Lina Wertmüller: una donna dietro la cinepresa

«Povera tua moglie se sei minuti sono un’eternità» rispondeva nel film Bohemian Rapsody un provocatorio Freddie Mercury al suo discografico.  Nella pop culture, in cui regna il paradigma del “breve ma intenso”, dei tweet sotto i 280 caratteri, delle ig stories di 24 ore, sfornare hit che durino più di tre minuti o film dal titolo Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici, era ed è a maggior ragione adesso una scelta folle, audace.

E audace è la parola giusta per descrivere il cinema e la personalità di Lina Wertmüller, la più celebre regista italiana, scomparsa ieri all’età di 93 anni.

La regista con la sua stella nella Walk of Fame. Fonte: tuttalativu.it

In un’epoca in cui le donne stavano solo davanti alla cinepresa, dive stupende ma semplice oggetto dello sguardo maschile sul mondo, la Wertmüller divenne la prima italiana a stare dietro la cinepresa. “Dietro” senza nascondersi, ma anzi distinguendosi come solo i grandi del cinema sanno fare, imprimendo il proprio timbro di originalità e ribellione. 

Solo una regista della sua statura poteva passare dai musicarelli con una frizzante Rita Pavone a opere commoventi come Io speriamo che me la cavo (1992), passando per le commedie e il cinema d’impegno politico anni ’70.

Difficile percorrere la sua intensa carriera, premiata nel 2020 con un Oscar onorario, in un solo articolo. Ci basterà però parlarvi di tre film significativi, incrociando le dita nella speranza che, finito di leggere, correrete a guardarli!

3 must di Lina Wertmüller 

1) Tutto a posto niente in ordine (1974)

Scritto e diretto interamente dalla nostra regista, la pellicola narra la storia di gente meridionale costretta ad abbandonare la propria terra per cercare fortuna nel settentrione.

Il film è ambientato a Milano, città che “va veloce”: già dai primi fotogrammi notiamo come tutti corrono a lavoro e nessuno si ferma mai, nemmeno negli scontri accidentali.

I protagonisti sono Gino (Luigi Diberti) e Carletto (Nino Bignamini); appena mettono piede nel “futuro”, ai due succederà la qualunque, tanto che rimarranno meravigliati di come il Nord sia così diverso dal sud anche negli atteggiamenti dei suoi abitanti che corrono tutti così velocemente.

Operai che protestano in una scena del film. Fonte: Euro International Film

Lina porta in scena la classe operaia di Milano, costituita principalmente da meridionali, e lo sfruttamento del capitalismo nonché le proteste che fa nascere.

Tutto a posto e niente in ordine ci mostra come il più delle volte l’essere umano, anche se animato da buone intenzioni, sia costretto dalle circostanze della vita a sporcarsi le mani e di come l’ingenuità dei protagonisti, stanchi dell’umiliazione e delle etichette imposte dalla società, venga sfruttata dai più forti.

2) Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974)

Osannato e imitato senza successo anche all’estero, il film è una perla di cinema d’autore su cui si potrebbe scrivere un intero trattato.

 La trama sembrerebbe delle più trite e banali: la ricca polentona si innamora del povero terrone come nelle favole la principessa del ranocchio.  Ma Travolti da un insolito destino non ha niente della tenerezza zuccherosa della fiaba o degli stereotipi della commedia leggera: è una storia drammaticamente realista condita da comicità tagliente, sesso e passione travolgente (ecco perché il titolo sebbene chilometrico si addice alla perfezione!).

E’ originale in tutto, partendo dai dialoghi veloci intrisi di critica sociale, finendo alla caratterizzazione dei suoi protagonisti: Gennarino (Giancarlo Giannini), il “troglodita” ma intelligente marinaio siciliano e la signora Raffaella Pavoni Lanzetti (Mariangela Melato), la “pu***na industriale” dall’accento meneghino.

Giancarlo Giannini e Mariangela Melato in una scena del film. Fonte: Medusa Film

I due, finiti su un’isola deserta, si innamoreranno, rompendo le convenzioni della società classista, ma riproponendo – stavolta ribaltata – quella dialettica servo-padrone che vedeva il marinaio sottomesso. Gennarino qui diverrà “signore” e Raffaella sua “schiava per amore”. Sbaglia però chi vede in questo rapporto di sottomissione una scivolata maschilista della regista. La Wertmüller ha infatti sottolineato come il suo intento fosse mettere in scena un’analisi della contrapposizione Nord/Sud e borghesi/operai.

Un’analisi lucida ma anche molto divertente!


3) Pasqualino Settebellezze (1975) 

La pellicola candidata a quattro Premi Oscar nel 1977 ( regia, attore protagonista, film straniero e sceneggiatura originale) ha consacrato la cineasta romana rendendola la prima donna candidata agli Academy Awards come miglior regista e facendola entrare nella storia del cinema.

Il film è ambientato nella Napoli degli anni ’30, la città in cui l’arte scorre nelle vene dei suoi abitanti.

Il protagonista è Pasquale Frafuso (Giancarlo Giannini), da tutti conosciuto come Pasqualino “settebellezze” per essere l’unico maschio in una famiglia di sette donne. E’ un soldato che, dopo essere scappato da un treno diretto al fronte assieme al commilitone Francesco, cerca di sfuggire dalla morte, attraversando la Germania. La fuga viene interrotta dalle SS che deportano i due in un campo di concentramento.

Giancarlo Giannini in una scena del film. Fonte: Medusa Film

Qui ormai abbattuto, Pasqualino ripercorre la sua vita passata. Dai suoi ricordi, sbirciamo come sia stato condannato per varie cause. Tra queste l’aver ucciso, accecato dalla rabbia, l’uomo che aveva indotto la sorella a prostituirsi. Dopo quella vicenda Pasqualino verrà soprannominato “il mostro di Napoli”.

Il film dopo i ricordi ritorna al presente in cui Pasqualino, per salvarsi dalla prigionia del lager, userà l’astuzia andando contro i suoi stessi compagni e la morale.

Lina Wertmüller assieme a Giancarlo Giannini. Fonte: lasinistraquotidiana.it

Pasqualino settebellezze è un film sublime sulle ingiustizie e gli orrori che la popolazione ha dovuto affrontare a quell’epoca. La regista anche qui è geniale perché non sceglie un eroe come protagonista, ma un antieroe, un folle arrogante che vive con il credo dell’ insolenza e per cui nonostante tutto il pubblico prova pena.

Lina Wertmüller è riuscita con grande maestria a interrogare lo spettatore, ponendogli domande che solo il più attento però riesce a cogliere. E’ giusto che Pasqualino viva tutto ciò considerati i suoi gesti abominevoli? O lo perdoniamo perché la sopravvivenza spinge l’essere umano a compiere determinate nefandezze?

L’arte per gli ultimi

I film di Lina Wertmüller sono vere e proprie opere di denuncia sociale, che rappresentano la realtà con eleganza, a volte con ironia, altre con crudezza, puntando spesso il dito verso il patriarcato e le ingiustizie sociali.

Ci mancherà la regista dagli occhiali bianchi, che è riuscita in un mondo maschilista a lottare, usando l’intelletto e la cinepresa, la sua «arma politica preferita».

