Oggi la presentazione del Rapporto di Ricerca: “Turismo delle radici e promozione all’estero dei prodotti agroalimentari italiani. Un focus sul settore olivicolo oleario”

Oggi, alle ore 15.00, si terrà un seminario per la presentazione del Rapporto di Ricerca intitolato “Turismo delle radici e promozione all’estero dei prodotti agroalimentari italiani. Un focus sul settore olivicolo oleario”, presso l’Aula Magna del Rettorato in Piazza Pugliatti. L’evento si inserisce nel contesto delle celebrazioni dell’Anno del Turismo delle Radici, proclamato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Rappresenta, inoltre, un’importante occasione per confrontarsi sulle strategie di promozione internazionale dei prodotti agroalimentari italiani, con un’attenzione particolare al settore olivicolo e oleario, e per approfondire il ruolo del turismo delle radici nel valorizzare e commercializzare le eccellenze italiane all’estero.

Origine e scopo della ricerca

La ricerca mira ad indagare sul fenomeno della promozione delle produzioni agroalimentari italiane all’estero, ma anche sull’interesse delle attività olivicole dal punto di vista turistico e, in particolare, dal punto di vista di coloro che hanno legami profondi con l’identità culturale italiana. A tal proposito, giocano un ruolo determinante i turisti delle radici, ovvero emigrati e loro discendenti che vogliono ricongiungersi con la terra d’origine propria o della famiglia durante le vacanze.  L’idea di approfondire questi fenomeni nasce da una riflessione che i dati dell’ Enit-Agenzia Nazionale del Turismo hanno alimentato. Il 30% del turismo delle radici, equivalente a circa 3 milioni di viaggiatori, copre infatti un target che va dai 25 ai 34 anni (25,7%) e dai 55 ai 64 anni (24%). Ciò genera un indotto economico di interesse che si stima abbia mosso oltre 4,2 miliardi di euro nel 2021.

L’evento

Organizzato dal Consorzio Messina Tourism Bureau (Università di Messina e Città Metropolitana di Messina), l’evento è aperto a tutti gli studenti e le studentesse universitarie, nonché a docenti universitari, istituzioni locali e metropolitane, cultori delle discipline turistiche ed enogastronomiche, professionisti e operatori turistici, produttori e imprenditori della filiera corta, e a tutti coloro che operano nel settore delle aree rurali. Ad illustrare il rapporto saranno il Prof. Carlo Vermiglio dell’Università di Messina e coloro che hanno realizzato la ricerca: la Prof.ssa Sonia Ferrari e la Dott.ssa Tiziana Nicotera dell’Università della Calabria, e la Dott.ssa Gabriella Lo Feudo del CREA. I lavori saranno infine moderati dall’Avv. Gaetano Majolino, presidente del Consorzio, mentre le conclusioni affidate al Prof. Filippo Grasso dell’Ateneo Peloritano.

Locandina dell’evento, fonte: unime.it

Antonino Nicolò

Pancreas, i macrofagi Tam alimentano la crescita del tumore

Il tumore è una patologia nella quale si osserva una massa di tessuto che cresce di dimensioni in maniera scoordinata, senza garantire l’omeostasi e che continua a crescere nonostante lo stimolo che lo ha indotto cessa di esistere. In particolare, il tumore al Pancreas è uno dei più aggressivi e letali. Uno studio recente ha però scoperto il ruolo di alcuni macrofagi che, invece di annientare le cellule tumorali, promuovono la loro crescita.

  1. Cos’è il pancreas?
  2. Il succo pancreatico e gli ormoni secreti dal pancreas
  3. Perché il tumore al pancreas è spesso letale?
  4. I macrofagi Tam
  5. La scoperta rivoluzionaria

Cos’è il Pancreas?

Il pancreas è una grossa ghiandola accessoria dell’apparato digerente. Questo insieme di visceri è deputato alla digestione, all’assorbimento e all’espulsione del materiale di scarto attraverso le feci. Il pancreas è deputato alla formazione del succo pancreatico, cioè una miscela costituita da enzimi, acqua, elettroliti e ioni bicarbonato. Queste sostanze potranno essere prodotte dalle sue unità morfo-funzionali, dette acini, le quali potranno poi riversare il loro contenuto in un condotto che potrà poi unirsi al coledoco nella sua porzione finale, cioè una struttura che convoglia la bile secreta dal fegato e immagazzinata nella cistifellea. A seguito della fusione, sboccheranno nell’Ampolla di Vater, la cui apertura verrà finemente regolata grazie allo sfintere di Oddi.

Morfologia del pancreas. Fonte

Il succo pancreatico e gli ormoni secreti dal pancreas

Nel succo pancreatico troviamo enzimi come la tripsina, la carbossipeptidasi, la chimotripsina, l’amilasi pancreatica e le varie lipasi. Questi aiuteranno nella digestione di alcune macromolecole, cioè proteine, carboidrati e lipidi. Gli elettroliti, l’acqua e gli ioni bicarbonato invece aiutano a rendere più basico il duodeno, la prima porzione dell’intestino tenue nella quale sbocca il succo pancreatico mediante lo sfintere di Oddi. Questa ghiandola però è eccezionale. Infatti, non ha solo la capacità di aiutare la digestione secernendo enzimi – detta funzione “esocrina” – ma ha anche una funzione “endocrina”. Una ghiandola endocrina secerne ormoni direttamente nel circolo sanguigno. Per cui, oltre la porzione esocrina data dagli acini, avremo quella endocrina data dalle Isole di Langerhans. Vengono dette “Isole” perché sono sparse ed immerse tra gli acini. Queste sono costituite da varie cellule con capacità secernente diverse; in particolar modo, il pancreas secerne insulina, glucagone, somatostatina e il polipeptide pancreatico.

Perché il tumore al pancreas è spesso letale?

Il pancreas è quindi una ghiandola anficrina, cioè capace di secernere sia in maniera esocrina che endocrina. Questo ci fa capire il motivo per cui un tumore e quindi una perdita delle sue unità morfo-funzionali sia potenzialmente letale. A questo, bisogna aggiungere la resistenza alle terapie farmacologiche e ai sintomi spesso carenti o del tutto assenti che rallentano la velocità della diagnosi.

I macrofagi Tam

I macrofagi sono le cellule del sistema immunitario deputate alla difesa del nostro organismo. In particolar modo, queste si occupano della eliminazione di agenti patogeni, distruggere cellule infette e le minacce esterne. I tumori sono però capaci di poter modificare l’ambiente biologico a proprio favore. A volte, sono capaci di modificare i target del sistema immunitario e favorire quindi la proliferazione tumorale. Infatti se presenti in gran numero i macrofagi Tam, cioè “macrofagi associati al tumore”, abbassano drasticamente la possibilità di sopravvivenza del soggetto e alzano la probabilità di resistenza ai trattamenti. In questo modo, favoriamo anche il processo metastatico.

