Comincia una nuova fase con l’RT Ospedaliero. Sicilia diventa gialla, manca solo l’ufficialità

 

Un’Italia tutta gialla o quasi? Sembra questa la realtà che ci aspetta fra pochi giorni. Da lunedì, stando ai dati finora rilevati, solo la Valle d’Aosta rimarrebbe arancione.

Il presidente Lavevaz (fonte: www.tg24.sky.it)

Il presidente Erik Lavevaz pare abbia, però, chiesto con una lettera inviata al ministro Speranza, di poter passare in zona gialla, ricordando che l’indice Rt della sua regione è sotto la soglia dell’1 da oltre un mese, che l’incidenza dei nuovi casi positivi è intorno a 150 su 100mila abitanti e che gli indici ospedalieri sembrino molto rassicuranti.

Intanto, Sicilia e Sardegna, sembrerebbero destinate alla zona gialla, anzi, è stata fatta l’ipotesi che la seconda possa diventare addirittura bianca, insieme a Molise e Friuli Venezia-Giulia.

Ciò significherebbe non preoccuparsi del coprifuoco alle 22 e poter tornare ad allenarsi in palestra o far shopping nei centri commerciali anche nel fine settimana. Tuttavia questa decisione, anche se parrebbe imminente, non sarà comunque immediata, continueranno a essere monitorati i dati che, per decretare il bianco, dovranno essere stabili per almeno tre settimane consecutive, con tasso di incidenza sotto i 50 contagi ogni 100 mila abitanti.

 Una revisione dell’indice Rt e le altre novità

Da giorni, i governatori delle Regioni stanno insistendo per una revisione dei parametri per il calcolo dell’Rt. È stata anche avanzata la proposta di abolire le fasce per colore. Ad annunciare una possibilità di modifica dei criteri di valutazione del rischio è stato il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, lo scorso 7 maggio.

Di nuovi criteri si discuterà nella cabina di regia, convocata dal presidente del consiglio Mario Draghi per 17 maggio, giorno in cui scatteranno anche i nuovi colori.

La proposta del presidente del Friuli Venezia-Giulia e della Confederazione delle Regioni, Massimiliano Fedriga, di adottare come criterio l’Rt ospedaliero, è stata quella più condivisa dagli altri governatori. Questo indice rivela il numero delle richieste di ospedalizzazione, dato che renderebbe un’immagine più esatta della situazione, escludendo dunque contagi di persone non in gravi condizioni o asintomatiche, senza il bisogno del trattamento ospedaliero.

Massimiliano Fedriga ha proposto di prendere in considerazione l’Rt ospedaliero

A favore, il presidente del Lazio, Nicola Zingaretti, il quale ha dichiarato:

“C’è un dato positivo che è il calo della presenza negli ospedali e nelle terapie intensive e un’attenuazione dei decessi. Questo è legato all’altissima percentuale degli anziani vaccinati. Credo alla luce di queste novità oggettive e strutturali se il Comitato nazionale rifà una valutazione dell’Rt può essere utile.”.

Favorevoli anche altri, tra cui il governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, che ha sottolineato come gli attuali criteri, introdotti agli inizi, quando ancora non esisteva un vaccino, siano ora superabili, almeno in parte. Dunque, il numero di vaccinati sarebbe, invece, da tenere in considerazione, secondo quest’ultimo.

D’accordo anche il presidente della Liguria, Giovanni Toti, il quale, invece, ha posto l’accento sulla convinzione che l’indice di cui si discute la considerazione è da calibrare in base all’andamento della pandemia, per evitare di usare un criterio poco utile a comprendere realmente la situazione.

Il parametro dei posti letti potrebbe essere introdotto verso la metà di giugno, quando il passaggio in zona rossa dipenderà, a quel punto, dal superamento delle soglie di occupazione del 30% per le intensive e del 40% per i ricoveri ordinari. Si passerà direttamente in zona gialla invece se i dati relativi saranno inferiori al 20% e al 30%.

In quanto all’indice Rt, l’Iss non sarebbe propenso ad eliminarlo del tutto ma ad usarlo in una sorta di pensionamento dall’attività principale, come campanello di allarme per le Regioni quando i dati si starebbero avvicinando troppo al rischio di zona rossa, invitandole a prendere provvedimenti.

I quattro colori per le Regioni, comunque, almeno per il momento, è certo che resteranno, ma saranno vincolati all’indice di contagio. Verrà anche stabilito un numero minimo di tamponi da effettuare, che sia proporzionale alle fasce di colore.

