Killers Of The Flower Moon: Scorsese, DiCaprio e De Niro esplorano gli anni Venti

Killers of the flower moon è un film non perfetto e con una durata scoraggiante, ma che si merita una visione al cinema. – Voto UVM: 4/5

Killers Of The Flower Moon è un film del 2023 co-scritto e diretto da Martin Scorsese. Nel cast sono presenti Leonardo DiCaprio (Don’t look up), Robert DeNiro, Lily Gladstone, Jesse Plemons e Brendan Fraser (The whale). Il film è tratto dal romanzo “Gli Assassini Della Terra Rossa” scritto da David Grann e narra fatti realmente accaduti.

Killers of the flower moon: trama

Oklahoma, Anni 20. Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio) ha combattuto in guerra e torna nella nativa Fairfax in cerca di fortuna. Suo zio William Hale (Robert DeNiro) gli ha promesso un lavoro all’interno della Nazione Indiana degli Osage, un popolo divenuto improvvisamente ricco grazie all’apparizione del petrolio in grosse quantità, nel loro territorio. Su consiglio dello zio, Ernest sposa Molly (Lily Gladstone), una donna nativo-americana. Inizialmente, lo fa per appropriarsi delle sue ricchezze ma poi col tempo, se ne innamora perdutamente.

Nella Nazione Indiana, gli Osage si stanno ammalando e successivamente, morendo uno dopo l’altro. Quelle morti sono strategiche e stanno avvenendo anche nella famiglia di Molly, mentre la cittadina di Fairfax è piena di disperati pronti a commettere omicidi, furti e rapine, sapendo che la legge è dalla loro parte e non a favore dei “pellerossa”.

Killers of the flower moon
Lily Galdstone e Leonardo Di Caprio in una scena del film. Fonte: wikipedia.org

Scorsese non si è smentito neanche stavolta?

O lo si ami o lo si odi, c’è poco da dire: Martin Scorsese sa fare il regista e nonostante l’età e il continuo attaccamento alle vecchie tradizioni, riesce ancora a stupire il pubblico.

Scorsese è quel regista appartenente alla vecchia guardia e ci tiene ancora a certe cose, come fare un film in cui si punti soprattutto sulla qualità e non sul guadagno. A differenza di quei registi che hanno come unico obiettivo il prodotto realizzato per scopi commerciale, lui è uno di quelli autoriali che non abbraccia la modernità e che considera cinema solo un genere particolare di film. Considerazioni piuttosto discutibili, perché in realtà qualunque genere di film (da quello autoriale ai blockbuster, dalla commedia all’animazione) fa parte della Settima Arte. Però allo stesso tempo, il suo pensiero contorto esprime anche il suo amore per il cinema e lo trasmette in tutti i film che fa.

Ha una lunga carriera alle spalle e basti pensare a film come Taxi Driver, Toro Scatenato, Shutter Island, The Wolf Of Wall Street, The Irishman e molti altri. Ora è ritornato con “Killers Of The Flower Moon” ed anche stavolta, ha mantenuto i suoi principi e il suo modus operandi.

 

Nolan/Scorsese: film per il pubblico o per i cinefili?

Non si nega che il film sia monumentale e si può considerare un film di Scorsese al 100%, ma lungi dal considerarlo perfetto. Ha delle similitudini con Oppenheimer di Christopher Nolan. Entrambi raccontano una storia che apparentemente può risultare poco interessante, ma ciò che incuriosisce è il modo in cui la raccontano. Hanno molti punti in comune, come l’eccessiva durata che può scoraggiare, la presenza di un cast corale e un comparto tecnico ben strutturato. Ma c’è una differenza: Nolan, nonostante l’attaccamento a certi principi, sa cosa vuole il pubblico e riesce ad adeguarsi ad esso pur mantenendoli; Scorsese, invece, punta esclusivamente sulla qualità e i suoi film attirano solo un certo tipo di pubblico, ovvero i cinefili o i fan degli attori che coinvolge (ad esempio, Leonardo DiCaprio e Robert De Niro).

Lily Gladstone, Robert De Niro e Leonardo Di Caprio in una scena del film. Fonte: nytimes.com

Top o flop dell’anno?

E’ un film che merita senza ombra di dubbio, una possibilità. L’eccessiva durata di tre ore e mezza può scoraggiare, ma in realtà non è quello il problema. Il difetto riscontrato sta proprio nella scarsa gestione del minutaggio prolungato ed alcuni momenti specifici della narrazione. Mentre si prosegue nella visione, si può notare che la visione del regista su tale vicenda mostrata sia piuttosto evidente, ma c’è un mancato approfondimento su certi elementi narrativi che non sarebbe dispiaciuto avere e per di più, la storia prosegue con un ritmo piuttosto galoppante che si percepisce in qualche scena.

