Taormina Film Fest 70: Twisters

Twisters
Disaster movie che valorizza temi e rischi sottovalutati, legati ad eventi catastrofici come i tornado. Voto UVM: 5/5

 

Twisters è un sequel stand-alone e reboot di Twister uscito nel 1996 e diretto da Jan De Bont. Ritorna, dunque, in una nuova versione in cui la regia è a cura di Lee Isaac Chung, regista emergente ai film d’azione; egli è infatti noto per opere intimiste come Minari (2020), vincitore del Golden Globe per il miglior film straniero. La sceneggiatura è scritta da Mark L. Smith mentre la pellicola è prodotta da Patrick Crowley e dal premio Oscar Frank Marshall (Amblin Entertainment), quest’ultimo noto regista e produttore di successi come le saghe di Jurassic Park e Indiana Jones. Per quanto riguarda le riprese principali, sono state girate in Oklahoma e il primo trailer venne diffuso l’11 febbraio durante il Super Bowl LVIII; verrà proiettato nelle sale italiane il 17 luglio 2024.

Un cast completamente differente da quello originale

Uno dei personaggi principali è Glen Powell, visto di recente al cinema in Top Gun: Maverick (2022) e Tutti tranne te (2023). Al suo fianco, la candidata ai Golden Globe Daisy Edgar-Jones, divenuta nota grazie alla serie britannica Normal People (2020). Il resto del cast include Anthony Ramos, David Corenswet, Daryl McCormack (Isaiah Jesus nella serie tv Peaky Blinders), Kiernan Shipka (protagonista nella serie tv Le terrificanti avventure di Sabrina), Nik Dodani (Zahid Raja in Atypical) e Maura Tierney, vincitrice nel 2016 di un Golden Globe per la serie televisiva The Affair – Una relazione pericolosa.

La persistenza di una trama avvincente

Lee Isaac Chung con Twisters non ci delude; avvalora questo disaster movie intrecciando una storia d’amore ad un evento catastrofico e drammatico, adatto al clima estivo. Le tre parole chiave sono: instabilità, direzione del vento e umidità. Il film ruota, principalmente, attorno alla figura di una giovane donna, Kate Cooper (Daisy Edgar-Jones), ex cacciatrice di uragani segnata dall’incontro con un tornado dove perse la vita il suo fidanzato, Jeb (Daryl McCormack). Dopo 5 anni, si rifugerà in un ufficio di New York City ma farà ritorno nel settore, grazie alla spinta dell’amico Javi, per testare un avanzato sistema di tracciamento. Il suo rientro si incrocerà con Tyler (Glen Powell), il cosiddetto “domatore di tornado”, influencer noto per le sue imprese spericolate che insieme alla sua squadra non renderà facile la vita alla Storm Par. Ad entrambi verrà messa a dura prova la loro sopravvivenza nel capoluogo di Oklahoma City.

Ma non solo

Tyler: “Le paure non si affrontano; le paure si cavalcano”

Nella totalità della proiezione, dalla durata di 122 minuti, possiamo scorgere: avventura, azione, intensità, potenza drammatica, spirito di iniziativa e collaborazione ma soprattutto aiuto umanitario, nei confronti delle povere vittime di queste tempeste ambientali. Infatti, il film ci evidenzia la paura che rende consapevole il pubblico sulle conseguenze del rapporto incontrollato fra essere umano e natura. Nonostante questo, possiamo anche riscontrare la determinazione nel raggiungimento della sconfitta dei tornado, forte perturbazione atmosferica.

Tyler: Credevate di poter distruggere un tornado?!
Kate Cooper: Non avevamo speranze.
Tyler: Vuoi averne?

Non può mancare il sentimento d’amore

Addentrandoci nella trama di Twisters possiamo intravedere la nascita di un sentimento tra Kate e Tyler. Proprio come le tempeste, il loro inizio fu burrascoso e capriccioso per poi scorgere un cielo sereno tra i due. Nonostante la protagonista fosse scossa dalla perdita del suo precedente compagno, non può sottrarsi allo scatto della scintilla di desiderio con Tyler. Nella scena finale, Kate decide di tornare nella sua splendida New York City ma il segno del destino vuole che, a causa di forti venti, verrà previsto un ritardo sul volo. Ed ecco che, nel momento di questa annunciazione, spunta dietro di se proprio Tyler, pronto a coronare il loro trionfo d’amore, insieme.

