Ibn Jubayr e la città di Messina in epoca normanna

  • Viaggio nella città dello Stretto del 1184

La città di Messina vantava, fino ad un paio di secoli orsono, un ruolo senza eguali nello scacchiere politico ed economico del Mediterraneo.

Nonostante la sua importanza in epoca medioevale come centro nevralgico dei contatti tra la pars occidentalis et orientalis del mare nostrum, la sua storia, purtroppo, presenta alcuni momenti bui, generati dalle scarse fonti a disposizione degli studiosi. E anche quando le testimonianze storiografiche effettivamente sono presenti, è bene analizzarle con particolare attenzione e neutralità al fine di evitare possibili cadute di stile.

In questo articolo sarà riportata con dovuti riferimenti l’immagine che Ibn Jubayr, poeta e viaggiatore musulmano che visitò la Sicilia nel 1184, ebbe della città di Messina al suo approdo sui lidi siciliani. Osserveremo, grazie ai suoi scritti, come un musulmano vedeva una terra un secolo prima appartenuta alla sua gente, che adesso è governata da dei cattolici provenienti dal Nord.

La Sicilia, Tabula Rogeriana. Library of Congress, Geography and Map Division, Washington.
Nell’immagine possono essere riconosciute le principali città della Sicilia come Messina, Balarm (Palermo), Sirakusa, Kasr Iani (Enna)

Partenza da Acri

Il viaggio del nostro poeta inizia, seppur con qualche difficoltà, la sera del 18 ottobre 1184 dalla città di cristiana di Acri, Israele.

La partenza era prevista per il 6 di ottobre, ma del vento non ve n’era traccia. I viaggiatori che desideravano navigare verso Ovest, raggiungendo il Maghreb (Africa nord-occidentale), la Sicilia o al-Andalus (Penisola iberica), erano costretti ad aspettare il vento di Levante che, secondo Ibn Jubayr, soffia verso aprile e la metà di ottobre.

Così il nostro poeta aspetta sulla terraferma, speranzoso, che il vento arrivi a far gonfiare le vele. Ed ecco che, all’alba del 18 ottobre, i venti spingono la nave a largo, lasciando però il nostro poeta a terra. Così Ibn Jubayr, preso dal panico, noleggia una nave e parte all’inseguimento della fuggitiva. La sera del 18 ottobre il poeta raggiunge la nave che lo avrebbe dovuto portare, attraverso il mare nostrum, verso l’isola di Sicilia, dominata dai Normanni.

Ibn Jubayr, viaggiatore musulmano attraversa il Mar Mediterraneo
Ibn Jubayr, viaggiatore musulmano, attraversa il Mar Mediterraneo.
Immagine realizzata con IA
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L’ arrivo in Sicilia

Dopo due mesi di viaggio, durante il quale il nostro viaggiatore ha costeggiato le isole di Creta e del Peloponneso, affrontando fame, sete e la morte di alcuni suoi compagni di viaggio, la nave giunge in prossimità della “Montagna di Fuoco”. Così Ibn Jubayr chiama l’Etna.

A causa del forte vento che attraversa lo Stretto di Messina, la nave che ha condotto i viaggiatori attraverso il Mar Mediterraneo si riversa contro la costa, il timone va in frantumi e l’abisso sembra richiamare la nave a sé.

Prontamente i marinai dislocano le scialuppe e fanno approdare sulla terraferma ciò che è più importante: donne, bambini e bagagli. Ma le scialuppe non possono tornare indietro a salvare gli uomini bloccati sulla nave.

Con lo stupore dei musulmani a bordo, il re di Sicilia Guglielmo II arriva con i suoi uomini ad osservare la situazione. Egli ordina ai traghettatori di salvare quegli uomini, pagandoli con cento tarì (moneta d’oro di ispirazione araba) dalla tesoreria reale.

Messina secondo Ibn Jubayr

Ibn Jubyar è solito affermare, una volta giunto in una nuova città siciliana, auguri di una pronta reconquista islamica. Ed è proprio usando una di queste frasi “formulari” che inizia a descrivere la città dello stretto del 1184.