Nonostante questi piccoli difetti riscontrati, questo non significa che il film non sia bello. Anzi, forse lo si può addirittura considerare tra i migliori di quest’anno. E’ un film che parla di odio e questo lo rende paradossale, perché nonostante questo film parli di odio è capace allo stesso tempo di fare ricordare perché si ama il cinema. Ma durante la visione, non si può non provare disgusto di fronte a questi eventi storici ed alla crudeltà umana in quel periodo. Scorsese ha voluto esporre la sua visione su ciò che viene fatta agli Osage ed è una critica feroce a quella vicenda.

 

Il comparto tecnico

Il comparto tecnico è ben strutturato: la regia di Scorsese è spettacolare. Le inquadrature sono a macchina da presa fissa e sono costruite geometricamente in modo sofisticato, rivelando poco a poco ciò che sta succedendo. Ciononostante, qualche volta si passa da una scena all’altra senza un curato approfondimento di alcuni dettagli narrativi. Tutto questo, accompagnato da una fotografia coloratissima e dall’incredibile presenza del cast corale.

killers of the flower moon
Leonardo Di Caprio e Lily Gladstone in una scena del film. Fonte: Vox.com

Killers of the flower moon: il cast

Quello che spicca più di tutti è Leonardo DiCaprio. Ormai sono lontani gli anni in cui veniva considerato solo un sex symbol ed ora il fanciullo di Titanic ha dato prova in tantissime occasioni di essere un attore completo e camaleontico, capace di adattarsi a qualsiasi ruolo. Killers Of The Flower Moon è la sesta collaborazione di Scorsese e di DiCaprio: il personaggio di Ernest Burkhart rispecchia totalmente la maturità dell’attore nel campo della recitazione.

Un altro attore che non è da meno qui è Robert DeNiro (altro storico collaboratore di Scorsese):  nonostante le liti e le tensioni con DiCaprio sul set, nel film si nota un ottima sinergia tra le due performance. Anche se loro due sono  le  più note stelle del cast, non significa che tutti gli altri siano da meno, come ad esempio, Lily Gladstone e Jesse Plemons. Un altro attore bravo, seppur abbia un ruolo ridotto, è Brendan Fraser.

Giorgio Maria Aloi

Amsterdam, la nuova crime comedy di David O. Russell

Film leggero e piacevole da vedere, ma con un cast del genere non rispetta interamente le aspettative -Voto UVM: 3/5

 

Proiettato per la prima volta il 7 ottobre nelle sale statunitensi, e distribuito in Italia dopo la presentazione al Festival del cinema di Roma il 21 dello stesso mese, Amsterdam è una crime comedy scritta e diretta dal regista David O. Russell. Come spesso è accaduto nel periodo post pandemico (West side story, Nightmare Alley), il film ha ricevuto scarsi incassi già dal primo weekend di proiezione: con il sempre maggiore sviluppo delle piattaforme streaming, sembra che i cinefili non avvertano più lo charme di andare a sedersi nelle poltroncine rosse in sala e vivere l’esperienza di guardare un film al cinema.

Amsterdam è in parte tratto dalla storia realmente accaduta del “Business Plot”, tentativo di complotto avvenuto nel 1933, volto a deporre il presidente Roosevelt per instaurare una dittatura in America.

Un medico, un’infermiera e un soldato in giro ad Amsterdam

Francia, 1918. Qui si ritrovano nello stesso momento un medico, Burt Berendsen, mandato al fronte su consiglio dei cognati (a suo dire probabilmente per liberarsi di lui)e  Harold Woodman, un soldato americano di colore che chiede, insieme ad altri soldati neri, di avere un comando che li guidi e li rispetti. Burt stabilisce un patto con Harold: ognuno si sarebbe assicurato che l’altro sarebbe sopravvissuto.

Da questo patto nasce una forte amicizia; feriti entrambi in battaglia, vengono aiutati e curati da Valerie. Per trovare un occhio nuovo a Burt, i tre partono per Amsterdam, dove Valerie conosce un tale Paul Canterbury, commerciante di occhi di vetro (in realtà agente sotto copertura). Dopo un periodo di perfetta felicità tra i tre (ed amore tra Harold e Valerie), i tre si separano.

Ma con la morte sospetta del loro vecchio comandante Bill Meekins (Ed Begley Jr.) e di sua figlia Liz, le loro vite finiranno per incrociarsi nuovamente: i tre collaboreranno per risolvere il caso e per smascherare le cospirazioni di un misterioso gruppo chiamato “Il consiglio dei cinque”.