Un’ulteriore proposta avanzata dai governatori è quella di rendere automatiche le riaperture a seconda delle fasce di colore, limitando il coprifuoco soltanto alle zone rosse. Ogni mese, poi, si potrebbe procedere con una valutazione dell’andamento, ma sempre in relazione alle coperture vaccinali raggiunte, oltre che all’evoluzione dello scenario epidemiologico come sempre.

Potrebbe esser formulato un testo condiviso dalle parti, che potrebbe essere chiuso finito proprio entro la fine di questa settimana, per poi includerlo in un eventuale decreto.

Il premier Draghi intanto si è detto ottimista, viste le probabilità della zona bianca per le suddette tre regioni entro fine maggio e l’andamento della situazione generale, nonostante un lieve incremento dell’Rt. Si auspica una più veloce ripresa delle attività economiche e in generale un più vicino ritorno alla normalità, che quasi abbiamo dimenticato.

Inoltre, in vista dell’estate, molto concitamento anche riguardo le misure da riservare ai turisti e il coprifuoco.

Per i primi potrebbe bastare la prova di un tampone molecolare negativo – effettuato entro un certo limite di tempo – o il passaporto vaccinale. Niente quarantena dunque, né per i turisti provenienti dall’Ue, ma neanche per quelli provenienti da alcuni Paesi come Usa o Israele. Queste le proposte che verranno discusse il 17 maggio.

Si discuterà, sempre durante la cabina di regia, anche del coprifuoco che potrebbe esser spostato alle 23, ma non abolito completamente.

La Sicilia torna in zona gialla, manca solo l’ufficialità

Rispetto a una settimana fa, i casi positivi si sono dimezzati e il tasso di positività è crollato dell’1,6%. Questi gli ultimissimi dati rilevati in Sicilia alla vigilia del monitoraggio settimanale.

Un calo specialmente nel capoluogo, dove il bollettino di ieri ha registrato, in 24 ore, soltanto 75 casi in tutta la provincia, sui 607 in tutta la regione. Negli ultimi sette giorni si ha avuto un’incidenza, per 100 mila abitanti, di 92 casi, un numero sotto il limite delle 100 unità: un valore che non si registrava da dicembre.

Purtroppo, la provincia di Catania, invece, mostra un trend negativo, dove ieri erano 247 i nuovi casi e il giorno prima 392.

Confortanti con il passato anche i numeri sui ricoveri e le terapie intensive: gli ospedali siciliani sono molto meno affollati, i guariti hanno oltrepassato quota 20 mila.

Alla luce di ciò, il commissario Covid per la Sicilia, Renato Costa, nel corso delle vaccinazioni agli ospiti della missione Speranza e Carità, ha rilasciato alcune dichiarazioni, sottolineando quanto migliorata sia la situazione della regione, con reparti Covid che chiudono e percentuale dei positivi rilevati presso i drive-in sotto al 2%. Allo stesso tempo, ha ricordato come, comunque, questi siano dati da tenere ben a mente come potenzialmente preoccupanti e per i quali non è ammissibile abbassare la guardia:

Il commissario Renato Costa (fonte: blogsicilia.it)

“Tra il lockdown e il liberi tutti c’è un mondo al quale ci dobbiamo adeguare. Non vorrei che, passando in zona gialla, qualcuno pensasse che è finito tutto, che possiamo rilassarci, che possiamo abbandonare le mascherine. Ovviamente non è così. La nostra bravura sarà quella di mantenercela, questa zona gialla”.

 

Rita Bonaccurso

 

 

Natale col Covid, inizia la trattativa tra Stato e Regioni

Atteso un nuovo confronto fra Stato e Regioni per fare il punto sulla gestione del periodo natalizio. Sul tavolo delle trattive tra Stato e regioni le misure che con molta probabilità rientreranno nel prossimo DPCM. Il precedente decreto scadrà giorno 3 dicembre e tutti si aspettano di conoscere già nel fine settimana le modalità con cui affrontare un periodo tanto importante quante delicato come quello di Natale. Dopo la stretta delle scorse settimane e i primi timidi risultati positivi nella curva dei contagi il rischio dell’ennesima ondata incombe sulle necessità dei cittadini e, soprattutto, dei commercianti e dei ristoratori.

fonte: Governo.it

Le richieste delle Regioni

Uno dei punti su cui le regioni maggiormente puntano è quello di mantenere i ristoranti aperti anche la sera di Natale, Santo Stefano e, magari, nei giorni più caratteristici. Proposta che certamente mal si concilia con il coprifuoco fissato alle 22 e con la chiusura dei locali alle 18. Secondo il presidente della Liguria Giovanni Toti “nei giorni delle prossime festività i ristoranti debbano poter rimanere aperti anche la sera, perché già hanno sofferto tanto”.

