TEDX Messina 2023: Kintsugi – Il valore di una storia

Sulle rive dello Stretto è tornato il TEDX ed io, grazie ad UniVersoMe, ho avuto la possibilità di assistere ad un evento di rilevanza sul piano internazionale.

L’edizione del TEDX Messina si è svolta il 15 Aprile all’interno del Cortile Ulisse della stazione centrale di Messina, una location insolita messa a disposizione da Rfi (Rete Ferroviaria Italiana) (prestigioso main partner dell’evento), che ha dimostrato grande sensibilità verso i temi dell’innovazione e della creatività intesi come motori della crescita dei territori.

Cos’è il TEDX?

Il TED (Technology Entertainment Design) è un evento nato nella Silicon Valley nel 1984 e divenuto nel 1990 una conferenza annuale, principalmente dedicato ad Tecnologia e design per poi includere nella sua sfera di competenza il mondo scientifico, culturale ed accademico.

L’obiettivo degli  eventi targati Ted è condividere “Ideas worth spreading” (idee che vale la pena di diffondere) grazie ovviamente ad ospiti d’onore e ad interventi altrettanto eccezionali. L’evento avvenuto a Messina è il Tedx, ovvero una serie di conferenze organizzate in maniera indipendente ma su approvazione del Ted.com, nel rispetto di alcune condizioni in modo da permettere alle idee di diffondersi ed ispirare cambiamenti in località di tutto il mondo. Tra gli speaker più celebri, il TED ha ospitato l’ex presidente degli USA Bill Clinton, il cofondatore di Wikipedia Jimmy Wales  e i cofondatori di Google Sergey Brin e Larry Page. 

La “rinascita” al centro di quest’edizione

Il pubblico del Tedx

Il tema al centro di questa edizione è il Kintsugi, ovvero l’arte giapponese di riparare oggetti rotti dando loro una nuova vita e rendendoli più forti ed unici.

Gli speaker in questa occasione hanno raccontato le cicatrici e crepe della loro vita, nonché del percorso che hanno compiuto affinché non fossero più qualcosa da cui fuggire e nascondersi, bensì qualcosa da portare con vanto e in bella mostra perché testimoni delle avversità affrontate e superate. Al centro delle esperienze narrate dagli speaker c’è anche Messina, dalla quale si sono allontanati e in qualche caso partendo proprio dalla Stazione Centrale in cui si è tenuto l’evento, nel segno di un territorio che probabilmente ha qualcosa di rotto ma che cerca di capirsi ed apprezzarsi per poter unire quei cocci e risplendere nella sua unicità.

Gli speaker dell’evento

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A dare il via all’evento è stata Barbara Labate; nata a Messina, è fondatrice e CEO di ReStore, azienda leader in Italia nell’e-commerce (spesa online) per la grande distribuzione (GDO). È stata inclusa per due volte tra le 50 “Donne in tech” di maggiore ispirazione in Europa e nel 2020 è stata premiata dal Presidente della Repubblica Mattarella per il Premio Nazionale per l’Innovazione in Italia.

Nel suo talk dal titolo “Vita, Morte e soprattutto miracoli di una startup” ha raccontato con una vena ironica il suo percorso da imprenditrice nel settore delle nuove tecnologie, con le difficoltà  legate alla nascita di una start-up. La pandemia ha dato una grossa spinta economica all’azienda di Barbara che ha assunto un importante ruolo sociale, portando la spesa a casa di chi non poteva uscire dalla propria abitazione.

Anche Francesco Musolino, giornalista messinese e scrittore proposto al Premio Strega 2023 con il romanzo noir Mare Mosso, ha parlato di ferite e del percorso che lo ha portato all’accettazione del dolore come elemento insito nel ciclo delle cose e come questa consapevolezza gli abbia permesso di capire che vivere come un granchio (al riparo grazie al suo guscio) non elimini il dolore, ma ne ritardi solo la venuta.

Interessante è stato lo speech di Chiara di Maria, responsabile della Circoscrizione Sicilia di Amnesty International, che con il suo talk dal nome “Attivista per i diritti umani o supereroe?”  ha sottolineato che per capire l’importanza dei diritti umani è necessario cambiare la nostra scala valoriale.

Andrea Sposari, street artist, con il suo talk dal titolo “Se solo fossimo più egoisti” ha raccontato come con il muralismo trasforma le cicatrici dei nostri territori in punti di partenza per la loro riqualificazione. Secondo Andrea, essere egoisti non è sempre da condannare, anzi, curare il proprio territorio poiché lo si sente proprio porta benefici a tutta la comunità.