DELLA CITTÀ DI MESSINA NELL’ISOLA DI SICILIA
«DIO LA RESTITUISCA [AI MUSULMANI]!»

Una volta approdato sulla costa, ciò che si presenta agli occhi del viaggiatore musulmano è un crocevia di merci, popoli, idee. Messina è la tappa dei pellegrini che vogliono arrivare in Terra Santa, o dei crociati che intendono conquistarla. È emporio commerciale, scalo di mercanti provenienti da tutto il Mediterraneo e oltre. È realtà pulsante, in continuo fermento.

Ibn Jubyar descrive Messina come «luogo di periodico ritrovo dei mercanti infedeli e meta di navi provenienti da tutti i paesi, frequentatissima per l’abbondanza di merci a buon mercato». Ai suoi occhi la città è sporca del sudiciume cristiano, in cui nessun musulmano sognerebbe di porvi dimora. La città, ci informa, è la più popolosa in Sicilia dopo Palermo, a tal punto che essa stessa sembra contenere a fatica i suoi abitanti.

Il mare è l’elemento di cui Messina è padrona, e il nostro poeta lo intuisce dalle numerose navi attraccate al porto, che egli definisce «il più meraviglioso di tutti i porti dei paesi marittimi». Qui, i bastimenti, ovvero grandi navi mercantili, possono attraccare direttamente alla banchina, ed essere scaricati senza l’ausilio di piccole barche.

Questo facilita le operazioni di carico e scarico, poiché i marinai, salendo su tavole di legno, arrivano direttamente sul ponte delle navi. La profondità del porto naturale di Messina garantisce un sicuro approdo alle grandi navi che tutt’oggi solcano le acque dello Stretto.

Personalità arabe alla corte normanna.
Immagine generata con IA.

Struttura sociale della città

Conclusa la descrizione fisica della città, in cui sono menzionati i colli che si elevano alle sue spalle, Ibn Jubayr ci fornisce un’importante testimonianza della struttura sociale della città.

Egli, infatti, incontra ‘Abd al-Masīḥ, eunuco di corte, con cui intrattiene una conversazione.

Cosa ci fa un arabo alla corte del re Guglielmo II, membro della dinastia di coloro che cacciarono la sua gente dalla Sicilia? Perché un re cattolico permetterebbe ad un infedele di ricoprire un ruolo di rilievo a corte, mentre dall’altra parte del Mediterraneo le due fedi si scontrano in lunghe e sanguinose guerre in nome dell’unico dio?

Presto a dirsi, è utile allontanare chi non condivide le nostre idee, ma se ha qualcosa che ci interessa, o da cui trarre vantaggio, le divergenze religiose o ideologiche passano in secondo piano. Per i regnanti normanni se il musulmano è un abile burocrate, o un brillante studioso, si può pure chiudere un occhio. Ciò che importa è che in pubblico egli non dia sfoggio della sua blasfemia.

Questo è ciò che Ibn Jubayr lascia trasparire, mentre riporta il dialogo con l’eunuco. «Egli ci confidò i suoi più intimi segreti dopo essersi assicurato, con circospezione, che fossero stati allontanati dalla sala tutti i servitori di cui avesse sospetto».

L’eunuco ha paura di essere visto mentre parla l’arabo e chiede con cortesia ai viaggiatori di dargli notizie del mondo che ha ormai lasciato e le cui tracce, ormai, sono confinate entro le mura delle stanze private. L’arabo e l’Islam in città sono banditi, e un qualsiasi musulmano si sente straniero.

Per i funzionari musulmani nella terra di Sicilia, continua l’eunuco, l’unica benedizione è incontrare pellegrini musulmani di passaggio, proventi da quel mondo tanto rimpianto che hanno abbandonato, con cui scambiare preghiere e doni. Loro, infatti, non possono godere appieno dell’Islam, in quanto aggiogati al potere cristiano, al potere normanno.

La presenza di un palazzo reale a Messina, dove risiedono eunuchi di corte e alloggiano tutte personalità eccelse, tra intellettuali e studiosi, che dal mondo arabo arrivano a Messina, denota un ruolo di spicco della città nel panorama degli spostamenti umani del tempo.