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Burt, Harold e Valerie ad Amsterdam. Fonte: Regency Enterprises, Dreamcrew, 20th Century Studios

Un patto per la vita

Pur incentrandosi su una trama a tratti tendente al crime, Amsterdam mantiene dei toni leggeri ed ironici. In particolare, alcuni personaggi vengono costruiti in maniera molto comica, quasi caricaturale, primo fra tutti Burt. Burt è un medico con un occhio di vetro ed un rapporto molto contrastante ed altalenante con la moglie Beatrice ed il suocero, un rispettabile medico di Park Avenue.  Burt ha una clinica per veterani, dove sperimenta, prima di tutto su sé stesso, nuovi farmaci spesso fallimentari. Molto ironica è anche la scena finale, ricca di suspense, in cui Burt, colpito e sotto effetto di alcune “strane gocce”, si distacca dalla realtà, in una sorta di monologo interiore.

Altra figura caricaturale è Libby Woze, moglie di Tom. Per quanto si comporti in maniera odiosa nei confronti di Valerie, risulta essere allo spettatore una figura quasi satirica.

La tematica principale di Amsterdam è l’amicizia che lega Burt, Harold e Valerie. I tre, dopo aver passato il periodo migliore della loro vita insieme in Europa, restano legati dal patto di proteggersi sempre, patto che mantengono anche dopo molti anni.

Una piccola curiosità: nelle prime scene del film Burt canta, o meglio avrebbe dovuto intonare, una breve canzone con Liz Meekins – interpretata dall’attrice e cantante Taylor Swift – in onore del padre. In un intervista al The Hollywood Reporter, Bale ammette di essere stato molto emozionato dal dover cantare con una tale pop star, che anche sua figlia rimase molto sorpresa dal fatto che lui dovesse cantare con la Swift.

Tuttavia, alla fine nel film, è solo Liz a cantare principalmente, in quanto anche il regista David. O. Russell notò come Bale offuscasse il talento della Swift.

Amsterdam
Gil Dillembeck e Burt. Fonte: Regency enterprises, Dreamcrew, 20th Century Studios

Amsterdam: un cast stellare e tante aspettative

Uno degli elementi che faceva di Amsterdam una pellicola molto promettente, sia riguardo gli incassi sia riguardo eventuali riconoscimenti, era la presenza di un cast d’eccezione. Oltre Christian Bale  (Vice) , John David Washington (Tenet, Malcom & Marie) ed un’affascinante Margot Robbie nei panni dei tre protagonisti, Burt, Harold e Valerie, vi sono molte altre le stelle del cinema in Amsterdam.

Il premio Oscar Rami Malek (Bohemian Rapsody) interpreta Tom Woze, mentre l’attrice e modella Anya Taylor Joy (Ultima notte a Soho, La regina degli Scacchi) interpreta Libby. Il fantastico Robert De Niro qui è nei panni del generale Gil Dillenbeck. In ruoli secondari abbiamo Zoe Saldana come Irma, l’infermiera, la nota cantante Taylor Swift come Liz Meekins, figlia del comandante Meekins, e Chris Rock nel ruolo di Milton, veterano amico di Burt e Harold.

Amsterdam risulta essere una pellicola con una sfumatura comica e piacevole da seguire, caratterizzata da personaggi ironici e performance interessanti. Ciononostante, non è esattamente il capolavoro che magari ci si aspettava con un cast di questo genere.

Ilaria Denaro

Martin Scorsese: il maestro dei maestri

Ogni forma d’arte, disciplina o sport presenta una o più figure di spicco che ormai nell’immaginario collettivo costituiscono dei veri e propri simboli.

Basti pensare a Michelangelo, Albert Einstein, Maradona: quando ci viene in mente uno di questi personaggi, ci si immedesima totalmente e con amore nel loro mondo grazie alle scoperte, ai capolavori e alle emozioni che ci hanno donato.

Tutto ciò accade anche quando viene pronunciato il nome di Martin Scorsese per quanto riguarda il cinema. Proprio per questo noi di UniVersoMe, in occasione del suo 79esimo compleanno, vogliamo rendergli omaggio andando ad analizzare tre dei suoi più grandi film.

Martin Scorsese – Fonte: cheatsheet.com

1) Taxi Driver (1976)

E’ la pellicola che segna l’ascesa del regista e di Robert De Niro. Come è noto, i due si conoscevano fin dai tempi dell’adolescenza essendo cresciuti per le strade di Little Italy a New York. Precedentemente avevano già lavorato insieme, ma è con Taxi Driver che entrambi sono riusciti ad esprimersi al massimo delle proprie potenzialità, grazie soprattutto alla fiducia reciproca. Potrebbe apparire come un concetto banale, quasi una frase fatta, ma la fiducia è in realtà il motivo principale in base al quale questo film è divenuto una pietra miliare della settima arte.