Toccante e d’ispirazione è stato il talk di Nadia Bala dal titolo “Volere è potere“. Nadia ha raccontato la sua storia, quella di una ragazza piena di sogni ed obiettivi che a causa di una malattia congenita rara ha visto tutta la propria crollare. Tuttavia, grazie ad un percorso psicologico Nadia ha ripreso in mano la sua vita e ha realizzato i suoi sogni, diventando mamma ed indossando la maglia azzurra del sitting volley. Nadia ha dimostrato che le cicatrici possono emanare una luce potentissima.

Cosa mi è rimasto?

Per riprendere una frase citata al TED ed attribuita a Winston Churchill, «Mai sprecare una buona crisi». Forse dalla sofferenza e dalle cicatrici può davvero nascere qualcosa di nuovo e di luminoso.

Giuseppe Calì

 

Il “Villaggio Svizzero” di Messina

Tutta la popolazione dello Stretto di Messina, ancora oggi, ha memoria del catastrofico sisma, avvenuto alle prime luci del mattino -05:21- del 28 dicembre 1908. Il terremoto, con una magnitudo di 7.1, fece vibrare per trenta interminabili secondi la terra e rase al suolo l’omonima città dello Stretto e in parte anche Reggio Calabria, causando centinaia di migliaia di morti.

Le vie di Messina dopo la catastrofeFonte: storia.redcross.ch

Il sostegno della Svizzera

Di fronte a questo spettacolo raccapricciante di morte, distruzione e disperazione, tutta l’Italia -e non solo- si mobilitò per soccorrere i popoli colpiti. Un aiuto, rimasto indelebile nella memoria dei cittadini, fu quello dato dalla Svizzera, che, non appena giunta la notizia, il 2 gennaio 1909 lanciò una raccolta fondi nazionale per aiutare la loro “nazione amica” rivolgendo al popolo svizzero il seguente appello tramite la stampa:

«In presenza di un simile disastro, la Svizzera non può rimanere inattiva. La nostra vicina, l’Italia, alla quale ci accomunano la lingua, l’industria e tanti legami intellettuali, deve sapere in quale misura il nostro popolo intero partecipa alla sventura che la colpisce in modo tanto brutale e terribile.» 

Poche settimane dopo giunsero così alle due città dello Stretto denaro, viveri, coperte, kit medici, cioccolata e abbigliamento.

Fonte: mutualpass.it

La nascita del “Villaggio Svizzero”

Il sostegno più importante però non si limitava ai beni di prima necessità. Grazie ai fondi inviati dalla Croce Rossa Svizzera e al contributo dell’ingegnere Spychiger, di origini svizzere ma residente in Calabria, furono costruite 21 case di legno a Messina su dei terreni che il governo italiano mise a diposizione in maniera gratuita. Queste erano ispirate al modello degli chalet svizzeri, coi tetti spioventi e costruite secondo criteri antisismici; nonostante fossero di piccole dimensioni, offrivano a chi le abitava tutto ciò di cui avevano bisogno.

Le casette bifamiliari erano di due tipi: il primo, previsto per la campagna, comprendeva quattro camere e due cucine, mentre il secondo, di stile borghese, era costituito da otto camere e due cucine e all’esterno vi erano anche delle piccole aree verdi.

Così nacque il Villaggio Svizzero”, che diede un barlume di speranza a circa 30 famiglie messinesi.

La Croce Rossa Svizzera aveva dettato una sola e inviolabile condizione: “le case non diventino oggetto di traffico, ma siano proprietà gratuita di quelli che hanno perduto la loro casa nella catastrofe”.

Lo chalet Rütli di Messina – Fonte: storia.redcross.ch

L’altra faccia dello Stretto: Reggio Calabria

Anche l’altra città dello Stretto Reggio Calabria cercò di risollevarsi dalla distruzione causata dallo stesso sisma; gli aiuti ricevuti furono preziosi tanto quanto lo erano stati per Messina.

La stessa Croce Rossa Svizzera avviò nel febbraio 1909, la costruzione di 16 chalet uguali a quelli fabbricati nella vicina Messina. Le abitazioni occupavano un’area di quattrocento metri quadrati, con un giardinetto attorno; erano bifamiliari, a due piani, con una scaletta esterna e con le ante delle finestre decorate con cuoricino.

