Referendum e forma di governo: l’incontro con Andrea Morrone

È questo il titolo del seminario, tenutosi giorno 10 novembre 2022, presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche dell’Ateneo di Messina.

L’incontro è stato moderato dal Prof. Alberto Randazzo, promotore ed organizzatore dell’iniziativa, con la presenza di un ospite importante: Andrea Morrone, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna.

Il seminario ha avuto ad oggetto una recente opera del Prof. Morrone, il suo libro “La Repubblica dei Referendum. Una storia costituzionale e politica (1946-2022)”, che racconta importanti fasi della storia repubblicana attraverso il prisma dell’istituto referendario.

Il Prof. Randazzo, ringraziando i presenti (tra i quali vi erano anche alunni del Collegio Superiore “Sant’Ignazio”), ha introdotto l’oggetto della relazione del Prof. Morrone, che ha discusso del suo Volume.

Nello specifico, ci si è soffermati in via preliminare sul referendum del 1946, che costituisce anche l’avvio della ricerca. Come si sa, in quell’occasione, gli italiani, reduci dal periodo fascista, furono chiamati a scegliere tra due regimi politici: Monarchia e Repubblica, con la vittoria di quest’ultima.

Come ha ricordato il Prof. Randazzo prendendo spunto dal libro, “il dato saliente emerge nel periodo storico che va dal 1970 al 2022, dalle cui statistiche si evince che ci siano state 666 proposte di referendum abrogativi e 23 costituzionali”.

I votati furono 73 e, di questi, ben 34 sono andati a vuoto a causa dell’astensionismo (uno dei limiti del referendum).
Il referendum – come lo definisce Morrone – costituisce il “sottotesto” della storia della Repubblica.
A tal proposito, come ricorda il Prof. Randazzo richiamando l’opera di Morrone, in Assemblea costituente, fu prezioso il contributo di Costantino Mortati, che propose l’introduzione di questo istituto al fine di creare e rafforzare l’interconnessione tra cittadini ed Istituzioni politiche; esso si riteneva necessario, come sostiene Andrea Morrone “contrastare quelle sfasature fra partiti ed opinioni pubbliche”.

Il Prof. Randazzo ha poi rivolto due domande all’autore:
“Colmare questo gap tra rappresentanti e rappresentati è ancora possibile attraverso il referendum, dal momento che la società è mutata e si è digitalizzata?”. Si fa riferimento al concetto di disintermediazione delle nuove tecnologie.
“Il referendum può, tutt’oggi, svolgere quell’originaria funzione per la quale è stato pensato da Mortati, visti i partiti odierni, lontani da quelli di un tempo?”.

Snodo cruciale e, al contempo, filo conduttore dell’intera opera è il rapporto tra referendum e partiti; questi ultimi temevano che l’istituto referendario, in quanto espressione di democrazia diretta, potesse avere delle ripercussioni in negativo sulla democrazia rappresentativa nel nostro Paese.
Stessa preoccupazione fu manifestata quando Mortati, nella Seconda Sottocommissione, avanzò la sua proposta, che infatti venne molto ridimensionata. Come si sa, si ammise soltanto il referendum abrogativo.

Dunque, al centro del libro vi è questo gioco di forze, questo rapporto complicato tra referendum (espressione di democrazia diretta) e partiti (espressione di democrazia rappresentativa), rapporto che a prima vista potrebbe sembrare connotato da scontri e contrapposizioni. Tuttavia, gli stessi partiti si sono serviti dello strumento referendario, fino ad abusarne.

Come ha affermato il Prof. Morrone, il referendum è stato funzionale e “servente da sempre alla democrazia rappresentativa”. Questo strumento, dunque, è stato recepito ed utilizzato come acquisizione di consensi ad uso partitico (si fa cenno ad una vicenda che coinvolse Berlinguer)
“Qual è il senso più profondo e l’intento di questa ricerca storiografica?”, si chiede l’Autore.

Il Prof. Morrone, illustrando il suo libro, ricorda che quest’ultimo è una prosecuzione di una ricerca condotta con Augusto Barbera nel 2003; nel concreto, trattasi di una storia dei referendum. Lo scopo dei due studiosi era quello di colmare un vuoto, contrapponendo al mero approccio formale dei giuristi – tra i quali, Vittorio Emanuele Orlando – un metodo giuridico, costruito attraverso la contaminazione di altre scienze (sociologia, storia).

Ecco perché il sottotitolo è “Storia costituzionale e politica”, volto a collocare l’istituto referendario nel contesto storico-politico e costituzionale del Paese. La scelta del titolo ha, tuttavia, una duplice funzione: entrare in un rapporto dialogico e al tempo stesso di netta contrapposizione rispetto all’opera “La Repubblica dei Partiti” di Pietro Scoppola, storico della sinistra democristiana.
L’idea è quella di attenuare la centralità dei partiti nella storia della Repubblica italiana, soprattutto del ’900, mettendo in luce il ruolo del referendum. La modernità c’insegna come l’unico modo possibile di concepire la politica sia stato quello di organizzare gli individui (il popolo definito bambino, privo d’identità, “massa informe”) in forme politiche (partiti). Da qui, il referendum concepito solo per abrogare una legge vigente. Benché non vi sia di fatto un referendum propositivo, è emerso come, nel concreto, quello abrogativo abbia indirettamente anche avuto una funzione di stimolo per l’introduzione di nuove leggi.

Benché, come introduceva il Prof. Randazzo, solo alcuni referendum abbiamo raggiunto il quorum di validità, è importante focalizzarsi sul ruolo di questo strumento che ha segnato tappe importanti nella storia del nostro Paese, in termini di innovazioni sul piano sociale e sul piano politico.

Come ha detto Morrone, si è avuto “un processo di costruzione della nostra cultura che è fatto non solo di partiti, ma anche di istanze popolari, cittadini, movimenti, gruppi sociali che si sono fatti promotori di notevoli iniziative”.
Molti gli spunti di riflessione che hanno animato il dibattito finale.

Ylenia Zirilli

Dentro la XIX Legislatura col Prof. Giovanni Moschella: l’intervista ai microfoni di Radio UniVersoMe

In esclusiva per il podcast di Radio UniVersoMe The Box, abbiamo intervistato il prorettore vicario dell’Università degli Studi di Messina, Prof. Giovanni Moschella.

La locandina della puntata © Gianluca Carbone

A seguito delle elezioni politiche del 25 settembre scorso, si è insediata la nuova, XIX legislatura. Si tratta della prima volta dopo il referendum sul taglio dei parlamentari del 2020, il cui esito positivo confermò la scelta di ridurre il numero dei deputati e dei senatori rispettivamente da 630 a 400 e da 315 a 200.

Assieme al Prof. Moschella, abbiamo riflettuto sulla nuova maggioranza di destra, ma anche sulle opposizioni e sulle rispettive fragilità. Abbiamo toccato temi nevralgici come le riforme sulle autonomie regionali a livello differenziato e sul Presidenzialismo come forma di governo alternativa al Parlamentarismo.

© Gianluca Carbone

In che stato risultano, oggi, gli equilibri parlamentari? Quali effetti avrà avuto il taglio dei parlamentari? Quali sono le prospettive di questa nuova maggioranza? E quale futuro dovremo aspettarci noi giovani? Tutto questo e molto altro nella nostra intervista, da oggi disponibile su Youtube, Spotify, Spreaker e sugli altri social media di UniVersoMe.

Valeria Bonaccorso


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Account sospesi da Elon Musk. “Presto sanzioni” dall’Unione Europea

Elon Musk, nuovo patron di Twitter, sembrerebbe non averne azzeccate molte dopo l’acquisizione della società in ottobre. Tra licenziamenti, dimissioni, nuove politiche sui contenuti della piattaforma e i molti sondaggi fatti sul ripristino o meno di alcuni account. Come per quello dell’ex presidente Donald Trump,  per affermare che questo social non funzionerà contro la disinformazione sul Covid-19. Queste dinamiche hanno fatto di Musk l’uomo più “twittato” ultimamente.