Facciamo degli esempi: l’iconica scena in cui il protagonista Travis (Robert De Niro) parla allo specchio, è stata improvvisata integralmente dall’attore stesso e ciò fu possibile in quanto Martin gli disse di recitare liberamente senza alcuna direttiva. Venne fuori la migliore interpretazione attoriale di De Niro dal 1985 a oggi.

Robert De Niro e Martin Scorsese sul set di Taxi Driver – Fonte: galerieprints.com

Nella scena in cui il tassista porta in macchina l’uomo gelosissimo della moglie, l’attore che avrebbe dovuto ricoprire il ruolo all’ultimo momento non riuscì a prendere parte alle riprese. Scorsese decise quindi di interpretarlo in prima persona basandosi solo ed esclusivamente su alcuni consigli di De Niro.

La fiducia che sta alla base di questo rapporto professionale ovviamente non è l’unico elemento distintivo di Taxi Driver: le innovative tecniche di ripresa introdotte dal regista, la celeberrima interpretazione di De Niro e l’impeccabile sceneggiatura la rendono una delle pellicole più belle della storia del cinema.

L’elemento clou di tutto il film si racchiude poi semplicemente nello sguardo finale del protagonista. (allarme spoiler!)

Dopo tutte le vicissitudini, i risvolti di trama e le lotti interiori di Travis, nella scena finale il tassista lancia una gelida occhiata che viene riflessa dallo specchietto retrovisore dell’auto.

Con quell’espressione De Niro non ci fa capire più nulla: non è chiaro infatti se Travis sia guarito o se dentro di sé nasconda ancora tutta quella violenza e che quindi sarà pronto nuovamente a compiere una carneficina (esattamente come in Shutter Island qualche anno più tardi).

2) Quei bravi ragazzi (1990)

Siamo davanti ad uno dei più grandi capolavori dei gangster-movies. Scorsese ha dato vita ad un’opera con la quale rappresenta gli aspetti più violenti della criminalità come se fossero momenti di vita quotidiana di un comune cittadino medio. Durante i vari crimini, infatti, è possibile notare come i protagonisti parlino del più e del meno, scherzino tra loro, cenino insieme alla propria madre mentre magari hanno un cadavere nascosto nel bagagliaio.

Vi sono diverse scene del film in cui il regista, con una serie magistrale di inquadrature e delle musiche ad hoc, riesce ad incantare lo spettatore facendolo immergere totalmente in ciò che sta accadendo nella pellicola (per esempio quando vengono presentati i bravi ragazzi).

Joe Pesci, Ray Liotta e Robert De Niro in una scena del film – Fonte: Warner Bros.

Scorsese esalta in maniera esponenziale anche i dettagli, un po’ alla Sergio Leone. Memorabile è a questo proposito la scena del taglio dell’aglio in carcere, che ormai è divenuta un tratto peculiare del film.

Il cast infine trasuda qualità da ogni poro grazie alle interpretazioni di Ray Liotta, Robert De Niro e Joe Pesci, quest’ultimo premiato con l’Oscar nel 1991 come migliore attore non protagonista.

3) The Wolf of Wall Street (2013)

Una delle pellicole hollywoodiane più spinte ed amate di sempre. La lussuria ed il capitalismo sono gli elementi portanti della trama.

Il regista tuttavia non si lascia intimorire dai temi che dovrà affrontare e parlerà per 3 ore di fila esclusivamente di droghe, sesso e soldi senza mai deviare il tiro, ma anzi decidendo di rincarare la dose.

Con un ritmo frenetico ed una serie di inquadrature alla Scorsese, è impossibile annoiarsi durante la visione.

Leonardo Di Caprio nei panni di Jordan Belfort – Fonte: 01 Distribution

L’interpretazione di Leonardo Di Caprio nei panni di Jordan Belfort è impeccabile: immedesimatosi completamente nel personaggio, l’attore dà vita in maniera elegante ad un uomo ossessionato dai soldi e dalle droghe, ma con un senso dell’umorismo molto forte che lo rende profondamente carismatico.  Insomma, un uomo che, anche se sostanzialmente truffatore, riesce a conquistarsi la simpatia del pubblico.

 

Fonte: nonsolofilm.it

Martin Scorsese è l’incarnazione del Cinema.

Non esistono aggettivi in grado di rendergli giustizia per definire quello che è riuscito a creare nel corso della sua carriera. Possiamo solamente dire: «Grazie Martin, a nome di tutti!»

Vincenzo Barbera

 

 

Sergio Leone: il regista che ha presentato l’Italia agli americani

Oggi avrebbe compiuto 92 anni uno dei più grandi registi della storia del cinema. Sergio Leone, considerato un trait d’union tra il cinema italiano e quello americano, ha diretto pellicole che non solo hanno stupito il grande pubblico, ma hanno influenzato registi d’altissimo calibro come Quentin Tarantino.