Ad ogni chalet, i donatori svizzeri assegnarono un nome: Guglielmo Tell, Altdorf, Jungfrau, Sempione, San Gottardo, Cervino, Spluga, Sentis, Reno, Rodano, Keller, Pestalozzi, Haller.

La strada dove vennero poste queste case, venne denominata “Via dei Villini Svizzeri”. Entrambi i “villaggi Svizzeri” accolsero in totale 74 famiglie, ridando a circa 400 persone, un tetto sulla testa.

Le maestranze svizzere insieme all’ingegnere Spychiger a Reggio Calabria – Fonte: storia.redcross.ch

La via Svizzera e il “Villaggio Svizzero” oggi

L’intervento della Croce Rossa Svizzera nella zona terremotata di Messina si concluse nel novembre 1909.

Nonostante sia passato più di un secolo dal sisma e ormai di quelle casette costruite sia rimasto ben poco a livello materiale, l’aiuto svizzero non è mai stato obliato; ancora oggi, la zona -all’incrocio fra il viale Giostra e il viale Regina Elena- in cui sorgevano le abitazioni è chiamata “Villaggio Svizzero” e via Svizzera è denominata la strada che la attraversa.

 

                                                                                                                                                                              Marika Costantino                      

 

Fonti:

mutualpass.it/la-svizzera-a-messina

storia.redcross.ch/il-terremoto-di-messina

strill.it/la-storia-dei-qvillini-svizzeri

Museo di Messina: l’Italia è fatta, adesso bisogna fare gli Italiani

Il sabato scorso, dopo mesi e mesi di attesa trepidante, ho finalmente potuto varcare la soglia della sede definitiva del Museo Regionale di Messina, che dalle 20:30 alle 22:30 apriva i suoi battenti gratuitamente al pubblico: la prima apertura completa della struttura museale, a distanza di oltre cento anni dalla sua nascita. Insieme a me una folla notevole (lascio ai contabili del giorno dopo la stima dei numeri, per me erano e resteranno sempre “chio’ssai d’i cani i Brasi”, come si dice a Messina) composta da gente di ogni età, ceto e condizione sociale accorsa da tutta Messina e anche da fuori, anche a seguito della notevole campagna pubblicitaria che questa volta ha coinvolto anche le reti televisive nazionali.

Nel mio personale sentire, il Museo Regionale di Messina, fin dalle prime volte in cui lo visitai da piccolo, è sempre stato un luogo speciale, quasi sacro. Uno scrigno della memoria, come ebbi modo di scrivere in un articolo in occasione della apertura parziale di Dicembre. Un grande tempio laico dedicato a Messina. Mi piace pensare che nessun altro museo al mondo possa vantare una storia simile, anche se forse non è così. La sua storia si intreccia indissolubilmente con quella del Terremoto del 1908: prima era poco più che una pinacoteca comunale sorta dal confluire di collezioni private.

Poi accadde il disastro, e secoli interi della storia e del patrimonio artistico di Messina furono cancellati dalla faccia della Terra. Il moderno Museo Regionale nasce da quelle macerie, dal lavoro paziente di tanti messinesi che si misero a frugare in quelle rovine, a tirarvi fuori tutto ciò che potesse avere un qualche valore storico e artistico, ed ad ammucchiarlo, accatastarlo nella antica sede del convento del SS. Salvatore dei Greci, dove si trovava la filanda Barbera-Mellinghoff, che per tanti anni ne è stata la sede provvisoria. Il loro sogno era che un giorno tutto potesse tornare a vivere, che la antica Messina dei secoli d’oro, la Messina che il terremoto aveva sfregiata, distrutta, annichilita, potesse in parte tornare a esistere. Melior de cinere surgo: come l’araba fenice, anche Messina con la sua storia e la sua cultura sarebbe un giorno risorta dalle sue ceneri.

Ci sono voluti oltre cento anni affinché questo sogno divenisse realtà. Oggi, finalmente, Messina ha il suo Museo Regionale. Un percorso espositivo unico, fra i più estesi del Meridione, in grado di raccontarci secoli di storia: dalla Zancle greca al Medioevo arabo-normanno, dal Quattrocento della Scuola fiamminga e di Antonello fino al Rinascimento, Montorsoli, Calamech, Polidoro Caldara, Alibrandi, allievi di Michelangelo e Raffaello. E poi il seicento, Caravaggio e i caravaggeschi, gli splendori del barocco, gli argenti e i marmi a mischio del Settecento, la lenta decadenza dell’Ottocento. Un viaggio nella storia di Messina dalle origini ai giorni nostri attraverso i suoi capolavori più belli e preziosi. 

