vicini. Sono nemici degli iraniani, poiché quest’ultimi sono sciiti. Ma sono anche nemici dei talebani e al Qaida (protetta dai talebani), sebbene questi siano sunniti. Le aspirazioni jihadiste di questi ultimi due gruppi sono infatti ritenute troppo tiepide dall’ISIS-K. Lo scopo esistenziale dello Stato Islamico è la costituzione di un califfato che vada oltre i confini afghani, per il cui successo qualsiasi metodo è ritenuto accettabile. Non si fa distinzione fra i nemici del califfato, siano essi «ebrei, cristiani, atei, sciiti, apostati e tutti gli infedeli del mondo».

Negli ultimi anni l’ISIS-K ha preso di mira la Russia. I jihadisti stanno cercando di usare la guerra russo-ucraina a scopo propagandistico, descrivendola agli occhi dei loro seguaci come un conflitto di “crociati contro crociati”. In tal modo tentano di attrarre più miliziani incitandoli all’odio e alla violenza contro Mosca, ritenuta responsabile di diverse stragi di musulmani. In particolar modo vogliono vendicare eventi come l’invasione sovietica dell’Afghanistan degli anni ’80, la repressione dei separatisti Ceceni e l’appoggio al regime di Assad in Siria contro le forze ribelli (fra cui l’ISIS).

Soldati russi in Cecenia (Wikimedia)

Le reazioni del Cremlino

Nel suo messaggio alla nazione Putin non ha mai citato lo Stato Islamico. Nei giorni seguenti ha riconosciuto i jihadisti come esecutori, ma sottolineando un presunto coinvolgimento ucraino. Questo si baserebbe su una presunta “finestra sul confine ucraino” attraverso la quale fuggire. Tuttavia non esiste nessuna prova a supporto.

Sembra che il Cremlino cerchi un pretesto per aumentare gli attacchi contro l’Ucraina. Vorrebbe poi distogliere l’attenzione interna dalle falle della sicurezza russa: il governo ha minimizzato l’allarme americano, i soccorsi sono stati disorganizzati secondo alcune fonti e gli attentatori sono stati persino in grado di fuggire dal luogo della strage.

Vladimir Putin durante il discorso alla nazione (Wikimedia)

Francesco D’Anna

Guerra ucraina: le due potenze ai conti con i “proiettili all’uranio impoverito”

La guerra in Ucraina procede e l’Occidente, determinato, protrae i suoi aiuti a Kiev. Il Regno Unito, in particolare, ha deciso per l’invio di un nuovo, letale tipo di equipaggiamento: i proiettili all’uranio impoverito. Vediamo ora le loro caratteristiche, quindi perché possono essere parecchio incisivi e pericolosi, tanto per chi li utilizza quanto per chi ne subisce l’impiego.

Le ambiguità dei proiettili “speciali”

Riporta le informazioni L’Indipendente. Il 20 marzo, durante un’audizione alla Camera dei Lord, la baronessa Annabel Goldie, viceministra della Difesa, ha dichiarato:

Assieme a uno squadrone di carri armati pesanti da combattimento Challenger 2 manderemo anche le relative munizioni, inclusi proiettili perforanti che contengono uranio impoverito poiché altamente efficaci per neutralizzare tank e blindati moderni russi

Un annuncio importante per tutto il mondo, che dal conflitto sovietico è preso in causa. Scioccante per chi conosce la natura di questi mezzi, provocante forse più sgomento che gioia. Perché c’è una cosa che la baronessa ha omesso; cioè che l’impatto delle pallottole genera la diffusione di microparticelle di uranio, sì impoverito, ma diversamente radioattivo, per le persone e le cose circostanti gli spari.

La storia dei proiettili all’uranio impoverito

La storia vede i proiettili all’uranio impoverito protagonisti degli assalti occidentali in Iraq, in Kuwait e nei Balcani. E fu proprio all’epoca dei fatti, nel 2001, che Carla del Ponte, allora procuratrice capo del Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia, definì “crimine di guerra” l’utilizzo di quegli strumenti.

Invece oggi? Per il motivo succitato, il dibattito internazionale sulla fruizione delle armi all’uranio impoverito è più che mai vivo, e queste munizioni non sono ancora state messe al bando. Solo un ristretto numero di paesi, tra cui il Regno Unito, impiega questi mezzi senza considerare i danni ambientali e fisici che possono generare.

D’altronde, pochi studi riescono efficacemente a dimostrare il legame consequenziale tra proiettili e malattie da essi scaturite; perché pochi studi sono stati condotti in merito e la correlazione non è semplice da dimostrare. Dulcis in fundo: non esistono trattati restrittivi a proposito.

Proiettili. Fonte: PxHere

La notizia incattivisce il Cremlino

Alla luce di quanto scritto, si spiegano le reazioni di Putin e del suo ministro della Difesa Sergei Shoigu alle parole della Goldie. «La Russia sarà costretta a reagire alle forniture occidentali di munizioni all’uranio» ha affermato il Presidente, mentre il membro del governo ha definito oramai «a pochi passi» lo scontro nucleare.

Tutto questo è avvenuto nel momento in cui il Capo del Cremlino e il Presidente cinese Xi Jinping si trovavano a Mosca per un dialogo, bigotto, su “negoziati e piani per la pace”. Un dialogo basato su dodici punti redatti dall’amministrazione di Jinping.