Il governo ribadisce la volontà di mantenere, se non estendere di un’ora (dalle 22 alle 6), il coprifuoco anche nella notte di Natale e Capodanno. Discorso diverso per gli orari dei negozi: tra le proposte anche la possibilità di chiudere due o tre ore prima della mezzanotte.

 

(fonte: Libero Quotidiano)

“È chiaro che se c’è un coprifuoco penso che vada rispettato per tutti. Se c’è un coprifuoco c’è un coprifuoco.”, aggiunge, “È una norma già vigente e penso che vada confermata ancora. È una delle norme che ci ha consentito in queste settimane di iniziare quel percorso graduale e faticoso che ci consentirà di piegare la curva. Quindi io penso proprio di sì” afferma il Ministro della Salute, Roberto Speranza, in diretta da “Live Non è la D’Urso” su Canale5.

 

 

 

La questione su cui però verterà maggiormente il dibattito sarà la mobilità tra regioni. Il Presidente della Regione Sicilia Musumeci, e il suo braccio destro Ruggero Razza, propongono, al fine di garantire il ricongiungimento delle famiglie siciliane con i parenti residenti nel resto d’Italia, un via libera al rientro ma con tampone. Il tampone verrebbe effettuato o 72 ore prima del viaggio e mostrato all’arrivo, oppure direttamente allo sbarco. “Forse una maggiore rigidità può essere giusta nei confronti di chi rientra da altri Stati, visto che all’estero ci sono ancora aree in cui i controlli sono insufficienti”, prosegue l’assessore Razza. Sul fronte interno, invece, Musumeci vorrebbe adottare delle misure che scoraggino gli spostamenti in città e tra città siciliane.

Ma da Roma l’ipotesi palermitana non piace. Trapela l’indiscrezione che il governo voglia limitare i ricongiungimenti familiari per Natale, consentendo i viaggi esclusivamente fra le Regioni gialle e solo fino al 18 dicembre per poi chiudere tutto fino al termine delle festività.

Ulteriore argomento di confronto riguarderà la scuola. La volontà è quella di riaprire le classi dopo l’Epifania, ma non è esclusa la possibilità di ridurre, o addirittura sospendere, la didattica a distanza per le scuole superiori già a dicembre. Quest’ultima idea però pare non essere condivisa da nessun governatore regionale, ad eccezione di Stefano Bonaccini, presidente della Conferenza delle Regioni.

 

fonte: TGCom24

Il Consiglio (dei Ministri) per un Natale più sicuro

 

Per il ministro Speranza la parola chiave è prudenza, per tutelare “noi e i nostri cari” ma è anche “una forma di rispetto per i medici, infermieri e operatori sanitari che rischiano la vita per curarci”. Numerosi sono gli interrogativi, tra questi il numero di persone da ospitare. “Già oggi c’è una forte raccomandazione del governo a non portare persone a casa che non siano conviventi, ed è già vigente. Nei prossimi giorni approveremo un nuovo Dpcm dove daremo anche risposta formale a queste domande e naturalmente ci sarà anche un momento di confronto. Il messaggio è molto chiaro, spostarsi solo se necessario, stare a casa e ridurre il più possibile il numero dei contatti fra persone”.

Sulla medesima linea il ministro degli Affari regionali Francesco Boccia. Difendere a spada tratta il coprifuoco alle 22, “che ha funzionato per ridurre i contagi, e dovranno passare sul mio corpo per posticiparlo”.

Il tavolo delle discussioni è atteso per martedì quando il consiglio dei ministri si riunirà per pianificare i lavori.

 

Manuel De Vita

Regioni ed esperti critici contro l’indice Rt: sempre meno affidabile

Dall’entrata in vigore dell’ultimo DPCM, e dei famosi 21 parametri in base ai quali giudicare la situazione epidemiologica in una data regione, numerosi esperti hanno messo in dubbio l’affidabilità dell’indice RT. Si tratta dell’indice che mostra l’andamento della pandemia e che contribuisce a determinare le chiusure delle regioni. Molti sostengono che i principali problemi dell’indice consistano nella qualità dei dati utilizzati per calcolarlo.