Recentemente Musk, basandosi sulla politica del “doxxing” (diffusione di informazioni personali e private online), ha decretato la sospensione di diversi account di alcuni ambìti reporter. Questo fatto ha richiamato l’attenzione non solo delle Nazioni Unite ma anche dell’Unione Europea. La Commission Europea critica l’azione del nuovo patron, ed intende agire attraverso delle sanzioni, a tutela della “libertà d’espressione”.

Quali sono i retroscena e i reporter sospesi?

Negli ultimi giorni, su Twitter non era più possibile seguire il giornalista Ryan Mac del New York Times, così come il reporter Drew Harwell del Washington post o l’esperto Donie O’Sullivan della Cnn. Sembrerebbero essere spariti anche gli account del corrispondente di Voice of America, Steve Herman, del commentatore Keith Olbermann e di molti altri giornalisti indipendenti. I loro account si sono spenti senza grandi spiegazioni lo scorso 15 dicembre.

Ma cosa hanno in comune questi giornalisti sospesi?

Il loro comun denominatore è la parola. Tutti hanno scritto su Elon Musk e in maniera forse un po’ troppo invasiva e critica per i suoi gusti. In particolare i reporter avrebbero raccontato, divulgando troppe informazioni personali, del caso di @ElonJet. Quest’account era stato creato dal ventenne Jack Sweeney, per seguire tutti gli spostamenti del jet privato di Musk. È stato chiuso e sembrerebbe esser stata aperta un’azione legale contro lo studente. Infatti la decisione nei confronti dei reporter, sembrerebbe esser stata presa all’indomani della sospensione di oltre 25 account che tracciavano gli aerei di agenzie governative, di miliardari e individui di alto profilo compreso Musk.

Ma il mese scorso quest’ultimo aveva dichiarato

“il mio impegno per la libertà di parola si estende anche a non vietare l’account che segue il mio aereo. Anche se questo è un rischio diretto per la sicurezza personale”.

Sembrerebbe aver cambiato idea! La scorsa settimana, dopo che “un pazzo stalker” aveva seguito suo figlio in auto, Musk ha twittato che qualsiasi account che abbia pubblicato informazioni sulla posizione in tempo reale di chiunque “verrà sospeso”. Poiché per il patron si tratta di  “violazione della sicurezza fisica”.

La sospensione dei giornalisti sembrerebbe essere legata a questo motivo, ma non c’è molta chiarezza. Secondo quanto riferisce il New York Times, la pagina Twitter di ogni utente sospeso include un messaggio, secondo cui gli account sono sospesi perchè “violano le regole di Twitter”.

Ma questa decisione ha infuriato l’Unione Europea, che oltre a condannare l’azione di Musk ha promesso sanzioni. Mettendo così a rischio la piattaforma guidata dall’imprenditore sudafricano.

La Commissione Europea contro “l’arbitraria sospensione”

I legislatori dell’Unione europea non hanno perso tempo a prender voce sulla sospensione arbitraria e senza preavviso dei giornalisti. Vera Jourovà, vicepresidente dell’UE per i valori e la trasparenza, su Twitter preoccupata delle azioni di Musk dichiara che con questo blocco “ha superato la linea rossa” e presto ci saranno delle sanzioni.

“Le notizie sulla sospensione arbitraria dei giornalisti su Twitter sono preoccupanti. La legge sui servizi digitali dell’Ue richiede il rispetto della libertà dei media e dei diritti fondamentali. Elemento rinforzato sotto il nostro Media Freedom Act. Elon Musk dovrebbe essere consapevole. Ci sono linee rosse. E sanzioni, presto”

Questo quanto dichiara in un tweet la Jourovà:

Il regolamento dell’UE in vigore impone ai fornitori di servizi intermedi di non agire in modo arbitrario o discriminatorio nell’applicazione dei loro termini di servizio. Tutto nel rispetto dei diritti fondamentali come la libertà di espressione e di informazione, nonché la libertà e il pluralismo dei media.

Queste sanzioni previste possono arrivare a gravare fino al 6% del fatturato annuo. La Commissione ha inoltre proposto “l’European Media Freedom Act”, che intende integrare il DSA con ulteriori misure per proteggere la libertà dei media e il pluralismo dell’UE. Sono comprese in questo atto, misure contro la “rimozione ingiustificata” da parte di piattaforme online molto grandi (definite VLOP) di contenuti multimediali prodotti secondo standard professionali. Non è ancora chiaro se Twitter sarà designato come VLOP sotto la DSA, ma i provvedimenti sicuramente non mancheranno.

Musk risponde: il doxxing si applica anche sui giornalisti

Musk si descrive come un assolutista della libertà di parola, più volte ha dichiarato di voler fare della piattaforma un baluardo di quest’ultima. Lo scorso 15 dicembre, aveva twittato che “le stesse regole sul doxxing si applicano ai giornalisti come a tutti gli altri”. Fa riferimento anche alle regole che vietano la condivisone di informazioni personali sulla piattaforma.

Per Musk i reporter quindi sembrerebbero aver violato le regole, rivelando informazioni troppo personali in tempo reale. Addirittura durante una livestream interrotta, ma i cui frammenti sono attualmente in circolazione su Twitter, Musk ha difeso questa decisione ritenendo che non c’è distinzione tra i “cosiddetti giornalisti” e le persone normali.

“Tutti saranno trattati allo stesso modo. Non sei speciale perché sei un giornalista. Sei solo un Twitter-utente, sei un cittadino. Quindi nessun trattamento speciale. Tu hai doxxato e vieni sospeso. Fine della Storia

Inoltre per rispondere al chiacchiericcio sulla piattaforma, dichiara di “certamente” accettare le critiche sulla sua persona, ma “il doxxing sulla mia posizione in tempo reale per mettere in pericolo la mia famiglia” non lo accetta.

Attraverso un sondaggio proposto agli utenti di Twitter ha chiesto quando questi account sarebbero dovuti essere sospesi. Il “Now” ha raggiunto il 43% delle votazioni, mentre per la politica dei sette giorni la percentuale ha raggiunto solo uno scarso 14,4%.

 

Musk confuso: ripristina alcuni account e chiede “dovrei dimettermi?”

Nelle ultime ore il nuovo patron sembra aver cambiato rotta. Ripristinati gli account dei reporter sospesi, dopo un referendum che si è espresso con il 59% delle preferenze per il ripristino.

La gente ha parlato. Gli account che hanno ‘doxxato’ la mia posizione vedranno revocata ora la sospensione”

Anche se intanto l’account della giornalista del Washington Post, Taylor Lorenz, è stato sospeso ieri per decisione di Musk. “La sospensione è temporanea, dovuta ad una precedente divulgazione” di suoi dati personali, ma la misura dichiara l’imprenditore “sarà presto revocata”. L’azienda annuncia inoltre che non sarà più possibile promuovere sul social piattaforme concorrenti, come Facebook o Instagram.

Il proprietario preso di mira e criticato da molti, si scusa “non accadrà più” e affida il suo destino ai suoi 122 milioni di follower. “Chi mi segue decida se devo restare a capo di Twitter”, da alla community la responsabilità sul suo futuro da CEO della società.

Il referendum fatto oggi attraverso un tweet ha termine in giornata. Scrive Musk “dovrei dimettermi dalla guida di Twitter? Mi atterrò ai risultati di questo sondaggio

 

A questo punto non ci resta che attendere! Quali saranno le prossime mosse, si dimetterà o non si dimetterà? Staremo a vedere.

