Milazzo Film Fest 2025: La Vita Accanto

La Vita Accanto è un film del 2024, co-scritto (insieme a Marco Bellocchio) e diretto da Marco Tullio Giordana. È l’adattamento cinematografico del romanzo di Mariapia Veladiano e vanta un cast composto da Sonia Bergamasco, Valentina Bellè, Paolo Pierobon, Beatrice Barison, Sara Ciocca, Viola Basso e altri.

Trama

Il film è ambientato tra gli anni Ottanta e il Duemila e racconta di un’influente famiglia vicentina composta da Maria (Valentina Bellè), suo marito Osvaldo (Paolo Pierobon) e la gemella di quest’ultimo, Erminia (Sonia Bergamasco), affermata pianista. La loro vita viene sconvolta da un evento imprevedibile: Maria dà alla luce Rebecca.

La neonata, per il resto normalissima e di straordinaria bellezza, presenta un vistosa macchia purpurea che le segna metà del viso. Quella macchia, che nulla può cancellare e rende i genitori impotenti e infelici, diventa per Maria un’ossessione tale da precipitarla nel rifiuto delle sue responsabilità di madre. L’intera adolescenza di Rebecca sarà segnata dalla vergogna e dal desiderio di nascondersi dagli altri.

Eppure, fin da piccola, Rebecca rivela straordinarie capacità musicali. La zia Erminia riconosce il suo talento: Rebecca diventa sua allieva e il bisogno di cancellare la “macchia” la spingerà ad affermarsi attraverso la musica.

Il tocco elegante di Giordana

Marco Tullio Giordana è un regista italiano affermato, che ha saputo spaziare tra il cinema, televisione e teatro. Ha sempre raccontato le storie con una maestria particolare, senza cadere nel banale, anche quando si è trovato ad adattare sceneggiature non originali.

Spesso, pensando alle pellicole di Giordana, vengono in mente film come La meglio gioventù, I cento passi, Lea e altre opere che, da una prospettiva ben definita, affrontano dinamiche sociali o fatti di cronaca. Questa volta, è stato il romanzo di Mariapia Veladiano a catturare l’attenzione del regista, o forse è stato il libro a scegliere lui, come se il destino avesse voluto che le loro strade si incrociassero. E Giordana, ha usato il tocco giusto.

La Vita Accanto
Fonte: MyMovies.it

La “vita accanto” e la macchia della famiglia

La macchia rossa in questione è quella della piccola Rebecca, la protagonista del film. Una bambina bellissima, nata dall’unione di Maria e Osvaldo, che però, fin dal  momento della  nascita, non viene accolta dalla madre. Questo segna profondamente la bambina, poiché la madre dovrebbe essere la figura più importante della sua vita. Invece, Maria si rivela un personaggio contraddittorio e oscuro con cui, inizialmente, si fa fatica ad entrare in empatia. Utilizza le sue fragilità e la sua depressione come una sorta di scusa per allontanare la figlia e farla sentire inadeguata, colpevolizzandola per via di quella macchia che, secondo lei, avrebbe rovinato quella bambina tanto voluta.

Giordana mirava proprio a questo: entrare in quelle quattro mura e, sfiorando a tratti un tocco teatrale, raccontare una famiglia appartenente all’alta borghesia, spezzandone le ipocrisie e mostrando le loro fragilità e paure. Tutto questo, si incarna figura della madre, venendo fuori quando sprofonda nella depressione post-parto che si fa totalmente schiacciare da essa e dalla paura del giudizio altrui, tanto da voler tenere sua figlia nascosta, come se fosse il Gobbo di Notre Dame.

Dall’altra parte, Rebecca ha quella macchia, ma trova forza nel suo talento musicale, incoraggiata dalla zia Erminia. La musica diventa l’unico modus operandi per esprimere il peso che porta dentro e colmare il senso di vuoto. Man mano che cresce, si fa sempre più forte, mentre la sua evoluzione è in corso, nella madre sta avvenendo l’involuzione, fino a percepirla sempre più distante. Una “vita accanto” che scorre fino a quando un evento drammatico spinge la piccola a prendersi sulle spalle altre colpe.

La Vita Accanto
Fonte: Articolo21.org

Il finale che segna una rinascita

Il film scorre con una regia elegante, spesso in contrasto con un montaggio non sempre fluido, che crea passaggi bruschi tra le diverse fasi della vita della protagonista, talvolta sovrapponendo gli anni e generando qualche disorientamento temporale.

Tuttavia, è il corpo il vero fulcro della narrazione del regista, che si sofferma sull’identità imprescindibile e sull’apparenza sociale. Tutto è reso efficacemente in scena, a tratti statica, anche grazie alla presenza di bravissimi attori.

Tutto questo, sfiorando persino la dimensione della fantasia, conduce a un finale che, in un certo senso, segna la rinascita della protagonista. Quel dialogo con quel fantasma che è rimasto accanto a lei per tutta la vita, sia fisicamente che mentalmente, rappresenta il momento decisivo. La continua ricerca di consapevolezza segna la fine di quel passaggio difficile, e dalle ceneri rinasce una nuova Rebecca, più consapevole e pronta per la “normalizzazione”. Si può dire che la sua vita inizia in quel momento, non perché la macchia sia sparita, ma perché ha raggiunto l’equilibrio interiore e si è, finalmente, liberata di quei pesi. La macchia era il simbolo metaforico del peso di una madre che non è mai stata davvero accanto a lei, ma ora che ha scoperto la verità, Rebecca la guarda da un’altra prospettiva ed è finalmente pronta a vivere davvero, spiccando il volo.

 

Giorgio Maria Aloi

 

Per una tazzina di caffè: in libreria arriva “Ci vediamo per un caffè”

Una lettura fresca, come una coccola sotto i fiori di ciliegio primaverili, capace di trasportare il lettore attraverso le vite, le sfide e le conquiste di ogni personaggio, caratteristici ma specchi della realtà.– Voto UVM: 4/5

 

Dalla fortunatissima serie “Finchè il caffè è caldo”, di cui solo il primo romanzo ha totalizzato 100mila copie vendute, ritorna tra gli scaffali delle librerie italiane il 28 Febbraio con il quarto romanzo “Ci vediamo per un caffè“, edito da Garzanti per la collana Narratori moderni. Pubblicato in Giappone il 14 settembre 2021 col titolo “Prima che io possa dire addio”, Toshikazu Kawaguchi ritorna con il quarto capitolo della serie del cafè giapponese più amato dai lettori, pronto a far scoprire sempre nuove storie e nuovi viaggi da intraprendere.