Come appare un macrofago al microscopio. Fonte

La scoperta rivoluzionaria

L’eterogeneità dei Tam e la loro complessità di interazioni con il microambiente che li ospita rende la ricerca estremamente difficile. Ancora una volta, la ricerca italiana fa luce su questo problema e potrebbe aver trovato la chiave per poter affrontare uno dei tumori più aggressivi. La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Nature, una delle più prestigiose nell’ambito della ricerca, dall’Istituto San Raffaele di Milano, in collaborazione con l’Istituto Telethon di terapia genica, l’Università Vita e Salute, le Università di Torino e Verona, l’Istituto francese per la sanità e la ricerca medica (Inserm), il centro di ricerca Biopolis di Singapore e l’Università di Shanghai. Il team, gestito da Renato Ostuni, Professore associato all’Università Vita-Salute San Raffaele che ha guidato la ricerca, ha identificato i macrofagi possibili responsabili del circolo vizioso autoalimentato. “Oltre a essere caratterizzato da un sistema immunitario compromesso che limita l’efficacia anche delle più avanzate immunoterapie, il tumore del pancreas presenta una forte componente infiammatoria. Ciò è particolarmente rilevante poiché l’insorgenza di danni ai tessuti – e le risposte infiammatorie che ne conseguono, quali le pancreatiti – sono noti fattori di rischio per lo sviluppo neoplastico”, riporta Renato Ostuni. Infatti, queste cellule svolgono una duplice funzione: promuovono il rilascio di alcuni fattori che inducono lo sviluppo e l’attivazione di altri macrofagi  e promuovono l’infiammazione. Inoltre, lo studio ha anche evidenziato come queste cellule, localizzate nei pressi delle cellule tumorali infiammate, possano ulteriormente aiutare nella progressione della malattia formando con loro tante piccole nicchie. Questo studio rappresenta il primo passo verso la cura nonchè una grande vittoria della Ricerca Italiana.

Dario Gallo

Bibliografia:

Cancro al Pancreas: Scoperta Italiana Promettente (microbiologiaitalia.it)

Tumore del pancreas, studio italiano fa luce sul meccanismo di crescita – la Repubblica

Neoplasia – Wikipedia

 

Il ”nuovo” gruppo sanguigno Er: una scoperta iniziata nel 1982

Scoprire un nuovo gruppo sanguigno è importante perché, in questo modo, è possibile effettuare correttamente molte diagnosi. Il gruppo sanguigno più recentemente scoperto è stato quello denominato Er e gli studi su di esso hanno avuto inizio nel lontano 1982 a carico dei ricercatori dell’NHS Blood and Transplant e dell’Università di Bristol. 

Indice dei contenuti

  1. I gruppi sanguigni, gli antigeni e gli anticorpi
  2. Il  nuovo gruppo sanguigno
  3. Perché è importante distinguere i gruppi sanguigni?
  4. L’importanza della scoperta

I gruppi sanguigni, gli antigeni e gli anticorpi

I gruppi sanguigni sono delle componenti ereditarie e si identificano grazie agli antigeni presenti sulla superficie dei globuli rossi. Il Sistema AB0 è il più importante tra i 38 sistemi di gruppi sanguigni umani, ed è composto da quattro gruppi (A, B, AB, 0) a seconda che venga rilevato l’antigene A, il B, entrambi o nessuno.
Gli antigeni sono molecole riconosciute estranee dal nostro organismo. Esse provocano l’attivazione del sistema immunitario, con conseguente formazione di anticorpi destinati  al sangue o ai tessuti.
Gli anticorpi, detti anche immunoglobuline, sono invece delle proteine prodotte dai linfociti B nella loro forma matura di plasmacellule, in grado di combinarsi con una porzione dell’antigene, l’epitopo,  nel corso di una reazione immunitaria. Essi svolgono, infatti, una funzione protettiva nei confronti dell’organismo.

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Il nuovo gruppo sanguigno

La scoperta del gruppo Er  è dovuta a tre nuovi antigeni che non corrispondono a quelli che distinguono i quattro gruppi sanguigni già noti del sistema AB0.
Gli studi hanno avuto inizio quando, durante una gravidanza, due neonati morirono di morte cerebrale. La morte era causata, secondo i medici, da una incompatibilità tra il gruppo sanguigno della madre e quello, appunto, del neonato. Infatti, tale incompatibilità si verifica quando una madre Rh negativa partorisce un figlio Rh positivo come il padre.
Successivamente, il team di ricercatori dell’NHSBT del Regno Unito ha analizzato il sangue di 13 pazienti. Sono stati così identificati cinque varianti degli antigeni Er: Er a, Er b, Er 3, Er 4 e Er 5.
Sequenziando il codice genetico dei pazienti, il team è stato in grado di individuare il gene che codifica per le proteine della superficie cellulare.
Il gene preso in considerazione è il PIEZO1. Questo codifica per una proteina che aiuta le cellule a sentire le variazioni locali della pressione dei fluidi, in questo caso del flusso sanguigno. Ciò è necessario per aggiungere l’antigene Er alla superficie delle cellule ematiche.

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Perché è importante distinguere i gruppi sanguigni?

Quando i globuli rossi espongono sulla superficie della membrana degli antigeni che il nostro corpo ha classificato come non-self, il sistema immunitario si attiva, inviando anticorpi per segnalare la distribuzione delle cellule che contengono l’antigene sospetto.
In rari casi, può succedere che i tessuti del feto vengono riconosciuti come estranei dall’organismo della madre e, quindi, aggrediti. Gli anticorpi della classe G (IgG) che vengono prodotti passano attraverso la placenta, portando alla malattia emolitica nel neonato.

 

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L’importanza della scoperta

Alla luce della recente scoperta è difficile fare delle stime sulla frequenza delle varie versioni, ma sembrerebbe che l’isoforma più rara di Er sia Er b, mentre il Er 5 sembrerebbe quella più comune nelle popolazioni africane, dove darebbe un vantaggio nei confronti della malaria. Sebbene le informazioni sulle ultime tre versioni non sono approfondite, possiamo dire che lo studio ha messo in evidenzia il potenziale-antigenicità anche di proteine molto poco espresse e la loro rilevanza per la medicina trasfusionale.

Sofia Musca

Bibliografia

https://www.repubblica.it/salute/2022/10/11/news/scoperto_nuovo_gruppo_sanguigno-369513886/
https://www.rainews.it/articoli/2022/10/scoperto-un-nuovo-gruppo-sanguigno-si-chiama-er-b225ce8b-67ed-4c54-971f-6e9df949c227.html
https://www.vanityfair.it/article/er-e-stato-scoperto-un-nuovo-sistema-di-gruppi-sanguigni
https://www.pianetachimica.it/mol_mese/mol_mese_2018/07_Piezo1_Canale_Meccanosensibile/07_Piezo1_Canale_Meccanosensibile.htm
https://www.humanitas.it/enciclopedia/anatomia/sistema-immunitario-ematologico/gruppo-sanguigno/
https://www.wired.it/article/gruppi-sanguigni-nuovo-sistema-er-scoperta-utilita-clinica/

Giraffe: il segreto per un cuore sano

L’estrema lunghezza del collo delle giraffe fa sì che i loro ventricoli debbano lavorare a pressioni altissime: come fanno ad avere un cuore sano?