Marta Ferrato

Guerra in Ucraina: Nato intransigente sulle annessioni della Russia e le minacce nucleari di Putin

Il conflitto Russia-Ucraina iniziato 7 mesi fa con l’invasione russa del territorio ucraino non intravede al momento una fine, bensì una coltre densa di minacce nucleari e incessanti attacchi incombono sul Paese che continua la sua controffensiva nel nord-est, cercando di riprendersi altri territori occupati dalla Russia. Quest’ultima venerdì scorso ha annunciato l’annessione tramite referendum di quattro regioni ucraine, gesto che la comunità internazionale non ha esitato nel definire illegittimo e assurdo.

Ciononostante, nelle ultime 48 ore le forze ucraine hanno guadagnato terreno significativo nel nord-est dell’Ucraina, intorno a Lyman, e nella regione di Kherson, a sud. Questo significa che la Russia non ha più il pieno controllo di nessuna delle quattro regioni dell’Ucraina che affermava di aver annesso la scorsa settimana.

Referendum annessione. Fonte: Euronews

La condanna dei “referendum farsa”

Lunedì 3 ottobre il Parlamento russo, la Duma, ha ratificato l’annessione delle quattro regioni dell’Ucraina nelle quali si sono svolti quelli che la comunità internazionale ha definito ”referendum farsa”. Lo ha annunciato il presidente della camera bassa del Parlamento russo Vyacheslav Volodin. Le regioni in questione sono Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia, che insieme rappresentano circa il 18 per cento del totale del territorio ucraino.

Di fronte ad un simile risvolto, i capi di Stato di nove Paesi europei membri della Nato (Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Macedonia del Nord, Montenegro, Polonia, Romania e Slovacchia) hanno fermamente sostenuto che non riconosceranno l’assorbimento delle quattro regioni da parte della Russia. Nella stessa dichiarazione congiunta sostengono poi il percorso verso l’adesione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica e invitano tutti i 30 Paesi membri a intensificare gli aiuti militari a Kiev, esprimendo così piena solidarietà all’Ucraina:

“Ribadiamo il nostro sostegno alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina e non riconosciamo e non riconosceremo mai i tentativi della Russia di annettere il territorio ucraino”, si legge nella nota congiunta.

Il segretario generale NATO, Stoltenberg. Fonte: Agenzia Nova

A chiarire ulteriormente le posizioni intransigenti della Nato le parole del segretario generale, Jens Stoltenberg, durante una conferenza a Bruxelles:

“Le regioni di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia sono ucraine, così come lo è la Crimea”, ha detto.

“Putin è il principale responsabile di questa guerra e il principale attore che deve fermare il conflitto. Se la Russia fermerà il conflitto, ci sarà la pace, se l’Ucraina si arrenderà, smetterà di esistere come una nazione indipendente”, sottolineando che “la Nato non è in guerra con la Russia, il nostro obiettivo adesso è continuare a sostenere l’Ucraina in ogni modo, per metterla in condizione di difendersi dall’aggressione della Russia”.

Putin minaccia sul nucleare

“Il popolo ha fatto una scelta netta. Ora i loro abitanti diventano nostri cittadini per sempre”, ha esordito Putin al termine dei referendum. Il non riconoscimento del risultato dei referendum, e delle conseguenti annessione, da parte della comunità internazionale potrebbe aumentare il rischio di utilizzo di armi nucleari: quella del presidente Putin è infatti una retorica tanto ripetitiva quanto pericolosa e imprudente. Un qualsiasi uso di armi nucleari avrebbe conseguenze gravi per la Russia e cambierebbe la natura del conflitto, come fatto esplicitamente sapere dal segretario generale della Nato Stoltenberg, nel corso di un’intervista al programma “Meet the press” su Nbc.

Il messaggio che la Nato e gli Alleati della Nato mandano alla Russia è atto a far capire che, nonostante l’organizzazione non faccia parte del conflitto, una guerra nucleare non può essere vinta e mai deve essere combattuta; anche perché l’Ucraina – in quanto nazione indipendente e sovrana in Europa – ha pienamente diritto di difendersi da un’aggressione di guerra. Pertanto, sarebbe impensabile assecondare le minacce di Vladimir Putin sull’impiego di testate atomiche tattiche per proteggere i nuovi confini autoproclamati per mezzo di annessioni stabilite a tavolino.

Numeri da paura nei bilanci di vittime

Dopo aver riconquistato nel fine settimana Lyman, città chiave dell’Ucraina orientale, le forze ucraine hanno continuato la loro controffensiva spingendosi fino alla regione di Luhansk.
Divisioni russe nella regione settentrionale di Kherson e sul fronte di Lyman erano in gran parte composti da unità che erano state considerate tra le principali forze di combattimento convenzionali della Russia prima della guerra, come riportato in precedenza dall’Istituto per lo studio della guerra. Dunque, il fatto che l’esercito russo abbia riconosciuto che le forze di Kiev hanno sfondato le linee di difesa nella regione di Kherson rappresenta la loro più grande svolta nella regione dall’inizio della guerra. Una mappa del Financial Times evidenzia i progressi delle truppe ucraine.

Ma qualche recente successo delle truppe ucraine non basta per chiudere un occhio su un bilancio di vittime, feriti e sfollati che continua a crescere di settimana in settimana: dal 24 febbraio si contavano già ad agosto almeno 5 mila civili uccisi, di cui più di 300 minori e circa 6,6 milioni di rifugiati.

Strage di civili. Fonte: Il Mattino

Sarà un inverno difficile per l’Europa

Lunedì, una settimana dopo le esplosioni e la rottura del gasdotto Nord Stream nel Mar Baltico (causate da almeno due esplosioni con centinaia di chili di esplosivo, secondo i governi di Danimarca e Svezia), la guardia costiera svedese ha dichiarato che la fuoriuscita di gas dal Nord Stream 1 si è interrotta, mentre il gas continua a fuoriuscire in parte dal Nord Stream 2, con il metano che sale in superficie. La multinazionale russa Gazprom ha tuttavia affermato che i flussi di gas potrebbero essere presto ripresi nel filone B del gasdotto Nord Stream 2.

Sabotaggio gasdotto NordStream. Fonte: TGCom24

Ma non basta chiudere una voragine per risolverne un’altra altrettanto seria: secondo David Petraeus, ex direttore della CIA, l’Europa avrà un inverno difficile perché ci saranno pochissimi flussi di gas naturale. Ma ciononostante lo supererà, anche perché il generale statunitense non crede che sulle questioni del sostegno all’Ucraina si creerà una divisione tale da causare scontri interni: la coesione europea è cruciale più che mai.
Intanto Zelensky ha affermato che eventuali negoziati ci saranno solamente in una fase finale, mentre un imminente risultato diplomatico è alquanto improbabile, dal momento che lo stesso presidente ha comunicato venerdì che l’Ucraina avrebbe accettato colloqui di pace solo “con un altro presidente della Russia“. E per ora Putin, nonostante le recenti proteste contro la mobilitazione, risulta essere ben saldo al potere.

Verso la cronicizzazione del conflitto

Il conflitto in Ucraina è solo la punta dell’iceberg in un mare più ampio in cui Stati Uniti e Russia si confrontano per ragioni strategiche vitali: per Washington si tratta di mantenere l’Europa nella sua sfera di influenza a tutti i costi, usando la crisi per recidere quanti più legami economici possibili tra i paesi dell’UE e il suo rivale russo; nel caso di Mosca, i combattimenti alle sue porte si stanno estendendo sempre più verso est da quando, da oltre vent’anni, la NATO minaccia in un modo o nell’altro di inghiottire l’Ucraina.

