#NextGenerationMe: The Whistling Heads tra rock e punk

Altro giro, altra corsa, stavolta per il ciclo di #NextGenerationMe passano dai microfoni di UniVersoMe i The Whistling Heads. Figli artistici del Retronouveau, Giuseppe Arnao (batteria), Samuele Costa (basso), Santino Mondello (chitarra) e Alberto Zaccaro (voce e chitarra) hanno fatto uscire il loro primo album rock punk l’1 settembre scorso, Dull Boy, uscito per Disasters By Choice, ma la loro storia comincia più lontano.

The Whistling Heads: «Siamo nati nel 2020 presso le sale prove di Messina»

«I primi due membri – dice Alberto – siamo stati io e Santino. All’inizio avevamo un altro bassista, ma quando è andato via è entrato Samuele, io e lui ci conosciamo da quando siamo piccoli. Dopo un po’ è arrivato un batterista con cui abbiamo fatto il primo concerto, ma quando è andato via è arrivato Ziffo. (Giuseppe Arnao)»

Ma come si capisce di essere una band, di voler fare le cose sul serio? La risposta dei ragazzi è che, nel loro caso, è avvenuto tutto velocemente e per caso subito dopo aver incontrato l’attuale batterista. È da quel momento, infatti, che hanno cominciato a scrivere i brani che sono stati raccolti in Dull Boy (eccetto Peaceful Warning, scritta prima) e il 5 agosto 2021 hanno debuttato al Retronouveau.

“What if we believe in something
that is not true”
(Peaceful Warning)

La chitarra di Alberto Zaccaro ©Giulia Cavallaro

Teste che fischiano a Messina

Alla domanda sulle ragioni del loro nome, la risposta è inattesa: «All’inizio l’idea del fischio era relativo alle chitarre – dice Giuseppe – ma poi per caso si è creata una connotazione molto più specifica nel nome. The Whistling Heads, letteralmente “teste che fischiano”, si rifà all’insulto messinese testa che frisca”.»

È conflittuale, però, il rapporto della band con la loro città, a tal punto da scegliere di trarre forza da un insulto prettamente locale. Alla domanda “Messina è un terreno fertile?“, infatti, le risposte fanno emergere una certa aridità della città. L’unico porto salvo – per la band – è proprio il Retronouveau, in cui li abbiamo seguiti durante una sessione di prove in preparazione al tour che hanno fatto dal 16 al 19 novembre tra Bologna, Genova, Milano e Rimini. 

Tra i primi a credere in loro c’è, infatti, proprio il direttore artistico del locale, Davide Patania: «Io lavoravo al Retro – dice Alberto – e ho detto a Davide che avevo una band, chiedendogli di farmi suonare. Lui ha stranamente accettato solo avendo ascoltato delle demo molto brutte, evidentemente ci aveva visto qualcosa

Cosa aspettarsi dai The Whistling Heads?

«Abbiamo un nuovo singolo – dice Samuele – che ha delle sonorità diverse dal disco, è già registrato e uscirà. I nostri piani, però, sono di andare all’estero, non di restare qua.»

Sembra non si fermino mai e, anche se appena tornati, sono già pronti a ripartire e far tremare tutti i locali d’Italia. Dove trovarli? Il 2 dicembre al Fanfulla di Roma, il 9 dicembre a Ragusa al The Globe e, per finire, proprio dietro casa, a Catania al Mono il 16 dicembre.

Non solo serietà: tra una chiacchiera e l’altra, ci raccontano anche un aneddoto direttamente da una data a Ragusa: «Stava cominciando il concerto, un momento di massima concentrazione, stavamo sistemando tutto. Si avvicina un signore – dice Alberto – e mi fa “Puoi fare gli auguri a mio cugino Stefano?”. Già gli altri stavano cominciando l’intro, io ero concentrato, ho detto di sì ma alla fine non ho fatto gli auguri.»

“I’m living the teenage cliché
Too young to understand all the
things you said”
(Teenage Cliché)

Da sinistra: Alberto Zaccaro e Santino Mondello ©Giulia Cavallaro

 

In conclusione, auguri Stefano, anche se in ritardo! E attenti a via Crocerossa, 33, sono arrivati i The Whistling Heads a rompere la monotonia!

 

Giulia Cavallaro

Roger Waters e “Redux”, il nuovo sguardo al lato oscuro della Luna

Buono l’intento di Roger Waters per celebrare l’anniversario, però sarebbe stato meglio con un po’ più di “Musica” all’interno – Voto UVM: 3/5

 

Era il 1° marzo del 1973 quando nacque l’album che impresse il titolo di “geni musicali” sul volto dei Pink Floyd, The Dark Side Of The Moon. Una dimostrazione autentica e simultanea di tecnicismo e espressionismo. Accompagnata da testi liricamente di livello, con un concept sviluppato linearmente, da brano a brano: una visione della vita. Una, poiché risulta essere quella del bassista del gruppo, Roger Waters, il quale ha curato principalmente i testi di quell’album e di gran parte della discografia floydiana. 

La visione di Roger e la rottura con i Pink Floyd

Roger vedeva la vita come un loop gigantesco, una strada da percorrere in circolo. La vita si preannuncia dagli embrioni, dai battiti di piccoli cuori che crescono nell’utero delle loro madri. Si realizza poi di colpo alla nascita e si evolve in una corsa inesorabile scandita dalle lancette del tempo, diretta alla ricerca del successo e dell’autorealizzazione. Per poi passare a delle riflessioni senili sulla morte, nell’atmosfera eterea di un grande concerto nel cielo, e terminare in un’eclissi. Tutte le fasi scelte da Waters sono splendidamente descritte dai testi e dagli arrangiamenti musicali del gruppo, di David Gilmour, Richard Wright, Nick Mason e di Waters stesso. 

Tuttavia, la storia volle che il percorso personale di Roger dovesse allontanarsi da quella degli altri membri, un po’ per il carattere egocentrico che lo rappresentava, un po’ per screzi di natura artistica: dal 1983, anno di The Final Cut, Waters abbandona la band (che sotto la “guida” adesso anche vocale oltre che musicale di Gilmour, apre il suo periodo meno sperimentalista, musicalmente parlando, ma anche più versatile) e diventa cantautore solista.

Insoddisfatto? Auto-rimborsato dopo 50 anni

A cinquanta anni di distanza, quel disco è indiscussamente una pietra miliare del rock psichedelico, degli anni settanta, del 1900 e della musica in generale. Nessuno oserebbe toccarlo, modificarlo, usarlo per farci altra musica, magari con dei sample (i pochissimi casi sono sempre risultati criticabilissimi), se non il gruppo stesso. Ma a gran sorpresa è proprio Waters a voler ‘trafugare’ quell’antico tesoro. Per quale motivo? Avrà avuto il bisogno di svecchiarsi? O forse non è mai stato soddisfatto del vecchio progetto uscito?

Che abbia voluto aspettare davvero tanto solo per cacciarsi un sassolino dalla scarpa, sembra difficile da pensare, ma si parla pur sempre di Roger Waters. Dopo tutte le controversie con i membri della band, anche dopo il suo addio, è diventato famoso per la sua eccentricità.