Cos’è l’indice RT

L’indice di trasmissibilità netto (Rt) indica il numero medio di infezioni secondarie generate da una persona infetta in una certa data. Questo significa che il numero ci dice quante persone vengono contagiate da una sola persona, in media, e in un certo arco di tempo.

Chiarisce l’ISS -Istituto Superiore di Sanità- che: se RT dovesse essere pari a 4, in media ogni infetto contagerà quattro persone nel periodo considerato, e queste quattro persone ne contageranno altre quattro a testa nel periodo successivo, se l’indice dovesse rimanere costante.

Un ulteriore indicatore utilizzato per monitorare l’andamento dell’epidemia è invece l’indice R0. Questo secondo indice rappresenta il numero medio di infezioni secondarie prodotte da ciascun individuo infetto in una popolazione completamente suscettibile cioè mai venuta a contatto con il nuovo patogeno emergente. Misura dunque la potenziale trasmissibilità di una malattia infettiva prima che vengano inserite misure di contrasto. Quindi:

  • R0 mostra quanto può essere trasmessa una malattia all’inizio della pandemia.
  • RT misura la trasmissione dopo l’introduzione di misure di contrasto.

Per capire come la pandemia si evolverà è dunque importante monitorare le oscillazioni di tali indici.

  • Se ogni persona positiva contagia in media meno di una persona, la pandemia sta rallentando.
  • Se invece l’indice continua a rimanere sopra il valore 1, significa che la trasmissione del contagio è ancora elevata.

Secondo i dati fornitici dall’Istituto Superiore di Sanità: in Italia l’indice RT medio è da tempo sopra il valore 1, ma la notizia buona delle ultime settimane ci dice che è sceso da 1,72 a 1,43.

Ospedale militare di Baggio, Milano (ANSA)
Ospedale militare di Baggio, Milano  fonte: ANSA

Per arrivare a questi numeri servono calcoli che si basano sui dati raccolti ogni giorno dalle regioni: quanti sono i casi sintomatici e quando sono iniziati i sintomi. Qualora i dati forniti dalle regioni siano inaffidabili anche l’indicatore RT sarà inaffidabile. 

Le Regioni fanno muro ai 21 parametri

Diverse sono state le regioni che hanno avanzato la richiesta di riconsiderare i 21 parametri dell’indice RT.

Fronte unito è quello dei governatori che chiedono un incontro con l’esecutivo che potrebbe tenersi domani -giovedì 19 novembre- al fine di pensare a delle modifiche ai 21 indicatori introdotti dal governo.

Questo perché, le regioni sostengono, gli indicatori per definire il colore delle zone “non (sono più) adeguati al monitoraggio attuale”. Preferibile sarebbe invece un sistema semplificato impostato su 5 indicatori proposti dalle stesse Regioni.

I parametri proposti delle Regioni

  • Il primo parametro proposto dalle Regioni è la percentuale di tamponi positivi in rapporto a quelli effettuati;
  • il secondo indicatore è l’Rt, l’indice di trasmissione del virus, calcolato sulla base della sorveglianza integrata dell’Istituto superiore di sanità;
  • Il terzo fattore, di cui si dovrebbe tener conto secondo le Regioni, è il tasso di occupazione dei posti letto totali di terapia Intensiva per pazienti Covid-19;
  • Il quarto elemento è il tasso di occupazione dei posti letto totali di Area Medica per pazienti Covid-19;
  • Infine, ultimo punto, l’attività di controllo sul territorio (contact-tracing, isolamento e quarantena) ed il numero di professionisti impiegabili.

Il lavoro del Governo

Il Governo non ha mancato di ricordare che questi principi scientifici erano stati condivisi e che lo schema non può essere modificato in un momento in cui si è arrivati a superare la soglia delle 700 vittime in un giorno.

Serve una maggiore rete di protezione. La partita per ora si gioca sulla manovra ma si guarda anche avanti, in attesa che si sciolga il nodo del “Recovery fund”.

Come sempre, la tensione tra il governo e le regioni rischia di creare fibrillazioni non solo nella gestione dell’emergenza sanitaria ma anche nel Paese.

@GiuseppeConteIT
@GiuseppeConteIT

Nei prossimi giorni si riunirà la cabina di regia e si discuterà anche dell’eventualità di “allentare” la morsa di  alcune provincie, all’interno delle regioni nelle fasce a rischio, qualora l’indice RT registrasse in alcuni territori il valore inferiore a 1.