I dodici obiettivi di Xi Jinping

Di seguito elencati i dodici obiettivi, qui concentrati in brevi frasi, contenuti nel piano “per la pace” del Presidente Xi Jinping:

  1. Rispettare la sovranità di tutti i paesi.
  2. Abbandonare la mentalità della guerra fredda.
  3. Cessare le ostilità.
  4. Riprendere i colloqui di pace.
  5. Risolvere la crisi umanitaria.
  6. Protezione dei civili e dei prigionieri di guerra (POW).
  7. Mantenere sicure le centrali nucleari.
  8. Riduzione dei rischi strategici.
  9. Facilitare le esportazioni di grano.
  10. Stop alle sanzioni unilaterali.
  11. Mantenere stabili le catene industriali e di approvvigionamento.
  12. Promuovere la ricostruzione postbellica.

Gabriele Nostro

Wnba, Brittney Griner tornerà in campo dopo 10 mesi di prigionia

La cestista americana Brittney Griner tornerà a vestire la maglia dei Phoenix Mercury (squadra della WNBA, ovvero la più importante lega professionistica statunitense di basket femminile) già nel 2023, come annunciato dalla franchigia lo scorso martedì. Lo afferma la stessa Griner nel suo primo post Instagram dopo dieci mesi di prigionia in Russia, sottolineando la volontà di tornare il prima possibile in campo con la sua squadra. Desiderio esaudito: il 21 Maggio farà parte dei Phoenix Mercury nella prima partita della stagione contro i Chicago Sky.

Credo che nessuno di noi dimenticherà dove eravamo l’8 dicembre quando abbiamo sentito che BG stava tornando a casa o il 15 dicembre quando ha annunciato che intendeva non solo giocare a basket nel 2023, ma che sarebbe stato per il Mercury. E so che nessuno di noi dimenticherà mai come ci si sente a darle il bentornato sul pavimento di casa il 21 maggio.

Ha affermato il presidente delle Mercury Vince Kozar.

È un grande giorno per tutti noi annunciare che Brittney Griner ha ufficialmente firmato per suonare per i Mercury nel 2023. Ci mancava BG ogni giorno che se n’era andata e, mentre il basket non era la nostra preoccupazione principale, la sua presenza sul pavimento, nel nostro spogliatoio, intorno alla nostra organizzazione e all’interno della nostra comunità ci mancava molto.

Queste, invece, le parole del direttore generale Jim Pitman.

Chi è Brittney Griner

Brittney Griner ha 32 anni e si è affermata come una delle più forti giocatrici di basket di tutti i tempi. Prima scelta al draft (il sistema tramite il quale gli atleti dello sport americano approdano nello sport professionistico) del 2013, partecipa otto volte all’All-star game (la partita tra le stelle della Wnba che si svolge ogni anno); per due volte è stata la migliore realizzatrice della Wnba e per altrettante ottiene il premio come migliore difenditrice dell’anno.

È stata, inoltre, campionessa olimpica per due volte con la nazionale femminile di pallacanestro, nel 2016 a Rio de Janeiro e nel 2020 a Tokyo.

Griner ha raggiunto per due volte le finals Wnba con la sua squadra, vincendo il titolo nel 2014. La sua ultima apparizione sul più importante palcoscenico Wnba coincide con la sua ultima presenza sportiva prima della prigionia, nel 2021.

Brittney Griner in un tribunale di Mosca. Fonte: Il Post. Fotografo: Alexander Zemlianichenko

La carriera in Russia e l’arresto

La vicenda giudiziaria ha inizio nel febbraio del 2022, quando una volta atterrata all’aeroporto di Mosca-Šeremet’evo, dei cani antidroga annusano la presenza di narcotici nel bagaglio dell’atleta. La polizia rinviene nello zaino cartucce per un vaporizzatore che contenevano olio di hashish, sostanze illegali in Russia.

La cestista si trovava in Russia perché atleta dal 2015 dell’Ekaterinburg, squadra rappresentatrice della omonima città degli urali. Sono molte le giocatrici professioniste di basket americano che nei mesi invernali (quando non sono impegnate con la Wnba) decidono di legarsi professionalmente oltreoceano, attirate dagli stipendi che possono raggiungere il milione di euro (di gran lunga superiori agli standard Wnba).

Una vicenda dai sospetti fini politici

Secondo molti esperti statunitensi, l’arresto della Griner ha forti connotati politici ed è legato alle tensioni tra Russia ed i paesi occidentali dovute alla guerra in Ucraina.  Infatti, l’arresto è avvenuto una settimana prima dell’invasione russa del 24 febbraio scorso.

Da quel momento, la cestista è stata tenuta prigioniera per detenzione preventiva fino ad agosto, quando è stata condannata a 9 anni per contrabbando di droga. Nel novembre del 2022 è stata trasferita in una colonia penale russa, dove era costretta ai lavori forzati, fino alla sua liberazione avvenuta il 9 dicembre.

Sin dall’inizio, lo scambio di prigionieri rappresentava l’unica soluzione palese per porre fine alla detenzione. Dopo mesi di trattative, lo scambio avviene ad Abu Dhabi, con gli Stati Uniti che liberano Victor Bout, il trafficante di armi internazionali tristemente noto con lo pseudonimo di “Mercante della morte”. Ad annunciare l’operazione, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden.

Un lieto fine che è stato raggiunto anche per mezzo della grande attenzione mediatica creata dalla sua squadra, da sua moglie e dai giocatori Nba. Un esempio ne sono i giocatori dei Boston Celtics che hanno indossato una maglietta con su scritto “I AM BG” il 4 giugno 2022.