Tutto ciò indica non la fine imminente del conflitto, bensì una sua cronicizzazione, probabilmente ben oltre il prossimo inverno del 2022-2023. E anche se la mediazione della Turchia potesse portare ad un ormai improbabile cessate il fuoco, si concretizzerebbe piuttosto, nella migliore delle ipotesi, in una fragile tregua, vale a dire senza la firma di una pace veramente duratura.

Gaia Cautela

 

Votazioni: affluenza bassa alle #EleMe2022, precipita il referendum giustizia. Ecco i primi risultati

Si sono chiuse ieri sera alle 23 le votazioni sui cinque quesiti del Referendum sulla giustizia promosso da Lega e Radicali. Al contempo, diversi comuni in tutta Italia (tra cui anche Messina) sono stati chiamati ad eleggere i nuovi rappresentati politici, tra cui sindaco, consiglieri comunali e rappresentanti di quartiere. Non sono mancate le problematiche: tra ritardi, file ed ore di attesa che hanno inciso sensibilmente sull’affluenza alle urne, soprattutto tra le fasce d’età più alte.

A Palermo, ben cinquanta seggi non hanno potuto aprire per via del ritiro all’ultimo minuto dei relativi presidenti di sezione e di centinaia di scrutatori. Solo nel pomeriggio di domenica sono stati trovati gli ultimi sostituti, ma il voto a quel punto era già stato irrimediabilmente intaccato. Il Comune di Palermo ha provveduto ad inviare alla procura i documenti relativi all’organizzazione del voto necessari all’avvio di un’indagine.

EleMe 2022, a che punto siamo?

Saranno 254 le sezioni che verranno scrutinate a partire dalle 14 di oggi. Diminuisce l’affluenza alle urne dei messinesi rispetto alle precedenti elezioni, ove si stimava al 65,01%, toccando il 55,64%. Il sindaco verrà dunque eletto da meno della metà dei cittadini, con un totale di 107mila votanti si 192mila. Bene Primo e Sesto quartiere con affluenza rispettivamente di 58,57% (11.126 votanti) e 57,75% (14.579). Superato il 50% anche negli altri quartieri:

  • Secondo Quartiere – 55,29% (14.002 votanti)
  • Terzo Quartiere – 55,64% (24.433 votanti)
  • Quarto Quartiere – 50,65% (20.845 votanti)
  • Quinto Quartiere – 56,35% (21.096 votanti)

Per il Referendum Montemare superato il quorum con il 51,59% degli aventi diritto (99.093 votanti). Tra le altre problematiche già riportate, sono stati lamentati anche dei cambi di sezione di tanti votanti: molte comunicazioni di cambio sezione inviate per posta ordinaria non sono arrivate e dunque i votanti si presentano nelle vecchie sezioni in cui non sono registrati (LetteraEmme).

Referendum giustizia, appena il 20,8% di affluenza

Nelle ultime ore, il Viminale ha diffuso i primi dati relativi ai risultati dei referendum. Appena il 20,8% degli aventi il diritto si è recato alle urne, divenendo la percentuale di affluenza ad un referendum più bassa nella storia della Repubblica. Infatti, nessuno dei cinque quesiti referendari promosso ha raggiunto il quorum (che necessitava il voto della maggioranza assoluta degli aventi il diritto, ossia il 50% + 1).

Le cinque schede colorate contenenti i quesiti referendari – Sandrino 14, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Nel tweet di YouTrend, l’affluenza relativa a ciascun quesito a livello nazionale (dati parziali).

Le ragioni di un tale risultato sono diverse: anzitutto, la complessità dei quesiti. Si trattava di scegliere su argomenti squisitamente giuridici, alcuni di questi particolarmente tecnici (come quelli riferiti alla composizione del Consiglio Superiore della Magistratura o alla separazione delle carriere di magistrato e pubblico ministero).

L’uso indiscriminato del referendum, negli ultimi 20 anni, è stato la causa di numerose sconfitte politiche (basti pensare a quella dell’ex premier Renzi nel 2016) che hanno contribuito ad allontanare il cittadino da questo strumento di democrazia diretta, se non addirittura a farglielo odiare.

Anche la poca informazione (e formazione) ha contribuito al risultato ottenuto. Infatti, solo nelle ultime settimane i mezzi d’informazione ed i social media hanno iniziato a parlare del Referendum, laddove sarebbe stato appropriato formare più accuratamente il popolo alle decisioni di estrema importanza che avrebbe dovuto prendere. Anche per questa ragione si sono sviluppate, negli ultimi tempi, delle correnti di boicottaggio delle votazioni: numerosi sono, ad esempio, i tweet sotto l’hashtag #NoQuorum, che invitavano – appunto – a boicottare le votazioni.

Dopotutto, le modalità di elezione dei membri togati del Csm, le modalità di valutazione della professionalità dei magistrati e la separazione delle funzioni sono anche oggetto della riforma Cartabia, ossia la riforma sulla Giustizia promossa dall’omonima Ministra Cartabia e che verrà votata in questa settimana al Senato (essendo già passata alla Camera).

D’altro canto, nei comuni dove contestualmente si votava per le amministrative, l’affluenza è riuscita a superare il 50%, secondo quanto riportato su Twitter da YouTrend (dati riferiti al Primo Quesito).

Referendum: i risultati nazionali e a Messina

RISULTATI NAZIONALI:

  • Primo Quesito – SÌ 53,97%, NO 46,03% (affluenza del 20,94%)
  • Secondo Quesito – SÌ 56,12%, NO 43,88% (affluenza del 20,93%)
  • Terzo Quesito – SÌ 74,01%, NO 25,99% (affluenza del 20,93%%)
  • Quarto Quesito – SÌ 71,94%, NO 28,06% (affluenza del 20,92%)
  • Quinto Quesito – SÌ 72,52%, NO 27,48% (affluenza del 20,92%)

RISULTATI NELLA CITTÀ METROPOLITANA DI MESSINA:

  • Primo Quesito – SÌ 50,99%, NO 49,01% (affluenza del 36,46%)
  • Secondo Quesito – SÌ 52,77%, NO 47,23% (affluenza del 36,44%)
  • Terzo Quesito – SÌ 67,33%, NO 32,67% (affluenza del 36,46%)
  • Quarto Quesito – SÌ 63,99%, NO 36,01% (affluenza del 36,45%)
  • Quinto Quesito – SÌ 65,32%, NO 34,68% (affluenza del 36,43%)

RISULTATI NEL COMUNE DI MESSINA:

  • Primo Quesito – SÌ 46,66%, NO 53,34% (affluenza del 52,37%)
  • Secondo Quesito – SÌ 48,47%, NO 51,53% (affluenza del 52,30%)
  • Terzo Quesito – SÌ 63,42%, NO 36,58% (affluenza del 52,37%)
  • Quarto Quesito – SÌ 59,44%, NO 40,56% (affluenza del 52,35%)
  • Quinto Quesito – SÌ 61,22%, NO 38,78% (affluenza del 52,29%)

Risulta evidente che (ai dati attuali), se fosse stato raggiunto il quorum tutti e cinque i quesiti sarebbero stati approvati. Intanto, il segretario della Lega Matteo Salvini ha ringraziato su Twitter i dieci milioni di italiani che ieri si sono recati alle urne:

Per il Comune di Messina si accresce l’affluenza generale (fino al 50% degli aventi il diritto) rispetto al precedente referendum costituzionale del 2020, a cui aveva partecipato solo il 31,67% degli aventi diritto.

Valeria Bonaccorso

Referendum giustizia: tutto quello che c’è da sapere sui 5 quesiti

Dopo l’ultimo referendum, tenutosi nel 2016 riguardo l’estrazione degli idrocarburi, domenica 12 giugno, dalle 7 alle 23, tutti gli italiani saranno nuovamente chiamati a votare, questa volta per una tematica diversa: la giustizia. I cinque quesiti sono stati promossi da Lega Radicali.

