Inside Out 2: sequel che ricorda la complessità delle emozioni

Inside Out 2
Pixar nella sua migliore forma, con Inside Out 2 ripropone la tematica delle emozioni e manda un messaggio più completo e coerente del primo film. – Voto UVM: 4/5

 

Inside Out 2 è un film d’animazione del 2024 diretto da Kelsey Mann, che segna il suo debutto alla regia. E’ il 28° lungometraggio d’animazione realizzato dalla collaborazione tra Disney e Pixar ed è il sequel del film uscito nel 2015.

Trama di Inside Out 2

In Inside Out 2 Riley ha 13 anni e fino a quel momento, le sue emozioni basilari (Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto), nonostante qualche difficoltà riscontrata (basta guardare gli eventi del primo film), sono riuscite a gestire bene la personalità della ragazzina dal loro Quartier Generale al suo interno. Hanno anche creato una nuova sezione della sua mente chiamata “Senso di Sé”. Lì vengono custoditi i ricordi e i sentimenti che costituiscono la personalità fondamentale di Riley. Per di più Gioia ha inventato un meccanismo che lancia qualsiasi ricordo negativo nel retro della mente di Riley.

Ma l’inizio dell’adolescenza di Riley ha portato anche all’inserimento di nuove emozioni (Ansia, Invidia, Ennui, Imbarazzo e Nostalgia) all’interno del Quartier Generale. All’inizio sembrano amichevoli, ma poi Ansia getta il Senso di Sé nel retro della mente di Riley e, assieme alle nuove emozioni, liquideranno quelle “vecchie” e assumeranno il controllo del Quartier Generale. Questo porterà ad uno scombussolamento nella personalità di Riley, tanto da portarla ad assumere comportamenti insoliti nel momento in cui prende parte al week-end dove si terranno i provini per entrare nella squadra di Hockey. Con le amiche di sempre si comporterà diversamente e cercherà di apparire in un altro modo per farsi accettare dalle altre ragazze della squadra.

Gioia, assieme alle mozioni protagoniste del primo film, cercherà in tutti i modi di recuperare il “Senso di Sé” e riprendere il controllo della personalità di Riley, in modo da farla tornare ad essere la persona che è sempre stata.

Inside Out 2
Ansia, la nuova emozione attorno alla quale gira il film sequel – Fonte: Disney Pixar’s Inside Out 2

Il metodo della Pixar

La collaborazione tra Disney e Pixar ha segnato la storia dell’animazione, partendo da un punto di vista tecnico con l’adozione dello stile della computer grafica e ispirando poi altre case di produzione a realizzare film simili (per esempio Dreamworks con film come Shrek o Illumination come Cattivissimo Me o Super Mario Bros – Il Film). La differenza tra le varie case di produzione sta nel modus operandi adottato per la narrazione delle storie.

Pixar ha sempre realizzato dei film d’animazione capaci sia di divertire che di emozionare. Tratta, con un linguaggio semplice e a tratti anche delicato, tematiche ricorrenti. In questo modo possono arrivanre sia ad un pubblico di bambini e ragazzini, per educarli agli argomenti trattati, che ad adulti, per far avere loro degli spunti di riflessione e le risposte che cercavano (talvolta facendo anche commuovere).

La Pixar è tornata ad essere quella di un tempo?

Ultimamente la Pixar ha avuto delle difficoltà e non ha osato più di tanto, ha deciso dunque di puntare sui cavalli forti e tirare fuori un sequel di uno dei loro film migliori: “Inside Out”. Questa mossa può essere rischiosa e può portare a peccare sull’originalità, ma a volte tirare fuori dal cilindro i vecchi metodi e raccontare nuove storie su personaggi apprezzati dal pubblico è una buona occasione, se sfruttata. Ebbene, dopo anni, “Inside Out” ritorna con un sequel tutt’altro che forzato e risultando addirittura migliore del primo film.

Con “Inside Out 2”, Pixar ha dimostrato di essere in grado di fare del suo meglio ma è ancora presto per dire che è tornata come quella di una volta, perché lo si vedrà col tempo. Ma almeno, “Inside Out 2” può essere un buon punto di partenza (anzi di ripartenza)

Inside Out 2
Nuove Emozioni al comando di Riley – Fonte: Disney-Pixar’s Inside Out 2

Un sequel all’altezza del primo, anzi addirittura superiore 

Nonostante la Pixar sia rimasta nella zona di comfort e non abbia osato più di tanto, ha azzeccato senza ombra di dubbio la strategia vincente per il successo di questo sequel. Saranno anche passati nove anni, ma in realtà sembra che non sia passato neanche un giorno da Inside Out. Con una regia molto semplice e con delle sequenze coloratissime, hanno adottato un linguaggio semplificato alla portata di tutti, al di là dell’età, e ha trattato nel miglior modo possibile la tematica delle emozioni e la complessità che si ha con esse. Il nuovo film ripropone lo stesso messaggio riscontrato nel prequel, ma rappresentato come un’espansione di esso. Questo lo ha fatto rimanere coerente con il primo film e il messaggio è stato reso ancora più completo e realistico.

“Inside Out 2” ricorda la complessità delle emozioni ed invita ad accettare sia quelle positive che negative

Inside Out 2 invita tutti ad accettare tutte le sfumature all’interno di sé stessi e ad abbracciare sia il positivo che il negativo presenti. Non è un male provare certe emozioni, anzi vuole far capire che è assolutamente normale e l’accettazione è il primo passo importante per un equilibrio interiore sano e ben consolidato.

Tra gag divertenti e risate assicurate, tutti i personaggi hanno il loro spazio e giocano un ruolo fondamentale nel film. In più, la ciliegina sulla torta è stata aver realizzato magnificamente un paio di scene commoventi, arrivate al momento giusto e con l’intento di colpire la parte emotiva dello spettatore e portarlo ad un’attenta riflessione, al di là dell’età e dell’esperienza di cui dispone.

L’intento del film è stato raggiunto con successo trattando ancora più delicatamente un argomento piuttosto ricorrente negli ultimi anni: la gestione dell’ansia.

Inside Out 2
Incontro tra Ansia e le altre emozioni -Fonte: Disney Pixar’s Inside Out 2

L’ansia 

Tra le nuove emozioni introdotte, c’è stata Ansia. Un appunto va fatto al doppiaggio, e a Pilar Fogliati, un’artista in gamba che si sta mettendo in gioco in vari ambiti e si sta dimostrando un’artista completa e poliedrica. Ha avuto uno spazio leggermente maggiore e contestualizzato dall’altro scopo che avevano in mente, incastrandosi perfettamente a quello principale.