 

Stefy Saffioti

La Neve in Fondo al Mare, tra neuropsichiatria e infanzia

La Neve in Fondo al Mare è un romanzo che tratta temi attuali da un punto di vista originale. – Voto UVM: 4/5

 

Il nuovo libro di Matteo Bussola, fumettista e scrittore veronese, già autore di numerosi fortunati libri di narrativa che hanno scalato le classifiche negli anni, è ora sugli scaffali delle librerie, pronto per essere letto da ragazzi e lettori più maturi.

Trama, temi, personaggi di La Neve in Fondo al Mare

La storia è narrata dalla voce ed attraverso il punto di vista di Caetano, il padre dell’adolescente Tommy. I due si trovano in un reparto ospedaliero di neuropsichiatria infantile, perché Tommy soffre di anoressia nervosa. A questa situazione fa riferimento uno dei temi fondamentali del libro: Il rapporto genitori-figli, il quale è trattato attraverso pochi ma interessantissimi personaggi, di cui ne vediamo alcuni.

Abbiamo Franco, il “padre manager”, uomo sulla mezza età che incarna le idee ed il modo di esprimersi dell’italiano medio delle vecchie generazioni. In apparenza estremamente superficiale, schietto, ed insensibile nei confronti della figlia Marika, autolesionista. Eppure, sarà attraverso la sua voce che l’autore ci regala una delle immagini più belle ed efficaci del libro…

 

-Scoprire la profondità della tristezza di un figlio, a neanche sedici anni, è come trovare qualcosa in un posto in cui non te lo saresti mai aspettato. In cui proprio non dovrebbe esserci. (Franco)

-Che vuoi dire? (Caetano)

-Tipo, non so. Come trovare la neve in fondo al mare.

Insieme a Franco e Caetano (unici padri nel reparto) troviamo Amelia, che dà tutta sé stessa per aiutare la figlia Eva, sofferente di bulimia. Poi ancora Giulia in compagnia del figlio Giacomo, giovanissima star del web in declino, che non riesce a tornare alla “vita normale” dopo la fine del lockdown.

È proprio il lockdown un altro elemento fondamentale della vicenda: I dolori dei ragazzi sembrano tutti legati alla quarantena. Ed è così che Matteo Bussola (l’autore) tratta i drammi dell’isolamento spostando l’attenzione su una fascia della popolazione spesso ignorata dai media. sugli adolescenti. Sull’impatto che mesi e mesi di restrizioni abbiano avuto su ragazzi e ragazze in un’età così fragile, “a cui il virus fa il solletico”, ma che si trovano costretti a “salvare gli adulti. I figli che devono salvare i genitori.”

Oltre quanto detto, i temi trattati sono attualissimi (la vicenda stessa ha luogo nel presente) e innumerevoli, condensati in appena centottanta pagine.  Si viene a formare un romanzo breve ma intenso e reso scorrevole dal linguaggio elegante dell’autore.

 

La neve in fondo al mare
Il nuovo libro di Matteo Bussola già in cima alle classifiche. Fonte: Instagram @matteo.bussola

Lingua, stile del romanzo e struttura di La Neve in Fondo al Mare

Il racconto è strutturato in un intreccio: Gli eventi del presente vengono alternati ad episodi dell’infanzia di Tommy, il tutto, come detto, sempre dal punto di vista del padre, che costituisce la voce narrante del romanzo.

La sintassi è semplice, generalmente formata da periodi brevi, tenuti insieme da legami paratattici o di giustapposizione. Solo raramente, nelle parti del testo in cui lo stile vuole essere più ricercato, la sintassi si fa più distesa e complessa, ma sempre senza appesantire troppo la lettura.

Sono frequenti invece i dialoghi, attraverso i quali l’autore caratterizza e fa esprimere i personaggi.

Così parla per esempio Franco:

“Ormai una diagnosi non la si nega a nessuno, per questo hanno tutte le malattie del mondo. E se non imparano a leggere sono dislessici, e se non sanno le tabelline hanno la cosa, là, come si chiama, la discalcolosi.”

Sempre attraverso i dialoghi si riproduce il gergo giovanile, che l’autore riesce bene a rappresentare attraverso i prestiti dall’inglese (cringe, skippo, follower) e le espressioni tipiche dei giovani di oggi (“non so, fra”, “un botto di like”).