Elenco dei contenuti

I valori pressori umani e dei mammiferi

Negli esseri umani adulti, i valori pressori “normali”, sono di circa 130 mmHg per la pressione sistolica (quella “massima”, corrispondente alla contrazione dei ventricoli) e di 80mmHg per quella diastolica (anche detta “minima”, corrispondente al rilassamento dei ventricoli del cuore).
Esistono tuttavia certi range nei quali la pressione arteriosa è considerata normale, mentre altri in cui ci si avvicina ad una condizione di pericolosità.
In questa tabella possiamo vedere i valori pressori classificati in base alla loro pericolosità secondo le linee guida del2018 del ESC/ESH – European Society of Cardiology – European Society of Hypertension.

 

Livello Pressione sistolica (mmHg) Pressione diastolica (mmHg)
Ottimale <120 <80
Normale 120-129 80-84
Normale – Alta 130-139 85-89
Ipertensione di grado 1 140-159 90-99
Ipertensione di grado 2 160-179 100-109
Ipertensione di grado 3 ≥ 180 ≥ 110
Ipertensione sistolica isolata ≥ 140 ≤ 90

 

Oltre certi livelli pressori, il cuore si inizia a danneggiare in quanto costretto ad un lavoro maggiore, con conseguente carenza di ossigeno, danni ecc. Nel tempo ciò porta ad un rimaneggiamento del cuore stesso, che da cuore sano inizia inesorabilmente a trasformarsi in un cuore scompensato, malato. I tessuti muscolare ed elettrico iniziano a diventare tessuti fibrotici, con tutti i problemi che ne derivano (aritmie, insufficienza cardiaca ecc).
Ecco perché è importante mantenere i valori pressori entro certi target, per evitare questa evoluzione fibrotica del cuore.
Nei mammiferi di media e grossa taglia, il funzionamento del cuore e le varie pressioni sono simili, come è simile il danno che deriva da un eccesso pressorio, tranne che in un caso: nelle giraffe.

Crediti immagine: https://www.medimagazine.it/fibrosi-cardiaca-mantenere-cuore-sano-gli-acidi-biliari/

La pressione arteriosa delle giraffe

Le giraffe, spinte dalla pressione evolutiva, hanno sviluppato nel corso di migliaia di anni un collo spropositatamente lungo rispetto al resto del corpo. Certamente questo le aiuta a nutrirsi in ambienti aridi come la savana, raggiungendo cibo che nessun altro animale rivale è in grado di raggiungere.
Il rovescio della medaglia per un simile traguardo evolutivo è però quello di un’eccessiva pressione arteriosa. Per far sì che il sangue raggiunga il cervello delle giraffe, situato a oltre 2-2,5 metri dal petto, il cuore di una giraffa deve lavorare a pressioni elevatissime: 220/180 mmHg, per ottenere a livello cerebrale una pressione normale di 110/70 mmHg.
Ma come fanno allora le giraffe, nonostante questa enorme pressione a livello cardiaco, a non sviluppare patologie legate all’ipertensione come la fibrosi cardiaca, la fibrillazione atriale e lo scompenso cardiaco?

Crediti immagine: https://www.medscape.com/viewarticle/951907

Come la ricerca sulle giraffe potrebbe curare lo scompenso cardiaco

La biologa evoluzionista Barbara Natterson-Horowitz e i cardiologi dell’Università di Harvard e dell’ UCLA  (University of California, Los Angeles), incuriositi da queste caratteristiche hanno scoperto che esse possiedono dei ventricoli più spessi, ma senza rigidità nelle pareti degli stessi o fibrosi, cosa che invece hanno gli esseri umani sottoposti ad elevate pressioni arteriose per molto tempo.
Andando quindi a studiare il genoma delle giraffe, gli scienziati hanno visto come nei loro geni siano presenti 5 mutazioni nei geni che producono fibrosi (es. ACE, FGFR-L1, ecc.) rispetto agli altri mammiferi.
Ulteriori ricerche hanno dimostrato come le giraffe possiedano delle proprie varianti genetiche specifiche per geni coinvolti nei processi di fibrosi.

Crediti immagine: Did giraffe cardiovascular evolution solve the problem of heart failure with preserved ejection fraction?
June 2021Evolution Medicine and Public Health 9(1)

 

Conclusioni

Ulteriori studi da effettuare su questi animali potrebbero svelare altre meraviglie del loro sistema cardiovascolare, rappresentando così una possibile svolta per i problemi cardiaci dell’uomo. Dallo scompenso cardiaco alla fibrillazione atriale, aritmie ecc., si potrebbero curare molte patologie cardiache.
Scoperte del genere dovrebbero farci riflettere su quanto meraviglioso ed interconnesso sia il mondo della scienza. Dei fisici curiosi si saranno chiesti a che pressione lavorasse un cuore di giraffa per pompare il sangue così in alto, una biologa evoluzionista ha fatto delle ipotesi, con la genetica si sono trovate delle mutazioni ai geni della fibrosi.
Da qui, in futuro potremmo avere delle cure migliori per il cuore.

 

 

Roberto Palazzolo

Train The Brain: prevenire il declino cognitivo

“Mens sana in corpore sano” dicevano i latini. Niente di più vero! Che l’attività fisica fosse un fattore fondamentale nella neuroprevenzione non lo scopriamo di certo nel 2022.
Da dieci anni viene svolto un progetto (che coinvolge centinaia di soggetti anziani dai 65 agli 89 anni) che ha come primi autori Gaia Scabia di Cnr-Ifc e dipartimento di Medicina clinica e sperimentale dell’Università di Pisa e Giovanna Testa del Laboratorio di biologia della Scuola normale superiore e coordinato dal Professore Lamberto Maffei, chiamato Train the Brain“. 

 

Indice dei contenuti

  1. Cosa accade con l’invecchiamento
  2. Come mai le chemochine?
  3. Perché il sistema immunitario?
  4. Lo studio nel modello murino
  5. Risultati dello studio
  6. Conclusioni

Cosa accade con l’invecchiamento

L’interesse di questo progetto è quello di comprendere come i meccanismi molecolari neurobiologici funzionino in relazione all’interazione con l’ambiente, facendo impegnare i soggetti in attività fisiche e mentalmente impegnative. Tutto questo è stato possibile grazie alla collaborazione con Marco Mainardi del Cnr-In Margherita Maffei dell’Istituto di fisiologia clinica (Cnr-Ifc).
Particolarmente rilevante, in questo studio, è stato il monitoraggio della concentrazione nel sangue, nei soggetti aderenti al progetto, di una molecola infiammatoria chiamata CCL11/Eotaxin-1, la quale è in grado di attirare gli eosinofili (un componente leucocitario del sangue) e di attraversare la barriera emato-encefalica (BEE), il nostro filtro biologico protettore dei neuroni.
La capacità di questa proteina, definita come chemochina, di attraversare questo scudo biologico, ha conseguenze negative (se in concentrazioni alte) sulla neurogenesi ippocampale e sulla plasticità sinaptica, processi fondamentali per il mantenimento di una buona salute neurologica.

Fonte: wikipedia.org

Come mai le chemochine?