Noi di UniVersoMe andremo a comprendere come questo regista sia stato capace di dar vita ad un nuovo genere cinematografico e come abbia fatto a conquistare il pubblico internazionale.

Sergio Leone all’opera – Fonte: pinterest.com

La Trilogia del dollaro

La cosiddetta Trilogia del dollaro comprende i primi 3 film western del regista: Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto, il cattivo (1966).

Le tre pellicole narrano tre storie diverse tra loro. L’unico motivo per il quale vengono considerate parte di una trilogia è grazie alla presenza dell’Uomo senza nome (Clint Eastwood).

Per interpretare il ruolo del protagonista in Per un pugno di dollari, Sergio Leone aveva pensato ad attori del calibro di Henry Fonda e Cliff Robertson, ma in seguito ai loro rifiuti decise di ingaggiare un giovane – ed ancora sconosciuto – Clint Eastwood.

L’attore si rivelò uno dei punti di forza per il successo del film. Artefice di un’interpretazione magistrale caratterizzata da movimenti lenti e da un’unica espressione che rappresenta tutta la virilità del genere maschile, è diventato un’icona del western al pari di John Wayne.

Da qui cominciò la meravigliosa carriera di Clint Eastwood, star americana vincitrice di 5 premi Oscar scoperta e lanciata proprio da Sergio Leone.

Il regista decise di confermare l’attore anche per gli altri due film, facendogli interpretare lo stesso identico personaggio, ma introdusse altri protagonisti che condivisero alla pari la scena con Clint Eastwood. In Per qualche dollaro in più spicca il personaggio di Douglas Mortimer (Lee Van Cleef) che probabilmente è il cacciatore di taglie più elegante della storia.

Clint Eastwood e Lee Van Cleef in Per qualche dollaro in più – Fonte: comingsoon.it

Ne Il buono, il brutto, il cattivo vengono riconfermati i due interpreti precedenti e Leone ne aggiunge un terzo: Eli Wallach nei panni di Tuco Ramirez (il brutto) che incarna perfettamente il ruolo di un astuto farabutto sempre pronto a tradire dinnanzi al dio denaro, ma che in fondo al proprio animo nasconde una sensibilità infantile.

Le interpretazioni di questi attori restano celebri, ma il tocco da maestro di Leone sta proprio nell’aver saputo bilanciarle tra loro perfettamente, riuscendo a creare un equilibrio grazie al quale nessuno degli attori prevale sull’altro rubando la scena. Da segnalare anche la partecipazione di grandi attori italiani nei panni dei cattivi come Gian Maria Volontè e Mario Brega (forse il miglior caratterista italiano).

 

Spaghetti-western

La trilogia diede vita allo spaghetti-western, un genere cinematografico che ebbe molto successo in Italia tra gli 60 e 70, riportando il western in auge dopo un periodo di decadenza.

Tra gli elementi distintivi del genere spicca la figura dell’antieroe: un uomo privo degli attributi tradizionalmente riconosciuti agli eroi, ma protagonista di imprese portentose con atteggiamenti spesso rozzi e violenti.

Un altro elemento proprio di questo genere è sicuramente lo stallo alla messicana. Consiste in una situazione nella quale due o più persone (solitamente tre) si tengono sotto tiro a vicenda con delle armi, in modo che nessuno possa attaccare un avversario senza essere a propria volta attaccato.

Locandina del film Il buono, il brutto, il cattivo – Fonte: lacooltura.com

Sergio Leone lo ha introdotto per la prima volta nel cinema con Il buono, il brutto, il cattivo e da lì in poi numerosi registi lo hanno riproposto nelle proprie pellicole. Quentin Tarantino più volte ha dichiarato che proprio questo film fosse il suo preferito ed in numerosi film lui stesso ha messo in scena il famoso stallo alla messicana (ad esempio Le iene).

Stile

Sergio Leone – con delle inquadrature straordinarie – ci ha raccontato storie dalla trama non di certo innovativa nell’immaginario del vecchio West, ma che hanno riscosso un successo gigantesco grazie ai dettagli.

Il sigaro messo in bocca a Clint Eastwood è un tocco di classe che solo Leone poteva apporre.

L’attore non era un fumatore e non amava ovviamente tenerlo tra i denti; infatti, quando venne chiamato per girare il secondo film disse a Sergio: “Leggerò il copione, verrò a fare il film, ma per favore ti imploro solo una cosa, non mi rimettere in bocca quel sigaro!” ed il regista rispose: “E che vuoi lasciare a casa il protagonista?”. Geniale.

Clint Eastwood con il protagonista del film – Fonte: grossetonotizie.com

Il regista ha trasformato elementi inanimati in accessori che arricchiscono vertiginosamente la qualità dei personaggi e che hanno un ruolo centrale nelle storie (oltre al sigaro ricordiamo anche l’orologio con carillon in Per qualche dollaro in più).