L’idea di rappresentarla come un’antagonista è stata geniale ed utile allo scopo, ovvero trattare con delicatezza un argomento molto ricorrente e di cui spesso si fa fatica a parlarne. Tutti soffrono d’ansia almeno una volta e si fa fatica ad accettarla, perché la si vede come una nemica.

“Inside Out 2” vuole anche invitare il pubblico all’accettazione dell’ansia ed è assolutamente normale provarla e il fatto di provare un attacco di panico non rende deboli, anzi è l’esatto opposto. E’ un argomento molto delicato e si fa fatica a parlarne, ma l’accettazione di esso è il primo passo.

Lo scontro tra Gioia e Ansia è la metafora del messaggio che vuole trasmettere il film e rappresenta due facce della stessa medaglia. Sono entrambe complementari e devono esserci entrambe, per raggiungere l’equilibrio interiore.

L’ansia può essere un’amica o una nemica, ma qui sta la chiave di tutto. E’ un argomento toccante e nel film è stata rappresentata in tutte le sfumature, con un linguaggio semplice e delicato. Riuscendo a far riflettere ogni spettatore, al di là del fatto che l’abbia vissuta sulla propria pelle oppure no.

 

Giorgio Maria Aloi

The 8 show: scalare la gerarchia sociale è davvero impossibile?

Baby raindeer
The 8 show, K-drama dal look asettico, che vi lascerà l’amaro in bocca per le tematiche trattate e le similitudini con la nostra società. – Voto UVM 4/5

 

Il 17 maggio è arrivato su Netflix The 8 show, k-drama di Han Jae-rim, tratta dai webtoon Money Game e Pie game di Bae Jin-Soo. La serie scala immediatamente la top 10 Italia, probabilmente per le similitudini con un altro noto prodotto coreano: Squid Game di Hwang Dong-hyuk. La serie è composta da 8 episodi della durata di un’ora circa. Il numero 8 è ricorrente nella serie, che vede come protagonisti 8 personaggi suddivisi in 8 piani.

 

The 8 show
The 8 show, K-drama dal look asettico, che vi lascerà l’amaro in bocca per le tematiche trattate e le similitudini con la nostra società. – Voto UVM 4/5

The 8 show: la trama

Otto individui, con difficoltà economiche per motivi diversi, vengono selezionati per partecipare a un game show di cui non si conosce nulla se non che ad ogni minuto guadagneranno una somma di denaro. Il gioco infatti promette di “comprare il vostro tempo”, non a caso i protagonisti faranno di tutto per aumentare la permanenza all’interno del reality inizialmente di 24 ore.

La scelta del piano a cui viene assegnato ogni giocatore è casuale, tuttavia coloro che nella vita reale sono più agiati mantengono la loro posizione privilegiata. Chi sta al piano più alto, si sente in diritto di poter dare ordini ai piani inferiori, nonostante nessuna regola del gioco lo imponga. Le già pessime condizioni dei piani inferiori peggiorano nel momento in cui i concorrenti capiranno che la permanenza all’interno del reality dipende dal gradimento degli spettatori.

I personaggi si conoscono- “The 8 show”- Fonte: Netflix

Personaggi caricaturali e senza nome

La voce narrante della serie è Bae Jin-su, un ragazzo che lavora in un piccolo alimentari, fortemente indebitato dopo aver usato i suoi risparmi per pagare un coach online che prometteva di far lievitare il suo conto. Fino alla fine non sapremo perchè gli altri protagonisti fanno parte del gioco.

In ordine decrescente abbiamo:8 piano” un’artista che ha finito il budget per creare nuove opere; “7 piano” uno sceneggiatore che non riesce a vendere i suoi lavori perchè non abbastanza divertenti; “6 piano” un ex giocatore di baseball caduto in disgrazia dopo aver sperperato i soldi giocando d’azzardo; “5 piano” una donna che è stata ingannata dal suo amante; “4 piano” personaggio che fa da “comedy relief” nella serie; “2 piano” un’esperta di arti marziali e infine “1 piano” un circense dalla storia tragica. Infatti, non può permettersi di curare la figlia con una grave malattia degenerativa.

La disperazione porterà il personaggio più bisognoso a compiere azioni violente e inaccettabili nei confronti dei piani superiori. Questi ultimi, quando scopriranno il colpevole applicheranno la cosiddetta “tortura del sonno”, privando gli inquilini di chiudere gli occhi e mostrando loro immagini disturbanti in un tentativo di lavaggio del cervello ispirato da Arancia meccanica  di Kubrick.

L’impossibilità di cambiare la propria condizione

Quando il più debole del gruppo arriverà (metaforicamente) a toccare il punto più alto, lo spettatore rimane deluso nello scoprire che in fondo non si può cambiare la propria condizione. Un richiamo continuo allideale dell’ostrica di Verga, ogni tentativo di scalare la gerarchia sociale è fallimentare, solo accettando la propria condizione si può sopravvivere.

La serie lascia lo spettatore sempre più disilluso. La scelta registica di far vedere i filmati dalle telecamere stesse del reality fa sentire in colpa colui che guarda, portato a domandarsi se sia corretto continuare a guardare l’escalation di violenza contro i più deboli. Uno specchio della nostra società dove troviamo intrattenimento ascoltando podcast di true crime o puntando eccessivamente le telecamere sui volti sconvolti dei parenti delle vittime di varie disgrazie.

I protagonisti- Fonte: Netflix

Se cercavate una serie cruda, con grandi temi e tinte dark The 8 show fa al caso vostro; ma attenzione, il finale vi lascerà con l’amaro in bocca. Un consiglio al lettore è di aspettare dopo i titoli di coda per una scena post-credit non del tutto rassicurante.

Giulia Rigolizio

Kinds of Kindness è la liberazione artistica di Yorgos Lanthimos

Baby raindeer
Kinds of Kindness è il lavoro di un regista che ha voluto giocare senza preoccuparsi troppo delle conseguenze. È la libertà artistica che ci si aspettava da Lanthimos dopo il successo trasversalmente riconosciuto di Poor Things! – Voto UVM: 4/5

 

A breve distanza dall’uscita nelle sale di Povere Creature!, l’eclettico Yorgos Lanthimos torna al cinema con il suo nono lavoro, intitolato Kinds of Kindness. Il film è composto da tre episodi di durata abbastanza simile fra loro. Il tema che lega le scene è la necessità di sentirsi accettati dagli altri, portata al limite del patologico e del grottesco. Un bisogno soggiogante che costringe i personaggi a umiliarsi e persino mutilarsi, pur di sentirsi parte di qualcosa. In questo modo la parola “kindness” (“gentilezza”) viene utilizzata dal regista greco con una – non troppo sottile – ironia, tale per cui non si riconosce più il confine fra bisogno di amare ed essere amati, ad ogni costo.