Insomma, l’Italia è stata fatta (e finalmente, aggiungerei). Adesso, però, si devono fare gli Italiani. L’apertura completa del Museo Regionale è senza dubbio un traguardo: ma deve essere il primo di una lunga serie. Un Museo così grande e importante come quello che ha appena aperto le sue porte rappresenta una risorsa invalutabile per quello che è e che sarà il turismo culturale nella Città dello Stretto e nei suoi dintorni. Non può né deve permettersi di restare confinato al margine della sua vita sociale; deve, al contrario, rivendicare orgogliosamente il ruolo e la posizione di fulcro, di guida e di punto focale per la rinascita culturale della città. 

Questa nuova apertura pone dunque alla direzione grandi responsabilità, apre nuovi orizzonti e offre nuove sfide. Una ad esempio potrebbe essere quella di porre il Museo, da sempre in una posizione periferica rispetto al centro storico, nel posto che si merita all’interno dei già ridotti circuiti turistici della città. La stagione estiva è alle porte, visitatori e croceristi cominciano timidamente ad affollare le vie del centro; se già adesso è difficile che si spingano oltre il “triangolo magico” incluso fra Piazza Duomo, l’Annunziata dei Catalani e Palazzo Zanca, e forse del Museo Regionale ignorano persino l’esistenza, chi li porterà fino al Torrente Annunziata per vederlo?

Insomma, il lavoro è appena cominciato e servirà un rinnovato impegno, e la formazione di nuove sinergie con il Comune e con gli enti pubblici, affinché il nuovo Museo possa sviluppare in pieno le sue potenzialità benefiche per l’intera città di Messina. A noi visitatori resta la speranza che la recente apertura completa si riveli non un comodo letto di allori su cui sdraiarsi a riposare, ma la prima tappa di un lungo percorso di rinascita: un percorso che abbia come obiettivo finale la riscoperta, agli occhi dei messinesi e del mondo intero, di Messina e della sua bellezza. 

Gianpaolo Basile

Ph: Giulia Greco

Sebbene la primavera

Il sole accarezza le mie palpebre che piano piano si sbarrano per accogliere quell’infuocato, quanto fastidioso, spiraglio di luce che fuoriesce dalla tapparella.

Con la mano a penzoloni cerco di avvicinarmi al cellulare poggiato sul comodino per sapere che ora sia; sbuffo: mancano due minuti prima che suoni la sveglia.

Con fatica, scosto le coperte dentro cui mi avvolgevo fino a qualche secondo prima, e mi precipito in cucina per preparare una tazza di caffè, che spero mi aiuti nel risveglio.

Sarà questo calore che mi sembra di avvertire guardando oltre la mia finestra, o forse il cielo azzurro senza nessuna macchia bianca, o forse ancora gli uccellini che sento cinguettare da lontano, non so perché esattamente, ma avverto una sensazione di rinascita questa mattina.

Mi scappa un sorriso.

Penso che l’aria della primavera stia facendo sbocciare in me nitidi ricordi, che subito si impossessano della mia mente, in balia fra emozioni e profumi.

Il caffè: ne sento l’odore, come quando mi svegliavo con un bacio e la colazione mi era servita su un vassoio della stessa tonalità delle lenzuola.

Una nostalgica trepidazione si impossessa dell’allegria che una nuova bella giornata sembrava avermi portato.

  • “Ehi, buongiorno!” – sento alle mie spalle.
  • “Anche a te! Vuoi del caffè?”
  • “No, io lo prendo in ufficio con gli altri colleghi.”

Abbasso lo sguardo come per acconsentire; verso il caffè nella mia tazza e faccio per andarmene in giardino.

  • “Dove vai?”
  • “C’è una bella giornata, non voglio che diventi brutta”

Mi siedo sotto il gazebo che avevamo montato qualche tempo prima, ripromettendoci che nelle giornate più calde avremmo mangiato lì sotto.

L’inverno aveva portato nel nostro nido solo sfascio e rovina, e ci aveva fatto dimenticare anche quanto fosse bello condividere degli stupidi pasti. Quel vaso, poggiato sul tavolo, sfoggia ancora il fiore marcio di mesi prima: ha resistito ai venti più forti, alle giornate più rigide e alle piogge più violente; ora è immobile, deturpato, quasi morente e niente, ormai, è in grado di rianimarlo.

Sebbene la primavera fuori, dentro è tutto appassito.

 

Jessica Cardullo