“Finché il caffè è caldo”: la serie che ha conquistato l’Italia

L’autore, nato a Osaka nel 1971, inizia a lavorare come sceneggiatore e regista, per poi prendere la carriera da romanziere. Il suo romanzo d’esordio, Finché il caffè è caldo, ha venduto solo nel suo paese natale oltre 2 milioni di copie. Non solo in Giappone, anche l’Italia ha apprezzato la sua penna, diventando uno scrittore amato negli scaffali tra i romanzi di Haruki Murakami e di Banana Yoshimoto.

La serie non ha di per sé un nome ufficiale, nonostante i romanzi di Kawaguchi siano accumunati dalla stessa ambientazione e da alcuni personaggi ricorrenti. Proprio per questo, la serie prende il nome dal primo titolo pubblicato nel 2015 in Giappone, tradotto letteralmente “Prima che il caffè si raffreddi“, in Italia edito da Garzanti nel 2020 col titolo “Finché il caffè è caldo”. 

Nel 2017 viene pubblicato in Giappone il secondo volume della saga “Prima che questa bugia venga rivelata“, editato in Italia nel 2021 come “Basta un caffè per essere felici”.

Solo l’anno dopo esce il continuo “Prima che i ricordi scompaiano“, pubblicato in Italia l’anno scorso con il titolo “Il primo caffè della giornata”.

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Copertine dei quattro romanzi della serie “Finchè il caffè è caldo”, edito da Garzanti. Fonte: Garzanti.

Prima che il caffè si raffreddi

Siamo in Giappone, precisamente tra i vicoli di Tokyo, dove si trova una piccola caffetteria molto particolare, probabilmente aperta nel 1874, come ci suggerisce il suo aspetto antico e non molto curato, vicino alla stazione di Jinbocho. Il nome di questo piccolo locale è Funiculi Funicula, ed ha una curiosa caratteristica: per raggiungerlo, basta seguire l’aroma intenso del caffè, varcare la soglia della porta, dove si verrà accolti dai vecchi proprietari, sedersi in un preciso tavolino, e ordinare una tazza di caffè fumante.

Ha una peculiarità che la rende speciale: è possibile tornare indietro nel tempo, rivivendo eventi passati in cui si è, probabilmente, si è presa una scelta alla quale si continua a ripensare, in cui si è rimasto in silenzio quando si sarebbe voluto dire la verità, in cui si è dato la risposta sbagliata, con il rigido limite che non si potrà andare nel passato per cambiare il presente e il futuro. Tutto ciò, deve accadere ad una sola condizione: bisogna tornare prima che il caffè si raffreddi.

Tra di loro ci sono il professor Kadokura, che ha trascurato la famiglia per il lavoro; i coniugi Sunao e Mutsuo, addolorati per la scomparsa dell’amatissimo cane; Hikari, pentita di non aver accettato la proposta di matrimonio del fidanzato Yoji; e infine Michiko, che è tornata nel locale in cui aveva incontrato il padre. Ognuno ha una storia diversa, ma tutti hanno lo stesso sguardo rivolto all’indietro, verso il momento in cui avrebbero potuto agire diversamente.

Nella vita ci sono tanti bivi. Tutti i rimpianti derivano da ciò che è accaduto in un momento che non avremmo mai immaginato potesse accadere. Quando una nostra azione porta a un risultato inaspettato, come possiamo non provare un grande rimpianto? Dopotutto, quando mai capita di avere un’altra possibilità?

L’Italia d’ispirazione

La scelta di chiamare la caffetteria “Funiculi Funicula” è stata una decisione curiosa e particolare, che rimanda alla tradizionale canzone napoletana. Non è stato di certo, però, una casualità.

Infatti, lo scrittore, in un’intervista, dichiara che:

È una canzone che ho imparato durante le lezioni di musica quando ero alle elementari. Ed esiste una famosa parodia, che è la preferita di tutti i tempi dai bambini giapponesi, che, ovviamente, non ha nulla a che fare con il testo originale. Però, quando pensavo al nome del caffè, desideravo che fosse nostalgico, e Funiculì Funiculà è stata la risposta. Questa canzone è molto conosciuta e, se inizi a cantarla, potresti iniziare a ripensare ai ricordi d’infanzia

Inoltre, Toshikaze sembra essere anche molto legato al Bel Paese. Non solo per la canzone, ma sogna di viaggiare in Italia e visitare Napoli, fare un giro per le strade partenopee e, in particolare, scalare il Vesuvio.

Intervista dello scrittore Toshikazu Kawaguchi al salone internazionale del libro di Torino 2022. Fonte: La Stampa

La caffetteria che cambia la vita

Lasciando da parte questa chicca, possiamo dire con certezza che la penna di Kawaguchi potrebbe benissimo essere paragonata ad una carezza su un foglio. E’ un racconto di vita quotidiana, che parla di persone e non di personaggi, proprio perchè non sono tanto diversi dalla realtà. Ognuno ha la propria storia, i propri dolori e i propri dubbi, e l’autore ce li propone con gentilezza, con la delicatezza di chi non vuol far rumore ma, allo stesso tempo, irrompere con fermezza nella nostra realtà costruita piano piano a fatica e voler accompagnare tra i meandri dei nostri ricordi.

Kawaguchi racconta relazioni di amanti, coppie di fidanzati, di fratelli, coniugi, rapporti tra padri e figli; di situazioni difficili, di sensi di colpa, di malinconia, di fallimenti. Tornano indietro nel tempo, consapevoli di non poter fare la differenza, ma è anche un piccolo pretesto, un modo per riavvicinarsi agli altri anche quando ormai sono già andati via. La narrazione è secca, spontanea, ma allo stesso tempo dolce e commovente, con la capacità di poter affrontare con leggerezza, senza cadere nel banale, temi dolorosi e profondi, creando personaggi umani, sfaccettati, ricchi di vulnerabilità e difetti.