C’era una volta in America (1984)

Dopo i film C’era una volta il West (1968) e Giù la testa (1971), Leone decise di prendersi una pausa dalla regia per dedicarsi all’attività di produttore.

Per 12 anni produsse diversi film: tra questi, anche molte commedie mediante le quali fece spopolare un giovanissimo Carlo Verdone con il quale stringerà una relazione profondissima, quasi come un rapporto padre-figlio. In questo arco di tempo Sergio Leone si dedica anche ad un progetto al quale pensava da tutta la vita: C’era una volta in America. Il film ha ricevuto il massimo dell’impegno da parte del regista (più di 10 anni solo per la fase di pre-produzione) anche se alla fine purtroppo non è stato apprezzato dal pubblico americano. Semplicemente perché non è stato ben compreso, dato che la produzione impose di ridurre la durata del film a soli 139 minuti; alla fine del primo montaggio si contavano ben 10 ore (oggi si sarebbe fatta una serie televisiva).

Robert De Niro in una scena del film – Fonte: umbria24.it

La pellicola non è classificabile all’interno di un genere cinematografico perché si trova di tutto: gangster, dramma, biografie, realismo, noir, ecc.

L’estro di Sergio Leone alla regia si identifica nel modo in cui ha rappresentato la virtuosità del tempo. Il regista gioca molto con gli sbalzi temporali ricorrendo all’uso dell’analessi e dell’ellissi, così da spiegarli senza annoiare lo spettatore.

Un altro punto di forza di questo capolavoro è sicuramente Robert De Niro, autore di un’interpretazione degna del suo nome. Grazie alle direttive di Sergio Leone, l’attore è riuscito ad incarnare il ruolo di Noodles, che può essere considerato da un punto di vista metaforico la personificazione della memoria: tutto il film si concentra sui ricordi di questo personaggio, il quale ci trasporta dentro il racconto esclusivamente con i suoi pensieri.

 

Sergio Leone ha fatto conoscere la nostra identità italiana agli americani. Con la Trilogia del dollaro ha riesaminato delle tematiche già trattate e ritrattate dalla vecchia Hollywood e le ha ripresentate secondo il suo punto di vista, innalzandone esponenzialmente la qualità. Con C’era una volta in America ha raccontato il senso del tempo ripercorrendo 40 anni di storia americana. Dai dettagli e dai particolari dei suoi film si coglie quel tocco in più che solo lui poteva dare e che lo rende unico nel suo stile.

Vincenzo Barbera

Alla scoperta degli Oscar: i 5 grandi esclusi

Se in Italia scoppiano polemiche per il festival di Sanremo, nel mondo intero le polemiche più accese scoppiano per gli Oscar.

Anche per quest’edizione sono state mosse diverse critiche nei confronti dell’Academy per una serie di esclusioni che hanno suscitato la disapprovazione di molti.

Mettiamo da parte il polverone per l’assenza di Greta Gerwig nella lista dei candidati per il miglior regista ed altri disordini che si sono creati andando a toccare temi ben più seri, come il razzismo o la parità dei sessi, e andiamo ad analizzare quelli che secondo me sono i 5 grandi esclusi dagli Oscar 2020, da un punto di vista puramente tecnico.

Fonte: Ciakclub.it

1.Robert De Niro

Robert De Niro a 76 anni è ancora tra i migliori attori in circolazione. Le sue performance in The Irishman e Joker hanno contribuito enormemente al successo delle due pellicole. Nel film di Scorsese, De Niro può essere considerato una sorta di Atlante, in quanto sostiene l’intero peso della narrativa fungendo da centro di collegamento tra eventi e personaggi in modo tale da ammaliare lo spettatore per 210 minuti.

Prima di iniziare le riprese di The Irishman, l’attore ha voluto rigirare insieme al regista delle scene di Quei bravi ragazzi (1990) così da entrare meglio nel ruolo del malavitoso e su quella base poi De Niro ha lavorato per costruire un nuovo personaggio, che incarna la perfetta evoluzione di quello precedente.

Robert De Niro in una scena di The Irishman – Fonte: meteoweek.com

In Joker la prova d’attore di De Niro è essenziale, innanzitutto ai fini della trama: l’attore recita nei panni di un personaggio di primaria importanza (il conduttore Murray Franklin). Inoltre, Joaquin Phoenix ha potuto tirare fuori il meglio di se proprio grazie alla sintonia creatasi con De Niro. Si può anche essere il Marlon Brando o il Jack Nicholson della situazione ma se il proprio partner non dà le battute correttamente, non entra nel personaggio o non vi è chimica tra i due, l’interpretazione logicamente ne risentirà e di conseguenza le scene non verranno mai alla perfezione.