I 5 referendum abrogativi

Molti italiani si stanno chiedendo, in questo periodo, quali siano le domande a cui sarebbero chiamati a rispondere. I temi trattati nei 5 referendum spaziano dalla legge Severino, alla limitazione delle misure cautelari, passando per la separazione delle funzioni tra magistrati, la valutazione dei magistrati e ancora l’elezione dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura. Le schede, che riportano i diversi quesiti, avranno colori differenti: rosso, arancione, giallo, grigio e verde.

Si tratta di referendum abrogativi, per cui gli italiani voteranno per mantenere (votando No) o abrogare (votando Sì) le norme attualmente vigenti. Purché il referendum risulti valido, requisito necessario è il raggiungimento del quorum, ovvero il 50%+1 degli aventi diritto al voto.

Le 5 schede del referendum (Fonte: meteoweek.com)

Primo quesito: abrogazione della legge Severino

Il primo quesito si presenta sulla scheda di colore rosso e riguarda l’abrogazione del decreto legislativo n. 235/2012, cosiddetto “Severino” (emanato in attuazione dell’omonima legge n.190/2012), il quale porta il nome del Ministro della Giustizia in carica dal 2011 al 2013 durante il governo Monti. Si è sentita la necessità di questa legislazione in seguito a degli studi, condotti dall’UE e dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), in materia di corruzione, i quali dimostravano che l’Italia si classificava come il terzo paese OCSE più corrotto, oltre alle enormi spese annue che ne derivavano.

Il decreto Severino prevede, tra le altre cose, l’incandidabilità e l’ineleggibilità alle elezioni politiche del condannato in via definitiva con pena superiore a due anni, oltre che la decadenza dal mandato rappresentativo (parlamentare o di amministrazione locale). Per questo, la legge è valida anche per sindaci e consiglieri, i quali subiscono una pena più dura: vengono sospesi a seguito della sola sentenza di primo grado.

Se vincesse il , l’intero decreto Severino verrebbe abrogato ed i condannati tornerebbero a ricoprire o mantenere cariche politiche, salvo decisione contraria del giudice – cui è rimessa la decisione circa l’interdizione (temporanea o definitiva) dai pubblici uffici. In caso contrario, la situazione attuale rimarrebbe invariata.

Primo quesito (Fonte: trmtv.it)

Secondo quesito: limitazione delle misure cautelari

Il secondo quesito riguarda il tema della limitazione all’applicazione delle misure cautelari ed è contenuto nella scheda arancione. Si chiede ai cittadini italiani di abrogare o meno la “reiterazione del reato” come uno dei criteri sulla base dei quali i giudici possono sottoporre taluno la custodia cautelare in carcere o ai domiciliari, imporre l’obbligo di firma o di non lasciare il paese, prima che si svolga il processo.

Infatti, attualmente un indagato può preventivamente finire ai domiciliari o in carcere prima della sentenza finale se vi è il rischio di inquinamento prove, il pericolo di fuga, se si tratta di un reato grave o c’è il rischio di reiterazione del reato. Il quesito mira ad abrogare quest’ultima possibilità: l’indagato non potrà subire determinate restrizioni della libertà personale, come quelle sopra elencate, se c’è il pericolo che il reato possa essere commesso nuovamente.

Secondo quesito (Fonte: lamagistratura.it)

Terzo quesito: separazione delle funzioni tra magistrati

La scheda di colore giallo contiene il terzo quesito. Questo riguarda la separazione delle funzioni giudicanti e requirenti dei magistrati. Più nello specifico, oggi, a seguito del superamento del concorso in magistratura, è possibile scegliere tra due carriere: quella di pubblico ministero (la parte dell’accusa) e quella di giudice (con funzione giudicante sui procedimenti). Attualmente è possibile intraprendere una carriera e poi decidere di cambiare e intraprendere l’altra, anche se con qualche limitazione: ad esempio, questo passaggio non può essere effettuato più di quattro volte. Il quesito chiede agli italiani di scegliere tra mantenere, votando No, la possibilità di passare da una carriera ad un’altra, oppure decidere all’inizio della carriera se si vuole ricoprire il ruolo di giudice o di PM senza possibilità di cambiare carriera, votando .

Terzo quesito (Fonte: orticalab.it)

Quarto quesito: valutazione della professionalità dei magistrati

Il quarto quesito trova spazio nella scheda di colore grigio. Continuiamo qui a parlare di magistrati, ma stavolta della loro valutazione. L’operato dei magistrati, nel nostro sistema giuridico, è giudicato, in ultima parte, dal Csm (Consiglio Superiore della Magistratura), sulla base di pareri motivati non vincolanti (per cui non vi è obbligo di attenervisi) del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari. Questi ultimi sono formati dai magistrati e dai cosiddetti membri laici, ovvero avvocati e professori universitari in materie giuridiche, che però non hanno potere decisionale sulla valutazione della professionalità e della competenza dei magistrati. L’obiettivo del quarto quesito è quello di estendere la valutazione dei magistrati anche ai membri laici.

Quarto quesito (Fonte: cremaonline.it)

Quinto quesito: elezione dei membri togati del Csm

La scheda del quinto e ultimo quesito è di colore verde ed ha ad oggetto l’elezione dei membri togati del Csm. Il Csm ha diversi compiti, tra cui: la gestione dei concorsi, gli avanzamenti di carriera, gli spostamenti dei magistrati e le sanzioni disciplinari. Tale organo è composto da 27 persone, di cui 3 sono membri fissi: parliamo del Presidente della Repubblica, del Procuratore Generale e del Presidente della Corte di cassazione. Poi ci sono 8 membri, tra professori universitari di materie giuridiche e avvocati che esercitano questa professione da almeno 15 anni, eletti dal Parlamento. I 16 membri rimanenti, i cosiddetti membri togati, ovvero i magistrati, sono eletti all’interno dai membri della stessa categoria.

Quando un magistrato intende candidarsi al Csm deve raccogliere almeno 25 firme dai suoi colleghi. Questo, però, secondo i promotori del referendum, sollecita la creazione di “correnti. Col quesito viene chiesta l’eliminazione del numero minimo di firme, per fare in modo che chiunque possa candidarsi liberamente ed in autonomia per entrare a far parte del Csm. Ciò sarebbe possibile se vincesse il .

Quinto quesito (Fonte: ilquotidianoindipendente.it)

Eleonora Bonarrigo

No al referendum sulla cannabis. Per la Corte Costituzionale è “inammissibile”

La Corte Costituzionale ha respinto il referendum sulla Cannabis legale, dopo che la stessa ha respinto nella giornata di martedì il quesito sull’eutanasia. Il presidente Giuliano Amato, nel corso di una conferenza stampa, ha dichiarato che «il referendum non era sulla cannabis, ma sulle sostanze stupefacenti». Un’affermazione che ha destato molto scalpore tra i firmatari del referendum, in particolare una delle associazioni promotrici del referendum, Meglio Legale, sui social ha scritto che:

«Questa non è una sconfitta nostra e delle centinaia di migliaia di cittadini e cittadine che hanno firmato per la cannabis legale. È il fallimento di una Corte che non riesce a garantire agli italiani un diritto costituzionale, di un Parlamento che da trent’anni non riesce a mandare in fumo gli affari delle mafie.

Giuliano Amato durante la conferenza stampa (fonte: ansa.it)

Le considerazioni della Corte Costituzionale

Secondo la Corte, l’approvazione del referendum avrebbe portato a una «violazione degli obblighi internazionali dell’Italia», perché avrebbe consentito la coltivazione anche di «droghe pesanti». Il Presidente Amato ha dichiarato che

«Il quesito è articolato in tre sotto quesiti ed il primo prevede che scompaia tra le attività penalmente punite la coltivazione delle sostanze stupefacenti di cui alle tabelle 1 e 3, che non includono neppure la cannabis ma includono il papavero, la coca, le cosiddette droghe pesanti.».