Giuseppe Calì

Nuove sanzioni alla Russia: embargo sul petrolio russo e price cap di 60 dollari

L’Unione Europea, dopo l’invasione ingiustificata dell’Ucraina lo scorso 24 febbraio, ha imposto alla Russia una serie di nuove sanzioni. Queste si aggiungono alle misure restrittive già in vigore dal 2014 in conseguenza all’annessione della Crimea.
Tra i principali obiettivi prosciugare i conti del Cremlino. “L’economia russa sarà distrutta, pagherà e sarà responsabile di tutti i suoi crimini” ha dichiarato la presidenza ucraina. Per eliminare i guadagni russi e mettere così in difficoltà gli sforzi bellici si è detto basta a petrolio e gas.

Per colpire l’economia russa, l’Ue parla in termini di divieti d’esportazione (entità europee non possono vendere determinati prodotti alla Russia), e d’importazione (entità russe non sono autorizzate a vendere determinati prodotti all’UE). In giugno è stato adottato un pacchetto di sanzioni che vieta l’acquisto, l’importazione o il trasferimento via mare di petrolio greggio (non lavorato) e di alcuni prodotti petroliferi dalla Russia all’UE. Queste restrizioni entrate in vigore ieri (5 dicembre) per il petrolio greggio, mentre per gli altri prodotti petroliferi raffinati come diesel, benzina da febbraio 2023.

Trovato un accordo per un tetto al prezzo dell’oro nero 

Nel mercato del gas la riduzione dei flussi di forniture da Mosca verso l’Europa ha fatto aumentare i prezzi. Alla fine la Russia nel corso del 2022 ha venduto meno e guadagnato di più. Per evitare questo paradosso, anche per il petrolio oltre all’embargo è stato applicato un tetto massimo al prezzo in accordo tra Unione Europea, membri del G7 e l’Australia.
Il price cap è stato fissato a 60 dollari al barile, imposto ai prezzi del petrolio russo venduto in stati terzi. Questo provvedimento vieterà alle compagnie di fornire servizi che consentono il trasporto del petrolio russo oltre il tetto stabilito. Al fine di limitare le entrate che Mosca trae dalle sue forniture in Cina o in India.

Grafico price cap sul petrolio russo, Fonte: Sky tg24

L’accordo siglato dagli ambasciatori dei paesi membri dell’Ue a Bruxelles, era rimasto in sospeso in attesa delle decisioni della Polonia. Perché il versante polacco era stato critico sull’efficacia del tetto fisso, si richiedeva un prezzo molto più basso pari a 30 dollari al barile. L’attuale prezzo di un barile di petrolio russo, denominato “Urals oil”, è di circa 65 dollari poco sopra il tetto europeo, quindi un impatto realmente contenuto nel breve periodo. Sembra che il funzionamento del meccanismo di price cap verrà rivisto ogni due mesi, per rispondere all’esigenze di mercato. Sarà fissato a meno del 5%, al di sotto del prezzo medio di mercato del petrolio e dei prodotti petroliferi russi, calcolato sulla base dei dati forniti dall’Agenzia internazionale dell’Energia.

A differenza del gas, il petrolio può essere trasportato via mare. Così quello che l’Europa non comprerà più dalla Russia, potrà arrivare ad esempio dall’Arabia Saudita e altri produttori del Golfo Persico. Sono difficili questi equilibri, ma per Bruxelles questo servirà a stabilizzare i prezzi globali dell’energia.

“Stiamo lavorando a tutta velocità”, ha affermato Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, “non ci fermeremo finché l’Ucraina non avrà prevalso sull’illegale e barbara guerra di Putin”. La von der Leyen attraverso un tweet ha ribadito le decisioni sull’embargo e il price cap.


Gianclaudio Torlizzi
, osservatore ed esperto del settore, ha dichiarato che “questo tetto è stato deciso proprio per non creare shock sul mercato e per danneggiare lentamente Mosca”. Ma bisogna ora vedere quali saranno le reazioni del Presidente Putin e dell’Opec.

Russia: Stop greggio a chi aderisce al price cap 

La Russia non accetterà il price cap sul prezzo del suo petrolio. Stiamo valutando la situazione. Sono stati fatti alcuni preparativi per questo tetto. Vi informeremo su come sarà organizzato il lavoro una volta terminata la valutazione”

Queste le parole ai giornalisti di Dmitrij Peskov, noto portavoce del Cremlino, dopo le decisioni dell’Ue. Da tempo per compensare il suo export dalle perdite europee, Mosca si sta rivolgendo ad altri mercati come l’Asia. Essendo secondo produttore di petrolio al mondo ha dirottato gran parte delle sue forniture in India, Cina e altri paesi asiatici a prezzi scontati. Questo ha portato ad una diminuzione dell’esportazioni, ma i guadagni si sono mantenuti. Per esempio la Cina, nonostante le politiche “zero covid”, ha acquistato circa 2 milioni di barili al giorno di petrolio russo negli ultimi mesi.