L’accoglienza da parte della critica è stata molto ambigua. La vicinanza temporale con Poor Things! non ha di certo reso giustizia all’ultimo lavoro, costretto a vivere all’ombra dell’acclamato predecessore. A pesare negativamente sul giudizio sembra poi essere stato il carattere esplicitamente cruento e splatter del film, ritenuto a tratti “gratuito”.

Una strana presenza e un cast di fiducia

Da un punto di vista formale, oltre al cast (i cui personaggi svolgono ruoli diversi nei tre episodi), a legare le scene vi è anche una figura ricorrente chiamata R.M.F., che compare anche nei titoli delle tre parti del film. Si tratta di un uomo le cui azioni sembrano totalmente casuali all’interno del racconto. E in effetti, forse lo sono: all’interno di un lavoro dalle trame apparantemente slegate fra loro, la scelta di includere un personaggio comune sembra voler ricordare allo spettatore di stare vedendo in fondo la medesima scena, solo declinata in maniera differente.

A differenza dei precedenti lavori, il regista sembra aver giocato meno sulla macchina da presa, abbandonando per esempio quei fish-eye che hanno reso memorabili altri lavori precedenti come Povere Creature! e La favorita (con cui Olivia Colman vinse l’Oscar alla migliore attrice protagonista). Invariato invece è parte del cast, con la permanenza, fra gli altri, della prediletta Emma Stone e William Dafoe. Prima volta con Lanthimos è invece qulla di Jesse Plemons, la cui interpretazione gli è valso il Prix d’interprétation masculine al Festival di Cannes.

Emma Stone in ‘La morte di R.M.F.’. Casa di produzione: Element Pictures. Distribuzione: Searchlight Pictures. Fonte: Wikimedia

La codipendenza di Robert e Liz

Dall’impiegato Robert in La morte di R.M.F., alla coppia psicotica di Liz e Daniel in R.M.F. vola, sino all’adempienza pseudoreligiosa di Emily in R.M.F. mangia un sandwich, i protagonisti delle scene vivono delle esistenze tragicomiche. Robert vive una vita totalmente governata dal suo capo-amante-padrone Raymond, per il quale arriva a uccidere un uomo dopo averlo rapito da un ospedale in stato comatoso. Liz deve convincere il marito paranoico della sua identità dopo essere naufragata in un’isola, e pur di riuscirci arriverà a soddisfare le sue assurde richieste come tagliarsi un pollice e cucinarlo ed eviscerare il proprio fegato.

Jesse Plemons e Hong Chau in una scena del primo episodio di ‘Kinds of Kindness’. Casa di produzione: Element Pictures. Distribuzione: Searchlight Pictures. Fonte: Sentieri Del Cinema

L’ascesa e la caduta di Emily

Emily, che ha lasciato la sua famiglia per vivere in una setta, incarna ancora meglio l’assurdità della “gentilezza” di cui parla Lanthimos. I membri della congrega vengono puntualmente esaminati per garantire la purezza dei loro liquidi (l’esame consiste di una sauna sino allo svenimento e un successivo leccaggio del sudore da parte di una santona). Dopo essere stata stuprata dall’ex marito, viene esclusa dalla setta poiché ritenuta impura.

Per ritornare nelle grazie degli adepti, Emily capisce che deve concludere la ricerca della tanto agognata ragazzi dai poteri miracolosi, ovvero una giovane in grado di far resuscitare i morti. Dopo averla rapita (e aver festeggiato con un bizzarro balletto sulle note di BRAND NEW BITCH di COBRAH), con la sicurezza di aver riacquisito la fiducia della setta e in se stessa, si schianta uccidendo la ragazza.

Il suo futuro crolla nuovamente e anche gli spettatori sembrano partecipare alla sua disdetta. Il suo fallimento diventa la sconfitta anche di chi la guarda, in un’attesa delusa di assistere al suo trionfo sugli altri. In maniera subdola Lanthimos ci dimostra che di fronte alla possibilità di dimostrare il proprio valore agli altri, quasi ci si dimentica del male che si può procurare a se stessi.

Francesco D’Anna

 

La Grande Crociata

Challengers
La Grande Crociata: un magnifico dark fantasy a sfondo storico- Voto UVM: 5/5

Theo Szczepanski, classe 1975, è un fumettista, illustratore brasiliano di nascita e cagliaritano di adozione. Pubblica nel 2015 la prima parte de La Grande Crociata, per poi pubblicarla integralmente nel 2022 con la casa editrice Neo. Ma di cosa parla quest’opera?

La grande crociata
Copertina de La grande crociata. Fonte: libraccio.it

Tra storia…

La “Crociata dei Fanciulli” è un evento sospeso tra realtà e mito. Una fiumana di ragazzi e bambini, provenienti principalmente da Francia e Germania, diretti verso la Terra Santa, in un viaggio dall’esito incerto ma comunque disastroso. Le fonti su questo evento sono poche e poco chiare: per alcuni storici il puer riportato da alcune cronache non indicherebbe neppure dei ragazzi ma dei diseredati; e, se pensiamo che una delle cause endogene delle Crociate furono proprio i giovani rampolli diseredati e desiderosi di avventura, questa ipotesi non appare così irrealistica.

…e delirio

Siamo nel 1212, in Francia, il protagonista è un pastorello dodicenne di nome Stefano. Ci troviamo circa un secolo dopo l’inizio delle Crociate, Stefano ci viene presentato mentre gioca a fare il crociato, imbevuto del mito che già si è creato intorno alle guerre sante. Tutto inizia a prendere una piega strana quando un’imponente figura fiammeggiante si rivela a Stefano: prima come uomo, poi con le sembianze di un essere simile al Bafometh. Questo essere non dice come si chiama, dà solo un ordine: Stefano deve radunare un esercito di puri e condurlo in Terra Santa. Solo così il Sepolcro potrà essere liberato. Da qui in poi veniamo trascinati in un turbine di follia sempre crescente, tra le atrocità della guerra, mossa da fanatici religiosi, e strane creature che si manifestano, esseri ignoti di cui nulla ci è dato sapere, se non che sono infinitamente superiori a noi uomini.

fumetto La grande crociata
“Dio” che si manifesta. Foto: Alberto Albanese, casa editrice Neo

E la ragione?

La fede cammina sempre al fianco della follia…

Stefano è una figura quasi messianica, l’eletto, scelto da “Dio”, che supera tutte le prove che gli vengono poste innanzi. In lui ha fede Umfrey, monaco e consigliere di Stefano che spesso gli intima di non andare troppo per il sottile con chi si oppone a loro o chi cerca di abbandonare la missione. Stefano, o i suoi fedelissimi, eliminano ogni ostacolo in maniera brutale, in quanto si sentono pienamente legittimati da Dio.