The Dark Side Of The Moon “Redux”

Quello che Waters si è prefissato di fare è di tornare sui suoi passi, non tanto musicalmente in primo luogo, ma ideologicamente. La vita è ancora un circolo, una strada che il Roger Waters settantanovenne ha però percorso per gran parte ormai. The Dark Side of The Moon Redux lo fa percepire all’orecchio. L’atmosfera è delle più cupe, ma non è assolutamente triste, è più impregnata di nostalgia…dopotutto si guarda indietro di cinquanta anni. Redux ha lo stesso significato di ‘revival’, redivivo, ma ha potuto davvero dare nuova vita a un disco che probabilmente non morirà mai?

Roger waters
Cover di “The Dark Side of The Moon Redux”. Casa discografica: SGB Music LImited-Cooking Vinyl

Chirurgia plastica di un capolavoro 

Waters rimuove il carattere esplosivo da tutto l’album: eliminati gli assoli di chitarra (qualcuno l’avrebbe dato per scontato visto il rapporto con David Gilmour), le tastiere e le batterie sono spogliati completamente e rese quanto più essenziali possibile. Addirittura, non canta più i testi, si limita talvolta a sussurrarne le melodie principali, e interporli fra estratti recitati di sue poesie inedite.

Secondo Waters essi sono adatti a presentare ancora meglio l’album originale, pezzo per pezzo. A primo ascolto, viene spontaneo paragonarlo a un lavoro di Nick Cave and The Bad Seeds. Lo stile è molto vicino causa le parti recitative dei testi e l’impronta elettronica delle produzioni.

Il peso (indifferente) delle aspettative 

Ovviamente viene ancora più spontaneo paragonarlo all’originale: questo è un lavoro che, ed è molto probabile che l’autore stesso lo sapesse in partenza, storce il naso di tutti gli ammiratori del gruppo e delle sonorità del 1973, cresciuti con gli assoli di Gilmour e la potenza vocale del giovane Waters.

Ma se c’è una cosa che i fan hanno oramai compreso, è che Roger è un Liam Gallagher un po’ più pacato, ha sempre visto se stesso come fulcro creativo della musica dei Pink Floyd, quindi, in diritto di fare ciò che più gli aggrada con la sua musica. Si può quindi pensare che Redux sia solo il frutto dell’egocentrismo di un cantautore?

Tanta bellezza si è persa nella nuova versione, l’appiattimento musicale risulta essere fin troppo e Waters avrebbe potuto risparmiarne un poco; d’altro canto, ne acquista a livello poetico grazie alle aggiunte liriche (che tra l’altro illustrerà con un video su youtube). 

Tra Eclissi e Rinascita, un commento di Waters sul circolo della vita

C’era tutto questo bisogno effettivo di una rilavorazione del genere? Personalmente non direi, non è un disco per tutti e si sente. Probabilmente è indirizzato verso il pubblico che ha vissuto gli anni settanta da vicino, proprio perché fa leva sul fattore nostalgia. Un ragazzo adolescente di adesso, pur apprezzando la musica rock psichedelica che il gruppo proponeva cinquanta anni fa, sentirà il bisogno di ascoltare la prima versione di The Dark Side, più accattivante e meno monotona. Sebbene, preso senza paragoni annessi (cosa che consiglio caldamente per darne una giusta valutazione), ha il suo perché.

L’album è un continuo, è un lascito dell’autore, è un commento a fondo pagina scritto mezzo secolo dopo. E’ un anziano che sussurra che la vita è breve e che il tempo scorre. E’ la conferma che ci rivedremo tutti anche dopo cinquanta e più anni on the dark side of the Moon. 

 

Giovanni Calabrò

Maneskin: dalla strada fino al tetto del mondo

Dopo un’annata di record e premi, ieri sera alla prima serata di Sanremo 2022 hanno fatto ritorno i Maneskin, aprendo il Festival con il loro stile, infiammando il palco di quell’Ariston che ha dato il via alla loro ascesa. “I pischelli de Roma” sono tornati con la loro grinta, il loro anticonformismo e la voglia di rompere gli schemi, esibendosi sulle note di Zitti e Buoni e Coraline, emozionandoci e rendendoci fieri di essere italiani. 

I Maneskin trionfanti a Sanremo 2021. Fonte: dilei

Bohemian Rhapsody con la sua favola bhoeme ci aveva incantato; come dimenticarsi poi di Brown Sugar, Purple Rain, Dream on, All You Need Is Love? Sono tutte canzoni che hanno fatto la storia e creato leggende. Chi non vorrebbe tornare indietro nel tempo e partecipare a un concerto di Jimi Hendrix, Elvis, Bee Gees,Led Zeppelin, Pink Floyd o partecipare al festival di Woodstock, il primo grande raduno rock della storia? 

Il rock aveva raggiunto il proprio apice tra colori psichedelici e rivolte a suon di chitarra. La trasgressione era la prima regola per infrangere l’ordinario. Ma signori e signore, vi sbagliate se credete che il rock è morto, perché non lo è. Piuttosto in Italia, negli ultimi anni, è stato poco considerato. Abbiamo band come Lacuna Coil,  Afterhours e tanti altri, gruppi che hanno avuto successo anche al di fuori del nostro Paese.

Ma solo un gruppo italiano finora è riuscito a raggiungere la fama mondiale e si tratta dei Maneskin, che con la loro grinta giovanile sono arrivati sul tetto del mondo.

I Maneskin in un’illustrazione di @rdmdesign. Fonte: Instagram

Ma da dove inizia la loro storia? I Maneskin sono una rock band fondata nel 2015, il cui nome in danese vuol dire “chiaro di luna”. Come ogni artista che si rispetti, il gruppo romano comincia a esibirsi  per le strade della città eterna, dilettando i passanti con la propria musica (chissà quanti hanno avuto l’onore di vedere i quattro ragazzi, quando ancora erano dei “normali” adolescenti!). Dopo qualche anno, decidono di partecipare ai provini dell’undicesima edizione di X-Factor (2017), superando le selezioni e classificandosi al secondo posto (niente vittoria per questa volta!). Da lì in poi per il gruppo inizierà la propria scalata. La band, infatti, dopo pochi mesi apparirà in televisione e nelle radio. 

Da Sanremo all’ Eurovision

 Sono la band del momento: da Sanremo fino agli Stati Uniti, la loro musica sta raggiungendo un sacco di record. Dopo la vittoria al 71° Festival della Canzone Italiana col brano Zitti e Buoni, i Maneskin sembrano non fermarsi arrivando primi in tutte le classifiche. Il successo planetario arriva però con l’ Eurovision, dove si aggiudicano il primo posto. Da lì in poi per la band romana inizierà il “sogno rock”.