Alexander Novak, vice-primo ministro russo in conferenza, Fonte : The New York Times

Mosca ha ribadito chiaramente che “non intende vendere il suo oro nero”, a nessuno dei paesi che adottano il tetto ai prezzi. “Venderemo petrolio e prodotti petroliferi ai paesi che lavorano con noi, sulla base delle condizioni di mercato. Anche se questo volesse dire che dobbiamo ridurre la produzione” dichiara Alexander Novak, vice-primo ministro russo.
Secondo alcune analisi del New York Times però circa il 55% delle petroliere che trasportano il petrolio russo fuori dal paese battono bandiera della Grecia, paese dell’Ue. Mentre i principali assicuratori di questi carichi hanno sede nell’Unione Europea e nel Regno Unito, un paese del G7. Aggiunge il giornale che la Russia utilizza compagnie di altri paesi, ma passare tutte le sue esportazioni a fornitori alternativi sarebbero probabilmente più costoso e meno sicuro per gli acquirenti.

 

 

Queste sanzioni funzioneranno?  

L’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (Opec) e i suoi alleati, gruppo noto come Opec+ , ha concordato sull’attenersi al proprio obiettivo di produzione di petrolio. Fra le restrizioni a Mosca, il lockdown da covid in Cina e il rallentamento dell’economia globale, l’organizzazione prende tempo e tiene invariati gli attuali livelli di produzione. Una mossa per gli analisti di “wait and see” che ha senso, in attesa di capire l’impatto delle nuove misure contro la Russia.

Zelensky, presidente ucraino, ritiene che il price cap sia una decisione “non seria”, si tratterebbe di “fissare un limite abbastanza buono per il bilancio dello Stato terrorista”. Alcuni ritengono che l’embargo sul petrolio non funzionarà come sperato e i prezzi saliranno. La Russia avrà dei vantaggi come gli altri paesi esportatori. Tutto il peso cadrà sui consumatori, già schiacciati dalla più grave crisi inflazionistica degli ultimi decenni.

In Italia, le sanzioni contro la Russia hanno portato dei risultati paradossali. Il nostro paese ha ridotto di molto la sua dipendenza dal gas russo, ma il petrolio è continuato ad arrivare. Questo dovuto anche alla presenza di una delle principali raffinerie del paese la “Lukoil Isab” di Priolo, che poteva acquistare solo petrolio russo. L’Italia così ha aumentato di molto la sua esposizione sul petrolio russo, tanto d’acquistarne quasi la metà. Da oggi questo non potrà più accadere!
Come ha dichiarato l’amministratore delegato di Eni, Claudio DescalziL’embargo al petrolio russo sarà un duro colpo” quindi “bisognerà stare attenti a trovare il petrolio altrove. Tutto ciò che potremmo recuperare arriverà dagli Stati Uniti”.


                                                                                                              Marta Ferrato

Guerra Russia-Ucraina: il punto sulla situazione

Il conflitto tra Russia e Ucraina, iniziato il 24 Febbraio, non accenna a placarsi. Dopo il periodo di apparente stasi, durante le stagioni estive, la tensione è di nuovo altissima a causa degli ultimi avvenimenti. Nel mese di settembre, infatti, le milizie ucraine hanno quasi totalmente ribaltato la situazione, sfondando il muro delle truppe sovietiche in alcune zone precedentemente occupate. Questo ha spinto i vertici del Cremlino a minacciare l’uso di armi nucleari tattiche.

 

L’attacco al ponte tra la Russia e la Crimea

Nel mese di ottobre, seppur appena cominciato, la situazione non fa altro che aggravarsi. Lo scorso 8 ottobre, a seguito di una violentissima esplosione, è crollata una parte del ponte che collega la Russia alla Crimea. Ad oggi vi sono ancora molti dubbi riguardanti le cause e i mandanti dell’attentato. L’autorità antiterrorismo russa ha comunicato che il crollo sarebbe stato conseguente all’esplosione di un camion che trasportava carburante.

Più che cercare di capire chi sia il possibile mandante o interrogarsi sulle difficoltà logistiche dovute al crollo dell’unica strada che collega Russia e Crimea – difficoltà quasi inesistenti dato che è stata completamente riparata in un giorno – occorre comprendere fino in fondo la gravità di un attacco di questo tipo.

Il ponte di Kerč, dopo la sua costruzione nel 2014, è divenuto di fatto il simbolo dell’annessione della Crimea. Particolarmente emblematica fu l’inaugurazione del segmento del trasporto su gomma compiuta da Putin alla guida di un camion nel maggio del 2018.

L’Ucraina non ha rivendicato l’attacco anche se il presidente Volodymyr Zelensky si è mostrato “non troppo dispiaciuto” dell’accaduto. Queste le sue dichiarazioni:

«Oggi è stata una bella giornata, per lo più soleggiata sul nostro territorio. In Crimea era nuvoloso, ma faceva caldo»

Il Ponte subito dopo l’esplosione. Fonte: adnkronos.com

La risposta della Russia: missili su Kiev

Come pronosticabile la replica da parte delle autorità sovietiche è stata repentina ed è stata sia verbale che, purtroppo, militare.

«Questo è un atto terroristico e un sabotaggio commesso dal regime criminale di Kiev. Non ci sono dubbi e non c’erano. Tutti i rapporti e le conclusioni sono chiari. La risposta della Russia a questo crimine può essere solo la distruzione diretta dei terroristi. Questo è ciò che i cittadini russi stanno aspettando»

Sono state queste le parole del vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev. Un’uscita che ha lasciato poco spazio ai fraintendimenti e che si è rivelata in seguito tutt’altro che una semplice e innocua minaccia. Dopo circa un giorno dall’esplosione del ponte, infatti, la Russia ha effettuato un attacco missilistico su tutto il territorio ucraino. L’offensiva ha causato diversi morti e altrettanti feriti e che ha destabilizzato notevolmente i cittadini, soprattutto a Kiev. La capitale infatti, dopo mesi di stabilità, è stata la città più colpita.