Credo che Robert avrebbe meritato almeno una candidatura non tanto per la sua carriera – perché per assegnare un Oscar bisognerebbe sempre osservare le interpretazioni degli attori nell’ultimo anno –  ma proprio per il modo in cui ha creato i personaggi e per il lavoro svolto sui set.

2.Taika Waititi

Il regista Taika Waititi ha fatto un film dove è riuscito a spiegare cosa sia realmente il nazismo sbeffeggiandolo con esilarante ironia. Già in passato con Vita da vampiro- What We Do in the Shadows ha mostrato al grande pubblico di saper raccontare una storia in maniera diversa dagli standard cinematografici ai quali siamo abituati. Con Jojo Rabbit si è confermato come regista-innovatore e avrebbe di certo meritato una nomination come miglior regista per il magnifico lavoro svolto.

3.Il traditore

Rabbia, davvero tanta rabbia. La pellicola di Marco Bellocchio è andata vicinissimo alla nomination finale per aggiudicarsi il premio come miglior film straniero. L’interpretazione di Pierfrancesco Favino nei panni di Tommaso Buscetta è magistrale e la regia di Bellocchio celeberrima. Sinceramente credevo fortemente che questo film potesse riportare la statuetta in Italia, ma ahimè non sarà così. Mi sollevo perché, grazie a pellicole come Il traditore, so che il cinema italiano non è definitivamente morto ma ha ancora qualcosa da trasmettere.

Pierfrancesco Favino nei panni di Tommaso Buscetta nel film Il Traditore – Fonte: internazionale.it

4.Lupita Nyong’o

L’attrice messicana è la protagonista e l’antagonista del film Noi di Jordan Peele. Personalmente la pellicola non mi ha entusiasmato, ma l’interpretazione della Nyong’o si. La carriera dell’attrice è appena decollata e già vanta una serie di grandi film a cui ha preso parte (12 anni schiavo, due film di Star Wars, Blackpanther), i quali provano a conti fatti che vi sia del talento nella ragazza. La prova d’attrice in Noi le avrebbe dovuto concedere la possibilità di poter concorrere alla statuetta come miglior attrice protagonista per l’enfasi e l’intensità della sua interpretazione.

5.Spider-Man: Far from Home

Escluso dalla candidatura ai miglior effetti speciali. Non sono un grande fan dei film della Marvel, ma alcuni li guardo con piacere ed in Spider-man: Far from Home ci sono scene d’azione che mi hanno fatto divertire come un bambino a Disneyland. In particolare vi è una sequenza dove il protagonista combatte contro il supercattivo nel caos più totale e tali scene sono caratterizzate da una serie di effetti speciali realizzati in maniera impeccabile, che coinvolgono lo spettatore come se fosse sulle montagne russe.

Spider-Man: Far from Home – Fonte:cinematographe.it

Nel momento in cui si viene esclusi dal premio cinematografico più importante dell’anno ovviamente la delusione è tanta, ma alla fine l’obiettivo principale di tutti i membri del settore è quello di creare arte.

Il cinema è eterno, non può morire. Se non si portano a casa i premi poco importa. La cosa rilevante è far emozionare le persone, di farle quindi ridere, piangere, anche impazzire è lecito, e questi film o attori che non sono stati candidati lo hanno fatto egregiamente, dunque: chapeau.

 

Vincenzo Barbera

 

Alla scoperta degli Oscar: Joaquin “Joker” Phoenix

Joaquin Phoenix è il protagonista del film Joker diretto da Todd Phillips e candidato a ben 11 premi Oscar.

L’attore 45enne in passato ha già avuto modo di mostrare le sue potenzialità ed il suo grande talento con le interpretazioni del sadico Commodo nel Gladiatore (2000), del problematico Freddie Quell in The Master (2012) e del disagiato Abe Lucas in Irrational man (2015).

Locandina del film – Fonte: Amazon.it

Nascita e sviluppo del personaggio

Joaquin ha dichiarato: ”ho regalato a Joker tutta la mia pazzia” ed è il modo in cui gliel’ha donata a farci innamorare del personaggio. Per adattarsi maggiormente al ruolo ha dovuto perdere circa 23 kg in pochi mesi, nutrendosi con una mela al giorno e saltuariamente con della lattuga o dei fagiolini al vapore. La dieta lo ha portato ad isolarsi, in quanto l’attore si è barricato in casa evitando di uscire con gli amici e di accendere la televisione così da non vedere del cibo, che avrebbe incrementato esponenzialmente la sua fame. Questo lo ha certamente favorito nell’immedesimazione nella parte del sociopatico Arthur Fleck.