 

Maria Cotugno

Incremento casi di Coronavirus in Italia: un terzo in Veneto

Dopo settimane di stabilità , il trend in aumento dei casi di Coronavirus si manifesta anche in Italia nelle ultime ore. Dati che suscitano preoccupazione di fronte ai 112 nuovi positivi in Veneto causati dal focolaio nel centro per migranti di Casier, in provincia di Treviso. Infatti, sono 386 i nuovi casi rilevati di cui un terzo solo in Veneto. I dati del monitoraggio indipendente Gimbe rivelano la  crescita del numero dei ricoverati con sintomi, rispetto al mese di aprile; sono 748 i pazienti negli ospedali che presentano sintomi e 47 quelli in terapia intensiva. Al contrario si osserva un calo netto del numero dei morti, solamente tre nelle ultime ore (dato record registrato da febbraio). Dati che invitano alla prudenza, come sottolineato da fonti del Comitato tecnico scientifico dopo la diffusione degli ultimi numeri “i dati degli ultimi giorni destano preoccupazione e richiedono la massima attenzione da parte di tutti”.Brockton Neighborhood Health Center, Massachusetts © EPA

Quadro regionale

Si assiste ad una variazione del quadro epidemiologico nelle regioni. Se quelle a quota zero contagi nella giornata di ieri erano solamente due, adesso Umbria, Sardegna, Valle D’Aosta, Molise e Basilicata fanno parte delle cinque regioni che al momento presentano zero contagi. Di pari passo con il calo dei contagi in alcune regioni, si osserva un tendenziale incremento in altre, in particolare nel Veneto.  Sono 112 i nuovi casi individuati a causa del focolaio che si è creato nel centro migranti di Casier, per un  totale complessivo di 129 positivi. Stessa tendenza in Lombardia dove si registrano 88 nuovi casi rispetto ai 46 di ieri (6.678 complessivi )

I casi di importazione

I cosiddetti casi di importazione non finiscono qui , accanto al Veneto la Sicilia, la Toscana e il Lazio presentano un aumento del numero dei contagiati di covid-19. La Sicilia a differenza delle altre regioni del meridione, conta 39 nuovi casi di cui 28 migranti, come sottolineato dall’assessorato regionale alla Salute. In Toscana 11 nuovi casi, per un totale di 22 positivi e 360 persone in isolamento nel Mugello. Da un’indagine epidemiologica a dare via al cluster sarebbe stato un ragazzo albanese, che era tornato in Patria con la famiglia a fine giugno per un funerale. E ancora nel Lazio assistiamo ad un clima di preoccupazione, in seguito dei 18 contagiati di cui 6  provenienti dall’estero ( Capoverde, Moldavia, India,Turchia e Belgio)Coronavirus – I dati, impennata di nuovi casi: 386 in un giorno (un terzo in Veneto), tre i morti. Cts: “Preoccupati da evoluzione curva”

Il virus continua a circolare

Dati che richiedono attenzione e maggior responsabilità, onde evitare un nuovo boom pandemico e le conseguenze correlate. «Davanti a numeri in rialzo rispetto alle settimane precedenti – conclude il Presidente Cartabellotta – la comunicazione della politica e delle Istituzioni deve essere oggettiva, equilibrata e coerente. La pandemia è ancora in corso, il virus è vivo e vegeto e vanno mantenuti tutti i comportamenti individuali raccomandati da mesi, oltre che le misure di sorveglianza epidemiologica. Non è più accettabile disorientare i cittadini strumentalizzando la pandemia per fini esclusivamente politici, contrapponendo posizioni estreme: da un lato negazionismo, minimizzazioni del fenomeno e deplorevoli comportamenti individuali, dall’altro la proroga dello stato di emergenza nazionale»

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  Eleonora Genovese

Spostamenti fra regioni dal 3 Giugno: linee guida e criticità

Il 3 Giugno è una data chiave nella calendarizzazione e nell’organizzazione della Fase 2 che prevederà, se tutto andrà bene, la riapertura dei confini tra le Regioni.

È un traguardo importante ed allo stesso tempo delicato, che allarma il governo ed i governatori delle regioni.

Il margine d’errore è davvero minimo, bisognerà arrivare preparati e con tutti i dati del monitoraggio in ordine.

I presidenti delle Regioni continuano ad esprimere preoccupazione per le riaperture, disposte dal 18 maggio, che potrebbero innalzare tragicamente la curva dei contagi.