Le chemochine sono importanti tasselli del grande puzzle che compone il sistema immunitario. La loro secrezione è promossa dalla produzione di altre citochine ad opera dei macrofagi o dei linfociti NK, due guerrieri del nostro sistema immunitario. Giocano un ruolo importantissimo le cellule della microglia, popolazione di macrofagi residente nel nostro cervello che produce citochine. Esse favoriscono il rilascio di chemochine e, di conseguenza, se il livello di produzione è elevato rispetto alle normali concentrazioni fisiologiche, si ha un richiamo di leucociti eccessivamente alto con conseguenti processi infiammatori.

Perché il sistema immunitario?

Ma cosa c’entra il sistema immunitario? In condizioni normali, nel nostro cervello avviene spesso una “sistemazione” delle sinapsi, il collegamento tra un neurone e l’altro che rende possibile elaborare o produrre stimoli. Questo turnover sinaptico deve sempre essere mantenuto in equilibrio affinché non si abbia un danneggiamento delle funzioni cerebrali. Un malfunzionamento a carico di questi processi e un aumento del livello di citochine proinfiammatorie agiscono negativamente sulla normale plasticità cerebrale, promuovendo il declino cognitivo.
L’invecchiamento porta ad un aumento di concentrazione di CCL11 a livello ematico che impatta la buone salute del cervello promuovendo il processo di neurodegenerazione. 

Lo studio nel modello murino

Per poter comprendere al meglio gli eventi molecolari dietro questo processo, il progetto Train the Brain è stato ricreato in laboratorio sfruttando il modello murino, anche denominato topo comune, e una tecnica chiamata environmental enrichment (arricchimento ambientale, EE). Questo metodo consiste nel mettere a disposizione dei soggetti un ambiente stimolante con cui essi possono interagire.
L’interazione con l’ambiente è fondamentale nei processi neurologici: allenarci ci fa sentire meno stressati, raggiungere un traguardo ci fa sentire gioiosi mentre fallire ci butta giù.

Risultati dello studio

In effetti, i risultati erano evidenti e significativi! Sia nei partecipanti umani che nel modello murino, le analisi del sangue riportavano livelli di CCL11 molto più bassi dopo diverse sessioni dello studio rispetto a quanto non lo fossero prima. Infatti, nei topi, l’EE ha indotto una plasticità simil-giovanile nei soggetti adulti, mentre nelle popolazioni arricchite ma con livelli di CCL11 mantenuti alti artificialmente, si è osservato uno svantaggio rispetto alla popolazione allevata a livello standard in ambiente arricchito. I risultati più stupefacenti (comunque non troppo nuovi) furono riscontrati nei topi anziani transgenici per alcuni geni induttori dell’Alzheimer. In questi topi malati fu stimolata una più spinta e accesa neurogenesi grazie all’interazione con questo ambiente arricchito e stimolante.

 

Conclusioni

Tutti i processi che coinvolgono emozioni, stati d’animo, semplice benessere psico-fisico, sono il risultato degli stimoli provenienti dall’esterno. L’invecchiamento neuronale, la neurodegenerazione o, malattie neurodegenerative gravissime, come la demenza fronto-temporale o la malattia di Alzheimer, possono essere prevenute grazie ad una vita sana, un’alimentazione giusta, la lettura o lo studio e ad una costante e corretta attività fisica.

Giovanni Bruno

Bibliografia

https://www.lescienze.it/news/2021/09/17/news/una_possibile_chiave_per_contrastare_il_declino_cognitivo-4965645/

https://ihttp://www.ucp.istc.cnr.it/index.php/2012-05-28-21-15-32/il-centro-primati/11-animals/47-l-arricchimento-ambientale-che-cos-e

it.wikipedia.org/wiki/Chemochine

http://www.ucp.istc.cnr.it/index.php/2012-05-28-21-15-32/il-centro-primati/11-animals/47-l-arricchimento-ambientale-che-cos-e

 

 

Il pacemaker: con o senza fili?

Il pacemaker è un dispositivo medico in grado di stimolare la contrazione di più camere del cuore, affinché possa svolgere correttamente il suo ruolo di pompa. Il primo pacemacker è stato impiantato nel 1957 e il suo ideatore fu Rune Elmqvist, il quale lavorò sotto la direzione di Åke Senning, medico senior e cardiochirurgo presso l’Ospedale Universitario Karolinska di Solna, in Svezia.

Indice dei contenuti

  1. Cos’è il pacemaker?
  2. Differenza tra la tecnica tradizionale e la tecnica leadless, senza fili
  3. Come viene effettuato l’impianto del pacemaker?
  4. Conclusione

Cos’è il pacemaker?

Il pacemaker è un dispositivo transitorio e wireless in grado di generare degli impulsi elettrici che stimolano la contrazione di atri e/o ventricoli in caso di disturbi della genesi o della conduzione dell’impulso elettrico. In questo modo permette al cuore di poter svolgere correttamente il suo lavoro. Infatti, in condizioni di riposo, quando il cuore funziona correttamente, le camere cardiache si contraggono a una frequenza intorno ai 60/80 battiti al minuto. Quindi se tali condizioni non sono verificate, il pacemaker permette di aumentare la frequenza del battito cardiaco in base al fabbisogno del paziente basandosi su dei segnali derivanti da una rete di quattro sensori morbidi, flessibili, indossabili e unità di controllo posizionate attorno alla parte superiore del corpo.

Differenza tra la tecnica tradizionale e la tecnica leadless, senza fili

La tecnica tradizionale consiste nell’applicazione attraverso le vene dello stimolatore cardiaco.
Questa tecnica implica alcuni problemi quali complicazione correlate alla tasca (infezione, ematoma, erosione), complicazione correlate ai cateteri (ad esempio la trombosi venosa) e complicazioni legate alla difficoltà di reperire accesso venoso (ad esempio ostruzione).

Grazie alla nuova tecnica Leadless si è riusciti ad ovviare alle complicanze causate dal metodo tradizionale.  Lo scopo è aumentare l’accettazione del pacemaker da parte del paziente: nessuna cicatrice, tumefazione o elemento esterno visibile.
Inoltre, questa nuova tecnica, consiste nell’impianto di un pacemaker delle dimensioni estremamente ridotte (come quelle del tappo di una penna a sfera) e dei suoi accessori: un programmatore, un induttore, un catetere di posizionamento.
Quindi la principale differenza sta nel fatto che nella tecnica tradizionale dobbiamo estrarre il filo collegato direttamente al cuore mentre nella tecnica senza fili abbiamo un cerotto che si applica sul petto, tale da assicurare la risposta elettrica necessaria senza sensori impiantabili. Quando non serve più viene rimosso come un adesivo che si stacca dalla cute.

Fonte: tecnicaospedaliera.it

Come viene effettuato l’impianto del pacemaker?