Si è dimostrato particolarmente scosso dall’attacco anche Zelensky che nelle ore successive ha diffuso un messaggio, carico di frustrazione e ira, tramite Telegram. Questo il testo:

«Vogliono spazzarci via dalla faccia della terra. distruggi la nostra gente che dorme a casa a Zaporizhzhia. Uccidi le persone che vanno a lavorare a Dnipro e Kiev. L’allarme aereo sta continuando a suonare in tutta l’Ucraina. Ci sono missili che colpiscono. Purtroppo ci sono morti e feriti.»

Immagine di un missile caduto su Kiev. Fonte: lastampa.it

Le reazioni degli altri Paesi: convocato un G7 straordinario

Non solo il presidente ucraino, anche gli altri capi di Stato delle forze occidentali sembrano essere preoccupati per i possibili sviluppi legati al conflitto. In particolare, il presidente Joe Biden nei giorni scorsi si era esposto abbastanza duramente riguardo alla possibilità di un’escalation nucleare, da lui definita “un’apocalisse“. Al fine di smorzare la situazione è intervenuto il segretario di stato degli Usa, Antony Blinken, che si è mostrato aperto ad una possibile soluzione diplomatica chiarendo, però, che:

«Mosca sta andando nella direzione opposta. Quando la Russia dimostrerà seriamente di essere disposta a intraprendere la strada del dialogo noi ci saremo.»

Intanto nella giornata di ieri si è tenuto, in modo virtuale, un vertice speciale del G7, in cui le nazioni partecipanti hanno ribadito la volontà di dare appoggio all’Ucraina e di colpire la Russia tramite l’imposizione di ulteriori sanzioni economiche. Collegato anche Zelensky che prima dell’incontro ha dialogato privatamente con Mario Draghi.

Francesco Pullella

Nord Stream: gas in mare e danni all’ambiente

Il caso Nord Stream ha avuto un forte impatto a livello mediatico, principalmente a causa delle implicazioni politiche dell’evento. Vi è, però, un altro aspetto importante da analizzare, relativo alle conseguenze ambientali. L’accaduto si inserisce, infatti, in un quadro ben più grande che è quello della già critica situazione climatica attuale.

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Nord Stream: di cosa si tratta

I gasdotti Nord Stream sono condutture che partono dalla Russia attraversando il Mar Baltico per oltre 1200 chilometri per poi giungere in Germania. Possono trasportare fino a 110 miliardi di metri cubi di gas, sufficienti ad alimentare 26 milioni di case.
Tra il 25 e il 26 settembre di quest’anno i sismologi danesi e svedesi hanno registrato due forti esplosioni in mare nei pressi dell’isola di Bornholm. La prima alle 2:03 di notte con magnitudo 1.9, la seconda di 2.3 alle 19:04. Le cause della perdita sono ancora da discutere, nonostante circolino varie speculazioni sull’evento, che si interseca nel complesso panorama politico mondiale.
Nei giorni successivi sono circolate numerose immagini del gas che ribolliva sotto la superficie marina.
In totale sono state ben quattro le perdite rilevate, di cui due hanno interessato il Nord Stream 2 e il Nord Stream 1. Nessuno dei due gasdotti era operativo, ma entrambi contenevano gas pressurizzato. Nel Nord Stream 2, in particolare, scorrevano al momento delle perdite 177 milioni di metri cubi di gas naturale.
Gli strumenti di monitoraggio hanno identificato, già dai primi giorni, enormi nubi di metano in movimento verso la Svezia e la Norvegia.

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Il problema della manutenzione

Gli incidenti ai gasdotti Nord Stream hanno portato in primo piano il tema della difesa delle infrastrutture critiche.
Quelle sottomarine, infatti, possono essere particolarmente vulnerabili ai danneggiamenti, sia per cause naturali che per attacchi fisici.
Hans Tino Hansen, amministratore delegato di Risk Intelligence, sostiene che per proteggere le infrastrutture sottomarine è necessario creare sistemi capaci di rilevare automaticamente i guasti e i problemi delle apparecchiature. Inoltre, è fondamentale assicurarsi che ci siano strumenti, come i droni subacquei, in grado di raggiungere i siti per ispezionarli nel caso di danni.
Anche l’italiano Paolo Cristofanelli, ricercatore presso il Cnr-Isac concorda, sostenendo che “I processi di estrazione e distribuzione del metano rappresentano una delle sorgenti più rilevanti di emissione e le perdite di questo gas richiedono determinate attenzioni, perché hanno un effetto significativo sul peggioramento dell’effetto serra. Episodi come questo evidenziano l’importanza di poter contare su strumenti di monitoraggio validi”.

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Danno ambientale

Gli scienziati stanno ancora discutendo quali saranno i danni provocati all’ambiente dalle perdite Nord Stream. In particolare,emergono pareri contrastanti riguardo la gravità che l’evento avrà sull’atmosfera e sui cambiamenti climatici .
Joe von Fischer, esperto di biogeochimica dell‘Università del Colorado, spiega come “Quando il metano è rilasciato nella parte inferiore di un bacino molto profondo, viene quasi completamente ossidato dai batteri metanotrofici (che si nutrono, cioè, di metano) presenti nella colonna d’acqua”. Potrebbe, quindi, degradarsi in parte prima di arrivare in atmosfera, lasciando dietro di sé “solo” CO2, molto inquinante, ma meno potente come gas serra.
La quantità può, però, fare la differenza. Secondo Grant Allen, scienziato ambientale dell’Università di Manchester, le perdite potrebbero essere così ingenti e la colonna di gas in acqua così pura e violenta da rendere difficile ai batteri una qualunque azione mitigatrice.