Messina non è soltanto un porto commerciale, è la base di una flotta militare da cui partono spedizioni di conquista, è meta di viaggi che attraversano il mondo arabo e il mondo cristiano.

Con il dialogo dell’eunuco termina la descrizione che il nostro viaggiatore fa della città di Messina, dominata per due secoli dagli arabi musulmani, da cento anni controllata dai normanni cristiani.

 

Fortunato Nunnari

 

Bibliografia:
• Ibn Jubayr, Viaggio in Sicilia, a cura di Giovanna Calasso, Adelphi, 2022

https://www.adelphi.it/libro/9788845936975

La Madonna della Lettera: tradizioni e verità di un culto identitario

Quella che vi presentiamo è una storia che troppe persone, purtroppo, soprattutto delle nuove generazioni, sconoscono anche completamente; a prescindere dal sentimento religioso d’ogni messinese, essa costituisce un elemento risolutivo della nostra identità stessa, che non si può spazzare via. Ci riferiamo alla Madonna della Lettera che oggi si celebra, alla sua leggenda, alla sua tradizione e alla sua travagliatamente discussa autenticità.

Chiedo al pubblico che legge di accostarsi serenamente all’argomento, dimenticando, per qualche momento, la propria affiliazione religiosa o la mancanza d’essa. Se aprite il vostro cuore, troverete ciò che segue affascinante.

Fonte: immaculate.one

La lettera venuta dall’Oriente

Ecco cosa narrano gli aedi cristiani…

San Paolo apostolo si trovò a passare dallo Stretto, in semplice viaggio missionario oppure durante la sua deportazione a Roma; scese dalla nave nel porto di Messina, o forse nell’antico approdo di Briga Marina ove oggi ancòra si conserva la pietra sulla quale salì per predicare; e così Paolo parlò ai Messinesi del suo Gesù, crocifisso e risorto un decennio prima, convincendoli a convertirsi al Cristianesimo; consacrò anche il primo Vescovo di Messina, Bacchilo.

Secondo la pia tradizione, l’intera Città di Messina si convertì alla nuova religione, a cominciare dal Senato che la governava in ossequio dei patti con Roma. La popolazione fu talmente colpita dalla figura di Maria madre di Gesù che il Senato decise di mandarle un’ambasciata per incontrarla e chiederne la benedizione. Una tradizione più tarda consegna anche i nomi dei quattro inviati: Geronimo Origgiano, Marcello Bonifacite, Brizio Ottavio e Centurione Mulè.

L’ambasceria, giunta a Gerusalemme, cercò Maria nella casa dell’apostolo Giovanni, ove viveva secondo l’ultima richiesta del figlio morente, e là la trovò. Sull’incontro che avvenne non sappiamo molto, talvolta s’immagina una presentazione dei quattro uomini da parte di Paolo; ciò che sappiamo è che Maria scrisse di proprio pugno una lettera ove accordava a Messina una benedizione perpetua ed elezione a sua città protetta, con la quale gli ambasciatori fecero ritorno in città, accolti trionfalmente dalla popolazione.

Era il 3 Giugno del 42 d.C. quando la lettera fu mandata. Il resto è storia, del culto di quella che divenne nota come Gran Madre della Lettera.

Fonte: immaculate.one

Qual è la verità sulla Sacra Lettera?

Viene da domandarsi quali prove possediamo; nessuna veramente solida, ahimè. Come se non bastasse, il racconto predetto contiene svariate contraddizioni storiche, e per giunta lo stesso testo pervenutoci della Sacra Lettera non sembra affatto scritto in quel tempo e da quella mano. Ora discutiamo tutti gli argomenti, per il bene della più savia conoscenza.

I primi problemi riguardano il vettore della conversione: Paolo di Tarso. Non risulta che l’Apostolo abbia viaggiato oltre l’Egeo prima del 60 d.C., quando fu condotto a Roma per essere processato, figuriamoci nel 42! Anche affermare che la predicazione a Messina avvenne durante l’ultimo viaggio è sbagliato, giacché questo appunto fu attorno al 60.