Fossero tutti sani, la Chiesa sarebbe da tempo preda della miseria

Una fede irrazionale, che taglia con l’accetta il mondo ma che ha un risvolto “positivo”: aiuta a dare un senso al mondo e alle forze incomprensibili che lo dominano. In un Medioevo che pullula di creature lovecraftiane e divinità cthonie, la fede diventa ciò che, per dirla con Nietzsche, impedisce a Stefano e agli altri di precipitare nel “non-senso“, ma anzi di dare un senso. Dall’altra parte della follia, c’è Blicze, un ex monaco che ha abbandonato la chiesa e cerca di indagare il mondo razionalmente, senza dogmi o pregiudizi. Uno scienziato ante litteram, volendo, ma che non trova posto in una realtà in preda al caos.

Il dubbio come compagno di viaggio

Ma se ai personaggi non è permesso dubitare, a noi lettori il dubbio viene insinuato sin dalle primissime pagine, già quando appare il “Dio” di fuoco. Infatti Stefano lo vede, si, ma dopo aver mangiato un fungo ignoto, lasciando quindi il sospetto che quell’apparizione fosse dovuta a sostanze allucinogene. Questo dubbio originale rimarrà, e ci accompagnerà per tutto il volume, acuendosi e arrivando a coinvolgere tutti gli eventi del volume, con la costante sensazione che qualcosa sfugga alla nostra comprensione.

Un intreccio di stili

Uno degli aspetti più interessanti de La Grande Crociata è senza dubbio il disegno: uno stile assai poco ortodosso. O meglio, un susseguirsi di stili. Questo perché l’autore non mantiene una coerenza del disegno, ma alterna immagini di varia natura, ora molto colorate e ora con un colore dominante, ora realistiche e ora oniriche, e ruotando persino le immagini nel mentre descrive i sogni di Stefano, costringendo dunque il lettore a girare il volume di 90 gradi per leggerle. C’è anche un doveroso disclaimer: molte immagini rappresentate sono forti, molto dirette e senza filtri, immagini brutali che potrebbero turbare i più sensibili. Perciò, se non volete turbare i vostri sogni, non approcciate il volume; per tutti gli altri, vi attende un dark fantasy molto particolare, di cui sono sicuro riuscirà a darvi anche numerosi temi su cui riflettere.

 

Alberto Albanese

Challengers: cambio di gioco

Challengers
Challengers: con questa nuova pellicola Luca Guadagnino produce un nuovo gioiello audio visivo dalla trama avvincente, piena di tensione ed eccitazione- Voto UVM: 5/5

Film dal cast a incastro perfetto: Zendaya (Rue di Euphoria,  MJ in Spider-Man con Tom Holland o Chani in Dune) nei panni di Tashi Duncan, Josh O’ Connor in quelli di Patrick e Mike Faist in quelli di Art; tutti e tre hanno una cosa in comune: il tennis. Due di loro ne hanno un’altra in comune ma diversa da quella precedente, in cui c’entra sempre l’amore e non lo sport. Un teso gioco di seduzione in cui il potere ha un ruolo quasi centrale all’interno della vicenda; assieme alla sete di vincere, alla voglia di sfidarsi e al guardarsi. Tutti elementi sufficienti per creare la dinamica di un triangolo di passione.

Challengers: pronti, partenza…sfida!

L’efficacia della vicenda sta proprio nel fatto che lo spettatore riesce, in maniera chiara, a cogliere il senso del racconto senza il bisogno di contenuti espliciti. Il messaggio è implicito ma anche evidente!
Tra le parole d’ordine c’è soprattutto l’amicizia, quella che lega Art e Patrick, dove entrambi possiedono due personalità di spicco ma molto diverse tra loro, la cosa che dà subito all’occhio infatti è proprio la complicità che paradossalmente li lega, sia sul campo che non. Art è attento, disciplinato e premuroso, ma sa giocare bene le sue carte, mentre Patrick è il tipico talentuoso ma svogliato che si ritrova a dormire nei sedili posteriori dell’auto. Ciò che li accomuna più di tutto è la sfida e la grinta che mettono sul campo che sembra non far schierare lo spettatore da nessuna delle due parti.

Tutto è lecito in guerra e in amore

 

Challengers
Scena di Challengers. Fonte: Metro-Goldwin-Mayer, Warner Bros.

I salti temporali presenti nel film, insieme alla colonna sonora principale e alle altre musiche composte da Trent Reznor e Atticus Ross, creano suspense e ansia di sapere se gli sguardi dei protagonisti, avanti e indietro, siano lo specchio stesso della partita di tennis. L’istinto primordiale e la voglia di primeggiare fanno pensare che si tratti di una semplice gara a chi arriva primo, che per un certo punto di vista non è del tutto sbagliato, ma c’è molto di più. La storia segue un filo logico, in cui movimenti, atteggiamenti e sentimenti, sono legati a ritmo di musica, passione e alla frenesia di competizione, caratteristiche che hanno a che fare anche con la contesa di un amore.

Schiavi di passione

Ciò che è difficile attrae, l’impossibile seduce, ciò che è complicato spaventa, ciò che estremamente complicato innamora.

Questa sembrerebbe essere la perfetta descrizione di Tashi. Tutti la desiderano ma lei ha il cuore già impegnato col tennis. Il rapporto con la racchetta mostra la vera Tashi, e quando questo le viene portato via sembra che in qualche modo lei continui ad amarlo. Ne è talmente innamorata che farebbe di tutto, anche solo guardare una partita tra due contendenti, per provare le stesse sensazioni e la stessa goduria di quando si trovava ancora sul campo. Non è anche questo un amore impossibile?

Challengers: match point

 

Challengers
Zendaya nel film. Fonte: Metro-Goldwin-Mayer, Warner Bros.

 

La regia e la sceneggiatura sono i veri vincitori di questa partita. I personaggi con un’ottima intesa si scontrano, si riconciliano, fanno buon viso a cattivo gioco. Proprio per questo svolgimento, lo spettatore è intrattenuto nel cercare di decifrare non solo quello che dicono ma anche quello che fanno. Le micro espressioni e il linguaggio del corpo tradiscono le parole, e questa trama quasi comune, diventa interessante grazie ai cambi temporali che aiutano ad aumentare il climax. Tutto è accompagnato da questa fatidica colonna sonora imponente che soffoca tutto e trasporta l’azione, continuando poi in un finale che lascia una serie di interpretazioni.
I veri campioni sono coloro che vivono in prima persona e regalano la stessa emozione a chi si trova dall’altro lato a guardare, e pare che Art, Patrick e Tashi ci siano riusciti alla grande.