Fonte: https://www.google.com

Le emissioni aumentano

Le stime del Nilu (Norwegian Institute for Air Research) presumono una perdita dai gasdotti Nord Stream variabile tra 40000 a 80000 tonnellate. Se fossero confermate si tratterebbe di circa l’1% di ciò che emette annualmente l’Europa in attività di produzione e uso di combustibili fossili.
Tale dato mette in luce che ogni giorno il nostro continente disperde nell’ambiente circa un terzo di quanto perso dai gasdotti in questo periodo. Si tratta di stime rilevanti che aprono una riflessione più ampia sul tema.
Ogni anno le emissioni aumentano, raggiungendo nuovi record. Nel 2021 vi è stato il picco massimo di 1910.8 ppb, mai avuto prima d’ora.
Secondo le stime della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), il metano oggi è due volte più abbondante in atmosfera rispetto a prima della Rivoluzione Industriale.
A destare preoccupazione, tuttavia, è il ritmo di crescita: tra il 2020 e il 2021, infatti, sono stati registrati aumenti annuali rispettivamente di 15,27 e 16,99 ppb, mai così alti dall’inizio delle misurazioni.
Ciò non riguarda “solo” il riscaldamento globale. Il metano è un potente inquinante atmosferico che incide sulle morti premature, sulle visite ospedaliere legate all’asma e sulle perdite nei raccolti.
A seguito di tali considerazioni viene quasi da chiedersi quale sia il costo della normalità. Le perdite ai gasdotti sono sì ingenti, ma a preoccupare è la situazione generale. Il problema è posto proprio davanti al nostro sguardo con dati che sembrano urlarci quanto la situazione sia drammatica.
Chi ascolta queste grida?

Alessia Sturniolo

Bibliografia

Guerra in Ucraina: Nato intransigente sulle annessioni della Russia e le minacce nucleari di Putin

Il conflitto Russia-Ucraina iniziato 7 mesi fa con l’invasione russa del territorio ucraino non intravede al momento una fine, bensì una coltre densa di minacce nucleari e incessanti attacchi incombono sul Paese che continua la sua controffensiva nel nord-est, cercando di riprendersi altri territori occupati dalla Russia. Quest’ultima venerdì scorso ha annunciato l’annessione tramite referendum di quattro regioni ucraine, gesto che la comunità internazionale non ha esitato nel definire illegittimo e assurdo.

Ciononostante, nelle ultime 48 ore le forze ucraine hanno guadagnato terreno significativo nel nord-est dell’Ucraina, intorno a Lyman, e nella regione di Kherson, a sud. Questo significa che la Russia non ha più il pieno controllo di nessuna delle quattro regioni dell’Ucraina che affermava di aver annesso la scorsa settimana.

Referendum annessione. Fonte: Euronews

La condanna dei “referendum farsa”

Lunedì 3 ottobre il Parlamento russo, la Duma, ha ratificato l’annessione delle quattro regioni dell’Ucraina nelle quali si sono svolti quelli che la comunità internazionale ha definito ”referendum farsa”. Lo ha annunciato il presidente della camera bassa del Parlamento russo Vyacheslav Volodin. Le regioni in questione sono Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia, che insieme rappresentano circa il 18 per cento del totale del territorio ucraino.

Di fronte ad un simile risvolto, i capi di Stato di nove Paesi europei membri della Nato (Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Macedonia del Nord, Montenegro, Polonia, Romania e Slovacchia) hanno fermamente sostenuto che non riconosceranno l’assorbimento delle quattro regioni da parte della Russia. Nella stessa dichiarazione congiunta sostengono poi il percorso verso l’adesione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica e invitano tutti i 30 Paesi membri a intensificare gli aiuti militari a Kiev, esprimendo così piena solidarietà all’Ucraina:

“Ribadiamo il nostro sostegno alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina e non riconosciamo e non riconosceremo mai i tentativi della Russia di annettere il territorio ucraino”, si legge nella nota congiunta.

Il segretario generale NATO, Stoltenberg. Fonte: Agenzia Nova

A chiarire ulteriormente le posizioni intransigenti della Nato le parole del segretario generale, Jens Stoltenberg, durante una conferenza a Bruxelles:

“Le regioni di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia sono ucraine, così come lo è la Crimea”, ha detto.

“Putin è il principale responsabile di questa guerra e il principale attore che deve fermare il conflitto. Se la Russia fermerà il conflitto, ci sarà la pace, se l’Ucraina si arrenderà, smetterà di esistere come una nazione indipendente”, sottolineando che “la Nato non è in guerra con la Russia, il nostro obiettivo adesso è continuare a sostenere l’Ucraina in ogni modo, per metterla in condizione di difendersi dall’aggressione della Russia”.