“Amare è essere impegnati, è lavorare, è avere interessi, è creare.”

 

   Alessia Orsa, Angelica Rocca

Martin Scorsese: il maestro dei maestri

Ogni forma d’arte, disciplina o sport presenta una o più figure di spicco che ormai nell’immaginario collettivo costituiscono dei veri e propri simboli.

Basti pensare a Michelangelo, Albert Einstein, Maradona: quando ci viene in mente uno di questi personaggi, ci si immedesima totalmente e con amore nel loro mondo grazie alle scoperte, ai capolavori e alle emozioni che ci hanno donato.

Tutto ciò accade anche quando viene pronunciato il nome di Martin Scorsese per quanto riguarda il cinema. Proprio per questo noi di UniVersoMe, in occasione del suo 79esimo compleanno, vogliamo rendergli omaggio andando ad analizzare tre dei suoi più grandi film.

Martin Scorsese – Fonte: cheatsheet.com

1) Taxi Driver (1976)

E’ la pellicola che segna l’ascesa del regista e di Robert De Niro. Come è noto, i due si conoscevano fin dai tempi dell’adolescenza essendo cresciuti per le strade di Little Italy a New York. Precedentemente avevano già lavorato insieme, ma è con Taxi Driver che entrambi sono riusciti ad esprimersi al massimo delle proprie potenzialità, grazie soprattutto alla fiducia reciproca. Potrebbe apparire come un concetto banale, quasi una frase fatta, ma la fiducia è in realtà il motivo principale in base al quale questo film è divenuto una pietra miliare della settima arte.

Facciamo degli esempi: l’iconica scena in cui il protagonista Travis (Robert De Niro) parla allo specchio, è stata improvvisata integralmente dall’attore stesso e ciò fu possibile in quanto Martin gli disse di recitare liberamente senza alcuna direttiva. Venne fuori la migliore interpretazione attoriale di De Niro dal 1985 a oggi.

Robert De Niro e Martin Scorsese sul set di Taxi Driver – Fonte: galerieprints.com

Nella scena in cui il tassista porta in macchina l’uomo gelosissimo della moglie, l’attore che avrebbe dovuto ricoprire il ruolo all’ultimo momento non riuscì a prendere parte alle riprese. Scorsese decise quindi di interpretarlo in prima persona basandosi solo ed esclusivamente su alcuni consigli di De Niro.

La fiducia che sta alla base di questo rapporto professionale ovviamente non è l’unico elemento distintivo di Taxi Driver: le innovative tecniche di ripresa introdotte dal regista, la celeberrima interpretazione di De Niro e l’impeccabile sceneggiatura la rendono una delle pellicole più belle della storia del cinema.

L’elemento clou di tutto il film si racchiude poi semplicemente nello sguardo finale del protagonista. (allarme spoiler!)

Dopo tutte le vicissitudini, i risvolti di trama e le lotti interiori di Travis, nella scena finale il tassista lancia una gelida occhiata che viene riflessa dallo specchietto retrovisore dell’auto.

Con quell’espressione De Niro non ci fa capire più nulla: non è chiaro infatti se Travis sia guarito o se dentro di sé nasconda ancora tutta quella violenza e che quindi sarà pronto nuovamente a compiere una carneficina (esattamente come in Shutter Island qualche anno più tardi).

2) Quei bravi ragazzi (1990)

Siamo davanti ad uno dei più grandi capolavori dei gangster-movies. Scorsese ha dato vita ad un’opera con la quale rappresenta gli aspetti più violenti della criminalità come se fossero momenti di vita quotidiana di un comune cittadino medio. Durante i vari crimini, infatti, è possibile notare come i protagonisti parlino del più e del meno, scherzino tra loro, cenino insieme alla propria madre mentre magari hanno un cadavere nascosto nel bagagliaio.

Vi sono diverse scene del film in cui il regista, con una serie magistrale di inquadrature e delle musiche ad hoc, riesce ad incantare lo spettatore facendolo immergere totalmente in ciò che sta accadendo nella pellicola (per esempio quando vengono presentati i bravi ragazzi).

Joe Pesci, Ray Liotta e Robert De Niro in una scena del film – Fonte: Warner Bros.

Scorsese esalta in maniera esponenziale anche i dettagli, un po’ alla Sergio Leone. Memorabile è a questo proposito la scena del taglio dell’aglio in carcere, che ormai è divenuta un tratto peculiare del film.

Il cast infine trasuda qualità da ogni poro grazie alle interpretazioni di Ray Liotta, Robert De Niro e Joe Pesci, quest’ultimo premiato con l’Oscar nel 1991 come migliore attore non protagonista.

3) The Wolf of Wall Street (2013)

Una delle pellicole hollywoodiane più spinte ed amate di sempre. La lussuria ed il capitalismo sono gli elementi portanti della trama.

Il regista tuttavia non si lascia intimorire dai temi che dovrà affrontare e parlerà per 3 ore di fila esclusivamente di droghe, sesso e soldi senza mai deviare il tiro, ma anzi decidendo di rincarare la dose.

Con un ritmo frenetico ed una serie di inquadrature alla Scorsese, è impossibile annoiarsi durante la visione.

Leonardo Di Caprio nei panni di Jordan Belfort – Fonte: 01 Distribution

L’interpretazione di Leonardo Di Caprio nei panni di Jordan Belfort è impeccabile: immedesimatosi completamente nel personaggio, l’attore dà vita in maniera elegante ad un uomo ossessionato dai soldi e dalle droghe, ma con un senso dell’umorismo molto forte che lo rende profondamente carismatico.  Insomma, un uomo che, anche se sostanzialmente truffatore, riesce a conquistarsi la simpatia del pubblico.

 

Fonte: nonsolofilm.it

Martin Scorsese è l’incarnazione del Cinema.

Non esistono aggettivi in grado di rendergli giustizia per definire quello che è riuscito a creare nel corso della sua carriera. Possiamo solamente dire: «Grazie Martin, a nome di tutti!»

Vincenzo Barbera

 

 

Sam Raimi: una favola di regia

Nel corso della storia del cinema possiamo contare diversi esempi di uomini e donne capaci di imporre le proprie idee e farsi amare dal pubblico internazionale partendo da zero.

Compie oggi 62 anni Sam Raimi, regista che ha fatto la storia della settima arte imponendosi autonomamente in un settore estremamente ostico verso chi non possiede le conoscenza necessarie per poterci lavorare.

Noi di UniVersoMe vogliamo celebrarlo andando a ripercorrere le tappe più significative della sua carriera.

Le origini e la trilogia de La Casa

Alla base del successo del regista gioca un ruolo fondamentale l’amicizia con Bruce Campbell. I due si conoscono dai tempi della scuola e fin da adolescenti iniziano a girare dei cortometraggi con una cinepresa regalata a Sam dal padre.

Trascorrono gli anni e la passione per il cinema porta i due a fondare una propria società insieme a Robert Tapert (l’allora compagno di stanza d’università di Raimi): la Renaissance Pictures. Il primo film della nuova casa di produzione fu La Casa (1981).

La pellicola racconta di cinque ragazzi che si recano in uno chalet sito all’interno di un bosco per divertirsi. Qui vi trovano un libro scritto in sumero (il Necronomicon), mediante il quale involontariamente evocano un’entità maligna che li perseguiterà. Toccherà ad Ash Williams (Bruce Campbell) cercare di salvare se stesso e i suoi amici.