 

La seconda ragione della bocciatura del referendum, è che il quesito aveva problemi di formulazione, poiché non avrebbe consentito una depenalizzazione completa. Durissima la replica del presidente del comitato, Marco Perduca, che dice

«Non c’è stato alcun errore nella formulazione del quesito. Il quesito non viola nessuna convenzione internazionale, tanto è vero che la coltivazione è stata decriminalizzata da molti Paesi, ultimo tra questi Malta. Il riferimento del presidente alle tabelle è fattualmente errato, dall’anno della bocciatura della Legge Fini-Giovanardi (2014) il comma 4 è tornato a riferirsi alle condotte del comma 1, comprendendo così la cannabis.».

Inoltre, nella stessa giornata, la Corte Costituzionale ha approvato cinque quesiti della riforma della giustizia, ossia l’abrogazione delle disposizioni in materia di insindacabilità (comunemente nota come legge Severino), la limitazione delle misure cautelari, la separazione delle funzioni dei magistrati, l’eliminazione delle liste di presentatori per l’elezione dei togati del Csm, il voto degli avvocati sui magistrati.

Gli obiettivi del referendum

Scendendo nel dettaglio del referendum, come si apprende dal sito del comitato, il quesito propone «di depenalizzare la condotta di coltivazione di qualsiasi pianta», specificando che «la detenzione di piante, foglie e fiori a fini di spaccio e le attività di fabbricazione, estrazione e raffinazione, necessarie ad esempio alla cocaina e l’eroina» avrebbero continuato «a essere punite», dimostrando a detta dei promotori il contrario di quanto affermato dalla Corte Costituzionale.

Inoltre, il referendum prevedeva anche di eliminare il carcere per qualsiasi condotta illecita relativa alla cannabis, con eccezione dell’associazione finalizzata al traffico illecito. L’intento più importante infatti, era quello di togliere potere alle mafie. Stando alla Relazione annuale del Parlamento sulle tossicodipendenze del 2021,  il mercato delle sostanze stupefacenti  muove attività economiche per 16,2 miliardi di euro, di cui circa il 39% attribuibile al mercato nero dei cannabinoidi, all’incirca pari a 6,3 miliardi di euro.

La cannabis in Europa

In alcuni stati dell’Unione Europea, la cannabis è legalizzata sia dal punto di vista della produzione, che del consumo. In Germania è stato depenalizzato il possesso entro i 10 grammi. Nei Paesi Bassi non è presa in considerazione la vendita di quantità sotto ai 5 grammi per persona al giorno nei coffee-shop autorizzati, mentre in Repubblica Ceca è consentito coltivarla per uso personale ma non per la vendita.

Le reazioni dei firmatari e della politica

 

Riccardo Magi e Marco Cappato (fonte: ilfattoquotidiano.it)

 

Il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, commenta la decisione della Corte su Twitter, scrivendo:

 

E sulle tabelle, ha affermato in un’intervista rilasciata ai microfoni del Fatto Quotidiano:

«Errore sulle tabelle? No, il clamoroso errore è di Giuliano Amato. Ha affermato il falso. Non sono stati nemmeno in grado di connettere correttamente i commi della legge sulle droghe. Non è stato letto correttamente il combinato disposto degli articoli che invece secondo noi riguarda esattamente la cannabis.».

Un giudizio decisamente negativo che vede il sostegno anche di alcuni esponenti politici, come il segretario di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni:

«Emerge un’idea conservatrice del Paese, molto lontana dalla vita reale, che quei due referendum volevano superare e che la Consulta con le sue scelte e con molti peli nell’uovo, ha consolidato.».

 

Tuttavia, in molti ritengono che il quesito presentava molte contraddizioni. Vero o no, rimane l’amarezza per quel numero esorbitante di firme raccolte in questi mesi, a cui si aggiunge l’indignazione per la promozione del quesito che abroga la legge Severino, la quale nello specifico vieta l’incandidabilità, ineleggibilità e decadenza dei parlamentari, membri del governo, sindaci e amministratori locali in caso di condanna definitiva per reati di mafia, terrorismo e corruzione. C’è da chiedersi se la democrazia in Italia esiste ancora, e se a trent’anni da Mani Pulite è cambiato qualcosa. La risposta è nella coscienza della nostra onestà intellettuale.

 

Federico Ferrara

Nuovi passi per nuova legge sull’eutanasia ma la maggioranza si mostra divisa. Ecco in cosa si articolerà il testo base

È stato compiuto il primo passo a Montecitorio a favore dell’approvazione di un testo base per la legge sul suicido assistito. La nuova norma, però, divide la maggioranza. Nel frattempo l’Associazione Luca Coscioni raccoglie le firme per indire un referendum.

Suicidio assistito –Fonte:ilmanifesto.it

Dopo mesi di stallo, lo scorso 6 luglio la Commissione Giustizia della Camera ha accolto il testo base della nuova legge per l’eutanasia. Nonostante debba essere ancora candelarizzata, la sua accettazione segna un importante passo in avanti volto a smuovere la situazione di incertezza che vigeva fino a poche settimane fa. Le polemiche pronunciate, ricalcano uno scenario molto simile a quello in corso per il ddl Zan.

Il voto dei partiti

Il maggiore assenso è provenuto dal fronte del centro sinistra, primamente dal Movimento 5 Stelle, sostenuto da PD, Liberi e Uguali, Azione e +Europa. Pur trattandosi di un testo base, il provvedimento dovrà passare attraverso le votazioni degli emendamenti sia della commissione che dell’aula. I reazionari che hanno votato contro sono stati Lega e Forza Italia, sostenendo il contesto di sospetti, sgambetti e presunte prevaricazioni.

Muro contro muro su eutanasia: le destre frenano il Parlamento –Fonte:lanotiziagiornale.it

A dare l’annuncio del “via libera” è stato il Presidente della Commissione Affari Costituzionali, Giuseppe Brescia (M5S), esponendo che

“Dopo la sentenza della Corte Costituzionale il Parlamento ha il dovere di intervenire con coraggio, il M5S è in prima linea per una legge di civiltà, attesa da troppi anni. Vedremo se chi oggi ha votato a favore manterrà il suo impegno durante il percorso. Non si può giocare su questi temi.”

La sentenza della Corte costituzionale del 2019

La possibile regolamentazione dell’eutanasia, permetterebbe di risolvere il problema costituzionale. Essa infatti, fino ad oggi è stata acconsentita solo in pochissimi casi. Importantissima fu la sentenza della Corte Costituzionale del 2019, il cui intervento riguardava la morte di Fabiano Antoniani, noto come “DJ Fabo”.

Sentenza Corte Costituzionale –Fonte:associazionelucacascioni.it

Concretamente è stato stabilito che in Italia si può aiutare una persona a morire senza rischiare ripercussioni penali, solo se il soggetto si ritrovi in determinate condizioni irreversibili, se la patologia generi sofferenze fisiche o psicologiche per il paziente intollerabili, se la persona si trova in uno stato in cui è capace di intendere e di volere e se è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. Si definisce così una forma di eutanasia non punibile.

Il contenuto del testo base

Nei mesi precedenti alla sentenza appena detta, il Parlamento ha più volte tentato ad approvare una legge sull’eutanasia ottenendo però scarsi risultati. Il testo base accolto in questa settimana combacia a grandi linee con i parametri richiesti per il suicidio assistito dalla Corte Costituzionale, prevedendo altresì la clausola di una prognosi infausta, ossia di una malattia terminale che esclude la sopravvivenza del soggetto.