Putin minaccia sul nucleare

“Il popolo ha fatto una scelta netta. Ora i loro abitanti diventano nostri cittadini per sempre”, ha esordito Putin al termine dei referendum. Il non riconoscimento del risultato dei referendum, e delle conseguenti annessione, da parte della comunità internazionale potrebbe aumentare il rischio di utilizzo di armi nucleari: quella del presidente Putin è infatti una retorica tanto ripetitiva quanto pericolosa e imprudente. Un qualsiasi uso di armi nucleari avrebbe conseguenze gravi per la Russia e cambierebbe la natura del conflitto, come fatto esplicitamente sapere dal segretario generale della Nato Stoltenberg, nel corso di un’intervista al programma “Meet the press” su Nbc.

Il messaggio che la Nato e gli Alleati della Nato mandano alla Russia è atto a far capire che, nonostante l’organizzazione non faccia parte del conflitto, una guerra nucleare non può essere vinta e mai deve essere combattuta; anche perché l’Ucraina – in quanto nazione indipendente e sovrana in Europa – ha pienamente diritto di difendersi da un’aggressione di guerra. Pertanto, sarebbe impensabile assecondare le minacce di Vladimir Putin sull’impiego di testate atomiche tattiche per proteggere i nuovi confini autoproclamati per mezzo di annessioni stabilite a tavolino.

Numeri da paura nei bilanci di vittime

Dopo aver riconquistato nel fine settimana Lyman, città chiave dell’Ucraina orientale, le forze ucraine hanno continuato la loro controffensiva spingendosi fino alla regione di Luhansk.
Divisioni russe nella regione settentrionale di Kherson e sul fronte di Lyman erano in gran parte composti da unità che erano state considerate tra le principali forze di combattimento convenzionali della Russia prima della guerra, come riportato in precedenza dall’Istituto per lo studio della guerra. Dunque, il fatto che l’esercito russo abbia riconosciuto che le forze di Kiev hanno sfondato le linee di difesa nella regione di Kherson rappresenta la loro più grande svolta nella regione dall’inizio della guerra. Una mappa del Financial Times evidenzia i progressi delle truppe ucraine.

Ma qualche recente successo delle truppe ucraine non basta per chiudere un occhio su un bilancio di vittime, feriti e sfollati che continua a crescere di settimana in settimana: dal 24 febbraio si contavano già ad agosto almeno 5 mila civili uccisi, di cui più di 300 minori e circa 6,6 milioni di rifugiati.

Strage di civili. Fonte: Il Mattino

Sarà un inverno difficile per l’Europa

Lunedì, una settimana dopo le esplosioni e la rottura del gasdotto Nord Stream nel Mar Baltico (causate da almeno due esplosioni con centinaia di chili di esplosivo, secondo i governi di Danimarca e Svezia), la guardia costiera svedese ha dichiarato che la fuoriuscita di gas dal Nord Stream 1 si è interrotta, mentre il gas continua a fuoriuscire in parte dal Nord Stream 2, con il metano che sale in superficie. La multinazionale russa Gazprom ha tuttavia affermato che i flussi di gas potrebbero essere presto ripresi nel filone B del gasdotto Nord Stream 2.

Sabotaggio gasdotto NordStream. Fonte: TGCom24

Ma non basta chiudere una voragine per risolverne un’altra altrettanto seria: secondo David Petraeus, ex direttore della CIA, l’Europa avrà un inverno difficile perché ci saranno pochissimi flussi di gas naturale. Ma ciononostante lo supererà, anche perché il generale statunitense non crede che sulle questioni del sostegno all’Ucraina si creerà una divisione tale da causare scontri interni: la coesione europea è cruciale più che mai.
Intanto Zelensky ha affermato che eventuali negoziati ci saranno solamente in una fase finale, mentre un imminente risultato diplomatico è alquanto improbabile, dal momento che lo stesso presidente ha comunicato venerdì che l’Ucraina avrebbe accettato colloqui di pace solo “con un altro presidente della Russia“. E per ora Putin, nonostante le recenti proteste contro la mobilitazione, risulta essere ben saldo al potere.

Verso la cronicizzazione del conflitto

Il conflitto in Ucraina è solo la punta dell’iceberg in un mare più ampio in cui Stati Uniti e Russia si confrontano per ragioni strategiche vitali: per Washington si tratta di mantenere l’Europa nella sua sfera di influenza a tutti i costi, usando la crisi per recidere quanti più legami economici possibili tra i paesi dell’UE e il suo rivale russo; nel caso di Mosca, i combattimenti alle sue porte si stanno estendendo sempre più verso est da quando, da oltre vent’anni, la NATO minaccia in un modo o nell’altro di inghiottire l’Ucraina.

Tutto ciò indica non la fine imminente del conflitto, bensì una sua cronicizzazione, probabilmente ben oltre il prossimo inverno del 2022-2023. E anche se la mediazione della Turchia potesse portare ad un ormai improbabile cessate il fuoco, si concretizzerebbe piuttosto, nella migliore delle ipotesi, in una fragile tregua, vale a dire senza la firma di una pace veramente duratura.

Gaia Cautela

 

Russia in “default tecnico”: il Paese non potrà pagare le sue obbligazioni, ma non per una mancanza di soldi

La Russia è in default, da oggi, lunedì 27 giugno. Uno schiaffo morale al Paese e il suo leader, Vladimir Putin, ma, stando alle parole degli esperti, si tratta di un fatto simbolico, più che di un vero e proprio problema, almeno per ora. È stato, per questo, definito “default tecnico”.

La Banca Centrale russa a Mosca (fonte: ANSA)

I precedenti

Un altro avvenimento analogo, nella storia della Russia, si è verificò nel 1918, per la prima volta, quando il governo sovietico si rifiutò di ripagare le somme accumulate dagli zar.