I Maneskin trionfanti all’Eurovision Song Contest 2021. Fonte: metalskunk.com

Il sogno italiano” in America

Damiano e i suoi compagni finora hanno venduto più di due milioni di singoli: un successo eccezionale che li ha portati negli Stati Uniti come special guest al concerto dei Rolling Stones, dando loro l’onore di stare accanto a delle leggende. Ma non è finita mica qui!

La band è stata ospite di show americani come The Ellen De Generes Shows, Saturday Night Live e nel “salotto” più famoso degli States ( Jimmy Fallon infatti li ha voluti al suo talk-show). I Maneskin si sono candidati agli American Music Award 2021, dove si sono esibiti sulle note di Beggin– conquistando la prima posizione nella classifica US Rock Airplay e rimanendo al primo posto per 10 settimane. Hanno portato a casa sei dischi di diamante, centotrentatre dischi di platino, trentaquattro dischi d’oro, 4 miliardi e 300 milioni di streaming. E per ultimo, ma non meno importante, è stata annunciata la loro partecipazione al Coachella: saranno la prima band rock italiana a suonare al famoso festival californiano.

 

I Maneskin assieme a Mick Jagger. Fonte: Cosmopolitan

I Maneskin vanno riconosciuti non solo per la loro musica e il loro talento, ma anche per come espongono la loro arte. Infatti i ragazzi nei loro show portano ciò che in Italia pochi osano, l’essere alternativi con la provocazione, ma sempre rispettando il prossimo. Un po’ come fece la mitica Loredana Bertè, che nel lontano 1986 si presentò al festival di Sanremo con col pancione finto , esibendosi con la sua grinta da rockettara. Molti la giudicarono per l’errore commesso, ma per lei fu una sorta di performance a favore dei diritti delle donne. La stessa cosa vale per i Maneskin, che con il loro stile provocano il pubblico, andando ad abbattere le barriere di un tradizionalismo che l’Italia si porta ancora dietro. 

“E farà male il dubbio di non essere nessuno, sarai qualcuno se resterai diverso dagli altri”

                                                                                                     Alessia Orsa

Il Capa è tornato: habemus Caparezza

Il Capa con il suo ritorno è riuscito a dare una scossa alla musica italiana  4.0 – Voto UVM :4/5

Dopo tre anni ritorna sulle scene musicali Caparezza, con un nuovo album autobiografico, come dichiarato dall’artista. Ci aveva lasciato con Prisoner 709 (2017) e aveva entusiasmato tutti con la sua lingua tagliente e pure Exuvia, uscito il 7 maggio, non è da meno.

L’artista non ha bisogno di presentazioni: che lo si voglia o no, Caparezza è uno degli autori più talentuosi e autentici del panorama della musica italiana. I suoi testi parlano della società circostante, le sue canzoni hanno denunciato la mafia e gli errori della politica, ma hanno parlato anche d’amore e di speranza, per un mondo che ormai vive di immagine e finzione.

Meglio depressi che stronzi del tipo «Me ne fotto», perché non dicono «Io mi interesso»?

Caparezza. Fonte: centralfloridavocalarts.com

Exuvia( 2021)

A mio agio nel caos, ecco la mia Exuvia.

Il nome “exuvia” indica la muta dell’insetto, quindi un cambiamento e una nuova maturità, senza lasciare indietro il proprio passato. Come l’insetto, pure Caparezza con il suo nuovo stile ha voluto regalarci un artista nuovo: con una metamorfosi è riuscito a incoronare il suo percorso rendendolo più maturo e di questo ci parla la traccia Exuvia. Un significato a primo impatto banale per coloro che non accettano cambiamenti e vivono dentro una bolla rivestita da mero egoismo e pregiudizi.

Ogni mio scatto è di prassi bruciato
Non dimentico le radici perché tengo alle mie radici
Ma ci ritornerò quando sarò inumato
I miei dubbi hanno dei modi barbari
Invadenti e sono troppi
Il segreto è fare come gli alberi
Prima cerchi, dopo tronchi
Chi ti spinge dopo quella soglia
Se non è la noia, sarà il tuo dolore
L’occasione buona per andare altrove, tipo fuori

L’album contiene 19 tracce, ed è stato anticipato un mese e mezzo fa con Exuvia e subito dopo La Scelta. Il disco si presenta cupo e percepiamo una sensazione di malinconia nell’ascolto. Come un vero genio incompreso, Caparezza mescola temi della politica e dell’arte, facendoci affrontare un viaggio nell’inafferrabile: solo chi presterà la massima attenzione potrà capire il disco.

Nelle canzoni troviamo le collaborazioni di altri artisti quali Matthew Marcantonio (leader dei Demob Happy) che canta il ritornello della traccia Canthology e Mishel Domenssain, una cantautrice e rapper messicana che accompagna l’artista nella traccia El Sendero.

Come già citato sopra, l’artista ha rilasciato più di un mese fa le tracce Exuvia e La Scelta. Di cosa parla La scelta? La scelta rappresenta la solitudine, un “limbo“- come dichiara l’artista- in cui si è soli e non si hanno aiuti e solo tu decidi che strada intraprendere e quella scelta, che a volte è un concetto banalizzato, è ciò che condiziona la tua vita: quindi bisogna essere prudenti e ponderare prima di agire. Caparezza in merito a questa canzone ha dichiarato:

Uno degli elementi ricorrenti del nuovo album è la stasi, il limbo, il “non luogo” senza via d’uscita. Come si viene fuori da questa impasse? Esiste un solo modo: fare una scelta, prendere una decisione. Ho immaginato di trovarmi davanti ad un bivio, due sentieri che si diramano dal bosco.

Fino a qualche mese fa nessuno si aspettava un nuovo disco di Capa: difatti l’artista non aveva rilasciato dichiarazioni o tracce sul suo profilo Instagram, ma il 31 marzo, ha sganciato all’improvviso come una bomba l’uscita della sua nuova opera e pagine social e giornali inneggiavano al ritorno di Caparezza. Diciamocelo: l’artista pugliese ha giocato bene le sue carte, cogliendoci tutti di sorpresa!  

Fonte: Copertina ufficiale Exuvia-Juloo.it

Nelle nuovi canzoni, non troviamo più il vecchio Caparezza, anche la sua voce nasale è scomparsa, ma il suo essere diretto è sempre presente (in fondo è il suo marchio di fabbrica).

Non è un’artista amato da tutti, forse per il suo modo d’essere troppo schietto o forse perché è poco attivo sui social e non rilascia mai interviste o non segue la linea commerciale che richiede la nostra società; nonostante tutto il suo nome viene ancora ricordato e rimane uno degli artisti più amati della nostra terra, è la prova vivente che non bisogna amalgamarsi alla massa per creare arte.

Non me ne frega un cazzo dell’opinione di un giornalista, non mi interessa cosa possa pensare lui della mia band!… Certo, a chi non fa piacere una cazzo di recensione positiva, però non si può dipendere dalle opinioni altrui. E la maggioranza dei giornalisti che scrivono di musica sono dei poveracci.