Poi, appare assurda la conversione al Cristianesimo d’un’intera città nel 42 d.C., già considerando che il Cristianesimo per com’inteso non nacque se non molto tempo dopo la morte di Cristo; prima, era soltanto una corrente eretica dell’Ebraismo. I Gesuani erano ancòra traumatizzati dalla morte del loro Messia (ebraico, non “cristiano”), e aspettavano di vederlo in qualunque momento ritornare in terra per la vittoria finale sui peccatori. La propagazione della nuova dottrina poteva avvenire soltanto in ambienti ove fosse radicata una comunità ebraica, autoctona o immigrata, che eventualmente l’avrebbe accolta (ma non tutta la città, men che meno il Senato).

Quanto ai nomi dei quattro ambasciatori: appaiono più tardi che bizantini, altro che I secolo d.C.! Difatti, furono introdotti nel XVII secolo d.C. da suor Maria Roccaforte, la quale affermò d’averli saputi mediante una visione (taccio).

Il testo della lettera invece evidenzia problematiche strettamente inerenti la sua presunta autrice. Ella parla già come se si fosse instaurata una Chiesa come non la si vedrà fino al Concilio di Nicea (325 d.C.): si proclama vergine, madre di Gesù crocifisso, il quale è sia dio che uomo… tutte cose che non facevano assolutamente parte della mentalità ebraica dei protocristiani, e perdipiù l’ipotetica Maria si attribuisce già il potere di proteggere. Inoltre, la data è, testualmente, il “42° anno dal Figlio”, praticamente con l’Anno Domini inventato da Dionigi il Piccolo (VI secolo d.C.)!

Per finire, possiamo affermare che un chiaro culto della Madre della Lettera non esistesse prima del 1490 d.C., quando fu recuperata e tradotta dal greco al latino la Sacra Lettera dal grande letterato Costantino Lascaris, che molti – ingiustamente! – indicano come vero autore del documento.

Non è un mistero che Messina, dal XV secolo d.C. in poi, cercasse in ogni modo di dimostrare la propria superiorità sulle altre città siciliane, anche facendo carte false, nella lotta spietata per il titolo di capitale del Regno di Sicilia; tra tutte, Messina era indubbiamente la più fiera e i vanti maggiori sono stati suoi.

Fonte: lecodelsud.it

Eppur non può non essere vero!

Di sicuro, la coscienza della propria elezione mariana sin dalle origini del Cristianesimo è stata motore primo della grandezza di Messina nell’ultimo mezzo millennio.

A tutte queste concretissime e giustissime contestazioni, ci sono degli argomenti fondamentali che bisogna contrapporre, ancorché vaghi, per tentare di chiudere la falla.

È vero, la versione della pia tradizione sembra stravagante e antistorica, ma nel corso del XVII secolo d.C. sono fioccate in diverse biblioteche del Mediterraneo delle copie della Sacra Lettera, in diverse lingue e in versioni diverse, anche nelle località più insospettabili (in Siria, perfino!). Viene da domandarsi: sono tutte state scritte e sparse in giro da falsarî al soldo di Messina?, o forse il Senato di Messina pagò eruditi stranieri affinché affermassero d’avere trovate le benedette copie?, o peggio ancòra, furono gl’intellettuali messinesi che riportarono le notizie dei ritrovamenti a inventarsi tali fatti di sana pianta? Sono ipotesi improbabili.

Oso aggiungere una verifica che sento sempre d’applicare in materia religiosa: il “criterio della buonafede”. Partiamo dal presupposto che nel passato la schiacciante maggioranza delle persone credeva davvero e in ogni particolare alla propria religione: mentire per ottenere potere, inventare qualcosa di sana pianta e soprattutto mettere in mezzo la Santa Madre, sarebbe apparso certamente come un terribile peccato mortale con conseguente pena. Solamente una reale convinzione avrebbe potuto generare certe affermazioni.

I devotissimi aggiungerebbero come prove molti miracoli, ma quelli non sono di nostra competenza.

Fonte: strettoweb.com

In conclusione dobbiamo ammettere che qualcosa di vero debba esserci, che gli eruditi del passato non abbiano mentito, ma abbiano soltanto tentato di ricostruire i fatti, eventualmente falsandoli “in buonafede”. Ma la ricerca non può fermarsi qui, deve continuare, affinché sempre più parti di verità possano riemergere.