Asia Origlia

The Fall Guy: puro intrattenimento cinefilo

The fall guy è Intrigante, spettacolare e divertente. Voto UVM: 4/5

The Fall Guy è un film del 2024 diretto da David Leitch che torna sul grande schermo a due anni da Bullet Train. Leitch riesce a racchiudere in maniera perfetta azione, commedia e giallo in una cornice romantica, bilanciando tutti questi generi perfettamente. Il cast è ricco di nomi importanti, tra i quali Ryan Gosling (Blade Runner 2049) ed Emily Blunt come protagonisti insieme a Aaron-Taylor Johnson, che ha già lavorato con il regista nel suo ultimo film, e ad Hannah Waddingham.

The Fall Guy: la trama

Colt Seavers (Ryan Gosling) è un talentuoso stuntman di Hollywood in una relazione con l’operatrice di camera Jody Moreno (Emily Blunt), con cui lavora sui set. In una normalissima giornata di lavoro è però coinvolto in un incidente dal quale ne esce gravemente ferito. A seguito dell’incidente, di cui si sente responsabile, cade in una crisi che lo porta a tagliare tutti i rapporti con l’ambiente di lavoro, fidanzata inclusa.
Dopo essere guarito cerca di tirare avanti facendo l’autista, ma quando la produttrice Gail Meyer (Hannah Waddingham) lo informa che Jody sta girando il suo primo film come regista, lui decide di tornare in scena. Jody, non informata del suo arrivo, non lo accoglie calorosamente, rinfacciandogli il fatto che l’abbia lasciata senza farsi sentire. Intanto l’attore di cui Colt è la principale controfigura, Tom Ryder (Aaron-Taylor Johnson), è scomparso e sarà proprio lo stunt a doverlo cercare.

the fall guy
Ryan Gosling e David Leitch sul set. Fonte: gqitalia.it

David Leitch: da stuntman a regista

Il film nasce proprio con l’idea di mettere per la prima volta in evidenza sul grande schermo quegli attori “nascosti” fra i grandi nomi di Hollywood che però compiono le scene più adrenaliniche e contemporaneamente più pericolose: le controfigure. Il tutto è reso più avvincente se pensiamo che lo stesso regista è nato come stuntman e perciò ha potuto curare nel minimo dettaglio le riprese, affinché risultassero più spettacolari possibili.
David Leitch viene da una carriera immersa appieno nel mondo del genere action: dalle già citate presenze sullo schermo come stuntman, arriva poi a produrre l’intera saga di John Wick e a dirigere Deadpool 2 e Fast & Furious – Hobbs & Shaw.

Con questa opera fa quindi un tributo a una categoria come quella degli stuntman. Inoltre, qui si vedono riprese dal “dietro le quinte” nel finale del film, dando così lo spazio che tutti gli stunt si meriterebbero.

Un cast d’eccezione per attirare il pubblico

Emily Blunt e Ryan Gosling agli Oscar 2024. Fonte: hollywoodreporter.com

Come già anticipato, il cast vede gli importanti nomi di Ryan Gosling e Emily Blunt nei panni dei protagonisti: i due si rincontrano dopo la notte degli Oscar 2024. Nell’ultima edizione degli Academy entrambi si sono visti candidati nella categoria di Miglior attore e miglior attrice non protagonista. Spiacevolmente nessuno dei due è riuscito a portare a casa il premio, ma ci hanno dato l’occasione di vederli insieme all’opera in un piccolo siparietto organizzato per tirare fuori la tanto discussa rivalità fra Barbie e Oppenheimer.

In questi due film, che hanno sbancato il botteghino lo scorso anno, usciti entrambi il 23 luglio in America, gli attori hanno interpretato magistralmente personaggi chiave come Ken e Kitty Oppenheimer, tanto da ottenere la candidatura.
Potremmo stare ore a parlare delle immense carriere degli attori protagonisti ma il cast è composto anche da altri attori di spessore come Aaron-Taylor Johnson. Quest’ultimo già comparso in due film del “Marvel Cinematic Universe” nelle vesti di Quicksilver e in Godzilla nel 2014, dove è protagonista con il tenente Ford Brody. Torna ufficialmente alla ribalta grazie a Bullet Train dello stesso Leitch, dove riesce a imporsi scenograficamente anche grazie al carismatico personaggio di Tangerine.
Ultima, ma non per importanza, fra i grandi nomi è Hannah Waddingham, rinomata attrice nel mondo dello spettacolo che non si è mai limitata a un solo settore: ricordiamo la sua partecipazione in Ted Lasso. Di fatti, questo per lei è il primo grande ruolo in un lungometraggio, la quale è riuscita a immedesimarsi perfettamente nell’eccentrica figura di Gail.

In conclusione, il film si presenta veloce e pieno di colpi di scena, grazie ai quali si riesce ad articolare una trama particolare e mai banale. Il tutto inoltre è condito da riferimenti alla cultura pop cinematografica, che i più appassionati sicuramente riconosceranno durante la visione. La pellicola sarà ancora per poco disponibile al cinema, quindi accorrete perché ne vale la pena, e in seguito sarà disponibile su Amazon Video.

Giuseppe Micari

Emma: 40 anni di una “tigre” dal cuore salentino

Presentatasi in splendida forma alla 74esima edizione del Festival di Sanremo con il brano Apnea (scritto a otto mani con Paolo Antonacci, Julien Boverod e Tropico alias Davide Petrella), è riuscita a raggiungere la quattordicesima posizione. Stiamo parlando di Emma, artista straordinaria che attraverso la sua musica e le sue parole è diventata un ottimo esempio di come nella vita chiunque può rialzarsi dai momenti difficili. Oggi, 27 maggio 2024, celebriamo questo importante compleanno ripercorrendo la sua fantastica carriera, fatta di musica e non solo, anche attraverso delle curiosità che forse molti di voi non conoscono!

La svolta con Amici

Emmanuela Marrone nasce a Firenze il 25 Maggio 1984. Dopo alcuni anni a Sesto Fiorentino, la famiglia decide di trasferirsi ad Aradeo (in provincia di Lecce), un paesino nel cuore del Salento. All’età di 9 anni la musica entra attivamente nella sua vita, grazie al padre, Rosario, che la introduce in band in cui lui suonava la chitarra.

É il 2009 l’anno in cui riesce a entrare nella scuola di “Amici” di Maria De Filippi, il noto talent show di Canale 5, che vince il 29 Marzo 2010. Il 16 Marzo dello stesso anno esce il suo primo album, Oltre, contenente il singolo Calore, suo primo grande successo. Arrivano in seguito: A me piace così (2010), Sarò libera (2011), Schiena (2013), Adesso (2015), Essere qui (2018), Fortuna (2019) e Souvenir (2023).