Fonte: fm-world.it

                                                                                                                                Alessia Orsa

 

 

John Lennon: la favola di un working class hero

Diceva una vecchia canzone: “Chiedi chi erano i Beatles” e oggi che è l’ 8 dicembre, a quarant’anni dalla sua morte ci chiediamo invece: Chi era John Lennon?

Una domanda da un milione di risposte perché forse ognuno di noi ha il suo “John Lennon personale”.

John Lennon con uno dei suoi amati gatti. Fonte: tuttozampe.com

Spunteranno all’appello il John leader dei Beatles: chitarra tra le mani e il celebre caschetto, autore insieme al compagno McCartney di melodie inarrivabili per purezza e perfezione; il John delle lotte pacifiste accanto alla musa orientale Yoko Ono; quello del giro di Do di Imagine dietro il famoso “White Piano”; il John dagli occhiali tondi e dall’indole pigra; il cinico ragazzo di Liverpool dalla verve comica e la testa sempre piena di idee fantasiose che riversava spesso in caricature e storie umoristiche e infine quello più maturo e saggio, delle massime concise e profonde che tuttora circolano sul Web facendogli guadagnare a buon diritto il titolo di “filosofo”.

“Dio è un concetto attraverso cui misuriamo il nostro dolore” (“God”, 1970), “Gioca il gioco ESISTENZA fino alla fine… dell’inizio” (“Tomorrow never knows”, 1966), “Vivere è facile ad occhi chiusi” (“Strawberry fields forever”, 1967) o ancora la più famosa “La vita è ciò che ti accade mentre sei impegnato a fare altri progetti” (“Beautiful Boy”, 1980) non è forse filosofia in pillole pop?

John Lennon ritratto in un murales di Camden Town, Londra. © Angelica Rocca

 

Insomma, John Lennon, che non a caso si autodefiniva «un animo da monaco dentro il corpo di una pulce da circo», era un artista dalle molteplici anime, difficili da racchiudere in un unico ritratto. La sua personalità controversa, carismatica, ma anche schietta ci incute soggezione, ci disorienta, ci coglie spaesati quasi fossimo pellegrini a valle di una maestosa vetta con una polaroid in mano. Tutti si mettono a scattare e ognuno coglierà nella sua minuscola istantanea un piccolo pezzo di monte, ma nessuno riuscirà a catturare la montagna per intero proprio perché così immensa. Perché, che piaccia o no, che si ascolti o meno musica rock, nessuno può mettere in discussione la grandezza di John Lennon e la rilevanza che la sua musica ha avuto nel Novecento (e non solo).

AS SOON AS YOU’RE BORN THEY MAKE YOU FEEL SMALL

Dire che Lennon è stato un grande non ci fa certamente dimenticare le umili origini di un working class hero che è stato capace di riscattare la nascita sotto una “cattiva stella”.

John Winston Lennon viene al mondo la notte del 9 ottobre del 1940 in una Liverpool bombardata dai tedeschi e in una famiglia tutt’altro che unita.

John Lennon ad Amburgo. Fonte: beatlesbible.com

Un’ infanzia e un’adolescenza piuttosto difficili, che film come “Nowhere Boy” ( 2009 – regia di Sam Taylor- Johnson) non mancheranno di raccontare; un’esistenza segnata prima dall’abbandono e poi dalla tragica morte della madre Julia nel 1958. A lei sarà dedicata la dolcissima balladJulia” del 1968. Lennon era un ragazzo problematico come tanti figli del dopoguerra, pronto a nascondere le proprie insicurezze dietro il chiodo in pelle e la pettinatura alla Elvis, la ribellione e il rock’n’roll strimpellato sulla prima chitarra: un ragazzo che puntava ad arrivare «più in alto dell’alto» come amava spesso ripetere in compagnia dei suoi amici. E per arrivarci non si fece spaventare dall’infinita gavetta per pochi quattrini nei locali più malfamati  (I Beatles partono in sordina nei club a luci rosse di Amburgo),  dalle tante crisi private, dalle prime porte chiuse delle case discografiche.

THEN THEY EXSPECT YOU TO PICK A CAREER

Azzardando un paragone disneyano, possiamo pensare alla storia dei Beatles come a una favola moderna. C’è la Cenerentola dell’Inghilterra, questo gruppo di ragazzi provenienti dalla working class, che vogliono farsi notare al gran ballo della musica rock, cambiare le carte in tavola, riscrivere le regole. E per un ballo del genere servono nuovi arrangiamenti, un vestito impeccabile per canzoni che fino a quel momento erano solo diamanti grezzi. Qui entra in scena una fata madrina: si tratta di George Martin, il produttore discografico EMI dei grandi successi dei Fab Four, per molti il 5° beatle, il primo ad assicurare nel ‘62 un contratto, il primo a credere in loro ma soprattutto nella voce aspra di Lennon, capace più di quella di Paul McCartney di «dare il composto di fascino e intensità… come il succo di limone sull’olio extra-vergine di oliva».

Un parere innovativo in un industria musicale ancora ossessionata dalle voci vellutate alla Presley o alla Sinatra!

John Lennon coi Beatles nel 1963. Fonte. larepubblica.it

Dopo i primi successi ballabili (tra i tanti Twist and Shout, Can’t buy me love, Please Please me, I feel fine) è chiaro che non si tratta più di semplice rock’n’roll, ma anche quella di soft-rock è un’etichetta troppo ristretta. Il “sottomarino” dei Beatles naviga l’oceano della musica attraversando i più disparati generi ma soprattutto prestando più attenzione alle parole.

Ed è qui che emerge la personalità di Lennon, il più intellettuale dei quattro.

Le sue canzoni si trasformano presto in confessioni aperte: “I’m a loser and I’m not what I appear to be” ( “I’m a loser” ,1964); “When I was younger so much younger than today/ I never needed anybody help me in anyway” ( “Help” ,1965); ma anche in bellissime poesie: “Words are flowing like endless rain into a paper cup” ( Across the universe”,1969) o ancora “My mother was of the sky/ my father was of the earth/ but I’m of the Universe” (“Yer Blues”, 1968).

John Lennon nel video-clip di “All you need is love”, 1967. Fonte: Morrison Hotel Gallery.com

La favola procede tra successi e lati oscuri: conflitti nella band, assunzione di droghe pesanti per reggere ritmi sfrenati, mogli e figli lasciati a casa e carovane di groupies davanti ai camerini. L’onestà di Lennon emerge in una frase pronunciata qualche anno più tardi:

“Per riuscire devi essere un grande bastardo, i Beatles sono stati i più grandi bastardi di tutti i tempi”.

A WORKING CLASS HERO IS SOMETHING TO BE

Ogni mito ha una donna che scatena una guerra, ogni favola ha una strega cattiva e per tutti i fan meno illuminati dei Beatles questa è Yoko Ono: la “colpevole” del loro scioglimento, artista concettuale giapponese che Lennon incontra nel 1966 e che sposerà nel ’69. “I’m in love for the first time” (“Don’t let me down”, 1969) canterà infatti nello stesso anno il nostro, avendo finalmente trovato qualcuno con cui guardare il mondo «dallo stesso albero». Checché se ne dica, Yoko Ono è stata fondamentale per la crescita artistica e personale di John.