Buona Solennità della Madonna della Lettera!

 

Daniele Ferrara

 

Per approfondire:

Marco Grassi, La Devozione a Maria SS. della Sacra Lettera – Patrona Principale della Città di Messina, EDAS 2021

Immagine in evidenza:

La Madonna della Lettera – Fonte: messinatoday.it

I parlamentari d’Italia eletti a Messina: Giuseppe Natoli e le prime elezioni del Regno

Il 18 febbraio, con il voto di fiducia della Camera al nuovo governo guidato da Mario Draghi, si è conclusa definitivamente la crisi di governo, dovuta de facto alle dimissioni delle ministre Bellanova e Bonetti e, dunque, al ritiro del sostegno del partito di cui fanno parte (Italia Viva) al governo Conte II.

Dopo un mese di discussioni aspre, parte della cittadinanza non ha compreso i motivi e l’opportunità di una crisi in un periodo delicato per il nostro Paese. Gli eventi di quest’ultima fase hanno alimentato il processo di disaffezione alla politica, uno dei principali sintomi di una democrazia in crisi.

Mossi da questa premessa abbiamo deciso di intraprendere un percorso lungo la storia dell’Italia unita, per far riemergere il contributo politico dei parlamentari eletti – o comunque legati – a Messina e dimostrare che il mondo della politica – in perenne evoluzione – non è un altrove lontano, ma è parte dalla vita di ciascuno di noi.

Giuseppe Conte (a sinistra) e Mario Draghi (a destra) durante la la cosidetta Cerimonia della Campanella – Fonte: lastampa.it

Il contesto storico e la normativa elettorale

Il nostro viaggio inizia all’alba del 1861, quando nel nostro Paese si svolsero le elezioni della VIII legislatura della Camera dei deputati – unico organo elettivo del Parlamento – del Regno di Sardegna, che, a seguito della proclamazione dello nuovo Stato unificato – meno di due mesi dopo -, possono considerarsi le prime elezioni del Regno d’Italia.

La legge elettorale, naturalmente, era completamente differente da quella tutt’oggi vigente. Il particolare più evidente è legato all’ampiezza dell’elettorato attivo (gli aventi diritto al voto), decisamente ridotta in confronto a quella attuale.

La normativa elettorale prevedeva – in generale – il diritto di voti per i soli uomini, di età superiore ai 25 anni, alfabetizzati e con la possibilità di pagare annualmente almeno 40 lire di tasse.

Inoltre era prevista la suddivisione del territorio in collegi uninominali (è eletto un solo candidato) e su un sistema – di conversione dei voti in seggi – interamente maggioritario (è eletto il candidato che riceve più voti) a doppio turno (con eventuale ballottaggio).

In un contesto del genere, i protagonisti della competizione elettorale erano i singoli candidati, i cosiddetti notabili, personalità di prestigio nel proprio territorio.

Il primo Parlamento del Regno d’Italia, Palazzo Carignano, Torino – Fonte: lagazzettatorinese.it

Le elezioni a Messina

L’intera penisola, ancora priva dei territori del Veneto e di quelli annessi allo Stato Pontificio, era divisa in 443 collegi.

La provincia di Messina, istituita dopo l’annessione della Sicilia, era divisa in 8 collegi: cinque nella zona tirrenica (Mistretta, Naso, Patti, Castroreale e Milazzo), uno nella zona ionica (Francavilla di Sicilia) e due nella città di Messina (Messina 1 e Messina 2).

Le prime elezioni del Regno si svolsero il 27 gennaio 1861, con un’affluenza totale di circa il 57% dell’elettorato. Nella città di Messina gli aventi diritto erano in totale 2057 e l’affluenza media tra i due collegi cittadini fu del 70%.

In entrambi i collegi della città dello Stretto si sfidarono due candidati. Ad avere la meglio furono due personalità di spicco del panorama politico messinese: Giuseppe La Farina (1815-1863) e Giuseppe Natoli Gongora di Scaliti (1815-1867).