Diverse le sue partecipazioni al Festival di Sanremo: nel 2011 con Arriverà insieme ai Modà, nel 2012 con Non è l’inferno (canzone vincitrice di quell’anno), nel 2022 con Ogni volta è così e quest’anno con appunto Apnea. Nel 2015 ha affiancato Carlo Conti nella conduzione del Festival insieme a Arisa e Rocío Muñoz Morales. Inoltre nelle edizioni condotte da Amadeus l’abbiamo vista anche fuori gara: nel 2020 super ospite, nel 2021 protagonista insieme a Monica Guerritore nel terzo quadro di Achille Lauro cantando insieme il brano Penelope e con Alessandra Amoroso per presentare il brano Pezzo di cuore (che celebra in qualche modo anche l’amicizia tra le due artiste), e infine nel 2023 per la serata delle cover con la violinista Laura Marzadori ospitata da Lazza per l’esecuzione di La Fine.

Emma oltre la musica…

É un artista riconosciuta non solo in ambito musicale. Nel 2012, infatti, la sua versione di Volare (Nel blu dipinto di blu) di Domenico Modugno viene inserita nella soundtrack del film Benvenuti al Nord di Luca Miniero. Stessa cosa nel 2016 con il suo brano Quando le canzoni finiranno che divenne la colonna sonora de La cena di Natale di Marco Ponti (sequel di Io che amo solo te, tratti entrambi dai romanzi di Luca Bianchini).

Nel 2020 debutta sul grande schermo come attrice grazie a Gabriele Muccino ne Gli anni più belli accompagnata da un grande cast: Pierfrancesco Favino (Comandante), Micaela Ramazzotti, Claudio Santamaria e Kim Rossi Stuart. Proprio Muccino la sceglie nel 2021 per A casa tutti bene – la serie (ispirata al suo film A casa tutti bene del 2018) per il ruolo di Luana. Nel 2022, invece, torna al cinema con un ruolo da protagonista, quello di Teresa ne Il ritorno diretto da Stefano Chiantini. Nello stesso anno Amazon Prime ha lanciato un documentario incentrato sulla sua vita dal titolo Sbagliata ascendente leone per la regia di BENDO.

Come non citare anche il suo impegno per i diritti delle donne! L’11 giugno 2020 ha preso parte insieme ad Alessandra Amoroso, Giorgia, Elisa, Fiorella Mannoia, Gianna Nannini e Laura Pausini a Una. Nessuna. Centomila, un concerto benefico contro la violenza sulle donne al Campovolo di Reggio Emilia (riproposto con altri artisti proprio quest’anno all’Arena di Verona).

Emma: combattente sul palco e nella vita!

In 15 anni di carriera Emma è diventata una delle voci femminili italiane più importanti. Attraverso la sua musica ha saputo sperimentare e sperimentarsi, “militando” in generi anche molto diversi tra loro.

«Io sono quello che faccio e faccio quello che sono».

Questa citazione descrive il suo modo di essere, il suo coraggio, la sua grinta. A soli vent’anni si ritrova ad affrontare una malattia grave e insidiosa. Non è solo la qualità della sua musica che arriva ai fans ad ogni performance ma anche tutta la sua energia!

«Quando le persone mi dicono “noi prendiamo tanta forza da te”, “riesci a catturarci”, “riesci a portarci in dimensioni diverse, nuove con le tue canzoni”, io ancora questo non me lo spiego».

 

Rosanna Bonfiglio

Baby Reindeer: la miniserie di Netflix che sconvolge e incuriosisce

Baby reindeer
Baby reindeer è una miniserie cruda, ben scritta e capace allo stesso tempo di sconvolgere e incuriosire il pubblico.- Voto UVM: 4/5

 

Baby Reindeer è una miniserie televisiva composta da sette episodi ed è disponibile su Netflix. La miniserie è ideata, scritta ed interpretata da Richard Gadd e si basa sul suo stesso One Man Show, uno spettacolo che parla di fatti realmente accaduti nell’arco della sua vita. Dietro la regia della miniserie ci sono Weronika Tofilska e Josephine Bornebusch, mentre lo stesso Gadd è affiancato nel cast da Jessica Gunning.

Baby reindeer: trama

La trama della miniserie Baby Reindeer si ispira alla vita di Richard Gadd, trasferitosi a Londra per coronare il suo sogno di entrare nel mondo della comicità. Nella miniserie realizzata da Netflix, il protagonista prende il nome di Donny. Il ragazzo si mantiene lavorando in un pub, cercando in tutti i modi di diventare un comico affermato ma la strada per raggiungere il suo obiettivo sembra essere piena di insidie.

Una sera, nel pub, entra una donna più grande di lui di nome Martha (Jessica Gunning). Martha afferma di essere un avvocato di successo, ma nonostante ciò non sembra avere mai denaro neanche per pagarsi qualcosa da bere. Donny, per gentilezza, le offrirà da bere e da quel momento, la donna si presenterà al pub ogni sera. Ma in realtà quello che sembra un semplice incontro abitudinario sarà il preludio di uno stalking (appostamenti, minacce, e-mail indesiderate, aggressioni alle persone vicine alla vittima, ecc.). Donny si recherà alla polizia, ma non sarà accolto come si aspettava: gli elementi non sono sufficienti per fare alcunché.

Fonte: Netflix.it

La miglior Serie Tv di Netflix di quest’anno?

Essendo quasi a metà anno, Baby Reindeer si può considerare una delle sorprese dal punto di vista telefilmico di questo 2024, viste le innumerevoli visualizzazioni che sta avendo sulla piattaforma da diverse settimane. Ancora oggi rimane nella Top 10 delle Serie TV più viste della piattaforma streaming.

Le ragioni ci sono eccome, perché Baby Reindeer è una miniserie ben realizzata e i motivi principali per cui riesce a coinvolgere sono un lato tecnico ben strutturato e il modo in cui tratta una tematica piuttosto delicata, divenuta sempre più ricorrente in questa società contemporanea: lo stalking.

 

Fonte: Netflix.it

Uno stalking molto crudo con un modus operandi differente

Vista la tematica, la miniserie non tratta nulla di originale però ciò che conta è il come viene raccontata una storia. Baby Reindeer affronta una storia realmente accaduta con una tonalità cruda, angosciante e capace di colpire come una cannonata la parte emotiva dello spettatore. E’ molto scorrevole ed ogni episodio ha una durata che oscilla tra i 30 e i 40 minuti. Nonostante il minutaggio complessivo della miniserie e il coinvolgimento che riesce a far venire allo spettatore, difficilmente si riesce a guardarla in poco tempo. Ciò avviene perché certe scene sono talmente forti che lo spettatore ha bisogno di una pausa dalla visione sia per l’angoscia che può venire che per un’analisi psicologica che viene spontaneo fare.