Negli anni della guerra in Vietnam, Ono e Lennon, con le marce di protesta e i bed-in, furono il primo esempio di coppia in grado di sfruttare il proprio potere mediatico in direzione politica e sociale.

John e Yoko dietro il “white piano” nel video-clip di Imagine. Fonte: la repubblica.it

Da buon figlio della working class, l’ex Beatle scrive brani politicamente più impegnati come “Give peace a chance” , “Power to the people” e “Imagine”, inno a un mondo senza confini, senza conflitti e che è stata definita di recente come «Una canzone marxista e comunista» da qualche discutibile politico. Ma se le critiche provengono da un partito con tendenza all’oscurantismo, anche stavolta possiamo dire che Lennon ha fatto centro!

IF YOU WANT TO BE HERO, WELL JUST FOLLOW ME

Se ci fermiamo alla capacità tecnica, dobbiamo riconoscere che Freddie Mercury è il più grande cantante di tutti i tempi. Ma quanti imitano il suo bel canto e quanti si ispirano invece alla particolare vocalità di Lennon? Dal britpop degli Oasis al pop-punk dei Green Day (che registreranno la cover di “Working Class Hero”) tanti guardano ancora allo stile musicale ma anche all’outfit di Lennon. Persino in un universo apparentemente lontano quale quello rap, un artista come Salmo incide la sua “Yoko Ono” (2011) campionando “Come together” (1969).

Il mosaico dedicato a Imagine a Central Park, New york. Fonte: 123f.com

L’8 dicembre 1980 John Lennon viene assassinato da un suo fan con sette colpi di pistola che pongono fine alla favola del ragazzo di Liverpool, ma la magia della sua musica rimane nell’aria. Scoppierà forse una guerra atomica, un’invasione aliena potrà porre fine alla nostra civiltà, ma tra le rovine di un mondo post-apocalittico, ci sarà sempre un ragazzo con la chitarra pronto a cantare Imagine.

 

Angelica Rocca

 

Mish Mash: ecco il welcome Day secondo UniVersoMe

Eccoci arrivati all’evento più atteso dell’estate: il Mish Mash fest. Ormai arrivato alla quarta edizione, si prospetta riconfermarsi come uno dei più importanti della provincia di Messina e non solo. Nella suggestiva ambientazione dell’antica Milazzo: il Castello. 

Molti sono stati i gruppi e i cantanti a suonare nelle precedenti edizioni sul palco di questo festival e molti di essi hanno raggiunto un successo notevole nella scena indie italiana: Calcutta, Gazzelle, Carl Brave, Frah Quintale..

Anche quest’anno sono attesi nomi di artisti importanti e di un certo livello, assieme ad alcuni un po’ meno conosciuti ma ugualmente apprezzati. Ospite d’onore, un artista che ha fatto parte della storia della musica italiana: Nada, per la sua unica data siciliana. 

Il primo giorno dell’evento è stato l’11 agosto, welcome Day a ingresso gratuito. A parteciparvi sono state tre band susseguite da vari dj set.

Partiamo dai Basiliscus P.: gruppo rock sperimentale di Messina, presentano un’influenza proveniente dal primo indie, dallo psych rock e desert rock. Siamo riusciti a intervistare Federica e Luca rispettivamente chitarra e batteria, che ci raccontano di loro dopo esser da poco tornati da un tour nel Lazio.

Siete qui al Mish Mash dopo aver vinto un Contest musicale lo scorso dicembre. Siete emozionati?
Abbiamo vinto la maratona musicale al Perditempo. Non ci sentiamo molto emozionati, è una bella ambientazione. È la prima volta che siamo qui, ma lo conosciamo come uno dei più importanti della Sicilia.

Suonerete brani del vostro album Placenta?

Sì, ma non solo. Abbiamo dei pezzi nuovi, del nuovo disco che uscirà nel 2020. È la seconda volta che presentiamo questi brani, speriamo funzioni.

Avete recentemente avuto delle date in Lazio. Com’è andata?
Sì, siamo stati a Latina e al B-folk di Roma. È andata bene soprattutto a Latina, in un circolo Arci. Pensiamo di tornarci presto, magari in inverno.

Non ci sono molti gruppi come il vostro. Quali sono le vostre influenze musicali?
Qualche anno fa ce n’erano di più, adesso un po’ meno. Le nostre influenze sono Sonic Youth, Motorpsycho, Frank Zappa. Una canzone nuova è ispirata a lui. Poi Pink Floyd, anche se è quasi scontato. Molte provenienti dagli anni ’70 e ’90. Quello che ascoltiamo ci influenza molto su quello che poi andiamo a suonare.

Come avete iniziato?
Abbiamo iniziato con un altro gruppo: Federica suonava il basso e io (Luca) la chitarra. Avevamo una cover band del Teatro degli Orrori, ma non è durata molto. Poi siamo passati ad una dei Verdena, ma è andata uguale. Ognuno scriveva dei pezzi e così abbiamo pensato di creare questo gruppo.

©Marina Fulco – Mish Mash Festival 2019

Le impressioni del loro live sono state ottime. Regalano un concerto potente, intenso e apprezzatissimo. Tanta tecnica, sintonia e improvvisazione.

Altro gruppo che si è esibito è stato rappresentato dagli Aspra Dimora Klan, che, provenienti dalla cittadina di Barcellona Pozzo di Gotto, raccolgono il pubblico sotto il palco a scatenarsi. Anch’essi vincitori del contest, hanno influenze che spaziano dalla drum and bass alla grime.

©Marina Fulco – Mish Mash Festival 2019

Per finire, i Bangover Crew da Palermo, che con musica elettronica contemporanea e ricercata hanno fatto ballare il pubblico per tutta la notte.

©Marina Fulco – Mish Mash Festival 2019

Oltre alla musica, anche l’arte ha fatto da padrona e si è ben miscelata alla musica, in questo luogo che da più di mille anni sovrasta e protegge la nostra città. Infatti all’interno del Castello di Milazzo sono presenti varie installazioni e opere artistiche di un certo livello. Attenti e sensibili ai problemi ambientali, a partire da quelle presenti nel Museo del Mare da poco inaugurato (in cui è esposto lo scheletro del capodoglio Siso), come l’installazione di Giuseppe La Spada e Alice Invernici, fino a quelle di Andrea Sposari e Nuuco presenti nel percorso diretto al Monastero dei Benedettini. Infine, la mostra PUPI del Collettivo Flock situata nel Duomo Antico e vicinissima alla storia della Sicilia.

Per essere il primo giorno, il festival si rivela ben organizzato, grazie anche al lavoro di tantissimi giovani volontari che hanno deciso di prestare le loro energie e il proprio tempo per la sua ben riuscita.