Ritratto di Giuseppe Natoli – Fonte: latuanotizia.it

Il primo deputato di Messina: Giuseppe Natoli Gongora

Messinese di nascita, Giuseppe Natoli apparteneva a una famiglia nobile, protagonista da tempo nel governo della città. Dopo aver studiato all’Accademia Carolina di Messina, si laureò presso l’Università di Palermo in diritto. Oltre a dedicarsi all’attività forense, grazie alla sua spiccata capacità oratoria, ottenne la cattedra di codice civile e procedura, presso l’Università di Messina.

Sin da giovane frequentò la vivace rete cittadina di circoli, gruppi massonici e accademie, permeata di ideali liberali.

Nel 1848 fu uno dei protagonisti della costituzione del Regno di Sicilia; nel biennio rivoluzionario divenne deputato alla Camera dei Comuni ed ebbe spesso incarichi diplomatici. In seguito alla controrivoluzione borbonica e alla capitolazione della città di Messina, abbandonò l’Isola e si rifugiò in Piemonte.

Durante gli anni dell’esilio si legò sempre più al concittadino La Farina e si avvicinò a Cavour (1810-1861).

In seguito alla conquista della Sicilia da parte di Garibaldi (1807-1882), Natoli, con l’avallo di Cavour, ricoprì l’incarico di ministro dell’Agricoltura e commerci– con l’interim degli Affari esteri – nel governo dittatoriale, fino alle dimissioni in dissenso con l’espulsione dalla Sicilia di La Farina.

A dicembre divenne governatore di Messina, nel delicato periodo della transizione statale.

Camillo Benso di Cavour (in alto) e Giuseppe Garibaldi (in basso) – Fonte: wikipedia.org

Una volta eletto al Parlamento di Torino, prese parte al primo governo del Regno d’Italia, guidato da Cavour, come ministro dell’Agricoltura, industria e commercio.

Come deputato ha rappresentato le istanze più impellenti della città dello Stretto, ossia la smilitarizzazione dei forti e il porto franco.

 

Le elezioni suppletive

Sia La Farina che Natoli non conclusero il loro mandato alla Camera. La Farina morì nel settembre 1863, mentre Natoli fu nominato senatore del Regno nell’agosto 1861.

In entrambi i collegi cittadini – in momenti diversi-  si tennero, dunque, le elezioni suppletive. In particolare, nel collegio di Messina 2 fu eletto un deputato destinato a ricoprire la carica di parlamentare per altre cinque legislature. Stiamo parlando di Giorgio Tamajo (1917-1897), più volte prefetto in diverse città e celebre esponente della massoneria.

Giorgio Tamajo – Fonte: agrigentoierieoggi.it

 

Mario Antonio Spiritosanto

 

Fonti:

treccani.it/natoli

storia.camera.it/deputato/giorgio-tamajo

http://dati.camera.it/apps/elezioni/

storia.camera.it/legislature/sistema-maggioritario-uninominale-doppio-turno

 

Immagine in evidenza:

Il primo Parlamento del Regno d’Italia – Fonte: piemontetopnews.it

Alla (ri)scoperta delle scuole superiori di Messina: La Farina e Archimede

In attesa del rientro in classe degli studenti delle scuole superiori siciliane, previsto, salvo rinvii, per l’inizio della prossima settimana, torna il nostro spazio dedicato alle scuole messinesi. Come preannunciato, oggi è il turno degli altri due licei del centro: il Liceo Classico “G. La Farina” e il Liceo Scientifico “Archimede”.

 

Liceo Classico “G. La Farina”

Il Liceo Classico “G. La Farina”, oggi parte dell’I.I.S. “La Farina – Basile” in quanto accorpato al Liceo Artistico “E. Basile” – di cui tratteremo prossimamente -, avviò le attività didattiche nel 1932. L’edificio è situato in via della Munizione, il cui nome ricorda un teatro che, in precedenza, fu magazzino di armi e munizioni. Si dice che in questo teatro anche La Farina – tra i tanti – inscenò una sua opera; probabilmente questo è uno dei motivi per cui fu scelto come nome dell’istituto quello del patriota messinese.