La miniserie trascina il pubblico all’interno della psiche sia della vittima che della stalker. Man mano che prosegue, ci si accorge di provare non solo angoscia, ma anche una sorta di empatia o addirittura rabbia per i comportamenti dei due (soprattutto per quelli di Donny).

Fonte:Netflix.it

Baby reindeer: la violenza psicologica

Richard Gadd si è messo a nudo in senso metaforico e si capisce dalla scrittura fatta di suo pugno che aveva molto a cuore lo scopo di raccontare la propria esperienza e la scrittura è talmente lineare che si percepisce ciò che ha provato, tanto da farlo arrivare allo spettatore. Il suo scopo era anche mettere in evidenza tutti gli aspetti che ruotano intorno allo stalking e alla psiche delle due persone coinvolte: lui e Martha.

Donny non ha mai elaborato il dramma di ciò che ha passato, le sue ferite emotive ancora sanguinanti non hanno mai ricevuto le cure necessarie. Quanti vogliono sentirti capiti, accolti e amati? Ma a che prezzo? La Serie mostra anche questo ed in effetti, Donny voleva solo affetto e la sua insicurezza e voglia di accettazione altrui, forse lo ha portato da Martha.

Il rapporto con la stalker

Quando subentra Martha nella sua vita, da una parte ne è terrorizzato ma dall’altra “ne ha bisogno” e questo rapporto malato diventa come una dipendenza. Sì, perché alla fine anche Martha, per quanto sia mentalmente instabile, e nonostante tutte le azioni discutibili, è l’unica che ha veramente a cuore Donnie.

Basta anche fare un’allusione al titolo per capire qualcosa in più sul loro rapporto, perché “Baby Reindeer” significa “Piccola Renna” ed è il nomignolo di Donny adottato da Martha. E’ un riferimento ad una renna peluche che aveva da bambina ed era l’unico appoggio che aveva durante la sua infanzia e quindi Donny in un certo senso, colma quel vuoto lasciato e rappresenta quel barlume di luce che ha ritrovato dopo tanto tempo.

In un certo senso, si possono considerare due facce della stessa medaglia: se da una parte vivono un rapporto malato capace di distruggere sia fisicamente che mentalmente, hanno bisogno l’uno dell’altro.

Baby Reindeer è una miniserie cruda:  capace di far venire l’ansia a chi ha vissuto situazioni simili, come anche a chi finora ne è rimasto indenne . Ma è anche un invito a guardare questi temi delicati da un’altra prospettiva, ricavandone degli spunti di riflessioni differenti.

Giorgio Maria Aloi

MAYA: il viaggio verso la libertà di MACE

 

Un viaggio alla scoperta dell’uomo, tra paura e desideri. MACE si supera, trascendendo il velo del reale. Voto UVM: 5/5

 

Non è facile vivere (n.b. non esistere), riuscire a squarciare quel velo di Maya per vedere cosa ci riserva l’Oltre ma, ogni viaggio che si rispetti (spirituale e non), comincia sempre con un piccolo passo che non ci porta dove vogliamo, ma ci toglie da dove siamo, per raggiungere quella tanto ambita meta. 

Il velo è sceso sull’ultimo album di MACE (nome d’arte del producer Simone Benussi), MAYA, e ci porta in un viaggio di formazione che s’insinua nelle profondità dell’essere umano mettendolo a nudo, soprattutto nelle sue fragilità.

Mace, riscoprendo il significato autentico della musica, cioè, come mezzo di elevazione spirituale, ci accompagna insieme ad un collettivo di numerosi artisti, attraverso lo spazio e il tempo: da un piccolo Viaggio contro la paura fino allo squarciamento del Velo di Maya

Prendete le cuffie e… mettetevi in Viaggio come le Meteore 

L’album si apre con Viaggio contro la paura, dove ad accompagnare le voci di Gemitaiz e Joan Thiele sono un tripudio d’archi, che subito ci mette nelle condizioni ideali dell’ascolto: un viaggio in macchina verso il tramonto. Tra poco le ombre notturne prenderanno il sopravvento, scatenando tutte le paure, mettendoci di fronte il grande problema della società odierna, la solitudine. Ma, come il titolo stesso dice, non dobbiamo farci bloccare da esse, ma affrontarle a viso aperto significa poter proseguire oltre.

Tu mi dicevi sempre: “Non sentirti sola”L’assenza è un vuoto denso, è un viaggio contro la paura

Il terzo brano ci porta in un climax ascendente che, dopo il ritornello di Centomilacarie e la strofa di Gemitaiz, trova il suo culmine nelle parole di un Izi come non lo si vedeva da tempo. Quante volte ci siamo sentiti dire “meriti di essere felice”, ti auguro tutta la felicità”?  Forse non basterebbe quel “qualcuno” che restasse a insegnarcela? 

Viviamo in guerra, l’amore ci uccide
Se mi ami davvero, ora abbassa il fucile
E invece che dirmi di essere felice
Piuttosto tu insegnami come si fa

Mentre il mondo esplode… Solo un uomo…

Il viaggio s’infittisce e, come Dante, ci troviamo tra selve e mondi mitologici con il Mentre il mondo esplode, con la contrapposizione funzionale di due voci dagli stili diversi, quelle di Marco Castello ed Ele A. In questo brano, dai vaghi sentori “battiatiani”, ci viene presentato un mondo caotico, ricco di dilemmi esistenziali, tormento interiore e la natura fugace della vita. 

E tu parli solo degli altri, non vuoi pensarci
Che non siamo altro che acqua e sale, finirai per piangere

Il tema mitologico viene ripreso anche nel brano Solo un uomo, con una Althea in stato di grazia. Il tema principale è il dualismo corpo-anima, rimandandoci alle trame e ai significati dei miti di Orfeo e Euridice, Eco e Narciso, oltre che della famosa tela di Penelope

La carne cede allo smarrimento
Preda indifesa dell’inganno

Un fuoco… Non mi riconosco…

La nona traccia si apre con un trio eccezionale: Gemitaiz, Frah Quintale e il super Marco Mengoni. Questo brano ci parla della complessità dei rapporti e la loro misura nel tempo, soprattutto con l’evoluzione dei due partner, mettendoci di fronte al dilemma del potere e del compromesso per essere felici. 

Ma che senso ho io, io, ioHo chiuso nella mia vestagliaMa da cosa mi protegge? Ma da cosa mi protegge?Da un granello di sabbia

L’undicesima traccia ci porta di fronte uno specchio, dove l’immagine riflessa è una versione di noi che non riconosciamo e, con sentimenti di nostalgia, ripeschiamo nella memoria quel vecchio noi che abbiamo perso. Qui rivediamo Centomilacarie che cornicia una strofa magistrale di Salmo che, con la sua solita capacità espressiva, comunica la necessità di accettare questa nuova versione di noi e la solitudine per poter progredire. 