L’intervento avviene in anestesia locale e solo in qualche caso può essere necessaria una blanda sedazione.
Il pacemaker viene posizionato grazie ad un sistema di trasporto costituito da un tubicino flessibile inserito attraverso un induttore tubulare  posizionato nella vena cava femorale, da destra. Dopo aver progressivamente dilatato la vena con un sistema di tubicini a diametro crescente, il dispositivo viene fatto avanzare fino al cuore. Per valutare la corretta posizione del dispositivo nel cuore sarà necessaria la somministrazione di piccole quantità di mezzo di contrasto iodato.
Dopo che viene impiantato, la presenza di corretti parametri di stimolazione viene controllata con un programmatore ed eventualmente verrà modificata la programmazione.
L’uso del pacemaker senza fili non richiede la somministrazione di alcun farmaco aggiuntivo durante l’operazione o in qualunque altro momento a seguire. Alla fine della procedura, il pacemaker sarà permanentemente impiantato nel cuore, il catetere di posizionamento viene rimosso e nessun’altra parte del sistema rimane nel corpo. Viene quindi chiusa l’incisione nell’inguine con una compressione manuale o con l’applicazione di un punto di sutura.
Un intervento chirurgico di questo tipo può durare in media dai 45 ai 90 minuti e può essere effettuato su pazienti in attesa di un pacemaker permanente sia in bambini e neonati con anomalie cardiache.

Fonte: www.google.com

Conclusione

Questa nuova tecnica è garante del fatto che, con il progredire della scienza e l’innovazione che portano studio e ricerca, si può sempre migliorare ciò che già è in commercio e che esiste da anni.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         

Sofia Musca

Bibliografia
https://www.humanitas.it/cure/impianto-di-dispositivo-antibradicardico-pacemaker/ 
https://www.repubblica.it/salute/dossier/sportello-cuore/2022/06/21/news/in_arrivo_il_pacemaker_senza_fili_che_si_scioglie_quando_non_serve_piu-353745547/
https://www.auxologico.it/pacemaker-tecnica-tradizionale-senza-fili
https://www.humanitas-care.it/cure/impianto-di-dispositivo-antibradicardico-pacemaker/#:~:text=Quanto%20dura%20l’intervento%3F,dai%2045%20ai%2090%20minuti.

Parkinson: la Dnl201 sarà la molecola decollo?

Dopo l’Alzheimer, il Parkinson è la malattia neurodegenerativa più diffusa.
Si tratta di una malattia che coinvolge funzioni quali il controllo dei movimenti e dell’equilibrio, ad evoluzione lenta e progressiva, che rientra tra un gruppo di patologie note come “Disordini del Movimento”.

  1. Cenni storici
  2. Dove è possibile riscontrarla?
  3. Zone del cervello coinvolte
  4. Cause scatenanti
  5. Sintomi 
  6. Come effettuare la diagnosi di Parkinson
  7. Ricerca sperimentale: è possibile guarire dal Morbo di Parkinson?
  8. Conclusioni

 

Cenni storici

Una prima descrizione di questa lenta ma inesorabile malattia fa riferimento ad un periodo intorno al 5.000 A.C in uno scritto di medicina indiana; il nome è legato però a James Parkinson, farmacista chirurgo londinese del XIX secolo che, per primo, descrisse e racchiuse tutti i sintomi in un famoso libretto, il “Trattato sulla paralisi agitante”.

Dove è possibile riscontrarla?

E’ possibile vederla in entrambi i sessi con una leggera prevalenza maschile. Il Parkinson solitamente ha il suo esordio intorno ai 58-60 anni, mentre nel 5% dei pazienti questa farà la sua comparsa nella fase adulta, tra i 21 e i 40 anni. Prima dei 20 anni è particolarmente rara.

Zone del cervello coinvolte

La malattia di Parkinson consiste in una riduzione costante della produzione di dopamina (molecola organica che svolge l’importantissimo ruolo di neurotrasmettitore). Il calo di dopamina è dovuto ad una continua degenerazione di neuroni in una regione del mesencefalo chiamata Substantia Nigra. Si stima che la perdita cellulare sia di oltre il 60% all’esordio dei sintomi e per tale motivo non è attualmente possibile ritornare del tutto alla normalità. Si pensa che l’α-sinucleina, una proteina, sia il motivo di questa ampia diffusione.

Fonte: www.bing.com

Cause scatenanti

Non sono ancora del tutto note le cause della malattia, ma sembra ci sia una moltitudine di elementi che mediano il suo sviluppo. Tra questi abbiamo quelli genetici. Si stima che il 20% dei pazienti abbia familiari con riscontro positivo alla malattia di Parkinson. I geni che concorrono nella sua evoluzione sono α-sinucleina (PARK 1/PARK 4), PINK1 (PARK-6), DJ-1 (PARK7), Parkina (PARK-2), la glucocerebrosidasi GBA e LRRK2 (PARK-8).
Altre cause sono l’esposizione ad alcuni pesticidi, idrocarburi solventi o a metalli pesanti (quali ferro, zinco e rame). Paradossalmente, nonostante le numerose controindicazioni al fumo di sigaretta, questo potrebbe svolgere un ruolo di fattore protettivo nei confronti della malattia.

Sintomi

I sintomi dei pazienti spesso non vengono riconosciuti nell’immediato per via della sua progressione lenta e quasi “mascherata”. Questa viene fuori in punta di piedi, con una manifestazione asimmetrica, quindi solo un lato del corpo è maggiormente interessato. Inoltre i sintomi sono facilmente trascurabili dal paziente inconscio. Tra gli indici di insorgenza ritroviamo: il tremore a riposo, il “tremore interno” – cioè una sensazione avvertita solo dal paziente -, rigidità, lentezza dei movimenti (fenomeno noto come “bracidinesia”) e instabilità posturale.

Possono quindi svilupparsi sviluppi di tipo motorio e non motorio.
Tra i disturbi motori emergono episodi di ”Freezing Gait” cioè un blocco motorio improvviso; postura curva con braccia flesse e tenute vicine al tronco, il quale è flesso in avanti. Il tronco potrebbe anche pendere da un lato, manifestazione della cosiddetta ”Sindrome di Pisa”; Disfagia, cioè problemi legati alla deglutizione. Possono essere pericolosi, poiché solidi e liquidi potrebbero essere aspirati causando polmoniti. Possono anche incombere fenomeni di Balbuzie, che rendono difficile la comprensione del paziente (in questo aiuta la logoterapia).
Tra i disturbi non motori invece, ne figurano alcuni anche molti anni prima rispetto a quelli motori. Questi possono essere legati alle alterazioni delle funzioni viscerali (disturbi vegetativi), dell’olfatto e dell’umore, ma possiamo avere anche disturbi cognitivi, dolori e fatica. Tra i disturbi viscerali ricordiamo la stipsi, cioè un rallentamento delle funzioni gastro-intestinali, disturbi urinari, disfunzioni sessuali, problemi cutanei e sudorazione. Infine, possiamo notare nei soggetti colpiti anche disturbi comportamentali ossessivi compulsivi, apatia e sintomi psicotici (tra cui deliri e allucinazioni).

Fonte: www.bing.com

Come effettuare la diagnosi di Parkinson

Il neurologo risale al morbo di Parkinson attraverso la storia clinica e dopo un’attenta valutazione dei sintomi. Tra gli esami strumentali si ricorre alla SPECT DATscan, scintigrafia del miocardio e PET cerebrale. L’aiuto strumentale è di fondamentale importanza per allontanarci da una diagnosi sbagliata evitando di inciampare nei cosiddetti “Parkinsonismi”, cioè patologie simili al Parkinson.