“Ma la roba buffa non è tanto la mia, perciò di norma, se ci capito su, skippo. Niente di personale” (Tommy)

Infine, Matteo Bussola arricchisce la sua prosa con diversi elementi poetici. In particolare, il testo è ricco di similitudini, di cui si è già dato un esempio sopra “[…] come trovare la neve in fondo al mare”, espressione che, tra l’altro, dà il titolo al romanzo.

 

 

Francesco Malavenda

Inside Out 2: sequel che ricorda la complessità delle emozioni

Inside Out 2
Pixar nella sua migliore forma, con Inside Out 2 ripropone la tematica delle emozioni e manda un messaggio più completo e coerente del primo film. – Voto UVM: 4/5

 

Inside Out 2 è un film d’animazione del 2024 diretto da Kelsey Mann, che segna il suo debutto alla regia. E’ il 28° lungometraggio d’animazione realizzato dalla collaborazione tra Disney e Pixar ed è il sequel del film uscito nel 2015.

Trama di Inside Out 2

In Inside Out 2 Riley ha 13 anni e fino a quel momento, le sue emozioni basilari (Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto), nonostante qualche difficoltà riscontrata (basta guardare gli eventi del primo film), sono riuscite a gestire bene la personalità della ragazzina dal loro Quartier Generale al suo interno. Hanno anche creato una nuova sezione della sua mente chiamata “Senso di Sé”. Lì vengono custoditi i ricordi e i sentimenti che costituiscono la personalità fondamentale di Riley. Per di più Gioia ha inventato un meccanismo che lancia qualsiasi ricordo negativo nel retro della mente di Riley.

Ma l’inizio dell’adolescenza di Riley ha portato anche all’inserimento di nuove emozioni (Ansia, Invidia, Ennui, Imbarazzo e Nostalgia) all’interno del Quartier Generale. All’inizio sembrano amichevoli, ma poi Ansia getta il Senso di Sé nel retro della mente di Riley e, assieme alle nuove emozioni, liquideranno quelle “vecchie” e assumeranno il controllo del Quartier Generale. Questo porterà ad uno scombussolamento nella personalità di Riley, tanto da portarla ad assumere comportamenti insoliti nel momento in cui prende parte al week-end dove si terranno i provini per entrare nella squadra di Hockey. Con le amiche di sempre si comporterà diversamente e cercherà di apparire in un altro modo per farsi accettare dalle altre ragazze della squadra.

Gioia, assieme alle mozioni protagoniste del primo film, cercherà in tutti i modi di recuperare il “Senso di Sé” e riprendere il controllo della personalità di Riley, in modo da farla tornare ad essere la persona che è sempre stata.

Inside Out 2
Ansia, la nuova emozione attorno alla quale gira il film sequel – Fonte: Disney Pixar’s Inside Out 2

Il metodo della Pixar

La collaborazione tra Disney e Pixar ha segnato la storia dell’animazione, partendo da un punto di vista tecnico con l’adozione dello stile della computer grafica e ispirando poi altre case di produzione a realizzare film simili (per esempio Dreamworks con film come Shrek o Illumination come Cattivissimo Me o Super Mario Bros – Il Film). La differenza tra le varie case di produzione sta nel modus operandi adottato per la narrazione delle storie.

Pixar ha sempre realizzato dei film d’animazione capaci sia di divertire che di emozionare. Tratta, con un linguaggio semplice e a tratti anche delicato, tematiche ricorrenti. In questo modo possono arrivanre sia ad un pubblico di bambini e ragazzini, per educarli agli argomenti trattati, che ad adulti, per far avere loro degli spunti di riflessione e le risposte che cercavano (talvolta facendo anche commuovere).

La Pixar è tornata ad essere quella di un tempo?

Ultimamente la Pixar ha avuto delle difficoltà e non ha osato più di tanto, ha deciso dunque di puntare sui cavalli forti e tirare fuori un sequel di uno dei loro film migliori: “Inside Out”. Questa mossa può essere rischiosa e può portare a peccare sull’originalità, ma a volte tirare fuori dal cilindro i vecchi metodi e raccontare nuove storie su personaggi apprezzati dal pubblico è una buona occasione, se sfruttata. Ebbene, dopo anni, “Inside Out” ritorna con un sequel tutt’altro che forzato e risultando addirittura migliore del primo film.