Abbiamo parlato con loro, incuriositi dall’entusiasmo che li animava, e sono stati felici di raccontarci la loro esperienza. Tutti hanno raccontato della bella atmosfera che si è creata attorno a questa manifestazione. Alcuni di loro avevano già vissuto il festival come spettatori e ne sono rimasti affascinati. Così hanno deciso di ricambiare l’entusiasmo con il loro tempo. Vengono da diverse zone di provincia e anche di altre parti d’Italia. Alcuni di loro sono qui in vacanza, ma ciò che li ha conquistati è stato l’aver saputo abbinare la musica di qualità ad un luogo così affascinante, sia dal punto di vista storico, sia artistico. Hanno tutti compiti ben precisi: accoglienza e assistenza al pubblico, vendita merchandising, servizi tecnici, informazioni sulle mostre e sui concerti. 

Grazie a Alessandra, Alessia, Serena, Carmen, Alessio.. e tutti gli altri che si sono confrontati con noi di UVM.

Molti gli esercizi della zona che hanno offerto servizio di food & beverage, tra cui la possibilità di un aperitivo al tramonto con la meravigliosa vista sul mare di ponente e le isole Eolie all’orizzonte.

Dalla prima giornata si prospetta un festival che regalerà moltissime emozioni e che rimarrà nella storia del Castello che continua ad essere un centro di cultura, musica e arte.

A cura di Loredana Catalfamo Marina Fulco

Indiegeno fest: free days e il secret artist inaspettato

Dopo il 4 agosto l’Indiegeno fest ha proseguito, continuando a intrattenere il pubblico. Il centro storico di Patti si è illuminato durante la giornata del 6 agosto. A partire dalle ore 21 si sono esibiti vari gruppi e cantautori per poi dare spazio al primo nome: Mustrow.

Romano con un’energia da vendere, presenta influenze blues mescolate a un alternative rock degli anni 90. Coinvolgente, si muove continuamente fino a sdraiarsi sul palco. Dimostra una potenza vocale non indifferente, ma ha ricevuto scarsa partecipazione del pubblico che forse non era pronto a farsi coinvolgere.

Successivamente tocca a Black Snake Moan. Capellone romano sullo stile hippie, meno coinvolgente rispetto al primo ma un ottimo musicista. Suona contemporaneamente chitarra insieme a grancassa e charleston, presenta un suono fortemente americano con sonorità desertiche e psych.

Infine l’atteso e amato artista palermitano Alessio Bondì, il quale fa aumentare le presenze e il coinvolgimento. La serata ci dice che siamo ancora un popolo che tiene alla propria cultura e difficilmente si lascia trasportare da un genere straniero.

Il giorno successivo, il 7 agosto a partire dalle ore 19, è il momento tanto atteso del Secret Artist e le aspettative sono alte. Si parla di Max Gazzè, altri dicono di aver visto Albano. Ma nessuno si aspettava l’entrata di Luca Barbarossa che lascia il pubblico dopo un’ora di concerto. Nonostante ciò, si registrano moltissime presenze anche per la suggestiva ambientazione dei laghetti di Marinello.

Foto e articolo a cura di Marina Fulco

 

Masseduction: molto più che seduzione quella di St. Vincent

A giugno avevamo riportato la notizia dell’imminente tour, il 13 ottobre il mondo ha potuto ascoltare Masseduction il quinto album di St. Vincent.

 

Il primo singolo “New York” è stato pubblicato a fine giugno seguito dal video il cui regista è Alex Da Corte, video molto controverso e colorato fino a quasi disturbarti.

I colori accesi, sono la cifra visiva di questo album.

In “New York” la chitarra è sostituita da un pianoforte e rispetto a tutte le altre ha una durata brevissima. Piange la perdita di “un eroe, un amico” e di un luogo che non è più quello di una volta ma consapevole dell’esistenza di una persona che è “the only motherf*** who can stand me” ci coinvolge in un senso di perdita e affrancamento universale.

Da luglio ad ottobre St. Vincent si è divertita a pubblicare video satirici , scritti dal fine intelletto comico di Carrie Brownstein (cantante delle Sleater Kinney e autrice e protagonista della serie Portlandia) nei quali, vestita in latex e circondata da donne mezze nude coi volti coperti, risponde alle tipiche domande futili che molti giornalisti pongono alle musiciste.
È una ironia molto sottile ma che dimostra l’insofferenza per queste situazioni, è una riflessione sul potere dei media che ci mostrano quello che vogliono.

https://www.instagram.com/p/BYhTj6Ij7qW/?taken-by=st_vincent

Poi in una finta conferenza stampa su Facebook live ha annunciato la data dell’album.
Queste azioni, oltre che aumentare la curiosità del pubblico, si ricollegano ai temi dell’album che potrebbero essere riassunti in “potere, sesso e pillole” e la loro disamina.
Ci ritroviamo davanti una copertina color rosa acceso e il derrière di una ragazza (Carlotta Kohl ndr) in body leopardato e tacchi a spillo.
Quest’opera ultima è studiata fino al minimo particolare ma ha tenuto a precisare che è anche il materiale più personale mai scritto.
È una St. Vincent dalle sonorità totalmente diverse da quelle a cui ci aveva abituati, alcuni adducono l’influenza del coproduttore Jack Antonoff, ex Fun ora frontman dei Bleachers e uomo dietro i maggiori successi di Lorde e Taylor Swift, ma potrebbe essere la voglia sperimentalista della stessa cantante.
È sempre lei. John Congleton rimane suo coproduttore.

Masseduction si apre con “Hang on me”, voce spezzata e ci chiede di rimanerle attaccata perché “non siamo fatti per questo mondo” e tenta di rassicurarsi e rassicurarci dicendo che solo “gli amanti sopravviveranno”.
Una voce posh apre la seconda traccia “Pills” ripetendo il ritornello-filastrocca su un jingle che rimane in mente. La voce posh è quella di Cara Delevingne.
Dopodiché arriva l’amata chitarra che trasforma la canzone da pop a rock e poi un sassofono, ricorda quasi una delle canzoni composte con David Byrne. Ho trovato delle reminiscenze di “The dark side of the moon”.
È una canzone di grandi collaborazioni: Jenny Lewis intona sul finire e per concludere un bellissimo assolo di sax di niente di meno che: Kamasi Washington.
Qualcuno urla in giapponeseseiken no fuhai” cioè “il potere corrompe”. 
È Toko Yasuda questa è “Masseduction” ritmo prepotente a sostenere un testo che ci parla di seduzione.
In una intervista ha affermato che la frase “i can’t turn off what turns me on” potrebbe racchiudere la tesi di questo album. Molto pop con una chitarra elettrica fortissima nei momenti adatti.

02 Brixton Academy Londra il passato ottobre

Arriva “Sugarboy” Donna Summer che incontra la chitarra di St. Vincent.
È il regalo personalissimo al suo pubblico “alle ragazze, ai ragazzi, agli altri” d’altronde è sempre stata sostenitrice della teoria della “fluidità di genere”. È un trionfo.
Ricorda anche di quando era attaccata ad una balconata, durante il passato tour era solita arrampicarsi sulle casse, le balconate dei teatri.
“Los Ageless” è una critica alla cultura della bellezza e cura, ma parla anche di una relazione finita , si chiede “how can anybody have you and lose you and not lose their minds, too?”.
Sintetizzatore a go go e chitarra. Funziona e si impone oggi come la più popolare fra i singoli, forse più di “New York”.