Ricerca sperimentale: è possibile guarire dal Morbo di Parkinson?

Su “Scienze Translational Medicine” sono stati pubblicati i risultati riguardanti uno studio terapeutico.
Negli Stati Uniti è stata conclusa la prima fase di sperimentazione su una molecola capace di inibire l’enzima prodotto da LRRK2 (gene tra i più importanti presente nella lista delle possibili cause scatenanti), il quale potrebbe rallentare l’evoluzione della malattia. La terapia a base della molecola Dnl201 potrebbe migliorare la funzione del lisosoma evitando che questo possa accumulare proteine tossiche che portano alla neurodegenerazione.

Conclusioni

Gli studi si occupano del controllo dei sintomi della malattia, ma non ne arrestano lo sviluppo. Questi si concentrano maggiormente sul miglioramento delle terapie e sulla prevenzione, ma ancora non è possibile poter ricorrere ad una vera e propria cura che possa bloccarla definitivamente. Fortunatamente esistono numerosi trattamenti capaci di regalare una vita quasi normale, per guadagnare tempo in modo tale da poter scavalcare l’ostacolo finale: annientare questa malattia.

 

La soluzione si trova attraverso la sperimentazione. Soltanto se si esce dalle vecchie abitudini si possono trovare nuove strade.

Andrew S. Grove

 

Dario Gallo

Per approfondire:

Cos’è il Parkinson

Malattia di Parkinson – Wikipedia

Malattia Parkinson, sintomi, diagnosi, cause, fattori ambientali, fattori genetici, trattamenti (iss.it)

A step forward for LRRK2 inhibitors in Parkinson’s disease (science.org)

Dopamina (my-personaltrainer.it)

CCGrid 2022: un evento internazionale ospitato a Messina

L’Università di Messina insieme al team di ricerca Future Computing Research Laboratory organizza il CCGrid 22, il 22° Simposio internazionale di informatica in collaborazione con ICFEC 2022. L’evento, sponsorizzato dalla IEEE Computer Society ed il Technical Committee on Scalable Computing ACM SIGARCH, si svolgerà in quattro giorni; il 16 maggio a Messina al Rettorato vi saranno una serie di Workshop, invece, dal 17 al 19 maggio a Taormina avrà luogo un evento ad accesso limitato che vedrà la partecipazione di ricercatori internazionali: verranno trattati argomenti innovativi e ci si confronterà su tematiche di Cluster, Cloud and Internet Computing.

Digital Day

Il 16 maggio si terrà al Rettorato il Digital day, un evento dedicato alla presentazione di soluzioni e tecnologie digitali che oggi sono sempre di più all’avanguardia, con lo scopo di condividere la vision dei Ricercatori internazionali più influenti nella comunità scientifica.
Parteciperanno docenti e ricercatori dell’Ateneo messinese, saranno presenti diverse realtà aziendali leader nel settore digitale che interverranno sui temi della Digital Transformation. Durante la giornata saranno 2 i momenti principali: i talk della mattina organizzati presso l’Aula Ex-Chimica del dipartimento di Giurisprudenza sita presso il Polo Centrale dell’Università di Messina (Rettorato), in cui gli ospiti internazionali dialogheranno in lingua inglese sulle tematiche principali, e la presentazione di un Panel sul tema della mobilità urbana.

Tra i docenti dell’ateneo prenderanno parte all’evento della mattina il Prof. Massimo Villari e la Prof.ssa Maria Fazio del Dipartimento MIFT. Nel pomeriggio prenderanno parte invece la Prof.ssa Francesca Pellegrino e la Prof.ssa Adele Marino docenti del Dipartimento di Giurisprudenza, rispettivamente Presidente CUST-UNIME e Mobility Manager UinME, ed il Prof. Gaetano Bosurgi e il Prof. Massimo Di Gangi del Dipartimento di Ingegneria esperti nei rispettivi ambiti nel tema della mobilità urbana.


Sarà disponibile una diretta streaming dell’evento sul canale YouTube ufficiale di UniMe.

In concomitanza, nell’aula dell’Accademia dei Pericolanti si terranno dei workshop sulle tematiche affrontate dal simposio, tra cui:

  • Sistemi Cloud;
  • Sicurezza degli IoT;
  • Intelligenza artificiale.

L’evento è patrocinato dall’Università di Messina, dall’Ordine degli Ingegneri di Messina e dall’Ordine degli Architetti di Messina.

Per partecipare è richiesta la registrazione mediante un modulo disponibile all’indirizzo https://fcrlab.unime.it/ccgrid22/digital-day-in-messina/

Agli studenti UniMe che parteciperanno verranno riconosciuti 0.5 CFU, mentre per gli iscritti agli Ordini Professionali saranno rilasciati Crediti Formativi Professionali (CFP).

IEEE-CCGRID 2022

La conferenza IEEE-CCGRID 2022, ad accesso riservato, si terrà, per la prima volta in Italia, a Taormina dal 17 al 19 maggio all’Hotel Diodoro. Numerosi i ricercatori e scienziati che lavorano nel campo della Computer Science, Engineering e Data Science, provenienti da tutto il mondo, parteciperanno all’evento in cui verranno affrontate tematiche su:

⦁ Artificial intelligence, Machine Learning and Deep Learning
⦁ Future Internet and Computing Systems
⦁ Security, privacy, trust and resilience: Blockchain
⦁ Scientific and industrial applications
⦁ Distributed middleware and network architectures: Cloud, Edge, Fog Computing and Internet of Things (IoT)

Ospiti anche membri di Università del calibro della University of Chicago, Argonne National Laboratory, University of Melbourne, University of Cardiff, The State University of New Jersey, Ohio State University, Stanford University, University of São Paulo, ETH Zürich, solo per citarne alcune, così come i Laboratori di ricerca IBM di Haifa (Israele) e Santa Clara (California), Oracle, Intel, AMD, NVIDIA, in California, Fujitsu.

I keynote della Conferenza sono disponibili all’indirizzo https://fcrlab.unime.it/ccgrid22/keynote-speakers/

Gianluca Carbone

Farmaci agnostici: il futuro dell’oncologia

Recentemente nel campo dell’oncologia sono stati introdotti dei nuovi promettenti farmaci detti “agnostici“. Come funzionano? Qual è la differenza rispetto agli altri farmaci attualmente in uso?

Per poter capire come funzionano, iniziamo col parlare del perché ci si ammala di cancro.

Perché ci si ammala di cancro?

Il cancro è ad oggi una patologia assai diffusa e l’incidenza dei tumori nei decenni è andata aumentando. Ma da cosa nasce un tumore?
I tumori sostanzialmente possono essere definiti come una crescita incontrollata di cellule “impazzite”.
Normalmente, infatti, tutti i nostri tessuti si rinnovano, le cellule vecchie vengono sostituite da cellule nuove. In questo modo il nostro organismo riesce a riparare i vari danni che subisce.