Le linee guida per le regioni sono state approvate all’unanimità nella Conferenza della Regioni e ponderate insieme al premier Giuseppe Conte e ai ministri Roberto Speranza e Francesco Boccia.

L’obiettivo prefissato e tanto auspicato da governo e cittadini è la libera circolazione inter-regionale prevista da lunedì 3 giugno, cruciale per il rilancio dell’economia e del turismo.

In queste ore vige l’assoluto riserbo, nessun Ministro infatti si è sbilanciato nel confermare il “liberi-tutti”.

Affinché la ripresa degli spostamenti tra confini regionali possa essere ristabilita senza rischi è indispensabile che l’indice di contagio rimanga controllato e stabile in tutte le zone d’Italia, ovvero che il livello Rt – non salga sopra lo 0,8.

L’indice di trasmissibilità (RT) rappresenta il numero medio delle infezioni prodotte da ciascun individuo infetto dopo l’applicazione delle misure di contenimento della pandemia di Covid-19.

ome ha confermato il Ministro agli Affari Regionali Boccia:

Il criterio per la riapertura sarà il numero dei contagi.  Finora stiamo ottenendo risultati straordinari grazie ai sacrifici fatti dagli italiani. Noi ci auguriamo che ci sia un basso rischio in tutta Italia altrimenti sarà inevitabile prendere il tempo che serve. Mercoledì, giovedì e venerdì il ministro Speranza farà le sue valutazioni e poi ci sarà un Cdm per un’ultima valutazione sulla mobilità tra le regioni.

L’Esecutivo guidato dal Premier Conte continua a valutare l’andamento dei dati, forniti dalle aziende sanitarie, per intervenire tempestivamente ed evitare di creare squilibri importanti fra regioni.

Si rinnovano gli appelli volti ad evitare assembramenti o comunque contesti sociali che possano far nuovamente aumentare i contagi.

In relazione all’evoluzione dello scenario epidemiologico le misure prescrittive potranno essere rimodulate, anche in senso restrittivo; a comunicarlo è stato il Comitato tecnico scientifico che dovrà analizzare e valutare quanto accaduto sino ad ora, esaminare i dati relativi ai vari settori commerciali che hanno riaperto e stabilire se ci siano «correzioni» da fare.

La giornata decisiva in termini decisionali ed organizzativi sarà Venerdì 29 Maggio, quando arriveranno i dati sui contagi e sullo stato delle strutture regione per regione elaborati dal Ministero della Salute.

Tre le opzioni che Conte e i Ministri stanno vagliando: aprire su scala nazionale mediante un’azione programmatica; differenziare la riapertura fra regioni; qualora dovesse essere necessario, creare delle “zone rosse”; oppure impedire l’ingresso a chi transita da Regioni che non hanno livello di contagio pari o consentirlo solo a quelle confinanti.

L’ipotesi di consentire spostamenti  solo tra regioni con lo stesso livello di contagio (indice Rt) appare  probabilmente la più complessa da mettere in piedi.

Un puzzle complicato da incastrare se, ipotizziamo, da una regione a rischio alto o moderato, per esempio, non ci si potrà spostare in una a rischio basso.

Le criticità nel caso di una scelta del genere sono dietro l’angolo e peraltro il numero di forze dell’ordine da mettere in campo sui confini regionali per i controlli stradali in tal caso sarebbe eccessivo.

Insomma pare che la Fase 2 si stia rivelando ben più complessa, nell’approccio e nella conseguente gestione, rispetto alla Fase 1 sicuramente dura, ma facile da interpretare.
 
Antonio Mulone
 

Fase 2: ecco come e perchè le Regioni si schierano contro la linea di Palazzo Chigi

Da quando il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato che il 4 maggio avrebbe avuto inizio la Fase 2 sono state numerose le critiche rivolte alla strategia del Governo. Alcuni Presidenti di Regione hanno infatti deciso di contestare pubblicamente il contenuto di alcuni punti del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri rivendicando una più ampia sfera di autonomia decisionale.

Tali proteste si sono tradotte, nelle scorse settimane, in una aperta “sfida” verso le posizioni dell’esecutivo. Basti pensare al documento firmato dai Presidenti di Regione espressione di forze politiche opposte a quelle della maggioranza parlamentare (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Umbria e Veneto, Provincia Autonoma di Trento) in cui si richiede una revisione dell’ultimo DPCM datato 26 Aprile.