Nel corso del film assistiamo ad una lenta ma costante evoluzione del personaggio, che già dall’inizio sappiamo essere destinata a culminare con l’entrata in scena del Joker. Ed è proprio questo viaggio verso la follia ad interessare realmente lo spettatore. L’attore è riuscito a manifestare il disagio di un uomo tramite piccole azioni, probatorie delle profonde problematiche di Arthur Un esempio emblematico è lo sguardo assunto dal protagonista quando ride in maniera incontrollata, che trasmette tutta la disperazione ed il malessere del personaggio semplicemente con gli occhi.

La chimica tra attore e regista

Per creare la sua ormai iconica risata ci sono voluti mesi di prove durante le quali Phoenix invitava il regista Todd Phillips nella propria abitazione mostrandogli i progressi del lavoro svolto.

Todd Phillips e Joaquin Phoenix sul set del film – Fonte: mondofox.it

Il rapporto instauratosi tra i due è il motivo principale del successo di questa pellicola (la quale ha incassato la cifra monstre di 1,068 miliardi di dollari). Al loro primo incontro il regista disse: “Arthur è una di quelle persone che hanno la musica dentro”. L’attore ha colto in pieno le sue parole in quanto nella scena in cui si ritrova dentro un bagno pubblico, dopo aver commesso un crimine terribile, comincia a danzare. Inizialmente il protagonista doveva solo guardarsi allo specchio, ma grazie all’improvvisazione di Joaquin Phoenix – e alla fiducia concessagli dal regista – possiamo assistere a questa sequenza che ci mostra un mutamento radicale della personalità di Arthur.

Divergenze tra star hollywoodiane

Sul set vi sono state delle tensioni tra l’attore protagonista e Robert De Niro (nel ruolo del conduttore Murray Franklin)  che certamente non hanno favorito un clima sereno durante le riprese. In sintesi De Niro voleva effettuare una lettura dell’intero copione con tutti i membri del cast, ma Joaquin si rifiutò di partecipare alla riunione per concentrarsi al meglio sul personaggio. Dopo una serie di botta e risposta fu Phoenix stesso a cedere alle pretese di De Niro, quindi prese parte alla seduta dove si mise in un angolo a fumare non prestando particolare attenzione allo svolgimento della stessa e pronunciando svogliatamente le proprie battute.

Gli attori in seguito hanno dichiarato di aver risolto qualsiasi incomprensione, ma di certo un sottile livore tra i due c’è stato. Le due stelle del cinema sono state molto abili a trasmettere tutto l’astio e le avversità, provate in prima persona l’uno nei confronti dell’altro, in una delle scene più importanti dell’intera pellicola, ovvero quando Joker e Murray discutono animatamente. Durante il dibattito gli interpreti ci incantano creando uno stato di ansia che cresce battuta dopo battuta al punto tale da farci credere di essere presenti tra il pubblico del talk show.

Robert De Niro e Joaquin Phoenix nel film – Fonte: ilgrigio.net

Differenze con gli altri Joker del passato

Molteplici paragoni sono stati effettuati tra i Joker interpretati da Joaquin Phoenix,  Heath Ledger e Jack Nicholson. Stabilire chi tra questi sia stato il migliore, molto semplicemente, non è possibile.  Sono 3 personaggi che hanno conquistato il pubblico grazie alle eccelse interpretazioni dei rispettivi attori, i quali hanno utilizzato metodi differenti per la loro creazione.

Heath Ledger ha donato al proprio Joker tutto il suo istinto e forse un principio di reale follia, vista l’esasperata preparazione che ha dovuto affrontare. A livello introspettivo il personaggio del compianto attore non ha eguali.

Jack Nicholson si è giocato tutto sulla mimica facciale, riuscendo a creare il Joker più carismatico della storia.

Joaquin Phoenix invece è riuscito a trovare il perfetto bilanciamento tra tecnica e sentimenti. Ciò ha permesso di far emergere tutta l’umanità di un personaggio talmente matto e imprevedibile da sembrarne sprovvisto.

La cura per i dettagli e la capacità di rievocare forti emozioni provate durante la propria vita hanno permesso all’attore di creare questo fantastico personaggio e di confermarsi come uno dei migliori interpreti a livello mondiale, aggiudicandosi il Golden Globe come miglior attore drammatico e l’Oscar come miglior attore protagonista, oltre a numerosi altri premi.

Insomma, possiamo dire che la prova attoriale di Joaquin Phoenix sia stata molto apprezzata e che ci sia stato un giudizio unanime della critica e del pubblico a riguardo: un connubio non da poco, visto il grande successo della pellicola sia tra gli addetti ai lavori che come incassi.

Ecco il video della proclamazione e del discordo dell’attore alla cerimonia degli Oscar 2020 (fonte: youtube.com)

Vincenzo Barbera