Ci si chiede a quale pro dover affrontare un viaggio nel proprio passato se poi non è possibile cambiarne il destino: una cosa è certa, è molto difficile rassegnarsi all’idea che il passato non possa cambiare. Quando ognuno affronta i problemi da solo, non si riesce ad accettare un possibile fallimento, magari causati da una parola di troppo, di qualcosa detta fuori posto, di sentimenti e pensieri nascosti nel proprio intimo. Proprio per questo, l’intervento e l’aiuto di altre persone nella vita sono la chiave per superare i rimpianti.

Kawaguchi è consapevole del fatto che è davvero difficile immaginare che siano gli altri la nostra ancora di salvezza, soprattutto in un periodo così attuale in cui è sempre più raro e difficile stare vicini. La vita è piena di fallimenti, battute d’arresto e rimpianti, ma è fermamente convinto che tutti possano essere salvati con l’aiuto degli altri.

Ci vediamo per un caffè è un romanzo di conquista, capace di catturare l’attenzione e tener ancorato il lettore alla scoperta di vite di tutti i giorni. Un viaggio che supera i confini della realtà, toccando le vette della magia, che trasmette serenità e spensieratezza, tipica dell’atmosfera narrativa giapponese nata sotto profumati fiori di ciliegio. Certo, una lettura perfetta per godersi la bellezza sfuggente della primavera appena inoltrata.

 

Victoria Calvo

Il ritorno di Gerber nel nuovo romanzo di Donato Carrisi

Una lettura brillante e coinvolgente, dall’attrazione magnetica che ci proietta in un mondo pieno di lati oscuri e spirali di luce, alla costante ricerca della via giusta da seguire. Voto UvM: 5/5

 

Donato Carrisi ritorna nelle librerie italiane con il terzo volume del ciclo di Pietro Gerber La casa delle luci, edito da Longanesi per la collana La Gaja Scienza.

Sequel de La casa delle voci (2019, Longanesi) e La casa senza ricordi (2021, Longanesi), lo psicologo infantile Pietro Gerber, da cui proviene il nome della serie di romanzi, dovrà fare i conti con l’ennesimo mistero che si cela attorno alla figura di una bambina. Anzi, di due bambini.

Dall’esordio alle vette delle classifiche

Donato Carrisi, nato a Martina Franca (TA) il 25 marzo 1973, viene considerato il Maestro del Thriller su carta stampata.

Laureatosi in giurisprudenza con una tesi su Luigi Chiatti, ne è seguita poi la specializzazione in criminologia e scienza del comportamento. Non solo scrittore di romanzi ma anche sceneggiatore, drammaturgo, regista di serie tv e film d’autore, e collaboratore per il Corriere della Sera.

In televisione, coadiuva in numerose serie televisive marchiate Rai come Casa famiglia ed Era mio fratello, invece per Taodue di Mediaset in Squadra Antimafia – Palermo Oggi e Nassiryia – Per non dimenticare.

Dal romanzo d’esordio il suggeritore (2009, Longanesi) vince il premio bancarella 2009 e, successivamente, con l’edizione in francese le Chuchoteur, il Prix Livre de Poche 2011 e il Prix SNCF du polar 2011. Le sue opere thriller forse più famose,  La ragazza nella nebbia (2015, Longanesi), L’uomo del labirinto (2017, Longanesi) e Io sono l’abisso (2020, Longanesi), hanno trovato una trasposizione cinematografica di cui lo stesso Carrisi ne è stato regista.

Donato Carrisi
Donato Carrisi (al centro) presenta il suo nuovo romanzo “La casa delle luci” a Radio Deejay, con Nicola Savino (a sinistra) e Linus (a destra). Fonte: deejay.it

Cosa cela Gerber?

Pietro Gerber, protagonista della saga “Il Ciclo di Pietro Gerber”, è uno psicologo infantile, specializzato nell’ipnosi di bambini per aiutarli a superare dei traumi causati da eventi drammatici. Infatti, proprio per questa sua caratteristica, viene soprannominato “l’addormentatore di bambini”.

Ha trentatré anni e lavora a Firenze nel Tribunale dei minori, considerato dai suoi colleghi come il migliore nel suo campo.

Questa volta dovrà occuparsi del caso della piccola Eva, una bambina agorafobica di dieci anni, che vive in una grande casa in collina con la governante e una ragazza finlandese au pair, Maja Salo. Dei genitori nessuna traccia: il padre ha abbandonato la famiglia anni prima e la madre viaggia in giro per il mondo, comunicando con la figlia tramite sms.

Sarà proprio Maja a chiedere aiuto all’ipnotista Pietro Gerber. La bambina, che preferisce stare a casa rinchiusa senza voler vedere nessuno, sembra non essere più sola. A farle compagnia c’è un presunto amico immaginario senza nome e senza volto. Non è però solo un amico immaginario e potrebbe portare la piccola in pericolo.

Pietro, al fronte di una reputazione quasi allo sbaraglio, accetta il confronto con Eva. O meglio, con il suo amico immaginario.

Ma ciò che si troverà davanti va oltre il pensiero umano: la voce del ragazzino che comunica attraverso Eva non gli è indifferente. E, soprattutto, quella voce conosce Pietro. Conosce il suo passato e sembra possedere una verità rimasta celata troppo a lungo su qualcosa che è avvenuto in una calda estate di quando lui era ancora bambino.

Perché sentiva una specie di desiderio segreto dentro la pancia. E voleva sapere cosa si prova a sfidare Dio. Ma ora so che a Dio non importa se i bambini muoiono. E il signore con gli occhiali voleva provare almeno una volta a sentirsi come si sente Dio, prima di diventare vecchio e di morire… Perché la sua vita non gli piace, la sua vita è tutta una bugia.

Fronteggiando l’ignoto

Con i primi due romanzi della serie, il personaggio di Pietro Gerber è riuscito a farsi conoscere: un protagonista all’apparenza tutto d’un pezzo, disteso nel suo ruolo da psicologo infantile e fermo nella sua logica pungente. Ma addentrandosi nella narrazione, le fragilità tendono a scoprirsi piano piano, ponendosi in bilico tra il suo passato avvolto nell’oscurità e il presente incerto delle sue basi d’appoggio.