L’edificio del Liceo Classico “Giuseppe La Farina” – Fonte: normanno.com

Giuseppe La Farina (1815 – 1863) nacque a Messina e si laureò in Giurisprudenza presso l’Università di Catania. In giovinezza fu anche redattore di alcuni giornali cittadini. La sua grande passione, però, fu la politica, per la quale, nel 1937, dovette lasciare la città dello Stretto, insieme alla moglie Luisa di Francia – zia di Sant’Annibale-, con l’accusa di aver partecipato a un movimento rivoluzionario.

Soggiornò nella città di Firenze, prima di rientrare nel 1848 in Sicilia in occasione dei moti per l’indipendenza del Regno di Sicilia. La Farina fu uno dei protagonisti del biennio rivoluzionario, ricoprendo la carica di deputato al Parlamento di Palermo e quella di ministro (prima della Pubblica Istruzione, poi dei lavori pubblici, dell’interno e della guerra).

Terminata l’esperienza rivoluzionaria, si trasferì prima in Francia e successivamente a Torino, dove fondò un’associazione patriottica: la Società nazionale italiana. A seguito della spedizione dei Mille (1860), il Presidente del Consiglio del Regno sabaudo Cavour lo inviò a Palermo quale rappresentante in Sicilia del Governo, anche se la sua permanenza sull’Isola durò poco, a causa dei contrasti con Garibaldi.

Monumento a Giuseppe La Farina in Piazza Solferino, Torino – Fonte: vivatorino.it

Nel 1861 fu eletto deputato della città di Messina nel primo Parlamento del Regno d’Italia – con sede a Torino – in cui ricoprì l’incarico di vicepresidente della Camera dei deputati. Due anni più tardi si spense nella città della Mole.

Nel 1872, in occasione dell’inaugurazione del Gran Camposanto, le sue ceneri furono trasportate nella città natale, ove tutt’ora giacciono nel famedio del cimitero.

Liceo Scientifico Statale “Archimede”

Poco distante dal centro storico, in prossimità dello svincolo autostradale Messina-Boccetta, è situato il Liceo Scientifico “Archimede”, fondato nel 1969. L’edificio principale è quello che ospitava il Convitto “Cappellini”, un ospizio di beneficienza istituito nell’Ottocento. L’istituto è intitolato al celebre scienziato Archimede, che, seppur non abbia avuto un legame diretto con la città di Messina, ha apportato un importante contributo all’evoluzione della scienza e della tecnica.

L’edificio del Liceo Scientifico “Archimede” – Fonte: elencoscuole.eu

Archimede (287 a.C. – 212 a.C.) nacque a Siracusa, la città siciliana più potente dell’epoca, alleata di Roma durante la Prima Guerra Punica. Molto probabilmente, durante gli anni della guerra, Archimede non ha vissuto in patria, poiché si stabilì, per motivi di studio, ad Alessandria d’Egitto, la capitale culturale dell’Ellenismo.

Rientrato in Sicilia, fu apprezzato dal re Gerone, soprattutto per due episodi leggendari. Si narra che Archimede riuscì a muovere una nave con il solo aiuto di un congegno meccanico – da qui la celebre frase “datemi un punto d’appoggio e solleverò il mondo!” – e smascherò un orefice che aveva ingannato il Re, realizzando una corona non totalmente d’oro. L’intuizione, secondo la leggenda, gli venne quando si immerse in una vasca e, esclamando “Eureka!”, si accorse che l’acqua fuoriuscita poteva essere uno strumento di misurazione del volume dei solidi.

Busto di Archimede – Fonte: libertasicilia.it

Lo scienziato siracusano, maestro della tecnica, inventò numerose macchine – come il planetario -, persino belliche. Archimede, infatti, dopo la morte di Gerone, diresse le operazioni militari, per difendere la sua città dall’assalto dei Romani. Nonostante le ingegnose invenzioni rallentarono l’avanzata romana, la città di Siracusa capitolò e, durante il saccheggio, Archimede perse la vita – per mano di un soldato che violò l’ordine di catturarlo vivo -, mentre era immerso nello studio di alcune figure geometriche.