Il testo e la proposta di legge –Fonte:corriere.it

Affinchè la pratica per la richiesta del suicidio assistito venga accolta, il documento prevede la creazione di una commissione volta ad esaminare ciascuna richiesta. Attraverso un comunicato il Presidente della commissione Giustizia alla Camera, Mario Perantoni (M5S) fa comprendere come l’esistenza di un ottimo testo, possa realmente chiarificare ogni perplessità e appianare le differenze.

Il ruolo dell’Associazione Luca Coscioni

Associazione Luca Coscioni –Fonte:quotidianosociale.it

L’Associazione Luca Coscioni è un’associazione no profit di promozione sociale nata nel 2002, che rientra in quelle associazioni ed enti per i quali è stata riconosciuta la legittimazione ad agire per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni. Tra le sue priorità vi sono:

  • l’affermazione delle libertà civili e i diritti umani, in particolare quello alla scienza, l’assistenza personale autogestita;
  • l’abbattimento della barriere architettoniche;
  • le scelte di fine vita;
  • la ricerca sugli embrioni;
  • l’accesso alla procreazione medicalmente assistita;
  • la legalizzazione dell’eutanasia;
  • l’accesso ai cannabinoidi medici;
  • il monitoraggio mondiale di leggi e politiche in materia di scienza e auto-determinazione.

La segretaria dell’associazione, Filomena Gallo e il tesoriere Marco Cappato, però hanno criticato il testo base, in quanto esclude di fatto sia i malati di tumore, in quanto nella maggioranza dei casi non sono sottoposti a trattamenti di sostegno vitale, sia perché elude la possibilità dell’eutanasia attiva, cioè il compimento di un “omicidio mirato” a ridurre le sofferenze di un’altra persona. Il medico o un terzo somministra intenzionalmente al paziente un’iniezione che conduce direttamente alla morte.

L’associazione prevede altresì l’indizione di un referendum abrogativo di una parte dell’articolo 579 del codice penale, volto a punire l’assistenza al suicidio. In tal modo si acconsentirebbe anche all’eutanasia attiva, oltre che un ampliamento di applicazione del suicidio assistito. La raccolta firme già avviata resterà attiva fino al 30 settembre, con l’obiettivo di riuscire ad ottenere 500 mila firme da presentare presso la Corte di Cassazione. Se tale pronostico si dovesse realizzare la Corte Costituzionale, in seguito al controllo di legittimità della legge, potrebbe indire il voto entro il 2022.

Giovanna Sgarlata

 

Referendum: Il Sì ha vinto. Cosa succederà adesso

 

Il risultato del referendum costituzionale sul taglio del numero dei parlamentari sancisce la vittoria del SI, con quasi il 70% di preferenze.

La vittoria del SI al Referendum è schiacciante. Il 69,6% degli italiani ha votato a favore della riforma costituzionale con più di 17 milioni di voti. I no si fermano a 7 milioni e 400 mila.

Con il beneplacito del popolo, la legge costituzionale n.240\2019, pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso 12 ottobre, stabilisce che quest’autunno è stagione di riforme.  Gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione saranno modificati. Il numero dei deputati, il numero dei senatori e dei senatori a vita subirà una diminuzione del 36,5% del numero totale dei parlamentari. (Approfondimento qui)

Dalla prossima legislatura, l’assetto istituzionale della Repubblica Italiana muta fisionomia. Il numero complessivo dei parlamentari passerà dall’essere 945 a 600: i deputati saranno 400 piuttosto che 630 e i senatori passeranno da 315 a 200, e il numero massimo dei senatori a vita sarà pari a 5.

Il  vero vincitore è il Movimento 5 Stelle, partito che sostiene l’attuale governo Conte, promotore della riforma.

A favore della riforma si sono espressi quasi tutti i partiti rappresentati in Parlamento. Nelle quattro letture previste per una riforma costituzionale è interessante ricordare che le prime tre letture sono avvenute sotto il governo giallo-verde, mentre la quarta sotto l’attuale.  La Lega e Fratelli d’Italia hanno votato SI in tutte le letture. Il Partito Democratico ha votato per tre letture NO e l’ultima volta SI. Più Europa ha sempre votato NO.

Cosa succederà adesso?

Nell’immediato non cambierà nulla.

Le camere non verranno sciolte e i parlamentari resteranno 945.  Il governo potrà finire il suo mandato che, se portato a fine legislatura, ci chiamerà al voto nel 2023.

Con nuove elezioni, per la prima volta nella storia della Repubblica, i parlamentari che potremo votare saranno 600: 400 Deputati e 200 Senatori. Il numero di rappresentanti per abitanti diminuirà. Con il taglio ci sarà un deputato  per ogni 151 mila e un senatore per ogni 302 mila abitanti. Saranno ridotti anche i parlamentari eletti dagli italiani all’estero: deputati e senatori passeranno da 12 a 8 e da 6 a 4.

Il processo di “normalizzazione” dei risultati appare tutt’altro che semplice. Prima di nuove elezioni c’è un problema cardine che il governo dovrà affrontare: è necessario che venga emanata una nuova legge elettorale.

La Corte Costituzionale ha già stabilito che l’attuale legge Rosato non può essere rappresentativa del volere della popolazione con il nuovo numero di rappresentanti. Nei prossimi mesi è necessario che venga proposta e approvata una nuova legge elettorale che principalmente stabilisca il sistema di voto (proporzionale, maggioritario o misto) e come verranno suddivisi i rappresentati per ogni circoscrizione e regione.

 

La nuova geografia politica delle Regioni.

Contestualmente al voto per il referendum, gli italiani di alcune regioni sono stati chiamati ad esprimere la loro preferenza in merito alle amministrazioni locali e ai governi regionali.

Approfondendo il risultato delle elezioni Regionali del 20-21 settembre, possiamo affermare: il centro-sinistra vittorioso in Toscana, in Puglia e in Campania, il centro-destra in Liguria, in Veneto e nelle Marche.

Nelle sei regioni sono state riconfermate le coalizioni uscenti. Unico cambio di “governance” significativo lo si registra nelle Marche. I confini della geografia politica italiana nell’inseme si compongono di quindici regioni governate dal centro-destra e cinque dal centro-sinistra.

 

Le regioni tra vecchi e nuovi governatori.

In Campania Vincenzo De Luca, governatore uscente, sostenuto dal centro-sinistra ha trionfato con il 69,6 per cento dei consensi, mentre il candidato del centro-destra Stefano Caldoro ha ottenuto il 17,8 per cento.

In Puglia ha vinto Michele Emiliano, governatore uscente, con il 46,9 per cento dei voti contro il 38,6 per cento di Raffaele Fitto. La regione Puglia era stata considerata tra le più a rischio per il centro-sinistra. Emiliano non era sostenuto né dal Movimento 5 stelle né dal movimento Italia Viva. Antonella Laricchia e Ivan Scalfarotto, candidati dei due partiti, hanno ottenuto l’11,11 per cento e 1,6 per cento.

In Toscana il Partito Democratico è il primo con il 34,7 per cento di preferenze. Eugenio Giani, sostenuto dalla coalizione del centro-sinistra, ha vinto con il 48,6 per cento dei voti contro il 40,4 per cento di Susanna Ceccardi, sostenuta dalla Lega.

In Veneto il leghista Luca Zaia ha stravinto, governatore uscente, giunto al terzo mandato ha superato il 75 per cento dei consensi, contro il 15,6 per cento di Arturo Lorenzoni candidato del centro-sinistra. La lista “Zaia Presidente” è il primo partito con il 44,4 per cento dei voti; la Lega il secondo, con il 16,89 per cento.