Una scena del film – Fonte: Renaissance Pictures

La Casa inizialmente venne accolto da pareri discordanti della critica e non ottenne particolare successo al botteghino. Nel corso degli anni però, grazie alla redistribuzione in home video, venne ampiamente rivalutato fino ad essere considerato uno dei cult movie a basso costo più amati della storia. A causa del budget bassissimo, Raimi dovette arrangiarsi parecchio durante le riprese: molti effetti speciali vennero creati con mezzi di fortuna sul set stesso.

Ciò che colpisce enormemente della regia è sicuramente l’utilizzo della telecamera nei momenti in cui l’entità si muove tra i boschi: il regista ha deciso di effettuare delle riprese in soggettiva del demone mentre insegue i ragazzi. Gli inseguimenti vengono mostrati dal punto di vista dell’entità grazie a una sorta di steadicam (creata dal regista stesso), montata su un supporto mobile che garantisce un movimento fluido e veloce della cinepresa. Il risultato è un effetto tremolante senza alcuna perdita di qualità dell’immagine.

Nel 1987 il regista gira una sorta di sequel/remake, intitolato La Casa 2, con Bruce Campbell nuovamente nei panni  di Ash Williams. Grazie alla distribuzione di Dino De Laurentis e ad un budget 10 volte superiore al film precedente, Raimi riesce a riproporre ciò che aveva già realizzato ne La Casa, innalzando esponenzialmente la qualità della pellicola.

Un elemento estremamente importante della pellicola è certamente l’aspetto del protagonista: Ash ad un certo punto del film è costretto ad amputarsi una mano e poi ad autoimpiantarsi una motosega per sostituirla. Con una mano-motosega da un lato ed un fucile dall’altro, diviene a tutti gli effetti un personaggio iconico nel panorama del genere horror. Un esempio di come Raimi riesca ad aggiungere particolari significativi alla trama che restano impressi in maniera indelebile nella mente dello spettatore.

Ash ed il suo amato braccio-motosega

Nel 1992 esce il seguito diretto de La Casa 2 intitolato L’armata delle tenebre, film visceralmente diverso dai precedenti.  Non ci troviamo più di fronte ad un horror con sprazzi di comicità, ma più propriamente davanti ad un fantasy che vede sempre Ash Williams catapultato nel medioevo dove dovrà fronteggiare le forze del male.

La trilogia di Spider-Man: rinascita del cinecomic

Dopo il successo della trilogia de La casa, arriva un’occasione più unica che rara per il regista: nel 2000 la Sony gli affida il compito di dirigere Spider-Man. Un momento significativo per la carriera di Raimi: se prima il regista aveva tutta la libertà del mondo per esprimere la sua creatività da cineasta senza particolari pressioni, ora si ritrova su un livello estremamente più elevato.

Impostando la pellicola come una sorta di commedia d’azione con spruzzi di romanticismo d’alta classe (il bacio tra Peter Parker e Mary Jane meriterebbe un intero articolo a parte!) e gag esilaranti, il regista gira un film che incassa 800 milioni di dollari.

Il famoso bacio tra Peter Parker (Tobey Maguire) e Mary Jane (Kirsten Dunst) – Fonte: Columbia Pictures/ Sony Pictures

Fino ad allora i film sui supereroi erano considerati B-movies e le grandi case di produzione – a parte rarissime eccezioni- non investivano in tali progetti. Spider-Man (2002) fu un salto nel buio per la Sony, che grazie a Raimi decise poi di girarne due seguiti dal medesimo stile (in Spider-Man 3 però non sono presenti gag degne di questo nome). Da lodare anche le brillanti interpretazioni di tutto il cast (presente anche l’amico Bruce Campbell in un cameo).

La trilogia di Spider Man trascina una mole gigantesca di persone in sala ad assistere a un film di supereroi, segnando la rinascita del cinecomic e l’inizio di un periodo d’oro per il genere che arriverà fino ai giorni nostri con le pellicole del Marvel Cinematic Universe.

Sam Raimi – Fonte: horrorstab.com

Raimi è un esempio lampante non solo di come si fa cinema, ma di come si possa creare qualcosa che abbia qualità in qualsiasi condizione. Senza soldi gira una pietra miliare del genere horror, con i soldi dà linfa vitale al genere cinematografico più redditizio di sempre. Chapeau Mr Raimi.

Vincenzo Barbera

 

 

Oscar 2021: ecco cosa è successo nella notte più attesa dagli amanti del cinema

Gli Oscar di quest’anno sono stati senza dubbio inusuali rispetto agli standard soliti dell’Accademy: la cerimonia si è infatti svolta in differenti location, data l’impossibilità per molti dei protagonisti di viaggiare o anche solo di potersi riunire nella normale location del Dolby Theatre.

L’evento

La cerimonia si è infatti svolta in diverse sedi: il Dolby Theatre e la Union Station a Los Angeles, più svariati altri luoghi da cui gli attori hanno ricevuto i loro premi. Tutto ovviamente per assicurare il rispetto delle norme anti Covid e garantire allo stesso tempo la presenza fisica degli invitati alla cerimonia: la loro assenza è infatti costata cara ad altri eventi come i Golden Globe, che hanno visto più che dimezzato il proprio pubblico.

Il Dolby Theatre, tradizionale scenario della magica notte degli Oscar. Fonte: flickr.com, © 2016 American Broadcasting Companies

Un’altra innovazione rispetto ai precedenti anni è stato anche il ritmo dell’evento stesso, che si è rivelato essere molto più incentrato sui premi stessi: si è scelto infatti di eliminare le gag tra un premio e l’altro che costituivano prima parte integrante dello show, così come si è scelto anche di rivedere l’ordine delle premiazioni in sé: il miglior film è stato infatti eletto quasi all’inizio della serata in contrasto con la convenzione che lo vede come “portata finale”, persino in eventi che prendono gli Oscar ad esempio.

I film

I lungometraggi più importanti quest’anno sono senza alcun dubbio quelli candidati come miglior film: Nomadland racconta la storia dei nuovi nomadi americani, che colpiti dalla grave crisi economica del 2008 si ritrovano ad affrontare una nuova vita senza fissa dimora; The sound of metal racconta poi il tema della sordità di un musicista, Minari quello del pregiudizio razziale, mentre Mank e Una donna promettente raccontano rispettivamente la storia dello sceneggiatore di Quarto Potere e di una donna che porta avanti una vendetta per la violenza di cui è stata testimone.

I premi

Questa edizione ha visto come maggiori contendenti al più alto numero di statuette Netflix e Disney, che si sono alla fine spartiti tra loro due un totale di 12 premi, con Netflix che ha prevalso con  7 premi.

Importante caratteristica delle premiazioni di quest’anno è stata la grande inclusività: Chloé Zhao, regista di nazionalità cinese,  è stata la seconda donna nella storia dell’evento a vincere il premio come miglior regista; sono stati premiati anche Daniel Kaluuya come miglior attore non protagonista e il film Ma Rainey’s Black Bottom per miglior trucco e costumi, girato con un cast di personaggi interamente di colore. Ci si sarebbe aspettati anche un premio al compianto Chadwick Boseman, che è invece andato ad Anthony Hopkins eletto miglior attore protagonista per il film The Father. Anche il film Soul è stato eletto come miglior lungometraggio d’animazione avendo un protagonista di colore.