Gli interrogativi sono molti, tanti, e non tutti hanno la propria risposta esaustiva. Carrisi lascia sospeso il racconto, dove al di là si trova un’atmosfera cupa, coerente con l’ambientazione. Non è una novità e neanche una fatalità che gli elementi paranormali, le paure della mente e dell’immaginario, le presenze oscure, fanno un po’ leva e anche da protagoniste, nel turbinio di emozioni che lo stesso Gerber, ma anche chi intraprende il viaggio con lui, si trova ad affrontare a pieni polmoni.

La lettura è lenta ma scorrevole, razionale ed oggettiva nella descrizione, tutti i punti sono ben trattati e non lascia nulla al caso. Anche i pensieri espressi dai personaggi hanno un che di razionale, quasi a non volersi scomporre troppo, per non doversi aprire e temere un improvviso out of character.

Una nota di merito, come spiega lo stesso Carrisi nelle note dell’autore alla fine del romanzo, si deve fare sulle pratiche ipnotiche presenti nella storia, che sono effettivamente quelle utilizzate nelle terapie, così come gli effetti prodotti. Lo studio meticoloso di Carrisi, forte del contributo di professionisti qualificati e certificati, come cita nei ringraziamenti finali, non si ferma solo sugli effetti scientifici ma frantuma la “quarta parete cinematografica”, piazzando davanti ai nostri occhi un testo ricco di potere metaforico racchiuso nelle parole e nei frammenti di ignoto che, via via, si incastonano uno con l’altro, dando vita alla storia de La casa delle luci.

 

Victoria Calvo

La fattoria degli animali: il racconto di una rivoluzione

La fattoria degli animali è un romanzo breve che porta il lettore alla riflessione, con chiari riferimenti alla Russia sovietica. – Voto UVM: 5/5

Leggere è senza alcun dubbio uno dei più grandi piaceri della vita: ci permette di viaggiare con la fantasia, immaginando luoghi fantastici e immedesimandoci totalmente nei personaggi. Ma la lettura non è solo questo. Come ogni forma d’arte può avere una funzione catartica, portando il lettore alla riflessione. È proprio questo il caso della Fattoria degli animali (Animal Farm). Si tratta di un breve romanzo allegorico, scritto da George Orwell tra il 1943 e il 1944 e pubblicato per la prima volta il 17 aprile del 1945 in versione originale.

Animali d’Inghilterra

Nella fattoria padronale del signor Jones, gli animali lavorano tutti i giorni fino allo sfinimento, ricevendo in cambio solamente il minimo per sopravvivere. Una sera il vecchio maggiore, il maiale più anziano e più rispettato nella fattoria, chiama a raccolta tutti gli animali per rivelargli la verità sulla loro miserabile esistenza. Gli spiega come tutti, fin quando reputati utili, vengono sfruttati per il lavoro, per poi essere uccisi brutalmente. Ed è proprio allora che inneggia ad una rivoluzione.

Poco dopo la sua morte la rivoluzione diventa realtà e la fattoria padronale diventa la fattoria degli animali. Questi stilano sette comandamenti che racchiudono i principi dell’”animalismo”, per poter vivere nell’uguaglianza e nella giustizia. Ma una figura inizia ad imporsi sempre di più sugli altri animali. È il maiale Napoleon ad ergersi come capo, violando e storpiando a poco a poco tutti e sette i comandamenti.

la fattoria degli animali
Murales rappresentante Napoleon. Fonte: wikimedia.commons.org

Dal vecchio Jones al nuovo padrone Napoleon

Analizzando in maniera più puntuale questo racconto, si possono notare due punti di vista: quello dello stesso Napoleon e quello di tutti gli altri animali.

Napoleon, descritto fin da subito come una figura dall’aria più severa e taciturna, cerca di imporsi, trovando però opposizione da parte di un altro maiale: Palla di neve. Fatto fuori quest’ultimo, la vita nella fattoria inizia a modificarsi radicalmente. Tutti gli altri animali sono portati a fidarsi dei maiali, in quanto considerati più intelligenti, tanto che lo stesso cavallo Gondrano prende come sua regola generale: “il compagno Napoleon ha sempre ragione”. Questi finiscono per accettare passivamente quello che viene detto loro, ed anche quando le galline o la cavalla Berta provano a controbattere, vengono subito zittite dal maiale Clarinetto, un’altra figura emblematica all’interno della storia.

Tocca a lui occuparsi delle relazioni tra Napoleon e gli animali, placando ogni forma di possibile malcontento nascente. Ad esempio, nel momento in cui i maiali iniziano a non rispettare più i comandamenti è lui a dover convincere del contrario gli altri animali della fattoria.

Questi ultimi vengono rappresentati, invece, come ideologicamente piatti. Sostengono inizialmente il vecchio maggiore che per primo ha dato l’idea di rivoluzione, per poi passare a Napoleon, distruttore di quegli stessi ideali. Anche nelle ultimissime pagine, in cui Napoleon è ormai il nuovo padrone alla stregua del vecchio signor Jones (o anche peggio), nessun animale ha il coraggio di ribellarsi e lottare per la propria libertà e per quegli ideali inneggiati col vecchio maggiore.

la fattoria degli animali
Il settimo comandamento modificato. Fonte: flickr.com

L’allegoria della Russia Sovietica

La fattoria degli animali è anche dotata di due appendici scritte dallo stesso Orwell, le quali ci aiutano a contestualizzare meglio la sua creazione e pubblicazione. È noto, infatti, come l’opera fosse stata rifiutata da diversi editori prima di essere stampata nel 1945. Un editore, oltretutto, aveva inizialmente accettato il manoscritto, per poi rifiutarlo in un secondo momento su avviso di un funzionario del Ministero dell’Informazione britannico. Da qui, parte la critica di Orwell alla “English intelligentia”, la classe intellettuale britannica. Quest’ultima mette in atto una vera e propria censura volontaria, considerando sconveniente pubblicare libri che andassero a criticare il capo di uno stato alleato come la Russia nel 1943.

Chiari sono infatti i riferimenti del racconto allegorico: il dispotico Napoleon è una rappresentazione dello stesso Stalin, mentre invece Palla di neve, costretto a scappare dalla fattoria, rappresenta Trockji.