Da quando ho spiccato il volo, credo di essermi perso, ohMi fugge l’anima dal corpo, vedo la vita al rovescio, ohNon mi riconosco mai, sono sempre diverso, mi va bene lo stesso

Ossigeno… Il velo di Maya… 

Ossigeno, il brano che ospita la firma e la voce di Venerus, ci apre uno spaccato sulla necessità impellente dell’uomo di ritornare e riconnettersi con la natura. Nel finale, questa necessità viene espletata maggiormente, dove viene evidenziato il nostro costante bisogno di ossigeno e dipendenza dalla natura, come aspetto immutabile della nostra esistenza. 

Ci preoccupa esser liberiMa ci dimentichiamoChe ci serve ancora l’ossigeno

Il finale ci potrebbe lasciare perplessi, ma così non è. Mace, lascia concludere l’album con ben 8 minuti di solo traccia base, senza voci o alcun elemento esterno, solo pura e buona musica. E forse, come lo stesso Schopenhauer ha detto che il vero mondo è quello che non vediamo, così Mace ha squarciato quel velo, per lasciare la possibilità ad ognuno di noi, ascoltando la sua musica, di poter vedere cosa si cela dietro il nostro velo di Maya. 

 

Gaetano Aspa

Drive-Away Dolls: le tante facce dell’America

Drive-Away Dolls è poco impegnativo, ma al tempo stesso intrattenente. Voto UVM: 4/5

Drive-Away Dolls è un film del 2024 diretto da Ethan Coen, che insieme al fratello Joel, ha vinto a suo tempo ben 4 Oscar. Nel cast spiccano i nomi di attrici emergenti nei ruoli principali, come Margaret Qualley, già presente in lungometraggi più rinomati come Povere creature! e C’era una volta a… Hollywood, Geraldine Viswanathan e Beanie Feldstein, ma anche quelli di personalità più famose al pubblico come Pedro Pascal, Matt Damon e Miley Cyrus, che con i loro personaggi compongono la cornice della trama e legano i pezzi di questa tra loro. La pellicola presenta una comicità surreale e a tratti pungente, dove si trattano non solo temi romantici e erotici, ma anche di spessore sociale.

Fonte: ew.com

Drive-Away Dolls: la trama

L’ambientazione dove si apre il film è la Philadelphia del 1999, dove la comunità queer in America è più in ascesa.

Nella primissima scena vediamo dei loschi individui uccidere un goffo personaggio (Pedro Pascal) e derubarlo di una valigetta, senza che ci vengano forniti ulteriori dettagli. Subito dopo viene presentata una delle due protagoniste: Jamie (Margaret Qualley) è una ragazza dallo spiccato accento texano che ama divertirsi e passare la notte con altre ragazze. Proprio per questo Sukie (Beanie Feldstein), la sua ragazza, la scarica e la caccia dal suo appartamento.

Jamie si ritrova così senza una fissa dimora, ospite dell’altra protagonista Marian (Geraldine Viswanathan), un’altra ragazza omosessuale che però è molto introversa e non ha una relazione da anni. Marian è in procinto di partire per Tallahassee, in Florida, per incontrare la zia e Jamie decide di accompagnarla. Per arrivarci, le due decidono di noleggiare un’auto, incominciando così un viaggio verso il profondo sud degli Stati Uniti, dove la mentalità è molto più conservatrice e tradizionalista.

Contemporaneamente tre criminali, che si dirigono per pura coincidenza a Tallahassee, vanno a ritirare una macchina, la stessa che si trova in mano alle protagoniste, ma che in realtà era destinata ai tre.

Jamie, sempre in cerca di avventure e di posti da visitare lungo la costa orientale, prende il viaggio come una gita, allungando il tragitto che doveva in realtà durare un giorno. Lungo le varie fermate, le due imparano pian piano a conoscersi sempre meglio, con Marian che fa fatica a uscire dal suo guscio. I tre scagnozzi hanno intanto iniziato a cercare la macchina, irrompendo a casa di Sukie che rivela loro l’identità di chi c’è alla guida. La macchina infatti nasconde al suo interno la valigetta della prima scena e un altro carico non ben specificato.

Le esperienze di Ethan Coen e le particolarità nel montaggio

Il regista viene da una carriera costruita fianco a fianco con il fratello Joel, con il quale ha vinto un Oscar nel 1998 per Fargo alla miglior sceneggiatura originale e altre tre statuette nel 2008 per Non è un paese per vecchi all’esordio per miglior film, oltre che per miglior regia e miglior sceneggiatura non originale. La stretta collaborazione che ha caratterizzato i loro film non è però presente in Drive-Away Dolls, dove Ethan Coen collabora con la moglie Tricia Cooke realizzando un film che non rappresenta l’apice della sua carriera, ma che sicuramente ha degli aspetti positivi.

Ethan Coen e la moglie Tricia Cooke al loro primo film insieme. Fonte: ciakmagazine.it

Lungo la pellicola appaiono flashback relativi al passato di Marian, mostrando il suo primo approccio all’omosessualità. Trip allucinogeni ripresi da Il Grande Lebowski spezzano il racconto colpendo lo spettatore, ma riescono ad ottenere un senso solamente verso la fine del film, risultando così un po’ sconnessi. Solamente una storia completa darà senso a queste scene, che sono anch’esse flashback.

L’unicità oltre gli stereotipi

La rappresentazione delle minoranze all’interno dell’opera è sicuramente un aspetto da menzionare, in quanto non sono più rappresentate da personaggi caratterizzati appositamente per quello e che cercano continuamente di emanciparsi, ma sono giustamente rappresentate come una semplice normalità che aiuta tantissimo lo spettatore ad entrarci in empatia.

La moltitudine di esperienze omosessuali che le protagoniste vivono e le varie sfaccettature della complessa e variegata società americana fanno capire come ognuno sia unico nel suo genere e ciò rende il film intrigante fino all’ultima scena, dove Jamie e Marian, dopo aver affrontato delle esperienze uniche che le hanno inevitabilmente legate, hanno capito di sentirsi a proprio agio l’una con l’altra e si dirigono insieme alla zia di Marian, abbiente donna di colore, in Massachusetts, dove il matrimonio tra donne è consentito.

Il film funziona oltre che per la sua velocità anche grazie alla presenza scenica di Margaret Qualley che riesce a rendere Jamie protagonista in ogni situazione. La Universal Pictures, per la distribuzione nei cinema, ha tristemente deciso di portare il film in Italia senza il doppiaggio nella lingua, ma aggiungendo solamente i sottotitoli. Questo però non lo rende un film non alla portata di tutti, anzi è perfetto per farsi quattro risate con gli amici senza momenti di noia totale.

Giuseppe Micari