Anthony Hopkins, vincitore dell’Oscar come miglior attore protagonista per la sua interpretazione in “The father”. Fonte: flickr.com

Il premio più importante come miglior film è stato poi dato a Nomadland, come tra l’altro molti pronosticavano. Il film ha anche raccolto il premio alla miglior attrice, donato a Frances McDormand.

A completare i premi i due alla miglior sceneggiatura, Una donna promettente e The Father, quello ai miglior effetti special per Tenet, e quello per la miglior attrice non protagonista dato a Yoon Yeo-jeong per la sua performance nel film Minari. Nulla da fare invece per Laura Pausini, con il trionfo di Fight for You.

I protagonisti

Un altro elemento di rottura rispetto alle edizioni precedenti è stata la presenza di più conduttori della serata, diversamente dal singolo che di solito presenta sul palco: la cerimonia è stata fatta partire da Regina King e proseguita poi da attori come Brad Pitt e Harrison Ford, in continuazione della tradizione che vede i precedenti premi Oscar premiare i nuovi vincitori.

Chloe Zhao, vincitrice dell’Oscar “miglior regia” per “Nomadland”. Fonte: Vegafi, wikimedia.org

Oltre ciò però la serata ha sicuramente sancito per l’industria un ritorno che si speri continui con la riapertura delle sale, perché come ha anche detto Chloé Zhao questo medium vive nei cinema e sul grande schermo. Quella che stiamo vivendo deve limitarsi ad essere solo, per quanto lunga e dolorosa, una parentesi.

 

                   Matteo Mangano

Mank, affari da vecchia Hollywood

Un elegante “metafilm” che mette – forse – una pietra sopra le controversie legate al capolavoro “Quarto Potere” – Voto UVM: 4/5

Le vicende di Hollywood spesso nascondono delle storie avvincenti che soprattutto negli ultimi anni molti registi hanno deciso di raccontare.

Basta pensare a Once Upon a Time … in Hollywood (2019), L’ultima parola: la vera storia di Dalton Trumbo (2015) o Ave, Cesare! (2016) dove vengono rappresentati i meccanismi della vecchia Hollywood.

Il regista David Fincher ha deciso di entrare a far parte di questa lista con Mank (2020) ricostruendo la genesi di uno dei migliori film della storia del cinema: Quarto potere (1941). Proprio questa pellicola è stato inserito dall’American Film Institute al primo posto della AFI’s 100 Years… 100 Movies, ovvero la lista dei cento film americani più importanti di sempre, resistendo anche ai successivi aggiornamenti della classifica con film più recenti.

Oltre alle varie controversie legate alla genesi di Quarto Potere, ecco perché è valsa la pena girare (e vale la pena guardare) “un film su un film”.

La locandina del film – Fonte: netflix.com

Trama

Nel 1940 al drammaturgo e sceneggiatore Herman Mankiewicz, soprannominato da tutti “Mank” (Gary Oldman), viene commissionata la stesura del copione di Quarto potere direttamente da Orson Welles.

Il protagonista viene spedito in una casa di campagna così da non avere distrazioni durante il lavoro, che dovrà essere ultimato in soli 60 giorni. Oltre all’ostacolo del tempo fortemente limitato, il protagonista deve fare i conti anche con la propria gamba, infortunatasi in seguito ad un incidente stradale avvenuto pochi giorni prima, che lo obbliga a stare a letto.

Mank non è certo privo di compagnia in quanto viene assistito da un’infermiera e dalla propria dattilografa.

Una delle scene più emblematiche di Quarto potere – Fonte: lascimmiapensa.com

Nel corso del film vi sono dei lunghi flashback dove viene mostrata la sua vita durante gli anni 30.

Era un uomo estremamente colto, capace in pochi istanti di riuscire a sorprendere e di farsi apprezzare da personaggi illustri dell’epoca come Irving Thalberg, David O. Selznick, Marion Davies e molti altri.

Vengono mostrati anche gli incontri con il suo amato fratello Joseph, anch’egli sceneggiatore, ed il suo ufficio ai tempi in cui lavorava per la Paramount. Una volta concluso il copione Mank inizia a riflettere sul suo operato.

A causa del contratto sottoscritto con la produzione, lo sceneggiatore non potrà comparire nei titoli di coda di Quarto potere. Quando si accorge però di aver creato lo scritto migliore della sua vita si scontrerà con Orson Welles.

Cast

Di Gary Oldman abbiamo già avuto modo di parlare qui.

L’attore in questo film è stato calato in un universo all’interno del quale vige una perfetta armonia: gli impeccabili dialoghi scritti da uno straordinario Jack Fincher (padre del regista David) e le altre interpretazioni del cast hanno permesso a Gary  non solo di poter recitare serenamente ma anche di potersi spingere oltre.

Gary Oldman nei panni di Herman Mankiewicz – Fonte: ddatalent.com

Immedesimato al massimo nella parte, riesce nel dar vita ad un personaggio profondamente complesso.

Un uomo raffinato ed incredibilmente intelligente ma incapace di rinunciare ai vizi, che si sente in una trappola da lui costruita e nella quale ripara egli stesso ogni buco per poter fuggire.

Non a caso l’attore è candidato come miglior attore protagonista agli Oscar 2021.

Di primaria importanza anche la prova dell’attrice di Amanda Seyfried nei panni di Marion Davies la quale ha interpretato in maniera eccelsa la diva del cinema servendosi principalmente di una tecnica d’espressione facciale degna di nota.

Regia

Così come è stato per The Irishman (2019) di Martin Scorsese, ancora una volta è grazie solo ed esclusivamente all’intervento di Netflix se oggi possiamo assistere a questa pellicola.

Il progetto di Mank venne creato dal padre del regista Jack Fincher ed ultimato nel 2003, ma tutte le case di produzione lo rifiutarono (mentre ora è candidato a 10 Oscar).

David Fincher ha deciso di realizzare il film totalmente in bianco e nero e di adottare tecniche di ripresa ed inquadrature tipiche degli anni 30 per dar vita ad un’atmosfera fortemente retrò in cui lo spettatore si immedesima, calandosi maggiormente nella storia.

David Fincher e Gary Oldman sul set di Mank – Fonte: derzweifel.com

La struttura narrativa è fortemente ispirata a quella proprio di Quarto potere in quanto non segue uno schema lineare, bensì è caratterizzata da vari intervalli in cui sono stati montati i flashback del protagonista così da creare dei continui sbalzi temporali.

La storia raccontata in Mank è un misto tra eventi reali e fantasia.

L’assoluta verità sul ruolo che ebbe Orson Welles sulla stesura di Quarto potere non ci è pervenuta, ma ciò che ci è giunto fortunatamente è questa pellicola. Ogni amante del cinema si augura di vederne di simili il prima possibile.