In Liguria confermato Giovanni Toti del centro-destra con circa il 55 per cento dei voti, contro il 38 per cento di Ferruccio Sansa del centro-sinistra che ha ottenuto 120mila voti in meno.

Nelle Marche ha vinto il candidato di Fratelli d’Italia Francesco Acquaroli. Appoggiato da tutto il centro-destra ha ottenuto il 49,1 per cento dei consensi contro il 37,3 per cento di Maurizio Mangialardi, candidato del centro-sinistra e sindaco di Senigallia.

L’andamento dei partiti conferma le forze di maggioranza nel governo.

Il Partito Democratico è il primo parto italiano in tutte le regioni dove si è votato, escluso il Veneto. Il segretario Nicola Zingaretti ha interpretato il voto locale come un segnale incoraggiante per il governo in carica.

Il Movimento 5 stelle, partito che governa dal 2018 con due diverse coalizioni, si è presentato con una lista autonoma in quasi tutte le regioni. I risultati ottenuti sono stati deludenti. Sia in Toscana che in Puglia i candidati del Movimento hanno ottenuto la metà dei voti rispetto a un anno fa.

Maria Cotugno

 

Approfondimento sul Referendum Costituzionale: le ragioni del SI e del NO

Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019?

 

 

Tra il 20 e il 21 settembre i cittadini potranno confermare o meno il testo della legge costituzionale che modifica gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione.

La legge, approvata in doppia lettura da entrambe le Camere a maggioranza assoluta, come previsto dall’articolo 138 della Costituzione per qualsiasi proposta di revisione costituzionale, non ha superato la soglia della maggioranza qualificata dei due terzi ed è stato dunque possibile per 71 senatori richiedere la consultazione referendaria. Originariamente prevista per il 29 marzo di quest’anno, e rinviata per le problematiche note ormai a tutti noi, la consultazione potrà finalmente svolgersi a quasi un anno di distanza dall’approvazione in via definitiva della legge.

Oggetto della riforma costituzionale proposta dalle forze di maggioranza al Parlamento è l’abbassamento del numero dei deputati da 630 a 400 e dei senatori eletti da 315 a 200 nonché la fissazione di un numero massimo dei senatori a vita pari a 5. Il quadro che si delineerebbe in caso di esito favorevole sarebbe quello di una diminuzione del 36,5% del numero totale dei parlamentari, che passerebbero dall’essere 945 a 600, di cui 12 per i cittadini italiani residenti all’estero, invece di 18, e una riformulazione dei criteri di ripartizione dei seggi per il Senato che tenga in considerazione non solo le Regioni ma anche le Province Autonome.

Si tratta del quarto referendum costituzionale nella storia repubblicana e come i precedenti, datati 2001, 2006 e 2016, sarà destinato a far discutere a lungo indipendentemente dal risultato finale.

Le ragioni che hanno spinto le forze attualmente al governo, in particolar modo il Movimento 5 Stelle, a promuovere e varare questa riforma possono essere riassunte nella necessità di rendere il Parlamento più celere nello svolgimento delle sue funzioni, soprattutto per quel che riguardai tempi dell’iter di approvazione legislativo, e l’assicurare allo Stato un risparmio in termini di spesa derivante dal minor numero di deputati e senatori.

Questi due fattori (risparmio e efficienza dei lavori parlamentari) sono i punti focali intorno a cui i sostenitori del SI hanno incentrato la loro campagna referendaria nonché quelli maggiormente criticati da chi invece si oppone alla riforma. Analizziamo quindi più nel dettaglio le ragioni che vengono adottate dei sostenitori del SI e quelle a sostegno del NO.

Ragioni del SI

La riduzione dei costi della politica: secondo gli esponenti delle forze politiche di maggioranza promotrici del SI la riduzione della spesa pubblica ottenuta grazie al taglio dei parlamentari garantirà un risparmio di circa 100 milioni di euro annui allo Stato che diventeranno 500 milioni a legislatura. Fondi che potranno essere destinati ai settori maggiormente bisognosi già dalla prossima legislatura.

Maggiore efficienza dei lavori parlamentari: fin dagli anni settanta si è avvertita l’esigenza di riformare il meccanismo parlamentare e più volte nella storia repubblicana sono state presentate proposte di riforme che hanno però avuto sempre esito negativo. L’idea è che un numero minore di soggetti attivi all’interno delle Camere possa garantire una riduzione dei tempi di discussione, del numero delle polemiche, e una partecipazione più attiva da parte di ciascun parlamentare. La diminuzione del 36,5% del totale dei parlamentari garantirebbe inoltre una maggiore responsabilizzazione degli stessi dato che un deputato arriverebbe a rappresentare circa 151 mila cittadini invece dei 96 mila odierni.

Il passaggio a 600 parlamentari inoltre avvicinerebbe il nostro parlamento ai numeri delle altre principali esperienze parlamentari: il nostro è uno dei legislativi più numerosi al mondo nonché il secondo in Europa dietro al solo Regno Unito, ormai uscito dall’UE causa Brexit. Dopo la riforma scenderebbe al quinto posto dietro Regno Unito, Germania, Francia e Spagna.

Ragioni del NO

Sul versante economico il fronte del no è contrario perché i problemi che deriverebbero dalla diminuzione del numero dei parlamentari non giustificherebbero il limitato risparmio: secondo l’Osservatorio dei conti pubblici italiani  il risparmio effettivo sarebbe nettamente inferiore rispetto ai numeri pubblicizzati dalle forze di maggioranza e sarebbe di 285 milioni a legislatura ovvero 57 milioni di euro annui, circa lo 0,007 per cento della spesa pubblica italiana.

Inoltre la riduzione del numero dei parlamentari non inciderebbe concretamente sull’efficienza dei lavori parlamentari: il bicameralismo perfetto che caratterizza il nostro legislativo rimarrebbe inalterato con le due Camere che continuerebbero ad avere esattamente le stesse funzioni ma che lavorerebbero in maniera depotenziata. L’aumento dell’efficienza del Parlamento non sarebbe automaticamente legato al minor numero di parlamentari ma potrebbe essere ottenuto grazie a una revisione dei meccanismi di formazione del processo legislativo, aspetto che la riforma non tocca e che potrebbe essere solamente in parte raggiunto con una modificazione urgente dei regolamenti parlamentari.

La principale contestazione del fronte del No riguarda però la riduzione di rappresentatività del Parlamento. Attualmente l’Italia ha un rapporto di 1 eletto ogni 64mila persone, con 945 parlamentari eletti e 60,4 milioni di abitanti. Se la riforma costituzionale dovesse essere approvata, con 600 parlamentari eletti, il rapporto diventerebbe di un eletto ogni 101mila persone. Soltanto la Germania, con un eletto ogni 117 mila, la Francia con uno ogni 116mila e l’Olanda con uno ogni 115 mila avrebbero un rapporto più elevato.

In caso di vittoria del SI vi sarebbe il rischio concreto di avere territori sotto-rappresentati, soprattutto al Senato essendo quest’ultimo eletto su base regionale. Anche se la Costituzione prevede per ogni territorio un numero minimo di seggi (sette senatori per ogni regione, tranne due per il Molise e uno per la Valle d’Aosta), le regioni più piccole non sarebbero più adeguatamente rappresentate.

Altra criticità per i contrari alla riforma è che nei collegi divenuti più piccoli , dovendosi eleggere meno deputati e senatori, possano essere maggiormente incisivi ed ottenere seggi solo i partiti più grandi, riducendo la rappresentanza delle comunità a livello locale.

 

In conclusione, indipendentemente dalle idee politiche e dalle posizioni proprie di ognuno, rimane un’unica grande verità: la Costituzione è di tutti e in quanto tale abbiamo il dovere prima che il diritto di partecipare a qualsiasi modificazione della stessa.

Filippo Giletto