Tuttavia, quando una cellula non riesce più a percepire i segnali di “stop”, continua a dividersi e moltiplicarsi, invadendo i tessuti vicini e lontani. Per quale motivo accade?
Perché ha subito delle mutazioni tali da farle perdere i freni inibitori o potenziarne l’attività moltiplicativa.

Perché avvengono le mutazioni?

Le mutazioni che causano il cancro hanno molteplice origine.

Possono essere congenite, come in varie sindromi caratterizzate da aumentata incidenza di tumori (dovute a mutazioni nelle cellule germinali dei genitori).

Possono essere provocate da cattivi stili di vita, includendo fumo, alcolismo, obesità, sedentarietà, ecc. Tutte condizioni che fanno sì che vengano rilasciate sostanze “velenose” o pro- infiammatorie. Nel tempo, esse danneggeranno le cellule, spingendole a replicarsi di più, con più probabilità di mutare.

Fonte: medimagazine

Possono essere causate da agenti esterni come virus (epatite, HIV, HPV e altri), radiazioni ionizzanti, veleni, pesticidi ecc., che attraverso particolari meccanismi possono danneggiare il DNA della cellula.

Ancora, possono essere casuali, in quanto la massima parte delle nostre cellule si moltiplica ripetutamente nell’arco della nostra vita. Ad ogni moltiplicazione c’è un certo tasso di errore nel copiare il DNA della cellula progenitrice. Questo, moltiplicazione dopo moltiplicazione, può portare ad un accumulo di errori che prima o poi può esitare in cancro.

Aggiungiamo poi che, grazie ai progressi della medicina, la vita media ha subito un’enorme allungamento rispetto al passato (si è passati da un’aspettativa di vita media di 50 anni negli anni ’20, agli attuali 81-85 anni). Più viviamo, più è probabile subire mutazioni per i fattori sopra elencati.

L’oncologia come cura attualmente il cancro?

Il razionale della terapia in oncologia sta nell’eliminare tutta la massa tumorale. Questo lo si può fare con interventi chirurgici, in genere quando il tumore è agli stadi iniziali (per questo è importante la prevenzione, per “prendere un tumore in tempo”), oppure usando radioterapia, chemioterapia e farmaci biologici, insieme alla chirurgia o qualora il tumore sia inoperabile in quanto ha dato metastasi in zone del corpo difficili o impossibili da raggiungere.

Con la chemioterapia si vanno ad usare farmaci che colpiscono tutte le cellule che si moltiplicano velocemente.
Ecco perché si hanno degli effetti collaterali ai capelli, alla pelle, all’intestino e in altre sedi. Infatti, i tumori sono costituiti da cellule impazzite che si moltiplicano in fretta, per cui con questi farmaci si riesce a colpire abbastanza bene un tumore, seppur con i numerosi effetti collaterali.

Fonte immagine: medicina online

L’avvento della genetica, dei supercomputer e l’avanzamento della tecnologia hanno poi portato a creare dei farmaci chiamati “biologici”, in quanto costituiti da molecole in grado di interagire in modo mirato con i recettori e gli enzimi delle cellule tumorali.

Studiando per esempio i tumori del seno, si è visto che molti presentano la mutazione del recettore HER2, per cui per questi tumori si può usare un farmaco specifico che blocchi tale recettore (Trastuzumab), facendo sì che si abbiano meno effetti collaterali al resto del corpo.

Per ogni tumore, inoltre, l’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) redige delle linee guida da seguire (una per ognuno, che sia seno, colon, polmone, prostata, cervice, ovaio ecc.). Sono stilate seguendo le più moderne evidenze scientifiche in ambito internazionale (American Joint Committee on Cancer, PubMed ecc.).

Fonte immagine: AIOM

Se per esempio viene scoperto che per il tumore al colon ad un certo stadio è più efficace la combinazione chemio + farmaco molecolare + intervento, verrà raccomandato di seguire questo protocollo piuttosto che il precedente.

Cosa cambia con i farmaci agnostici?

Finora si è seguito il “modello istologico” nella cura dei tumori, ovvero dopo aver analizzato il tumore al microscopio, si identifica a che tipo di tessuto appartiene e si tratta di conseguenza.
Ma oggi in oncologia sta iniziando a prendere piede il “modello genetico”.

Analizzando infatti dei marker specifici, per ogni mutazione, come ad esempio il deficit di riparazione del mis-match repair DNA (dMMR), l’instabilità dei microsatelliti (MSI-H), l’espressione di molecole come PD-L1, si può capire quale categoria di pazienti risponderà o meno ad esempio all’immunoterapia, indipendentemente dalla sede del tumore.

Ancora, fusioni di geni NTRK1/NTRK2/NTRK3 sono dei grandi esempi di mutazione genetica “driver” (ovvero che dà inizio alla trasformazione tumorale della cellula). Inibendo questi geni, si hanno importanti risposte terapeutiche, indipendentemente dall’età del paziente e dal tumore di origine.

Tra i tanti nuovi farmaci disponibili troviamo ad esempio il Pembrolizumab. È un anticorpo monoclonale capace di bloccare l’azione di PD-L1, molecola attraverso cui i tumori riescono a sfuggire al sistema immunitario.
Questo farmaco si può usare nel tumore del polmone, nei tumori della testa e del collo, nei linfomi di Hodgkin, nel cancro dello stomaco e della cervice. Non importa la sede, ma solo la sovra-espressione del PD-L1, per poter iniziare la terapia.

Fonte immagine: alcase Italia

Ancora, il Larotrectinib, un inibitore delle tropomiosina chinasi TrkA, TrkB e TrkC. Viene usato in tutti i tumori con la fusione dei geni NTRK, tra cui polmone, melanoma, tumori gastrointestinali stromali, colon, sarcomi dei tessuti molli, tumori delle ghiandole salivari, ecc.
Non importa dove sia il tumore: se tra le sue mutazioni c’è la fusione dei geni NTRK, questa molecola funzionerà.

Conclusioni

I progressi della ricerca hanno portato la medicina a non dare più semplicemente cure uguali per certe malattie. Oggi si parla infatti di “Tailor made medicine” ovvero “medicina cucita sulla persona”.

Sia dal punto di vista biologico che psicologico, le persone, come le loro malattie, per quanto simili, hanno delle piccole differenze. Per curare al meglio ogni individuo è bene andarle a ricercare. In questo modo, si capirà quale sia la terapia migliore per quella malattia, ma soprattutto per quella singola persona.

Roberto Palazzolo

Convegno “Mafie tra continuità e mutamento: analisi, esperienze, narrative”: intervista alla dott.ssa Rossella Merlino

Nei giorni 27 e 28 settembre si svolgerà il convegno “Mafie tra continuità e mutamento: analisi, esperienze, narrative” presso l’Aula Magna del Rettorato.

L’evento rientra nell’ambito del progetto di ricerca MessCa: “Mafia-type organised crime in the Province of Messina”, di cui è responsabile scientifico la Dott.ssa Rossella Merlino (Bangor University-U.K.) sotto la supervision del Prof. Luigi Chiara presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche dell’Università di Messina (SCIPOG), e finanziato della European Research Executive Agency (REA) della Commissione Europea.