Vincenzo Barbera

 

 

Pier Paolo Pasolini, la voce degli ultimi

 

 

E’ una storia da dimenticare
è una storia da non raccontare
è una storia un po’ complicata
è una storia sbagliata

Il 5 Marzo del 1922 veniva al mondo colui che venne definito  “lo scomodo”: Pier Paolo Pasolini. Autore e regista, che ha segnato non solo la storia italiana ma anche quella mondiale, il suo pensiero e la sua penna erano un ostacolo per coloro che governavano (e che governano). Ancora oggi il suo assassinio è avvolto nel mistero: c’è chi pensa che sia stata una morte accompagnata dall’ignoranza e chi crede che sia stata premeditata per mettere a tacere la sua voce.

Ma quali sono i libri e i film che hanno reso Pasolini immortale? Sono tanti e troppi, ma- cari lettori- vi mostrerò le opere che hanno segnato non solo la sua carriera, ma anche lo scrittore stesso.

Ma, naturalmente, per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla

 Pier Paolo Pasolini. Fonte: doppiozero.com                    

Comizi d’amore (1965)

Comizi d’amore, è un documentario scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini. Nel 1963, armato di videocamera e microfono, l’autore assieme al produttore Alfredo Bini comincia il suo cammino per tutta Italia; inizialmente il suo progetto era trovare volti nuovi per il  film Il Vangelo secondo Matteo ,ma, camminando, nella sua testa si forma e si crea un nuovo progetto che lo immortalerà come “lo scrittore degli ultimi.  

 Nell’estate del ’65 intraprende quindi un viaggio dal nord al sud Italia in cerca delle voce del popolo riguardo alla sessualità per capire come viene vista e pensata e per quale motivo sia ancora un tabù, nonostante sia una pratica che riguarda ogni singolo individuo.

Pasolini si traveste da nomade e interroga come i filosofi il popolo, scavando nella loro anima per cercare una risposta. Troverà risposte e pensieri differenti, giacché va a interrogare ogni rango sociale, dalla classe più umile fino ad arrivare all’alta società. Curioso sapere che all’interno dell’opera troveremo intellettuali come Giuseppe Ungaretti, Alberto Moravia e tanti altri. Il film è una pietra miliare del cinema italiano, ma è poco conosciuto, proprio perché va a toccare ciò che è sempre stato taciuto.

Che al vostro amore si aggiunga la coscienza del vostro amore.

Pasolini intervista la gente nei Comizi d’amore. Fonte:pordenonoeoggi.it

Le ceneri di Gramsci (1957)

Il libro è una raccolta di poesie in cui Pasolini si rivolge a Gramsci davanti alla sua tomba descrivendogli la società italiana contemporanea, devastata dal dopoguerra e dai quei diritti mancati:

Mi chiederai tu, morto disadorno,
d’abbandonare questa disperata
passione di essere nel mondo?

L’opera raccoglie undici componimenti, il titolo è preso da una poesia: in quest’ultima vediamo Pasolini che si rivolge proprio alla tomba di Gramsci.

Pasolini davanti alla tomba di Gramsci. Fonte: googlesites.com

Ragazzi di vita (1955)

Ragazzi di vita è uno dei libri più famosi di Pier Paolo Pasolini.
L’opera si apre su una Roma devastata dal dopoguerra. I protagonisti sono dei ragazzini lasciati alla deriva non solo dalla scuola ma degli stessi genitori; essi cercano di vivere una vita normale e passano le loro giornate nelle strade della città eterna.

Pasolini con quest’opera ci descrive la decadenza post guerra che porta le persone a non saper più in cosa credere, tanto che per ammazzare la noia cadono esse stesse nel degrado più totale senza rispettare la morale.

Pasolini dietro la cinepresa.  Fonte: periodicodaily.com

Ma adesso dimmi Pasolini: chi sei realmente per la società? Tu che la società l’hai descritta in ogni sua piccola sfumatura, raccogliendo non solo le voci del popolo ma anche catturando l’estetica del paesaggio, donandogli un’anima e una voce…Chi sei realmente per tutti noi? Il “pedofilo” o il martire?  O semplicemente un individuo al di fuori dal comune?

Non illuderti: la passione non ottiene mai perdono. Non ti perdono neanch’io, che vivo di passione.

                                                                                                                  Alessia Orsa

 

Hammamet: quando Favino supera sé stesso

Un film su un politico che non è assolutamente politico. Pregi e difetti per la pellicola sugli ultimi anni di Craxi – Voto UVM: 3/5

Ci sono uomini che, nel bene o nel male, hanno fatto la storia del nostro Paese.

Chiunque ha diritto di dedicarli un libro, un quadro o un film. Fondamentale è però giudicare l’opera in sé e per sé, senza farsi condizionare da ciò che il protagonista ha fatto nel corso della sua vita.

In occasione dell’anniversario della morte di Bettino Craxi, recensiamo il film Hammamet (2020) di Gianni Amelio.

La locandina del film – Fonte: screenweek.it

Trama

La pellicola narra gli ultimi mesi di vita di Craxi. Il segretario del PSI (Partito socialista italiano) in seguito allo scandalo di Mani Pulite si è rifugiato con la famiglia in Tunisia, dove vive all’interno di una lussuosa villa sotto la protezione del dittatore Ben Ali.

L’ex presidente del consiglio conduce una vita normale: si preoccupa di badare al nipotino, riflette sul difficile rapporto che da sempre ha avuto con il figlio e fa trascrivere le sue memorie. Nonostante l’età che avanza ed una forma grave di diabete, continua a seguire con molta attenzione tutto ciò che accade in Italia.

Una notte un ragazzo si introduce furtivamente nella villa, ma viene tempestivamente catturato. Craxi riconosce che costui era Fausto, il figlio di Vincenzo Sartori (uno sei suoi uomini più fidati ai tempi della politica e morto in seguito a tangentopoli). Tra i due si instaura un profondo legame: infatti, trascorrono gran parte delle giornate a fare delle passeggiate per le strade tunisine, durante le quali il ragazzo filma Craxi mentre racconta aneddoti ed esprime i suoi pensieri.

La volontà reale di Fausto è però quella di uccidere Craxi: infatti, compra una pistola che nasconde nel proprio zaino.

Craxi (Pierfrancesco Favino) e Fausto (Luca Filippi) in una scena del film – Fonte: panorama.it

Un giorno Bettino gli rivela di essere sempre stato a conoscenza dell’arma e gli propone un patto: se lo avesse lasciato in vita, lui gli avrebbe comunicato informazioni talmente importanti da poter far venir meno l’assetto politico del Paese. Fausto accetta e dopo averlo ripreso per un’ultima volta sparisce.

In seguito l’ex Presidente riceverà altre due visite: quella di un ex amante e quella di uno dei suoi più grandi rivali politici, mentre il diabete  nel frattempo si è aggravato e la sua salute viene ulteriormente ostacolata dalla comparsa di un tumore ad un rene. Difficilmente operabile in Tunisia, la famiglia decide di tornare in Italia nonostante il forte rischio di essere scoperti e quindi di far arrestare Bettino.

Tuttavia al momento di prende l’aereo Craxi ci ripensa e si fa operare in Africa. Pochi giorni dopo l’operazione viene colto da un infarto che si rivelerà fatale.

Il film si chiude con Anita (la figlia di Craxi) che va a trovare Fausto in una clinica psichiatrica, il quale le consegnerà le registrazioni effettuate in Tunisia.