La seconda appendice, invece, sarebbe nient’altro che una prefazione scritta da Orwell per l’edizione in ucraino. Rivolta a tutte le persone presenti nei campi profughi in Germania, favorevoli alla Rivoluzione d’ottobre ed ai suoi ideali originari, ma dissenzienti del regime staliniano.

La fattoria degli animali ci permette di riflettere su vari aspetti. Primo fra tutti, ci permette di notare come tutte le libertà, anche una volta conquistate, debbano essere difese e mai date per scontate. Inoltre ci rende consapevoli di come, all’interno di una società, qualcuno tenti sempre di sovrastare l’altro che, per mantenere una stabilità sociale o perché disinteressato alla vita politica, glielo permette.

Ilaria Denaro

“Duecento giorni di tempesta”: il nuovo romanzo della scrittrice messinese Simona Moraci

 Duecento giorni di tempesta” è l’ultimo romanzo della giornalista e insegnante messinese Simona Moraci. L’autrice, che vanta una lunga carriera ventennale da giornalista (redattrice del quotidiano “la Gazzetta del Sud), intraprende la tortuosa – e meravigliosa – strada dell’insegnamento.  Dopo aver pubblicato i romanzi “I confini dell’anima” (1996) e “Giornalisti, e vissero per sempre precari e contenti” (2014), la scrittrice torna nelle librerie e store online con un romanzo, pubblicato dalla casa editrice Marlin, che affronta il delicato tema della scuola, in particolare della scuola di “frontiera”.

Sonia e i suoi duecento giorni di tempesta

Ed è Sonia, protagonista e voce narrante, che coinvolge il lettore nei suoi duecento giorni di tempesta. La protagonista è una giovane docente che viene catapultata in una scuola particolarmente ostica, all’interno di un pericoloso quartiere siciliano dimenticato dalle istituzioni. Sonia, che ancora combatte con i demoni del suo passato, si rende presto conto della grave situazione di disagio che vivono i ragazzi e le ragazze della scuola. I suoi alunni, o i “suoi bambini” come ama chiamarli, sono gli emarginati, gli ultimi, condannati dal contesto sociale in cui sono nati. Violenza, frustrazione, dolore e rabbia sono i sentimenti che animano i suoi bambini, costretti a crescere in un quartiere – come tanti nel sud Italia – stritolato dalla malavita.  Sonia comprende di essere l’unico punto di riferimento per i suoi alunni, prova a scolarizzarli e a instaurare con loro un rapporto che vada ben oltre il rigido ruolo insegnante – alunno, nonostante le grosse difficoltà e i fallimenti iniziali.

L’autrice racconta la scuola di “frontiera”

Simona Moraci ha il pregio di raccontare non soltanto la sua storia, ma quella di molti insegnanti che ogni giorno sono costretti a lavorare in un ambiente violento e senza alcun tipo di supporto.  Gli insegnanti risultano abbandonati e con mezzi non sufficienti per affrontare le problematiche non solo della scuola, ma soprattutto di un quartiere ai margini della vita civile. Essi sono costretti ad insegnare in un ambiente che non li tutela abbastanza; spesso sono vittime non solo di violenza verbale, ma anche fisica. I docenti rappresentano per questi ragazzi l’unico barlume di speranza e di parvenza di legalità. Compito che risulta estremamente complicato: i ragazzi sono abituati alla violenza, all’illegalità, alla mancanza di rispetto per l’autorità. Molti di loro sono cresciuti all’interno di una mentalità criminale, presentando un comportamento disfunzionale ed evidente, e anche ovvia, è il disinteresse delle famiglie. Una delle chiavi per aprire i cuori dei ragazzi “esplosivi” è l’amore: “l’amore è l’unica via per uscire dal buio”. Sonia ripete più volte questo leit motiv, anche quando lo sconforto e la frustrazione sembrano prendere il sopravvento.

Simona Moraci, l’autrice del romanzo

L’autrice sottolinea: ‹‹questo romanzo nasce dalla mia esperienza maturata negli ultimi anni di “frontiera”, nelle scuole di quartieri a rischio. E’ come un universo a sé stante: tutti i sentimenti, le emozioni sono amplificati e occorre trovare un equilibrio “nuovo”. La mia passione per la scrittura e il mio amore per l’insegnamento mi hanno a raccontare di rabbia e innocenza, di pianto e risate, di questi bambini straordinari e fuori da ogni schema. In particolare, l’affetto nei confronti dei ragazzi è stato uno stimolo potente. L’amore è l’unica via per uscire dal buio.››

Un pericoloso triangolo

Durante l’anno scolastico, Sonia si ritrova in un tempestoso triangolo amoroso che scoprirà soltanto successivamente essere più grande, complicato e intenso di quanto possa inizialmente immaginare. La protagonista, dopo la grandissima delusione del suo precedente e unico amore, cade nella tempesta di questi due amori tanto diversi quanto imprevedibili e coinvolgenti. Andrea, insegnate di Arte di bella presenza e dal carattere fortemente espansivo i cui occhi celano una rabbia nascosta e repressa, e Stefano – anche lui suo collega insegnante – riservato e sfuggente, poetico e disilluso, che rappresenta l’opposto di Andrea, due volti diversi dell’amore. Ma i due colleghi insegnanti nascondono qualcosa di più, già si conoscono e lasciano intendere a Sonia – e di conseguenza al lettore – che il loro passato, cupo e misterioso, è in qualche misura legato. Sonia è ancora tormentata dalle esperienze che ha dovuto affrontare: dal rapporto complicato con la sua famiglia, dal suo primo e unico amore che l’ha distrutta lentamente e dall’immisurabile dolore della perdita di un figlio nato prematuramente. A Sonia serviranno duecento giorni di tempesta per rinascere, trovare un equilibrio interiore e aiutare i ragazzi ad immaginare un futuro migliore e alternativo a quello che il quartiere offre loro.

 

Francesco Benedetto Micalizzi

 

 

Link per il libro: https://www.marlineditore.it/shop/83/83/1879_duecento-giorni-di-tempesta.xhtml?a=117

 

Intervista allo scrittore Giuseppe Staiti – “La Risalita di Colapesce”

“…è bastato chiedersi, e se lui tornasse?”