Con “Inside Out 2”, Pixar ha dimostrato di essere in grado di fare del suo meglio ma è ancora presto per dire che è tornata come quella di una volta, perché lo si vedrà col tempo. Ma almeno, “Inside Out 2” può essere un buon punto di partenza (anzi di ripartenza)

Inside Out 2
Nuove Emozioni al comando di Riley – Fonte: Disney-Pixar’s Inside Out 2

Un sequel all’altezza del primo, anzi addirittura superiore 

Nonostante la Pixar sia rimasta nella zona di comfort e non abbia osato più di tanto, ha azzeccato senza ombra di dubbio la strategia vincente per il successo di questo sequel. Saranno anche passati nove anni, ma in realtà sembra che non sia passato neanche un giorno da Inside Out. Con una regia molto semplice e con delle sequenze coloratissime, hanno adottato un linguaggio semplificato alla portata di tutti, al di là dell’età, e ha trattato nel miglior modo possibile la tematica delle emozioni e la complessità che si ha con esse. Il nuovo film ripropone lo stesso messaggio riscontrato nel prequel, ma rappresentato come un’espansione di esso. Questo lo ha fatto rimanere coerente con il primo film e il messaggio è stato reso ancora più completo e realistico.

“Inside Out 2” ricorda la complessità delle emozioni ed invita ad accettare sia quelle positive che negative

Inside Out 2 invita tutti ad accettare tutte le sfumature all’interno di sé stessi e ad abbracciare sia il positivo che il negativo presenti. Non è un male provare certe emozioni, anzi vuole far capire che è assolutamente normale e l’accettazione è il primo passo importante per un equilibrio interiore sano e ben consolidato.

Tra gag divertenti e risate assicurate, tutti i personaggi hanno il loro spazio e giocano un ruolo fondamentale nel film. In più, la ciliegina sulla torta è stata aver realizzato magnificamente un paio di scene commoventi, arrivate al momento giusto e con l’intento di colpire la parte emotiva dello spettatore e portarlo ad un’attenta riflessione, al di là dell’età e dell’esperienza di cui dispone.

L’intento del film è stato raggiunto con successo trattando ancora più delicatamente un argomento piuttosto ricorrente negli ultimi anni: la gestione dell’ansia.

Inside Out 2
Incontro tra Ansia e le altre emozioni -Fonte: Disney Pixar’s Inside Out 2

L’ansia 

Tra le nuove emozioni introdotte, c’è stata Ansia. Un appunto va fatto al doppiaggio, e a Pilar Fogliati, un’artista in gamba che si sta mettendo in gioco in vari ambiti e si sta dimostrando un’artista completa e poliedrica. Ha avuto uno spazio leggermente maggiore e contestualizzato dall’altro scopo che avevano in mente, incastrandosi perfettamente a quello principale.

L’idea di rappresentarla come un’antagonista è stata geniale ed utile allo scopo, ovvero trattare con delicatezza un argomento molto ricorrente e di cui spesso si fa fatica a parlarne. Tutti soffrono d’ansia almeno una volta e si fa fatica ad accettarla, perché la si vede come una nemica.

“Inside Out 2” vuole anche invitare il pubblico all’accettazione dell’ansia ed è assolutamente normale provarla e il fatto di provare un attacco di panico non rende deboli, anzi è l’esatto opposto. E’ un argomento molto delicato e si fa fatica a parlarne, ma l’accettazione di esso è il primo passo.

Lo scontro tra Gioia e Ansia è la metafora del messaggio che vuole trasmettere il film e rappresenta due facce della stessa medaglia. Sono entrambe complementari e devono esserci entrambe, per raggiungere l’equilibrio interiore.

L’ansia può essere un’amica o una nemica, ma qui sta la chiave di tutto. E’ un argomento toccante e nel film è stata rappresentata in tutte le sfumature, con un linguaggio semplice e delicato. Riuscendo a far riflettere ogni spettatore, al di là del fatto che l’abbia vissuta sulla propria pelle oppure no.

 

Giorgio Maria Aloi

The 8 show: scalare la gerarchia sociale è davvero impossibile?

Baby raindeer
The 8 show, K-drama dal look asettico, che vi lascerà l’amaro in bocca per le tematiche trattate e le similitudini con la nostra società. – Voto UVM 4/5

 

Il 17 maggio è arrivato su Netflix The 8 show, k-drama di Han Jae-rim, tratta dai webtoon Money Game e Pie game di Bae Jin-Soo. La serie scala immediatamente la top 10 Italia, probabilmente per le similitudini con un altro noto prodotto coreano: Squid Game di Hwang Dong-hyuk. La serie è composta da 8 episodi della durata di un’ora circa. Il numero 8 è ricorrente nella serie, che vede come protagonisti 8 personaggi suddivisi in 8 piani.