Un altro default, ma interno, si registrò nel 1998, quando il rublo andò in crisi e la Federazione russa dovette dichiararsi inadempiente verso il debito interno. All’epoca, annunciò una moratoria sul rimborso del debito contratto con gli investitori esteri.

Quello attuale era stato annunciato già ieri sera, domenica 26 giugno, in corrispondenza della fine dei 30 giorni scattati il 27 maggio, un “periodo di grazia”, entro cui la Russia avrebbe dovuto pagare due bond. Alcuni avvocati sostengono, però, che il Paese abbia tempo fino alla fine del giorno lavorativo successivo, quindi fino a stasera, per pagare.

Il suddetto mancato pagamento corrisponde a 100 milioni di dollari di interessi sulle due obbligazioni – una in dollari e l’altra in euro – in scadenza nel 2026 e nel 2036, i due bond di cui sopra. Sostanzialmente, la Russia risulta inadempiente nei confronti dei suoi creditori e degli investitori che detengono le sue obbligazioni internazionali.

 

 

Mosca sostiene di aver già i pagamenti per cui è stata dichiarata inadempiente

Il Cremlino ha rilasciato dichiarazioni che preannunciano una probabile complicazione di tale situazione:

«Le accuse di default della Russia sono illegittime, il pagamento in valuta estera è stato effettuato a maggio».

Il ministro delle Finanze russo, Anton Siluanov, negli scorsi giorni si era già espresso in merito: «Chiunque può dichiarare quello che vuole e può provare ad attaccare alla Russia qualsiasi etichetta. Ma chiunque capisca la situazione sa che non si tratta in alcun modo di un default».

Dunque, la Russia nega l’inadempienza nei pagamenti per cui è stato dichiarato il default. Prima, però, bisogna chiarire le modalità in cui questo è scattato: il default tecnico non è dovuto alla mancanza di denaro da parte del debitore (la Russia), ma alla chiusura dei canali di trasferimento da parte dei creditori internazionali.

Mosca sostiene di aver sempre effettuato tutti i pagamenti a cui doveva adempiere, anche se, negli ultimi tempi, in rubli anziché nelle valute previste dai contratti, proprio per l’impossibilità di farlo. Da qui a fine anno, sui circa 40 miliardi di titoli denominati in valuta estera, circa 1 o 2 miliardi di dollari di pagamenti.

I mercati non hanno ancora ricevuto alcuna dichiarazione ufficiale, sulla nuova condizione per la potenza russa, ma, non avendo gli investitori esteri ricevuto le somme spettanti entro la scadenza prestabilita, il default è comunque scattato, appunto, tecnicamente.

Ma a chi compete decretare ufficialmente il fallimento di un qualsiasi Stato sovrano? Di solito sono le agenzie di rating maggiori. Il caso russo è unico nel suo genere, poiché le agenzie sono state impossibilitate a intrattenere rapporti con il Paese, per via delle sanzioni impostegli per aver scatenato il conflitto con l’Ucraina.

 

Un default “artificiale”, architettato dall’Occidente

Prima di arrivare a tal punto, era stato proposto alla Russia di emettere debito nominato in dollari, ma essa si rifiutò. Proprio la decisione degli Stati Uniti, di non rinnovare, successivamente alla suddetta proposta, la “licenza speciale” per cui, fino alla fine di maggio e nonostante le sanzioni già applicate, era concesso alla Russia di continuare come sempre a pagare le obbligazioni verso gli investitori americani, è stato determinante per la dichiarazione di default.

La Russia si era difesa con l’utilizzo di conti correnti doppi e la richiesta di pagamenti in rubli, per i titoli di Stato. In ogni caso, il Paese sostiene, non essendovi una reale impossibilità a procedere come finora ai pagamenti, per la gran disponibilità di denaro che comunque affluisce nelle sue casse, che questo sia un default “artificiale”, architettato dall’Occidente e legato alle sanzioni da esso imposte.

Essendo uno scenario mai verificatosi prima, quantomeno non nelle stesse modalità, ancora non si sa cosa possa accadere dopo, quali possano essere i risvolti per l’economia russa.

Potrebbe accadere che gli obbligazionisti verso cui Mosca è inadempiente potrebbero unirsi e formulare una dichiarazione congiunta oppure, al contrario, attendere per monitorare l’evoluzione del conflitto in Ucraina.

Attualmente il Paese non può, inoltre, chiedere dei prestiti internazionali. Però, pare non ne abbia bisogno, considerati i ricchi introiti per il gas e il petrolio. Si può prendere ad esempio che il Centro per la ricerca sull’energia e l’aria pulita, “Crea”, stima che la Russia abbia ricavato 70 miliardi di euro dalla vendita di petrolio e gas, soltanto nei primi 100 giorni dall’inizio della guerra

Comunque, non si hanno certezze su ciò che accadrà, la situazione risulta senza precedenti sin dalle sue premesse anomale: il default russo, infatti, comporterebbe l’esclusione per il Paese dai mercati finanziari in seguito alla perdita di fiducia per i mancati pagamenti, ma la Russia, di fatto, è già stata tagliata fuori dai rapporti con i Paesi occidentali per gli effetti delle sanzioni per la guerra.

Alcuni, sostengono che si debba attendere che un tribunale si esprima ufficialmente, su richiesta degli investitori, visto che nessun’altra dichiarazione, neanche dalle agenzie internazionali di rating, è arrivata.

 

Rita Bonaccurso