©Antonino Micari – Giuseppe Staiti (sinistra) dialoga con l’editore Gianluca Buttafarro (destra)

La leggenda di Colapesce narra una storia eterna, che come tutte le serie tv più moderne termina ma ti lascia con il fiato sospeso. E la storia di una figura mitologica rimasta nei mari dello Stretto a sorreggere la Sicilia sembra non voler mai finire. Giuseppe Staiti da sempre coltivava la passione per la lettura, scherzando mi dice che spendeva così tanto in libri che d’un tratto si è detto “Beh, forse ora conviene che inizi a scriverli io!”. In realtà il grande merito (e talento) del giovane scrittore messinese è quello di aver saputo cogliere la necessità di questa storia nel voler essere raccontata, una necessità che tutti i messinesi, siciliani e semplici conoscitori di questo mito sentono. Da qui nascono degli interrogativi che danno lo slancio alla storia de “La Risalita di Colapesce”, edito da La Feluca edizioni. In una splendida domenica, presso la Libreria Doralice – Mondadori point (un gioiellino della litoranea di Messina nord) abbiamo avuto l’opportunità di scambiare qualche parola con Giuseppe Staiti.

Partiamo dal libro. Chi è per te Colapesce?

Colapesce credo che sia un po’ lo spirito delle legende siciliane. Con il fatto di essere un po’ il sostegno della Sicilia, ha un posto privilegiato tra tutte le leggende siciliane. Anzi io ci vedo addirittura una valenza storica: perché i miti, ci tengo tanto a precisare, sì sono delle storie, storielle che le persone raccontano e con cui si intrattengono, però c’è un sottotesto storico, ci sono vari livelli per leggere i miti, e il bello della mitologia è anche questo, che ci raccontano delle storie “oltre”. Partono da questa necessità di avere un qualcuno o qualcosa al di sotto della Sicilia, un sostegno a quest’isola.

L’idea di scriverci qualcosa come ti è venuta?

È venuta un po’ dalla necessità di raccontare questi miti in un modo nuovo. Ho visto che tutte queste storie stavano lì e avevano, anzi, hanno, un grande potenziale letterario. A volte sono raccontate in modo anacronistico, sono sempre viste un po’ con diffidenza.

©Antonino Micari

Probabilmente sei il primo che fa questo tipo di rielaborazione.

Sì, ti posso dire che c’è una citazione che ho aggiunto all’inizio del libro, di questo grande studioso di cultura popolare, Giuseppe Pitrè. Dal 1800 lui ha raccolto una monografia su Colapesce, ne ha raccolto circa 40 versioni, oltre a migliaia e migliaia di altre storie. Lui andava in giro per la Sicilia a chiedere ai pescatori, alle lavandaie, alla gente del popolo di raccontargli una storia. Le ha raccolte tutte in un migliaio di pagine, ha fatto un’enciclopedia del siciliano, della grammatica siciliana, e poi a Colapesce ha dedicato una monografia: comincia questo libro chiedendosi proprio come mai nessuno dei siciliani abbia mai apportato una modifica al mito di Colapesce. Nonostante sia quello più raccontato e meglio conosciuto, risulta il mito con meno innovazione rispetto a tutti gli altri.

La storia di Colapesce invece ha una grandissima potenzialità, ed il tuo libro ne è la prova.

Penso che chiunque abbia letto un libro riconosca subito una buona storia: la si riconosce dal fatto che si vorrebbe non finisse mai, ed è un po’ quello che si prova anche con la leggenda di Colapesce se ci pensi, perché nel finale lui arriva sott’acqua, e poi? Cosa succede? Resta un po’ a metà, è un finale che sentivo servisse. Questa rielaborazione è stata anche doverosa, è arrivata anche spontaneamente, è bastato chiedersi:“ e se lui tornasse?”

A proposito di questo, tu sei laureato in Ortottica, hai studiato violino al Conservatorio, nel frattempo lavoravi anche in macelleria, però tutte le volte che venivo a casa tua per incontrare tuo fratello, mio amico, vedevo delle librerie immense, piene di libri, e non mi capacitavo del fatto che qualcuno potesse leggere così tanti libri in così poco tempo. Cosa ti ha spinto a fare il passo decisivo, dalla passione per la lettura alla scrittura di un libro?

È bastato soltanto sentire la storia con il suo potenziale, quindi proprio una sensazione esterna di questa storia che vuole essere raccontata, e lì hai un po’ l’intuizione. Poi c’è tanto lavoro dietro, mettersi lì con pazienza, costruire la trama, ma a volte basta magari mettere gli elementi, i soggetti, e poi lasciarli vivere. Io credo che il lavoro dello scrittore, nella mia piccola esperienza, stia in questo: non si crea niente, si mettono insieme degli elementi e li si fa camminare, li si fa vivere, li si fa vivere delle proprie scelte. In quei momenti nei quali avevo un dubbio sulla trama mi bastava semplicemente andare a cercare un luogo, una foto di un posto, o semplicemente guardare la Sicilia e vedere che lì, dai luoghi, dai colori, dai profumi usciva fuori una storia, ogni luogo qui ha la sua storia.

C’è tanto di Sicilia, di Messina nel libro, nonostante la sua vocazione moderna.

Sì assolutamente, a volte magari è stato un po’ difficile perché non volevo cadere nell’autoreferenzialità, ovvero una cosa fatta solo per citare, per mettere dei nomi, o una cosa fatta solo perché è siciliana per cui “andatevela a comprare”. Ho tolto tanti nomi, ho cambiato i nomi delle città, proprio perché volevo che fosse visto nella sua storia,  fosse apprezzato per la storia, per la sua componente letteraria.

Tuttavia nel libro c’è molto, in realtà, di tradizione, perché -come dicevamo prima- è uno dei pochi libri in cui c’è una pagina intera dedicata alla bibliografia, quindi comunque hai fatto una grande ricerca.

Sì, è una grande passione che ho, in particolare per i miti e per le tradizioni siciliane, viene tutto da lì.

©Antonino Micari – Libreria Doralice

Come ti vedi da qui a 10 anni? Continuerai a scrivere?