Proprio in quest’ultimo è importante sapere che il Governo riconosce agli enti locali la capacità di adottare misure maggiormente restrittive, rispetto a quelle aventi carattere nazionale, ove si rendessero necessarie.

Ciò che le Regioni chiedono è, però, l’esatto opposto ovvero la possibilità, sulla base di valutazioni autonome, di allentare tali misure riconoscendo quindi una maggiore apertura.

La sfida più azzardata è partita poi dalle dichiarazioni di Jole Santelli, la neoeletta governatrice della Calabria, che ha approvato un’ordinanza con cui autorizza, nella sua regione, la riapertura di bar e servizi al tavolo all’aperto prima ancora della fine della fase 1,  in netto contrasto con la linea di Palazzo Chigi.

Il Presidente Conte ha respinto le richieste delle Regioni definendo queste azioni come illegittime, profilando dunque l’ipotesi di un ricorso davanti al Tribunale Amministrativo competente, e il Presidente della Camera Fico non ha mancato di sottolineare come, in un periodo straordinario come quello che stiamo vivendo, qualsiasi decisione circa l’allargamento delle maglie delle restrizioni deve essere frutto di una decisione centrale.

Le Regioni, sebbene godano nel nostro ordinamento di un grado di autonomia più o meno intenso a seconda del settore di riferimento, della natura del loro statuto e di apposite previsioni della Costituzione, sono comunque enti derivati che trovano il fondamento delle loro attribuzioni in un sistema che ha nello Stato la sua istituzione più elevata.

Questa “sfida” al Governo, oggetto di interviste, prese di posizione e servizi televisivi, smuove l’opinione pubblica e suscita acceso dibattito tra i cittadini o sulla necessità di una pronta riapertura per non fare soffrire l’economia o sull’importanza di congelare le nostre vite in favore di un’immediata difesa della salute. Ma, facendo ben attenzione a superare gli “ami” della politica e le battaglie fondate sulla ricerca del consenso, si rimane con una trista realizzazione: l’assenza di un progetto nazionale che si basi, oltre che sugli appelli alla responsabilità dei cittadini, su una vera strategia comune.

In Sicilia il Presidente Nello Musumeci, ha più volta ricordato che, con l’arrivo della stagione estiva, la riapertura del Paese possa comportare un nuovo esodo, di portata ben maggiore di quello avvenuto cinque settimane fa, sposando dunque una linea di chiusura con il resto della penisola.

E quindi, se per Luca Zaia “il Veneto potrebbe riaprire già domani” e il Presidente della Lombardia, Attilio Fontana, riapre i mercati all’aperto, se il Governatore della Campania “chiude i confini” e in Calabria vengono riaperti i bar perché la stagione estiva è alle porte, a noi cittadini non ci resta che aspettare che interessi più grandi si allineino con i nostri.

Filippo Giletto

Di cosa parla la riforma costituzionale?

La riforma costituzionale che sarà sottoposta a referendum il prossimo 4 Dicembre, con cui verrà deciso se approvare o respingere la legge Boschi (approvata il 12 aprile), è la più vasta e complessa mai intrapresa nella storia della Repubblica Italiana: prevede la modifica di più di 40 articoli, tanti quanti ne sono stati modificati nel corso degli ultimi 70 anni. La riforma è stata approvata in doppia lettura da camera e senato e ora dovrà passare al vaglio dei cittadini. Il referendum costituzionale è previsto dall’articolo 138 della costituzione italiana e deve essere indetto entro tre mesi dall’approvazione da parte del parlamento delle leggi di revisione costituzionale. Per essere valido non c’è bisogno di raggiungere il quorum. A differenza del referendum abrogativo, in questo caso non è necessario che vada a votare il 50 per cento più uno degli aventi diritto.