Regia

Qualsiasi critica socio-politica che si possa avanzare nei confronti di Hammamet, la lasciamo a chi non si occupa di cinema. Il regista ha scelto di raccontare la storia di Craxi da un punto di vista prettamente umano.

Il film si sofferma sugli aspetti della vita quotidiana di un uomo anziano, mostrando tutte le difficoltà causate dall’età che avanza e dal progredire della malattia.

Vengono messe a nudo tutte le paure ed i rimorsi dell’ex Presidente che, per quanto possa essere stato incredibilmente potente, è semplicemente un essere umano.

Pierfrancesco Favino ed il regista Gianni Amelio sul set – Fonte: ilriformista.it

Punto di forza della pellicola sono sicuramente le inquadrature scelte dal regista durante i dialoghi: il continuo alternarsi tra i primi piani rende partecipe lo spettatore alle acute ed articolate discussioni tra gli attori.

Tuttavia il film presenta dei momenti di vuoto puro che rallentano il racconto in maniera del tutto insensata e a tratti il film risulta essere profondamente noioso.

Favino

Ciò che rende Hammamet uno dei film italiani migliori del 2020 è obiettivamente la sontuosa interpretazione di Pierfrancesco Favino.

La voce è il primo elemento a rendere la prova d’attore encomiabile, anche se la prima cosa che effettivamente stupisce è la strabiliante somiglianza tra Favino e Craxi, ma di ciò se ne deve dare atto giustamente ai truccatori.

Pierfrancesco riesce a riprodurre fedelmente ogni singola lettera esattamente come veniva pronunciata dal Presidente, riproponendone anche l’autorità e la dialettica – caratteristiche che contraddistinguevano Craxi nei suoi interventi – in modo impeccabile.

Pierfrancesco Favino e Bettino Craxi – Fonte: faige.it

Da un punto di vista tecnico l’interprete è riuscito inoltre a rappresentare le movenze tipiche di un uomo anziano. Questi due elementi sono di per sé sufficienti a provare la realisticità dell’interpretazione.

Favino però va oltre questo concetto facendo uso dello strumento che più di tutti è capace di distinguere un fuoriclasse da un attore medio. Gli occhi di Pierfrancesco rispecchiano l’anima del personaggio e ci permettono di capire quanto sia stato elevato il suo livello di immedesimazione.

Favino non ci fa vedere un attore che interpreta Craxi, ma semplicemente, Craxi.

 

In conclusione, il film ha ricevuto critiche miste: come abbiamo potuto osservare anche noi, la pellicola presenta infatti pregi e difetti.

L’importante nel cinema, come in qualsiasi altra forma d’arte, è giudicare il prodotto per come è fatto (oggettivamente) e per quello che suscita in noi (soggettivamente). Politicamente? In separata sede.

Vincenzo Barbera

 

 

Sergio Leone: il regista che ha presentato l’Italia agli americani

Oggi avrebbe compiuto 92 anni uno dei più grandi registi della storia del cinema. Sergio Leone, considerato un trait d’union tra il cinema italiano e quello americano, ha diretto pellicole che non solo hanno stupito il grande pubblico, ma hanno influenzato registi d’altissimo calibro come Quentin Tarantino.

Noi di UniVersoMe andremo a comprendere come questo regista sia stato capace di dar vita ad un nuovo genere cinematografico e come abbia fatto a conquistare il pubblico internazionale.

Sergio Leone all’opera – Fonte: pinterest.com

La Trilogia del dollaro

La cosiddetta Trilogia del dollaro comprende i primi 3 film western del regista: Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto, il cattivo (1966).

Le tre pellicole narrano tre storie diverse tra loro. L’unico motivo per il quale vengono considerate parte di una trilogia è grazie alla presenza dell’Uomo senza nome (Clint Eastwood).

Per interpretare il ruolo del protagonista in Per un pugno di dollari, Sergio Leone aveva pensato ad attori del calibro di Henry Fonda e Cliff Robertson, ma in seguito ai loro rifiuti decise di ingaggiare un giovane – ed ancora sconosciuto – Clint Eastwood.

L’attore si rivelò uno dei punti di forza per il successo del film. Artefice di un’interpretazione magistrale caratterizzata da movimenti lenti e da un’unica espressione che rappresenta tutta la virilità del genere maschile, è diventato un’icona del western al pari di John Wayne.

Da qui cominciò la meravigliosa carriera di Clint Eastwood, star americana vincitrice di 5 premi Oscar scoperta e lanciata proprio da Sergio Leone.

Il regista decise di confermare l’attore anche per gli altri due film, facendogli interpretare lo stesso identico personaggio, ma introdusse altri protagonisti che condivisero alla pari la scena con Clint Eastwood. In Per qualche dollaro in più spicca il personaggio di Douglas Mortimer (Lee Van Cleef) che probabilmente è il cacciatore di taglie più elegante della storia.

Clint Eastwood e Lee Van Cleef in Per qualche dollaro in più – Fonte: comingsoon.it

Ne Il buono, il brutto, il cattivo vengono riconfermati i due interpreti precedenti e Leone ne aggiunge un terzo: Eli Wallach nei panni di Tuco Ramirez (il brutto) che incarna perfettamente il ruolo di un astuto farabutto sempre pronto a tradire dinnanzi al dio denaro, ma che in fondo al proprio animo nasconde una sensibilità infantile.

Le interpretazioni di questi attori restano celebri, ma il tocco da maestro di Leone sta proprio nell’aver saputo bilanciarle tra loro perfettamente, riuscendo a creare un equilibrio grazie al quale nessuno degli attori prevale sull’altro rubando la scena. Da segnalare anche la partecipazione di grandi attori italiani nei panni dei cattivi come Gian Maria Volontè e Mario Brega (forse il miglior caratterista italiano).

 

Spaghetti-western

La trilogia diede vita allo spaghetti-western, un genere cinematografico che ebbe molto successo in Italia tra gli 60 e 70, riportando il western in auge dopo un periodo di decadenza.

Tra gli elementi distintivi del genere spicca la figura dell’antieroe: un uomo privo degli attributi tradizionalmente riconosciuti agli eroi, ma protagonista di imprese portentose con atteggiamenti spesso rozzi e violenti.

Un altro elemento proprio di questo genere è sicuramente lo stallo alla messicana. Consiste in una situazione nella quale due o più persone (solitamente tre) si tengono sotto tiro a vicenda con delle armi, in modo che nessuno possa attaccare un avversario senza essere a propria volta attaccato.

Locandina del film Il buono, il brutto, il cattivo – Fonte: lacooltura.com

Sergio Leone lo ha introdotto per la prima volta nel cinema con Il buono, il brutto, il cattivo e da lì in poi numerosi registi lo hanno riproposto nelle proprie pellicole. Quentin Tarantino più volte ha dichiarato che proprio questo film fosse il suo preferito ed in numerosi film lui stesso ha messo in scena il famoso stallo alla messicana (ad esempio Le iene).

Stile

Sergio Leone – con delle inquadrature straordinarie – ci ha raccontato storie dalla trama non di certo innovativa nell’immaginario del vecchio West, ma che hanno riscosso un successo gigantesco grazie ai dettagli.

Il sigaro messo in bocca a Clint Eastwood è un tocco di classe che solo Leone poteva apporre.