Proprio nel momento in cui ci siamo convinti che sia passata completamente al pop per questo album arriva “Happy birthday Johnny”.
La figura di Johnny, presente in tutti i suoi album, è un amico, un fratello, Johnny è tutti. È una canzone struggente.
È cantata in maniera così intima che è facile trovare un punto di contatto, immedesimarsi.

Ci risolleviamo l’animo con “Savior”, giochi di ruolo con l’amante, al synth e alla chitarra si aggiunge il pedal steel e il basso di Pino Palladino e poi la voce incredibile di Patti Andress.
“Fear of the future” è la classica St.Vincent, chitarra, canta la paura del futuro di questi tempi incerti per scacciare la paura stessa.
Con “Young lover” torna a cantare dell’amore finito e di come l’abbiano distrutto le pillole.
L’ inframezzo musicale “Dancing with a ghost” è il preludio a “Slow disco” (concettualmente potrebbe essere la conseguenza degli eventi di “Young lover”) in cui si torna a toni malinconici cantata su una base di archi. Sfila la sua mano da quella dell’amante lasciandolo ballare con un fantasma.

L’album si conclude con “Smoking Section” la voce non sembra la sua: l’ha registrata un semitono sopra rispetto alla melodia e abbassata in post-produzione.
È ruvida,  perfetta per il contesto. Nota personale: una delle mie preferite.
Non si sente adatta per questo mondo ma lascia che gli eventi accadano, vendicativa verso i cari afferma che in questo mondo non c’è niente di meglio dell’amore.
Lo ripete a se stessa ma anche a noi.

È un album che ha diviso la critica e il pubblico, chi le da della traditrice sfociando nel pop e chi invece osanna al capolavoro. Intanto è nella top 10 dei migliori 200 album del 2017 stilata dalla Billboard.
È musicalmente perfetto e i testi sono delle ballate intuitive ed intense, una schiettezza mai letta prima.  
C’è il pop, il rock, la tecno, il tutto rivisitato e composto nella chiave unica di St. Vincent.
Chiude rassicurandoci che, nonostante la corrosività del potere, il sesso, le pillole, gli amori sbagliati, con voce chiara e acuta “non è la fine”.
No Annie Clark non è la fine, è solo l’inizio di un altro percorso dell’artista poliedrica e geniale che sei.

 

Arianna De Arcangelis

(Piccola) guida itinerante ai festival musicali dell’estate in Sicilia

E’ arrivato il momento ormai di liberare gli ormeggi che ci hanno tenuti legati alla scrivania, e di ricaricare le batterie in vista della resa dei conti finale a settembre. 

Dai grandi palchi internazionali a quelli più nascosti; l’estate è la stagione per eccellenza dei festival sotto le stelle. Ovunque in Italia il calendario è fitto di appuntamenti, ma per chi ha scelto di trascorrere le vacanze nell’isola le proposte sono numerose. Nel 2017 la Sicilia si conferma scenario ideale per immergersi in luoghi di bellezza al contatto con la natura e l’arte: mare, parchi, teatri e antichi castelli sono la materia prima per un concentrato di musica indie, rock ed elettronica. Di seguito vi proponiamo una guida pratica, immaginando, come ha fatto il cantautore Colapesce con Alessandro Baronciani nel fumetto La Distanza, di percorrere in lungo e in largo la Sicilia alla scoperta delle situazioni più interessanti e le opportunità da non perdere.

Si parte stasera a Catania, fino al 23 luglio, con la quarta edizione dello Zanne Festival al Castello D’Urso Somma. Il primo giorno saliranno sul palco gli statunitensi Of Montreal, formazione influenzata dal pop psichedelico e barocco di impronta sixties, gli Einstürzende Neubauten, band capofila del genere industrial capitanata da Blixa Bargeld, ex musicista dei Bad Seed di Nick Cave, seguiti dai Fufanu e H. Grimace. Sabato 22 è il turno dell’attesissima esibizione degli Air che presenteranno al pubblico siciliano il loro ultimo disco, Twentyyears, Nella stessa giornata suoneranno The Liminanas e Fujiya & Miyagi. Domenica 23 tocca ai Soulwax far ballare tutti i presenti con un repertorio elettronico che include la famosa hit E Talking, e alle band Ulrika Spacek e The Mystery Lights. Nei giorni del festival verrà allestito un camping, e diverse attività extra si svolgeranno sui Monti Rossi, presso Nicolosi, come laboratori musicali, trekking sull’Etna, workshop e osservazioni astronomiche a cura dell’osservatorio astrofisico di Catania.

Ma c’è tempo appena per una granita veloce lungo il percorso. Già il giorno successivo, 24 luglio, infatti ci spostiamo a Siracusa, all’Ortigia Sound System, proseguendo questa volta il nostro tracciato festivaliero all’insegna dell’elettronica e della musica house. Nella suggestiva Arena Maniace e in altre località a ridosso del mare, fino al 30 luglio, si esibiranno moltissimi Dj e nomi internazionali. Questi sono solo alcuni: Mount Kimbie, Erlend Øye (dei Kings of Convenience), Palms Trax, Avalon Emerson, Sevdaliza, Stump Valley, Awesome tapes from africa, Moses Boyd, Baba Stiltz, !K7 Sound System, Marcin Öz (Whitest Boy Alive).

Senza allontanarsi di molto andremo a Milo (CT) dove, dal 30 al 2 agosto, si svolgerà il festival di musica italiana Luce del sud organizzato da Franco Battiato. Figurano nel cartellone i nomi di Francesco Gabbani, Carmen Consoli, Emma, Arisa, Vasco Brondi, Miele, Roberto Cacciapaglia e Juri Camisasca.

La provincia di Messina sarà protagonista ad Agosto con Indiegeno, Mish Mash Festival e Pas De Trai. Il primo, dal 4 al 10, avrà come meravigliosa cornice il golfo di Patti, tra le Grotte di Mongiove e il Teatro Greco di Tindari; uno dei festival più belli dell’estate (nei giorni dei concerti sono previste visite guidate nei dintorni) e di crescente qualità artistica che quest’anno, per la quarta edizione, ospiterà Boosta Dj, Ex Otago, Sergio Beercock, Persian Pelican, Marianne Mirage, insieme ad altri. Headliners il 9 e 10 Carmen Consoli, Brunori Sas e Artù. Al Mish Mash Festival, per il secondo anno nel castello di Milazzo, il 5 e 6 agosto, invece suoneranno I Camillas, l’interessante cantautore romano d’adozione Giorgio Poi, Clap! Clap!, Canova, Be a Bear, Colombre e altri artisti. Negli stessi giorni a San Fratello (3-7 agosto) si terrà Pas De Trai, festival dedicato alla scoperta del Parco dei Nebrodi tra workshop, installazioni, Dj set e jam session. Sul palco La Rappresentante di Lista, i Tokyo Sound Land, i Mòn e i We are Children (We Make Sound).

