Sophie, la luna e chissà

Sophie pensava ai mille volti dell’amore…

Quella sera in tv non c’erano programmi interessanti o almeno a lei non importavano più di tanto.

Da tempo si chiedeva cosa l’aspettasse là fuori: quella persona che tanto desiderava accanto in che parte del mondo poteva essere?

“L’amore”… si proprio questa parola dai mille significati… era ogni giorno circondata d’amore, amici, famiglia, il suo gattino bianco che ogni sera l’aspettava davanti casa. Ma cos’era veramente per lei l’amore?

La notte si fermò un momento a pensare, poi ad un tratto il silenzio, il vuoto.

Si riprese dopo un po’, ritornó in sè e diede una risposta … per lei l’amore era elevare a potenza, qualcosa che capiva lei e solo lei. Le delusioni del passato l’avevano spinta a chiudersi e costruirsi l’armatura, un muro che anche chi le stava accanto faceva fatica ad oltrepassare.

Giorno dopo giorno decise di dedicarsi un minuto della giornata, capire cosa le piacesse veramente e cosa la facesse stare bene. Ritagliarsi un mondo tutto suo, in cui le parole invece che volare al vento restavano scritte su un foglio non bianco, ma colorato dalle sue mille idee e dal suo amore che teneva solo per sè. Prese una penna e iniziò a scrivere.

Quella notte non riuscì a dormire, non importava se l’indomani la sveglia suonasse, quella era la notte dei miracoli, qualcosa stava accadendo, qualcuno stava bussando alle porte del destino di Sophie. In quel foglio scrisse solamente una frase che racchiudeva tutto l’amore che aveva e diceva proprio così: 

È la notte dei miracoli, forse qualcuno mi sta aspettando là fuori, voglio continuare ad amare come un tempo facevo, voglio ritornare a vedere il rosso sangue dell’amore, voglio sentire le nostre anime unirsi per poi amarsi più di prima “.

Qualunque cosa stesse pensando Sophie stava intuendo qualcosa e chissà cosa starà facendo adesso, magari sotto la luna di dicembre con un bicchiere di vino in mano, accanto a qualcuno o soltanto a danzare con le stelle e farsi compagnia.

Gabriella Puccio

Cinefilia per idioti: I film sulla danza

Ne sfornano almeno uno ogni anno. E no, non mi riferisco, ancora, ai film di natale di Massimo Boldi e Christian De Sica, ( che meritano di certo un’accurata analisi a parte).
Parliamo di un genere che attira prevalentemente ragazzine tredicenni al cinema, o ragazzini tredicenni con evidenti problemi di identità sessuale. Mi riferisco a quel tipo di film che alla mia amica Vanessa piace definire “film danzanti”. Per intenderci, “i film dove tutti ballano sempre”, che per darci un “tono semi-serio”, chiameremo film sulla danza. Non saprei come altro definirli. Sono felici? ballano. Sono arrabbiati? ballano. Sono tristi? invece di pensare ad alternative valide come il suicidio, ballano. Si, lo so, tutti direte di amare alla follia (solo per fare gli indie/hipster/retrò) Dirty Dancing, Footloose, Flashdance, oppure La Febbre del Sabato Sera (che mi traumatizzò alla tenera età di 11 anni, a casa di una compagna di classe che non trovavo poi così simpatica), che nonostante la trama bizzarra e le pessime battute (“nessuno mette Baby in un angolo“, così per citarne una) vengono comunque considerati dei cult, poiché, nonostante tutto, possono vantare dei plot distinti e al quanto singolari ( e delle colonne sonore memorabili, aggiungerei). Dopo aver fatto una ricerca approfondita (su Google), posso constatare che dal 2000 in poi siamo stati invasi, come i negozi durante il black friday, da una miriade di film sulla danza dalle trame sempre uguali e banali. Forse perché, da quell’anno, molti ballerini sono rimasti senza un impiego.

step-up-6-is-going-chinese-languageQuindi una sera, quella in cui desideriamo ardentemente un catetere, “perché io non mi alzo dal letto nemmeno per fare pipì“, ci propiniamo un’alta dose di ignoranza e totale assenza di capacità recitativa. “Un film calderone” in cui ritroviamo tutti i temi sociali possibili: amori multirazziali (quando la brava ragazza che studia danza classica, incontra l’afroamericano di turno che viene dal ghetto e ha la passione per l’hip hop, ed è subito amore) e quelli che nascono tra ceti diversi (se i protagonisti sono entrambi “bianchi”, la ragazza sarà sempre e comunque quella sofisticata e ricca che studia danza classica, e lui sarà quello che vive nel ghetto ed ha un amico afroamericano con problemi con la legge); piccoli problemi di cuore, ma anche in famiglia (il padre severo di uno dei due protagonisti, o la morte di un genitore di uno dei due protagonisti. Anche la morte di un amico, solitamente l’afroamericano che ha problemi con la legge).

Quindi ci sono amori, incomprensioni, morti; ma prima, o durante, che tutto questo accada la nostra protagonista il cui sogno è “avere un sogno“, viene ammessa in un accademia prestigiosa in cui incontrerà la sua nemesi (che alla fine del film o verrà umiliata o diverrà sua amica, perché le nostre care protagoniste sono sempre buone e caritatevoli) che cercherà di farla sentire inadeguata. Ma lei con l’aiuto dell’amore (nato dall’incontro e fusione della danza classica e quella di strada) e dall’amicizia nata, in un batter di ciglia, con un gruppo di ragazzi singolari, riuscirà a dimostrare “di che pasta è fatta“, conquistando la giuria con prepotenza e arroganza (perchè dentro di lei adesso c’è un pò di vita vissuta da strada). Ma non finisce qui: i due protagonisti ingaggeranno i tipi più stravaganti, considerati un pò sfigati, ma esageratamente talentuosi, per partecipare all’attesissima Battle finale (un must di questo genere). Prima di questo evento assistiamo a scene ridicole in cui tutti si preparano, fingono di sbagliare i passi o di essere stanchi e affaticati. Fingono anche di aver paura di non poter vincere la gara, come se non lo sapessero già che, essendo loro i protagonisti, vincono sempre.cast-step-up-2-the-streets-772974_1400_933

Per concludere quest’analisi confusa, almeno quanto questo genere di film, io dico: FERMIAMO PER FAVORE LA PRODUZIONE DI QUESTI ABORTI DEL CINEMA (in modo particolare dei sequel, come se il primo non fosse già abbastanza brutto) PERCHE’ DI “FILM DANZANTI” NE BASTA UNO. Che poi almeno imparassi a ballare anche io.

 

Elisia Lo Schiavo