Riforma del Senato La riforma prevede una forte riduzione dei poteri del Senato e un cambio nel metodo di elezione dei senatori, e avrà come conseguenza principale la fine del bicameralismo perfetto, cioè la forma parlamentare in cui le due Camere hanno sostanzialmente uguali poteri e uguali funzioni. Sulla maggior parte delle leggi sarà soltanto la Camera a dover decidere eliminando la cosiddetta “navetta”, cioè il passaggio della stessa legge tra Camera e Senato che oggi capita avvenga anche più di una volta, visto che le due camere devono approvare leggi che abbiano esattamente lo stesso testo. Il nuovo Senato non darà la fiducia al governo, che quindi per insediarsi e operare avrà bisogno soltanto del voto della Camera. Il Senato manterrà la sua “competenza legislativa”, cioè la possibilità di approvare, abrogare o modificare leggi, soltanto in un numero limitato di ambiti: riforme costituzionali, disposizioni sulla tutela delle minoranze linguistiche, referendum, enti locali e politiche europee. In tutti gli altri, la Camera legifererà in maniera autonoma: per approvare una legge, quindi, non ci sarà più bisogno di un voto favorevole da parte di entrambi i rami del Parlamento ma basterà il voto della Camera. Il Senato potrà chiedere modifiche dopo l’approvazione della legge, ma la Camera non sarà obbligata ad accettarne gli emendamenti. Insieme alle competenze, cambierà anche la composizione del Senato, che passerà da 315 a 100 membri. I senatori non saranno più eletti direttamente come avviene oggi, ma saranno scelti dalle assemblee regionali tra i consiglieri che le compongono e tra i sindaci della regione. In tutto il Senato sarà composto da 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e cinque senatori nominati dal presidente della Repubblica che resteranno in carica per sette anni, non percepiranno stipendio, ma avranno le stesse tutele dei deputati. I dettagli su come saranno eletti i senatori provenienti dalle regioni non sono specificati nel ddl Boschi: servirà una legge che determini esattamente come avverrà la loro elezione.

Titolo V La seconda parte più importante della riforma riguarda la riduzione dell’autonomia degli enti locali a favore dello stato centrale. Questa riduzione si otterrà con la modifica del Titolo V della seconda parte della Costituzione, che contiene le norme fondamentali che regolano le autonomie locali. Il Titolo V era già stato modificato con la riforma Costituzionale del 2001, quando alle regioni fu garantita autonomia in campo finanziario (con cui poter decidere liberamente come spendere i loro soldi) e organizzativo (con cui poter decidere quanti consiglieri e quanti assessori avere e quanto pagarli). Con il ddl Boschi, molte di quelle competenze torneranno in maniera esclusiva allo Stato, mentre le competenze concorrenti (cioè condivise tra Stato e regioni) scompariranno completamente. La competenza principale che rimane alle regioni sarà la sanità. Nella riforma sono anche contenute clausole che permettono allo stato centrale di occuparsi di questioni esclusivamente regionali, nel caso lo richiede la tutela dell’interesse nazionale. La riforma porterà anche all’abolizione definitiva delle province, che negli ultimi anni sono già state progressivamente svuotate delle loro principali funzioni.

Elezioni del presidente della Repubblica e abolizione del CNEL e referendum La riforma prevede anche una serie di cambiamenti di portata meno rilevante, ma comunque importanti. Il presidente della Repubblica sarà eletto dalle due camere riunite in seduta comune, senza la partecipazione dei 58 delegati regionali come invece avviene oggi. Sarà necessaria la maggioranza dei due terzi fino al quarto scrutinio, poi basteranno i tre quinti. Solo al nono scrutinio basterà la maggioranza assoluta (attualmente è necessario ottenere i due terzi dei voti fino al terzo scrutinio; dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta: Napolitano e Mattarella sono stati eletti così). Il ddl Boschi prevede anche l’abolizione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, un organo previsto dalla Costituzione (all’articolo 99). Il CNEL è un “organo consultivo”, con la facoltà di promuovere disegni di. È composto da 64 consiglieri, in parte nominati dal Presidente della Repubblica e dal presidente del Consiglio (dieci persone), in parte dai rappresentanti delle categorie produttive (48 membri) e in parte dai rappresentanti di associazioni e volontariato (6 membri). Con l’abolizione delle province, del CNEL, e la riduzione dei senatori, è prevista una riduzione dei costi, ma non sono state fornite stime esatte sull’ammontare di questi risparmi, si calcola che possano essere nell’ordine di poche centinaia di milioni di euro, su un bilancio pubblico di circa 800 miliardi di euro.

Referendum e leggi d’iniziativa popolare La riforma lascia aperta la possibilità di introdurre referendum propositivi, cioè per proporre nuove leggi (oggi invece i referendum possono solo confermare o abrogare leggi già approvate). Il quorum che rende valido il risultato di un referendum abrogativo resta sempre del 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto, ma se i cittadini che propongono la consultazione sono 800mila, invece che 500mila, il quorum sarà ridotto: basterà che vada a votare il 50 per cento più uno dei votanti alle ultime elezioni politiche, non il 50 per cento più uno degli aventi diritto. Per proporre leggi d’iniziativa popolare non saranno più sufficienti 50000 firme, ma ne serviranno 150000.