Le abbuffate di pasta alla norma devono comportare ripercussioni sullo spazio-tempo perché, nel proseguire il nostro viaggio, ci spostiamo idealmente dall’altra parte dell’isola, più precisamente ad Alcamo e Agrigento. Il 4 e il 5 agosto al festival Nuove Impressioni, arrivato alla sua nona edizione, sarà il turno dei Gazebo Penguins, Moseek Junkfood 4tet, STUFF, Hey Bulldog, Mòn, When Due, e Aharon. Anche Agrigento diventa terra di Festival con FestiValle, la prima manifestazione musicale e di arti digitali nella Valle dei Templi. Il Tempio di Giunone, il Farm Cultural Park di Favara e la spiaggia di San Leone saranno la location di un ricco calendario che dal 4 al 6 agosto ospiterà concerti di musica jazz, elettronica, seminari e performance.

La rassegna si chiude, a metà strada, sul Parco delle Madonie. Per il ventunesimo anno Castelbuono (PA) è sede di uno dei festival più apprezzati d’Europa, l’Ypsigrock.  Anche quest’anno, dal 10 al 13 agosto, piazza Castello diventa il fulcro di un tracciato musicale di spessore all’interno della musica alternative. Venerdì 11 suoneranno tra gli altri i Ride, storico gruppo britannico shoegaze degli anni ’90, sabato 12 i Digitalism, duo tedesco disco-punk e i Beak. Domenica 13 è il tanto auspicato arrivo in Sicilia dei Beach House, band dalle melodie sognanti che risente delle stratificazioni sinfoniche di Brian Wilson e dell’influsso del dream pop. La stessa sera suoneranno Edda e i Cigarettes After Sex. Nei giorni del festival sarà allestito, come da tradizione, il camping presso San Focà, con dj set ed esibizioni. Tra un assaggio dell’eccellente panettone di Fiasconaro e una fetta di Testa di Turco, le strade del borgo si riempiranno di iniziative e spettacoli pomeridiani. I meno instancabili proseguiranno l’itinerario trasferendosi dal 18 al 20 agosto a Cefalù, dove il festival indipendente Camp Art darà sprint alla seconda metà di agosto con musica tekno e con i Desert Storm Soundsystem.

Di seguito i link di tutti i festival:
http://zannefestival.com/
http://www.ortigiasoundsystem.com/2017/
http://www.ansa.it/sicilia/notizie/2017/07/08/musica-a-milo-festival-luce-del-sud-promosso-da-battiato_cb1afd76-0b1c-4eb6-a1e0-41d1c7843816.html
http://www.indiegenofest.it/
http://www.mishmashfestival.com/
http://pasdetrai.com/
http://www.nuoveimpressioni.com/
http://www.festivalle.it/
http://www.ypsigrock.it/
https://www.campartfestival.org/

Eulalia Cambria

“The Story” di Brandi Carlile – versione di cover per una buona causa.

Se vi dicessi il nome Brandi Carlile probabilmente non avreste idea di chi stia parlando.

Se invece vi facessi sentire solo le prime strofe di “The Story” la riconoscereste immediatamente e aggiungereste “certo! l’ho sentita in…”.
Le sue canzoni sono state usate in moltissime serie tv (forse su tutte Grey’s Anatomy) film, pubblicità, ciò non deve essere visto negativamente perché questa donna è più che talentuosa.

Lei è una cantautrice americana il cui stile spazia fra il folk-rock-pop. La band è composta da lei, i gemelli Tim and Phil Hanseroth alla chitarra e al basso, Josh Newman al violoncello e al piano e il batterista Brian Griffin.
“The Story” è probabilmente l’album più famoso che quest’anno compie 10 anni e per questo anniversario la cantautrice ha deciso di ripubblicarlo in una versione molto speciale : tutte cover.
Il ricavato dell’album andrà interamente a War Child una associazione che si occupa di aiutare e tutelare i minori nelle zone di guerra.
Brandi Carlile è sempre stata una attivista per i diritti umani devolvendo i ricavati di concerti a diverse cause a lei care. Tutti, dall’etichetta agli ingegneri del suono agli artisti stessi hanno rifiutato di ricevere un compenso per il lavoro su questo album.
I nomi degli artisti che hanno edito le canzoni? Adele, i Pearl Jam, Kris Kristofferson e Dolly Parton per nominarne alcuni. Il nome che risalta di più è forse quello di Barack Obama che ha scritto la prefazione dell’album “racconta storie che ci incoraggiano a vedere noi stessi negli altri, e ci ricorda che insieme possiamo creare un mondo migliore per i nostri figli”.
Vi segnalo la versione del singolo “The story” cantata da Dolly Parton, “Josephine” da Anderson East e “Turpentine” da Kris Kristofferson.
The Story quest’anno ha ottenuto il disco d’oro.

La bellezza delle canzoni e della voce di Brandi Carlile è che sono adatte ad ogni momento della propria vita, ti coinvolge con quel tono ruvido ma caldo, le chitarre , gli archi che spuntano quando meno te l’aspetti. Non scade mai nel banale come sonorità e testi. Un brano apparentemente pop si trasforma in un pezzo simil rock grazie a bassi e chitarra. In questo video di seguito potete farvi una idea di quello che sto affermando.

Quando ascolti “Keep your heart young” la tua infanzia ti passa davanti gli occhi e inizi a ridere, “Hiding my heart” e “Oh dear”  ti riportano a quell’amore passato o mai confessato, “Wherever is your heart” all’affetto dei cari, “The Things I Regret” con quella strofa finale gridata da pelle d’oca e poi “The story” un classico ormai.

Diversi anni fa ebbi la fortuna di vederla esibirsi, uscì da quel teatro con un sorriso a 36 denti e mio zio che mi ringraziava per avergli fatto conoscere questa artista. È stata elettrizzante, appassionata.
Non voglio i ringraziamenti di nessuno di voi lettori ma vi suggerisco di ascoltare qualcuna delle sue canzoni, il mio album preferito è “Bear Creek” , con una sola parola: completo, ce n’è per tutti i gusti.
L’ultima opera è  “The firewatcher’s daughter” che si apre con  “Wherever is your heart”  pezzo scritto con i gemelli (con i quali si percepisce il grande affetto reciproco dovuto anche alla lunga collaborazione) è più che coinvolgente, trasportante. Come tutto l’album.
Lo stesso anno, 2015, la band ha deciso di fare un tour prevalentemente in teatro sfruttando l’acustica naturale di questi luoghi hanno scelto di non usare microfoni, amplificatori, affidandosi totalmente alla voce e alle sonorità degli strumenti. Niente che potesse distorcere la musica e l’esperienza con gli spettatori.
Questa esperienza è stata raccontata in un documentario “Pin Drop Tour” che potete trovare sulla sua pagina Youtube.
Vi saluto con l’introduzione del documentario (al minuto 5:00 potete sentire l’effetto dell’esperimento fra prove e live) :

 

Arianna De Arcangelis