L’attore non era un fumatore e non amava ovviamente tenerlo tra i denti; infatti, quando venne chiamato per girare il secondo film disse a Sergio: “Leggerò il copione, verrò a fare il film, ma per favore ti imploro solo una cosa, non mi rimettere in bocca quel sigaro!” ed il regista rispose: “E che vuoi lasciare a casa il protagonista?”. Geniale.

Clint Eastwood con il protagonista del film – Fonte: grossetonotizie.com

Il regista ha trasformato elementi inanimati in accessori che arricchiscono vertiginosamente la qualità dei personaggi e che hanno un ruolo centrale nelle storie (oltre al sigaro ricordiamo anche l’orologio con carillon in Per qualche dollaro in più).

C’era una volta in America (1984)

Dopo i film C’era una volta il West (1968) e Giù la testa (1971), Leone decise di prendersi una pausa dalla regia per dedicarsi all’attività di produttore.

Per 12 anni produsse diversi film: tra questi, anche molte commedie mediante le quali fece spopolare un giovanissimo Carlo Verdone con il quale stringerà una relazione profondissima, quasi come un rapporto padre-figlio. In questo arco di tempo Sergio Leone si dedica anche ad un progetto al quale pensava da tutta la vita: C’era una volta in America. Il film ha ricevuto il massimo dell’impegno da parte del regista (più di 10 anni solo per la fase di pre-produzione) anche se alla fine purtroppo non è stato apprezzato dal pubblico americano. Semplicemente perché non è stato ben compreso, dato che la produzione impose di ridurre la durata del film a soli 139 minuti; alla fine del primo montaggio si contavano ben 10 ore (oggi si sarebbe fatta una serie televisiva).

Robert De Niro in una scena del film – Fonte: umbria24.it

La pellicola non è classificabile all’interno di un genere cinematografico perché si trova di tutto: gangster, dramma, biografie, realismo, noir, ecc.

L’estro di Sergio Leone alla regia si identifica nel modo in cui ha rappresentato la virtuosità del tempo. Il regista gioca molto con gli sbalzi temporali ricorrendo all’uso dell’analessi e dell’ellissi, così da spiegarli senza annoiare lo spettatore.

Un altro punto di forza di questo capolavoro è sicuramente Robert De Niro, autore di un’interpretazione degna del suo nome. Grazie alle direttive di Sergio Leone, l’attore è riuscito ad incarnare il ruolo di Noodles, che può essere considerato da un punto di vista metaforico la personificazione della memoria: tutto il film si concentra sui ricordi di questo personaggio, il quale ci trasporta dentro il racconto esclusivamente con i suoi pensieri.

 

Sergio Leone ha fatto conoscere la nostra identità italiana agli americani. Con la Trilogia del dollaro ha riesaminato delle tematiche già trattate e ritrattate dalla vecchia Hollywood e le ha ripresentate secondo il suo punto di vista, innalzandone esponenzialmente la qualità. Con C’era una volta in America ha raccontato il senso del tempo ripercorrendo 40 anni di storia americana. Dai dettagli e dai particolari dei suoi film si coglie quel tocco in più che solo lui poteva dare e che lo rende unico nel suo stile.

Vincenzo Barbera

Eli Roth ed Hostel: l’orrore peggiore è nel mondo reale

Compie oggi 48 anni uno dei maestri che hanno innovato il genere dell’orrore e dello splatter in maniera significativa. Eli Roth, conosciuto per aver diretto Cabin Fever  (2002) ed aver recitato in Bastardi senza gloria (2009) di Quentin Tarantino, deve il suo successo in gran parte ad Hostel (2005), un film che ha sconvolto l’America per la sua violenza e ad oggi risulta essere ancor più inquietante visti i temi trattati.

Eli Roth nei panni dell’Orso Ebreo in Bastardi senza gloria – Fonte: inglouriousbasterds.fandom.com

Hostel

Il film narra la storia di 2 ragazzi americani, Paxton e Josh, che fanno un Interrail in Europa. Qui conoscono Oli, un ragazzo islandese che si unirà al loro viaggio. Durante una nottata a base di sesso e droga, i tre rimangono chiusi fuori dal proprio bed&breakfast. Vengono ospitati quindi da un ragazzo che li informa circa l’opportunità di recarsi in Slovacchia dove c’è un ostello abitualmente frequentato da bellissime ragazze.

I 3 partono alla volta di Bratislava ed il soggiorno presto si rivelerà un vero e proprio incubo. Uno ad uno vengono rapiti per poi essere torturati brutalmente da alcuni uomini vestiti da macellai in delle piccole e cupe stanze.

Paxton mentre viene seviziato dal suo aguzzino – Fonte: filmjunk.com

Paxton riesce a liberarsi e si ritrova nello spogliatoio dei torturatori dove incontra uno dei boia, il quale lo scambia per uno di loro ed iniziano a dialogare. Da quell’uomo viene a conoscenza di una società segreta nella quale i membri pagano grosse somme di denaro per seviziare i turisti.

Il film, prodotto da Quentin Tarantino, con un budget di appena 4 milioni di dollari ne incassò 80 ottenendo un grandissimo successo a livello economico, ma opinioni contrastanti da parte della critica. In seguito vennero girati anche due sequel: Hostel Part II (2007), diretto sempre da Eli Roth, ed Hostel Part III (2011), che venne invece venne diretto da Scott Spiegel. 

È sicuramente un film che apre un nuovo sottogenere dell’orrore, principalmente basato sulla rappresentazione di una violenza nuda e cruda, fortemente disturbante.

Ciò che colpisce nel profondo è che la pellicola – come lo stesso regista ha dichiarato – è basata su casi reali identificati dalla polizia di New Dehli in India. Dalle indagini è emersa l’esistenza di un club segreto dove uomini ricchi e potenti di tutto il mondo “compravano” persone per soddisfare i propri desideri malati.

Eli Roth, forse senza volerlo, aveva girato un film che denunciava l’allora sconosciuto deep web.

Deep e Dark Web

Il Deep Web è la parte di Internet che non è indicizzata dai motori di ricerca. Per spiegare facilmente questo concetto si utilizza spesso l’immagine di un iceberg: la parte che fuoriesce rappresenta l’Internet al quale accediamo ogni giorno, mentre la parte sommersa corrisponde a tutti i siti non indicizzati.

L’iceberg è un esempio perfetto per comprendere lo schema del Web nel suo complesso – Fonte: pattayatoday.net

Il Dark Web invece è un sottoinsieme del Deep Web ancora più oscuro e misterioso.

Vi si può accedere esclusivamente tramite dei software particolari, visto che gli indirizzi IP cambiano continuamente e non restano uguali come nel Surface Web (la parte conosciuta del Web). Ciò implica che è maggiormente complesso risalire eventualmente ad identificare un soggetto operante all’interno di questo ambito. È proprio per questo motivo che dentro il Dark Web sono attivi numerosi mercati illegali dove si commercia di tutto: droga, armi, credenziali aziendali e bancarie, organi, ecc.

Purtroppo è molto diffuso anche lo scambio dei cosiddetti snuff movie, cioè quei film in cui vi sono delle persone che vengono sottoposte a violenze.