I suoi numerosi studi, ripresi da matematici del Cinquecento e del Seicento, tra cui Francesco Maurolico, costituirono le basi per importanti evoluzioni della scienza matematica.

Alla prossima!

Concludiamo dandovi appuntamento al prossimo articolo, in cui conosceremo la storia e i personaggi degli altri celebri istituti del centro: l’Istituto Tecnico Economico “Jaci”, l’I.I.S. “Verona-Trento” e l’I.T.T.L. “Caio Duilio”.

 

Mario Antonio Spiritosanto

 

Fonti:

islafarinabasile.edu.it

liceoarchimedeme.it/

treccani.it/enciclopedia/archimede

tempostretto.it

Immagine in evidenza:

Archimede (fonte: le-citazioni.it) e Giuseppe La Farina (fonte: universome.eu)

… Messina e Palermo si contendevano il titolo di Capitale della Sicilia?

Rosanero contro rossoblu, l’Aquila contro il Liotro, Santa Rosalia contro Sant’Agata o, più banalmente, l’arancina contro l’arancino: se pensiamo oggi alla rivalità per eccellenza fra le città siciliane non ci può non venire in mente quella fra Palermo e Catania.

Ma se guardiamo al passato, quella che molti credono essere una faida secolare in realtà si rivela essere una inimicizia abbastanza recente; e se è vero che Palermo, la città dei Re normanni, svevi e angioini, fin da tempi antichissimi ha rivendicato il ruolo di città egemone a livello politico, economico e culturale in Sicilia, è anche vero che, per lungo tempo, a contenderle spesso duramente questo primato era non Catania, ma proprio la città di Messina.

Città che, nell’apice del suo splendore economico, poteva vantare uno dei porti più ricchi e trafficati del Mediterraneo, e che per secoli divise, proprio con Palermo, addirittura il titolo di Capitale: Messana, nobile Siciliae Caput, come recitava un antico motto latino.

Ma due galli nello stesso pollaio, si sa, non vanno mai d’accordo; ed è così che fra Messina e Palermo si sviluppò negli anni una fortissima rivalità . La situazione diventa esplosiva durante la dominazione spagnola, a cavallo tra Cinquecento e Seicento: in questo periodo florido della storia di Messina, le due città fanno a gara ad accumulare privilegi politici, ricchezze economica e bellezze artistiche.

È una lotta accesissima, e senza esclusione di colpi: a quel periodo risale la storia popolare, tramandata dall’etnografo Pitrè, secondo cui i Palermitani organizzarono una spedizione punitiva a Messina, durante la quale avrebbero danneggiato la statua del Nettuno del Montorsoli, trasformando la beneaugurante mano aperta del dio olimpico in un volgare gesto delle corna. La rappresaglia messinese non tardò a venire: i Messinesi risposero distruggendo i nasi di alcune statue femminili in piazza Pretoria. Un gesto carico di simbolismo, dato che il taglio del naso era la pena riservata anticamente ad adultere e ruffiani…

Al di là degli aneddoti, le invidie e  i rancori fra le due città divennero sempre più aspri durante il Seicento, ed ebbero un ruolo importante fra le cause di quella che fu la rivolta antispagnola di Messina del 1675. Rivolta che contribuì a mettere la parola fine sulla questione, dato che, una volta conclusasi con la vittoria degli Spagnoli, la città peloritana vide andare in fumo tutti i suoi passati privilegi.

Eppure, per tutto il periodo del Settecento, in molte fonti e documenti storici la città di Messina continua a essere accompagnata dal titolo di “Capitale di Sicilia”, benchè ridotto ormai, di fatto, a un puro vezzo campanilistico.

E la ferita doveva bruciare parecchio ancora nel 1848, quando tutta la Sicilia si sollevò contro la monarchia borbonica e Messina andò incontro a un duro assedio; proprio sul sentimento di rivalsa verso gli odiati palermitani provarono a far leva, in un primo momento, gli assedianti, promettendo a Messina, se si fosse arresa, proprio il titolo di Capitale. Anche se la risposta dei rivoltosi fu, in questo caso, un secco no: del resto, meglio sconfitti che traditori!

Gianpaolo Basile