Assolutamente sì! Anzi questo libro lo vedo come il primo di una trilogia, tra dieci anni vorrei continuare, creare tutta una collana di romanzi sui miti siciliani. In questo campo ho trovato un grande serbatoio di storie, un campo veramente fertile su cui scrivere. Anzi, il mio obiettivo è quello di creare una serie di trilogie.

Quindi questo sarà un libro di partenza?

È un po’ una grande panoramica su tutte le possibilità che hanno questi miti siciliani. Poi vorrei far seguire una serie di altri libri che non saranno esattamente dei prequel e dei sequel, ma seguiranno un andamento ciclico. E’ un concetto particolare: il tempo non è lineare, è ciclico ed è una scelta forzata fatta per i miti perché non seguono la vita naturale degli uomini, bensì sono ciclici, continuano ad essere raccontati e raccontati all’infinito. Dunque, questi racconti avranno un punto di partenza e poi si succederanno degli eventi per cui si tornerà continuamente allo stesso punto di partenza, a volte con dei piccoli cambiamenti, ed in tutto i personaggi cercheranno il loro posto in una linea temporale che va avanti e indietro, che li lascia un po’ da parte, ognuno di loro con il proprio desiderio un po’ umano cercherà di ambientarsi.

Già hai in mente qualcosa? Puoi darci qualche anticipazione?

Questo primo libro è incentrato su Colapesce, il secondo che arriverà, ed è già a buon punto, (non so ancora quando uscirà, probabilmente questa è una scelta editoriale) sarà invece incentrato su Giufà e il suo alter ego Ferrazzano che è un po’ meno conosciuto. Però, nella grande enciclopedia di Pitrè anzi ha uno spazio anche più ampio di Giufà: sono queste due maschere, chi è che sembra che ci è o ci fa, e invece quello scaltro che cerca sempre di fregare la gente. Si ritroveranno insieme e cercheranno di dare un rimedio al tempo che torna indietro.

Tu sei un ragazzo eclettico, fai un sacco di cose, ed ad un certo punto dici “No! Io voglio fare lo scrittore, voglio scrivere!” C’è quindi qualche consiglio che vuoi dare a chi ha questa necessità dentro e non ha il coraggio o non fa ancora quel passo?

Innanzitutto vi posso dire che essere una persona eclettica, con mille curiosità come me, in realtà è un disagio di una persona che cerca il proprio modo di esprimersi. Quindi provi tante cose, fin quando non trovi quella con cui ti senti al tuo posto. Io ho provato con la musica, sono andato al Conservatorio, però non era il mio ambiente ed ho lasciato perdere. Ho provato con gli studi di ortottica, però non mi integravo benissimo, mentre i libri sono stati sempre una costante nella mia vita, ci sono sempre stati.

Quindi hai iniziato a scrivere da profano? Senza aver fatto alcun corso?

Da lettore. Credo che il punto di partenza sia “da lettore”, un punto di partenza che non vorrei dire essere il migliore, però è l’altra faccia della medaglia, bisogna essere un lettore per essere uno scrittore, questo è sicuro. Quello che manca è la storia. Uno può essere bravo quanto vuole, può essere anche Proust, cioè tecnicamente la penna migliore del mondo, però se ti manca la storia non ci puoi fare niente, cioè non puoi appioppare a qualcuno 3000-4000 pagine dei tuoi diari!

Quindi il consiglio che dai ad un ragazzo che vuole approcciarsi a questo mondo qual è?

Leggere tanto fino a quando non trovi il tuo spazio, la tua storia, ciò che senti la necessità di raccontare.

Libro “La Risalita di Colapesce”: http://www.lafelucaedizioni.it/catalogo.html

 

Antonio Nuccio, Alice Scarcella, Emanuele Chiara

Karma City: forse, il sogno di un luogo ideale è soltanto un’illusione…

Giovedì 18 aprile 2019. Messina. Viale Giuseppe Garibaldi, 56. La Gilda dei Narratori.  Massimo Bisotti ha presentato il suo nuovo romanzo: Karma City. L’autore romano ha cambiato anche editore, seguendo il suo editor, Carlo Carabba, che nei mesi scorsi ha lasciato Mondadori per HarperCollins Italia: infatti il romanzo esce per la divisione italiana della casa editrice americana.

Bisotti, autore molto popolare sui social e con un buon seguito di lettrici e lettori, ha esordito nel mondo letterario nel 2010 con Foto/grammi dell’anima – Libere [im]perfezioni, un insieme di racconti fiabeschi che finiscono sempre con una morale. Ha iniziato a scrivere perché le parole rimarginassero le ferite e si chiudessero in cicatrici, ma prima di diventare famoso, grazie al romanzo La luna blu – Il percorso inverso dei sogni, che ha venduto più di venti mila copie, si promuoveva da solo pubblicando i suoi scritti su Facebook.

Ma veniamo alla trama di Karma city: uno straordinario romanzo capace di raccontare il mondo di oggi e quanto di unico è nascosto nelle profondità del cuore umano.

Otto personaggi, tra i venticinque e i quarant’anni, ognuno di loro con una sua storia particolare. Ma tutti e otto accomunati da un unico fattore: sono insoddisfatti della loro vita. Ed è per questo che accettano la proposta, offertagli da uno psicologo conosciuto online, di abbandonare la loro esistenza quotidiana e trasferirsi su un’isola che sembra offrire loro la possibilità di ripartire da zero. Un luogo bellissimo e appartato, lontano dalla confusione del mondo, in cui si può decidere se lavorare o vivere di rendita, in riva al mare ma con luoghi che riportano l’anima in contatto con la sua parte più vera. Passano i mesi e si creano legami, amori, amicizie profonde. Ma brividi e dinamiche scuotono il gruppo che si è venuto a formare. Forse, il sogno di un luogo ideale è soltanto un’illusione…

Non vi resta che leggerlo.

Gabriella Parasiliti Collazzo

La scrittrice Giorgia Spurio presenta: “Gli occhi degli orologi”

Martedì 16 aprile 2019. Ore 17:00. Messina. Alla Libreria Dedalus – via Camiciotti, di Roberto Cavallaro, è avvenuta la presentazione del romanzo premiato al salone del libro di Torino “Gli occhi degli orologi” di Giorgia Spurio. L’incontro organizzato in collaborazione con le ACLI – Associazioni Cristiane Lavoratori Italiane, GA – Giovani delle Acli e AAS – Acli Arte e Spettacolo- ha visto la partecipazione della stessa autrice Giorgia Spurio.