Il fenomeno del Deep Web è emerso solo negli ultimi anni; fino a poco tempo fa, quasi nessuno ne era a conoscenza.

Eli Roth, con Hostel, ha praticamente spiegato per filo e per segno uno degli aspetti più orridi ed inquietanti della parte oscura di Internet. Conoscendo oggi cosa c’è dietro il Dark Web possiamo vedere questa pellicola in chiave diversa rispetto al passato, perché sappiamo che tutto quello che accade nel film potrebbe accadere in qualsiasi parte del mondo;  ciò amplifica notevolmente la sensazione di ansia e angoscia durante la visione della pellicola.

Tutto ciò deve farci riflettere sulle capacità possedute dal cinema: ancora una volta, una pellicola è stata capace di mettere in luce tematiche che sarebbero venute a galla approfonditamente solo diversi anni più tardi.

Vincenzo Barbera

 

Il più grande fan del cinema

Uno dei più celebri registi della storia del cinema oggi compie 57 anni.

Quentin Tarantino è oggettivamente una pietra miliare della settima arte che ha ricevuto e, soprattutto, ha donato tantissimo alla cinematografia mondiale. Le sue opere andrebbero riviste molteplici volte per cercare di coglierne buona parte dei significati, apprezzarne i contenuti e comprenderne il genio del loro creatore.

Quentin Tarantino nel film Le Iene – Fonte: ciakclub.it

Filmografia

La filmografia di Tarantino andrebbe esposta in un museo d’arte. Il regista non ha diretto un numero elevato di pellicole, ma qualsiasi progetto ideato o creato da Quentin è praticamente un capolavoro.

Il primo film, Le Iene,  si contraddistingue per i dialoghi altamente sopra le righe, per l’ambiguità morale dei personaggi, per l’uso dell’analessi e soprattutto per la rappresentazione della violenza nuda e cruda. Nel cast troviamo attori già affermati, come Harvey Keitel e Steve Buscemi, ed interpreti che diventeranno celebri proprio grazie a questo film come Tim Roth e Michael Madsen, i quali reciteranno in quasi tutti i film di Tarantino.

Una scena del film Le iene – Fonte: newyorker.com

Grazie a Le Iene, Quentin diviene uno dei maggiori registi emergenti di Hollywood: infatti gli vengono offerti diversi progetti, come Speed e Men in Black. Questi vengono rifiutati dal cineasta, in quanto ha preferito dedicarsi completamente alla stesura della sua prossima sceneggiatura, ovvero Pulp Fiction.

La pellicola rappresenta la rivoluzione del cinema indipendente. E’ un continuo alternarsi di prolessi ed analessi mediante le quali il regista rimescola storie che apparentemente risulterebbero essere completamente scollegate tra loro. Il film ha rilanciato la carriera di John Travolta ed ha consacrato quella di Samuel Jackson, artefice di una delle migliori interpretazioni attoriali della storia. Tarantino venne premiato con l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale, insieme all’amico fraterno Roger Alvary.

Nel 1997 il regista dirige Jackie Brown. All’inizio il film fu un insuccesso, ma in seguito ne venne apprezzata la regia più matura e ricercata con la quale Tarantino ha deciso  di distaccarsi dai suoi canoni classici. Il film presenta nel cast Robert De Niro e Samuel Jackson, autori di eccellenti prove d’attore.

Dopo 6 anni di pausa nel 2003 esce nelle sale Kill Bill. La produzione ha pregato Quentin di accorciare il film data l’eccessiva lunghezza della pellicola, ma il regista decise di dividerlo in due parti. Due film d’azione veri e propri dove non mancano ovviamente gli elementi emblematici del suo cinema ed omaggi al cinema orientale.

In seguito dirige Bastardi senza gloria (2009). In questo film Tarantino racconta la seconda guerra mondiale da un punto di vista alquanto singolare dato che non è presente nemmeno una scena ambientata in un fronte bellico. Gran parte della narrazione si svolge all’interno di ristoranti, pub e di un cinema, come se tutte le vicende rappresentate dal regista facessero da contorno ad uno degli avvenimenti più catastrofici della storia dell’uomo.

Il film, che ha incassato globalmente 313 milioni di dollari, ha ricevuto 8 candidature agli Oscar, trionfando nella categoria migliore attore non protagonista con Cristoph Waltz, allora sconosciuto.

Locandina del film Inglourious Basterds – Fonte: mymovies.it

Dopo 3 anni esce nelle sale Django Unchained. Con questa pellicola finalmente Quentin ha potuto rendere omaggio al suo più grande mito del passato, Sergio Leone, che gli ha illuminato l’adolescenza con i suoi spaghetti-western.

Il cast del film è ricco di star hollywoodiane di alto calibro come Jamie Foxx, Leonardo Di Caprio, Samuel Jackson e Cristoph Waltz, tutti autori di brillanti interpretazioni. Il film ha incassato 425 milioni e si è aggiudicato due Oscar per la miglior sceneggiatura con Tarantino e per il miglior attore non protagonista nuovamente con Cristoph Waltz.

Nel 2015 dirige The Hateful Eight. Un altro film sempre a tema western ma incentrato maggiormente sui dialoghi piuttosto che sull’azione come Django. Per questo film, Ennio Morricone, ha vinto sia il Golden Globe che l’Oscar per la miglior colonna sonora.

Nel 2019 esce nelle sale C’era una volta a… Hollywood con un cast fuori dall’umana concezione in quanto sono presenti Leonardo Di Caprio, Brad Pitt, Al pacino, Margot Robbie Kurt Russell, Luke Perry e tante altre star di Hollywood.

Stile e particolarità

I film di Tarantino presentano elementi ricorrenti che marchiano il suo stile cinematografico in maniera indelebile.

I dialoghi sopra le righe sono presenti in tutti i suoi film. Vengono utilizzati anche per argomentare su concetti banali come “la mancia” in Le Iene o “il massaggio ai piedi” in Pulp Fiction.

Lo stallo alla messicana (cioè quando 3 o più personaggi discutono tra loro mirandosi con una pistola a vicenda) è presente in diverse pellicole come Le Iene, Pulp Fiction, Bastardi senza gloria e Django Unchained.

Cristoph Waltz e Jamie Foxx in una scena di Django Unchained – Fonte: jamovie.it

In tutti i film i personaggi di Tarantino fumano le sigarette Red Apple, un marchio di sigarette completamente inventato dal regista stesso.

Ogni pellicola presenta un’infinità di riferimenti ad altri film del passato di vario genere che hanno arricchito l’enorme cultura cinematografica di Quentin.

Egli infine è solito effettuare un cameo in ogni sua pellicola dove nella maggior parte delle occasioni muore brutalmente.

 

Quentin Tarantino è sicuramente uno dei più grandi cineasti della storia. La sua più grande caratteristica è quella di essere uno dei fan più accaniti del cinema, e ciò lo ha portato a conoscere ogni angolo della settima arte, cogliendone gli aspetti più profondi per rappresentarli secondo il suo stile al grande pubblico. Quentin è la rappresentazione di ognuno di noi: nasce come uno spettatore appassionato di cinem,a che poi ha avuto la possibilità di poter lavorare all’interno di quel mondo e di imporsi grazie alle sue conoscenze ed al suo genio.

Vincenzo Barbera