L’evento sarà trasmesso in diretta sulla pagina Facebook dell’Ateneo.

Marie Skłodowska-Curie Actions: un programma per le eccellenze europee

La Dott.ssa Rossella Merlino è detentrice della prestigiosa borsa di studio post-dottorato “Marie Curie” (Marie Sklodowska Curie Research Fellow). Le Marie Skłodowska-Curie Actions, direttamente collegate alla Commissione Europea, contribuiscono a promuovere le eccellenze nel campo della ricerca, finanziando ricercatori con investimenti mirati a sviluppare nuove conoscenze e competenze, e favorendo la collaborazione tra diversi settori, discipline e università.

In questo contesto stimolante e autorevole, il team composto dal Professore Luigi Chiara, la Dott.ssa Merlino, la Dott.ssa Francesca Frisone, e il Dott. Marco Maria Aterrano, ha organizzato un meeting che affronterà una tematica di rilievo con ospiti da tutto il mondo: la mafia in rapporto ai suoi mutamenti ma anche alla continuità storica, entrambi elementi che la caratterizzano.

Il programma del convegno

Il ricco programma, che si svilupperà tra il pomeriggio del 27 (dalle 15.30) e l‘intera giornata del 28, affronterà il fenomeno mafioso da diversi punti di vista, grazie alla partecipazione di numerosi ospiti illustri provenienti da diversi contesti: saranno presenti in Aula Magna (oltre agli interventi previsti da remoto) sia rappresentanti delle Istituzioni, che studiosi universitari provenienti da tutta la penisola e da prestigiosi Atenei stranieri, nonché addetti ai lavori del mondo del giornalismo.

Programma completo del convegno – UniMe

Il tema principale, che accomunerà i diversi panel, è rappresentato dall’analisi multidisciplinare del fenomeno mafioso in relazione ai processi di mutamento dell’ambiente esterno: in altri termini, saranno approfonditi, da differenti punti di vista, i meccanismi di adattamento delle mafie, quali l’assunzione di forme organizzative più flessibili e di modelli d’azione più complessi e multiformi.

Interrogativi quali:

  • In che misura modelli di analisi e rappresentazione del fenomeno mafioso accompagnano questi mutamenti?
  • Quali sono le risorse che facilitano i meccanismi di riproduzione mafiosa nel tempo e nello spazio?
  • Quali le relazioni tra consorterie mafiose tradizionali e le cosiddette “nuove mafie”?

rappresentano dei nodi imprescindibili da sciogliere per comprendere quali sfide si presentano oggi nella lotta alla criminalità organizzata.

Dott.ssa Rossella Merlino – Bangor University

Vista la complessità dell’argomento – e del programma – abbiamo deciso di porre qualche domanda alla dott.ssa Rossella Merlino, per addentrarci “dietro le quinte” del convegno e approfondire il suo ruolo di ricercatrice titolare di una prestigiosa borsa di studio come la Marie-Skłodowska-Curie. 

Il convegno spazia in vari ambiti, ma delinea un percorso ben preciso. Qual è il vero filo conduttore che accomunerà i diversi interventi degli ospiti?

Il convegno prevede una serie di panel incentrati su temi diversi, da modelli di analisi e proposte interpretative sul fenomeno mafioso, all’ esperienza sul campo di autorità inquirenti, ai nuovi contesti in cui si muovono le mafie e alle loro rappresentazioni culturali. A sottendere gli interventi, tuttavia, è il focus sui processi di trasformazione che interessano le mafie, e gli elementi di continuità che le caratterizzano. Perché a caratterizzare la criminalità organizzata di tipo mafioso, in generale, è proprio la capacità di coniugare continuità di obiettivi e trasformazione del profilo operativo per adattarsi alle circostanze esterne.

Parlare di mafia in una terra come la Sicilia, a Messina, potrebbe sembrare quasi un “dovere”. Potresti dirci, a livello umano ma soprattutto scientifico, come nasce questa “esigenza”? 

Di mafia in Sicilia si parla da oltre un secolo e mezzo, ma non sempre il parlarne ha contribuito a conoscere meglio il fenomeno. Spesso posizioni discordanti o letture approssimative hanno contribuito semmai a creare una gran confusione sul tema.
Gli studiosi oggi hanno il compito di metterne in luce la realtà complessa, in modo rigoroso, e di divulgare i risultati della ricerca in modo da accrescere la consapevolezza generale sul tema. Nel caso specifico della provincia di Messina, contesto inspiegabilmente trascurato dalla letteratura specialistica in tema di mafia, diventa un’esigenza occuparsene da ambiti disciplinari diversi perché non si sottovaluti un territorio dove le mafie operano su più fronti.

Collegandoci alla domanda precedente, ormai sappiamo che il fenomeno mafioso ha raggiunto – da moltissimo tempo – una portata “internazionale”. Provenendo da un’università straniera – tra l’altro assisteremo agli interventi di diversi ospiti da tutto il mondo – come reputi il livello della ricerca sulle mafie fuori dal nostro Paese? Viene posta più attenzione a questo tema in Italia o all’estero?

C’è sempre stata una grande attenzione – e curiosità – all’estero per le mafie italiane. Per lungo tempo, tuttavia, ha prevalso un’immagine del fenomeno mafioso condizionata da rappresentazioni culturali, in particolar modo cinematografiche, spesso stereotipate che finivano con l’assimilare la cultura mafiosa a quella siciliana. Gli studiosi di altri Paesi impegnati sul tema hanno senza alcun dubbio contribuito alla comprensione del fenomeno mafioso, del suo radicamento sul territorio a livello locale e della sua capacità di espansione e di mobilità su scala nazionale e transnazionale, mettendo in luce la disomogeneità esistente, e le conseguenti difficoltà, nelle azioni investigative e giudiziarie di contrasto dei diversi Paesi.

Quali opportunità ti ha dato la borsa “Marie Skłodowska Curie”? È stato difficile accedervi? Puoi spiegarci più nel dettaglio di cosa si tratta?

Nel mio caso, la borsa rientra nelle azioni Marie Skłodowska-Curie Individual Fellowships. Si tratta di borse di ricerca individuali che incoraggiano la mobilità internazionale e hanno come obiettivo quello di sostenere la formazione alla ricerca e lo sviluppo di carriera dei ricercatori titolari di dottorato di ricerca in qualsiasi ambito disciplinare e su qualsiasi argomento di ricerca. Si presenta una proposta progettuale in collaborazione con un ente ospitante e sotto la supervisione di un responsabile scientifico dello stesso. Ovviamente sono borse molto competitive, per le quali, oltre ad un progetto di ricerca valido, è necessario dimostrarne l’originalità e la rilevanza.

Cosa consiglieresti a un giovane ricercatore per migliorarsi professionalmente?

Consiglierei di scegliere un percorso di formazione post-laurea mirato a sviluppare determinate competenze nell’ambito lavorativo in cui ci si vuole specializzare. Sicuramente un’esperienza all’estero aiuta, come è stato nel mio caso, magari con l’idea, un giorno, di riportare queste competenze “a casa”.

Emanuele Chiara, Claudia Di Mento