 

The 8 show
The 8 show, K-drama dal look asettico, che vi lascerà l’amaro in bocca per le tematiche trattate e le similitudini con la nostra società. – Voto UVM 4/5

The 8 show: la trama

Otto individui, con difficoltà economiche per motivi diversi, vengono selezionati per partecipare a un game show di cui non si conosce nulla se non che ad ogni minuto guadagneranno una somma di denaro. Il gioco infatti promette di “comprare il vostro tempo”, non a caso i protagonisti faranno di tutto per aumentare la permanenza all’interno del reality inizialmente di 24 ore.

La scelta del piano a cui viene assegnato ogni giocatore è casuale, tuttavia coloro che nella vita reale sono più agiati mantengono la loro posizione privilegiata. Chi sta al piano più alto, si sente in diritto di poter dare ordini ai piani inferiori, nonostante nessuna regola del gioco lo imponga. Le già pessime condizioni dei piani inferiori peggiorano nel momento in cui i concorrenti capiranno che la permanenza all’interno del reality dipende dal gradimento degli spettatori.

I personaggi si conoscono- “The 8 show”- Fonte: Netflix

Personaggi caricaturali e senza nome

La voce narrante della serie è Bae Jin-su, un ragazzo che lavora in un piccolo alimentari, fortemente indebitato dopo aver usato i suoi risparmi per pagare un coach online che prometteva di far lievitare il suo conto. Fino alla fine non sapremo perchè gli altri protagonisti fanno parte del gioco.

In ordine decrescente abbiamo:8 piano” un’artista che ha finito il budget per creare nuove opere; “7 piano” uno sceneggiatore che non riesce a vendere i suoi lavori perchè non abbastanza divertenti; “6 piano” un ex giocatore di baseball caduto in disgrazia dopo aver sperperato i soldi giocando d’azzardo; “5 piano” una donna che è stata ingannata dal suo amante; “4 piano” personaggio che fa da “comedy relief” nella serie; “2 piano” un’esperta di arti marziali e infine “1 piano” un circense dalla storia tragica. Infatti, non può permettersi di curare la figlia con una grave malattia degenerativa.

La disperazione porterà il personaggio più bisognoso a compiere azioni violente e inaccettabili nei confronti dei piani superiori. Questi ultimi, quando scopriranno il colpevole applicheranno la cosiddetta “tortura del sonno”, privando gli inquilini di chiudere gli occhi e mostrando loro immagini disturbanti in un tentativo di lavaggio del cervello ispirato da Arancia meccanica  di Kubrick.

L’impossibilità di cambiare la propria condizione

Quando il più debole del gruppo arriverà (metaforicamente) a toccare il punto più alto, lo spettatore rimane deluso nello scoprire che in fondo non si può cambiare la propria condizione. Un richiamo continuo allideale dell’ostrica di Verga, ogni tentativo di scalare la gerarchia sociale è fallimentare, solo accettando la propria condizione si può sopravvivere.

La serie lascia lo spettatore sempre più disilluso. La scelta registica di far vedere i filmati dalle telecamere stesse del reality fa sentire in colpa colui che guarda, portato a domandarsi se sia corretto continuare a guardare l’escalation di violenza contro i più deboli. Uno specchio della nostra società dove troviamo intrattenimento ascoltando podcast di true crime o puntando eccessivamente le telecamere sui volti sconvolti dei parenti delle vittime di varie disgrazie.

I protagonisti- Fonte: Netflix

Se cercavate una serie cruda, con grandi temi e tinte dark The 8 show fa al caso vostro; ma attenzione, il finale vi lascerà con l’amaro in bocca. Un consiglio al lettore è di aspettare dopo i titoli di coda per una scena post-credit non del tutto rassicurante.