Il romanzo edito da Il Camaleonte Edizioni è un capolavoro della narrativa dove flashback commoventi e pensieri su temi attuali creano l’intreccio di una storia in bilico tra istanti poetici, desolazione e speranza. “Gli occhi degli orologi” è un’opera narrativa futuristica, ambientata nel 2048, dopo le Nuove Crociate contro il terrorismo e l’immigrazione, gli Orologi sono divenuti il Dio del tempo e lo strumento di controllo dei Governi.

Gli occhi ricordano la vista, un senso, mi piaceva donarlo ad un elemento inanimato come l’orologio, in quanto immagino un futuro senza specie animali e siccome, comunque, avremo bisogno della natura, ci mancherà, percepiremo la sua assenza, li inseriremo nella tecnologia.

In questo mondo post-apocalittico le persone sono diventate degli automi. Gli episodi, esplicitati con estrema durezza, sono dominati da atmosfere lente e progressive. Un libro che rischia di essere profetico. Come la stessa autrice ha dichiarato nel corso della presentazione.  L’opera è intrisa di riferimenti a Victor Hugo, Calvino, Dostoevskij, D’Annunzio, Pirandello ma è dal 1984 di Orwell che prende spunto per ricavarne il titolo e non solo. Un romanzo che, data la struttura stilistica, ricorda i romanzi di formazione ottocenteschi, Giorgia fa questa scelta volutamente e consapevolmente per coinvolgere maggiormente il lettore. Un libro che narra una storia nella storia, un romanzo distopico che parla di mondo devastato dalla Grande Guerra e di una generazione con poche speranze e alla deriva. Un testo che offre continui spunti di riflessione sull’attuale essere delle cose e sulle relazioni familiari.

Durante l’incontro, dopo i saluti del titolare, sono intervenuti: Ivan Azzara, coordinatore GA Messina, Selene Schirru, presidente AAS Messina, Mariachiara Villari, vice coordinatrice GA Messina, e Antonio Gallo, presidente provinciale ACLI Messina.

Il romanzo è disponibile in tutte le librerie d’Italia e su Amazon.

Gabriella Parasiliti Collazzo

Racconti e Poesie dal Midwest USA – KENT HARUF

Giovedì 11 aprile 2019. Messina. Via Giuseppe Garibaldi, 56. Libreria La Gilda dei Narratori. Un’immersione nelle atmosfere del Midwest statunitense. Partendo dai romanzi senza tempo di Kent Haruf, uno dei più grandi scrittori americani degli ultimi quarant’anni, ci si è immersi in questo affascinante mondo letterario grazie agli interventi di Roberta D’Amico ed Ignazio Lax, che hanno raccontato le storie e le gesta degli uomini e dei libri di questa Letteratura.

L’evento è stato reso ancora più suggestivo dal tappeto musicale e dalle letture poetiche a cura del collettivo “Altera“: Antonio Fede, Massimiliano Fede, Mariaconcetta Bombaci.

Pubblico attento per la narrazione di Vincoli. Una storia semplice ma intensa, come in tutti i romanzi di Haruf, che attraversa quasi un secolo di vita e traccia anche un bel quadro della conquista americana dell’ovest. A differenza degli altri romanzi, in questo c’è anche un piacevole risvolto noir che tiene incollati fino alla fine. Un viaggio nella storia di una famiglia delle pianure americane, narrata dalla voce della loro vicina, Sanders Roscoe. Un romanzo corale e travolgente, intenso e poetico, con cui Haruf inizia il suo viaggio nell’America rurale, teatro delle sofferenze e metafora della tenacia dello spirito umano, anticipando tutti gli elementi che rendono unica la sua poetica. Uno stile descrittivo e sublime caratterizza i personaggi. Si è in grado si percepire su di sé l’odore dei campi e di sudore dei protagonisti. Un romanzo duro ed estremamente vero, dà una perfetta idea della mentalità del luogo all’inizio del ‘900.

Non Resta che leggerlo.

Gabriella Parasiliti Collazzo

Meet me alla boa, ogni volta che ne avrai bisogno

La storia della metà della mela mi è sempre stata sulle palle: ‘sta cosa che da quando siamo nati dobbiamo essere spaccati e incompleti alla ricerca del pezzo mancante. No, io sono una mela intera. Però con te diventiamo due belle mele, che nel portafrutta della vita una da sola fa tristezza.

30 capitoli per 30 passi che percorriamo a fianco del nostro protagonista Franci nel momento peggiore della sua vita.  Quella di Paolo Stella è una storia scritta col cuore in mano, una di quelle letture che riescono a entrarti dentro e a farti sentire meno solo, mettendo nero su bianco le sue emozioni, i suoi pensieri.

Franci conosce Marti a Parigi, rimane subito affascinato dalla sua bellezza e da quel modo di tenergli testa, che alla fine la testa gliela fa perdere. La loro storia decolla inevitabilmente, d’altronde quando due capiscono di combaciare non possono fare altro che unirsi e lasciare fare al tempo.

Purtroppo il destino entrerà in gioco portando via Marti dalla vita di Franci.

C’è un biglietto, strappato da un lato, scritto a penna blu. Riconosco la calligrafia perché è un casino.

Meet me alla boa.

Ogni volta che ne avrai bisogno.

“Meet me alla boa” è un continuo flashback di ricordi e emozioni: rabbia, dolore, felicità, amore … il tutto tinto da quelle due paroline che ancora non sono riusciti a dirsi ma che in cuor loro sanno.
Leggendo questo romanzo capiamo quanto la vita sia veramente imprevedibile e che in molti casi siamo solo degli spettatori.

Paolo Stella, attore, regista e modello (allego foto, che ogni tanto la foto degli scrittori serve assolutamente), scrive in un modo molto semplice e quotidiano la storia di un Amore con la A maiuscola, di due persone che si sono vissute nonostante tutto, e menomale. Quel genere di amore speciale che ognuno di noi dovrebbe vivere.

Una storia che smuoverà il cuore, riuscirà a farvi ridere e a farvi riflettere su quanto sia importante godere di ogni singolo momento della vita.

Serena Votano