Giulia Rigolizio

Kinds of Kindness è la liberazione artistica di Yorgos Lanthimos

Baby raindeer
Kinds of Kindness è il lavoro di un regista che ha voluto giocare senza preoccuparsi troppo delle conseguenze. È la libertà artistica che ci si aspettava da Lanthimos dopo il successo trasversalmente riconosciuto di Poor Things! – Voto UVM: 4/5

 

A breve distanza dall’uscita nelle sale di Povere Creature!, l’eclettico Yorgos Lanthimos torna al cinema con il suo nono lavoro, intitolato Kinds of Kindness. Il film è composto da tre episodi di durata abbastanza simile fra loro. Il tema che lega le scene è la necessità di sentirsi accettati dagli altri, portata al limite del patologico e del grottesco. Un bisogno soggiogante che costringe i personaggi a umiliarsi e persino mutilarsi, pur di sentirsi parte di qualcosa. In questo modo la parola “kindness” (“gentilezza”) viene utilizzata dal regista greco con una – non troppo sottile – ironia, tale per cui non si riconosce più il confine fra bisogno di amare ed essere amati, ad ogni costo.

L’accoglienza da parte della critica è stata molto ambigua. La vicinanza temporale con Poor Things! non ha di certo reso giustizia all’ultimo lavoro, costretto a vivere all’ombra dell’acclamato predecessore. A pesare negativamente sul giudizio sembra poi essere stato il carattere esplicitamente cruento e splatter del film, ritenuto a tratti “gratuito”.

Una strana presenza e un cast di fiducia

Da un punto di vista formale, oltre al cast (i cui personaggi svolgono ruoli diversi nei tre episodi), a legare le scene vi è anche una figura ricorrente chiamata R.M.F., che compare anche nei titoli delle tre parti del film. Si tratta di un uomo le cui azioni sembrano totalmente casuali all’interno del racconto. E in effetti, forse lo sono: all’interno di un lavoro dalle trame apparantemente slegate fra loro, la scelta di includere un personaggio comune sembra voler ricordare allo spettatore di stare vedendo in fondo la medesima scena, solo declinata in maniera differente.

A differenza dei precedenti lavori, il regista sembra aver giocato meno sulla macchina da presa, abbandonando per esempio quei fish-eye che hanno reso memorabili altri lavori precedenti come Povere Creature! e La favorita (con cui Olivia Colman vinse l’Oscar alla migliore attrice protagonista). Invariato invece è parte del cast, con la permanenza, fra gli altri, della prediletta Emma Stone e William Dafoe. Prima volta con Lanthimos è invece qulla di Jesse Plemons, la cui interpretazione gli è valso il Prix d’interprétation masculine al Festival di Cannes.

Emma Stone in ‘La morte di R.M.F.’. Casa di produzione: Element Pictures. Distribuzione: Searchlight Pictures. Fonte: Wikimedia

La codipendenza di Robert e Liz

Dall’impiegato Robert in La morte di R.M.F., alla coppia psicotica di Liz e Daniel in R.M.F. vola, sino all’adempienza pseudoreligiosa di Emily in R.M.F. mangia un sandwich, i protagonisti delle scene vivono delle esistenze tragicomiche. Robert vive una vita totalmente governata dal suo capo-amante-padrone Raymond, per il quale arriva a uccidere un uomo dopo averlo rapito da un ospedale in stato comatoso. Liz deve convincere il marito paranoico della sua identità dopo essere naufragata in un’isola, e pur di riuscirci arriverà a soddisfare le sue assurde richieste come tagliarsi un pollice e cucinarlo ed eviscerare il proprio fegato.

Jesse Plemons e Hong Chau in una scena del primo episodio di ‘Kinds of Kindness’. Casa di produzione: Element Pictures. Distribuzione: Searchlight Pictures. Fonte: Sentieri Del Cinema

L’ascesa e la caduta di Emily

Emily, che ha lasciato la sua famiglia per vivere in una setta, incarna ancora meglio l’assurdità della “gentilezza” di cui parla Lanthimos. I membri della congrega vengono puntualmente esaminati per garantire la purezza dei loro liquidi (l’esame consiste di una sauna sino allo svenimento e un successivo leccaggio del sudore da parte di una santona). Dopo essere stata stuprata dall’ex marito, viene esclusa dalla setta poiché ritenuta impura.

Per ritornare nelle grazie degli adepti, Emily capisce che deve concludere la ricerca della tanto agognata ragazzi dai poteri miracolosi, ovvero una giovane in grado di far resuscitare i morti. Dopo averla rapita (e aver festeggiato con un bizzarro balletto sulle note di BRAND NEW BITCH di COBRAH), con la sicurezza di aver riacquisito la fiducia della setta e in se stessa, si schianta uccidendo la ragazza.

Il suo futuro crolla nuovamente e anche gli spettatori sembrano partecipare alla sua disdetta. Il suo fallimento diventa la sconfitta anche di chi la guarda, in un’attesa delusa di assistere al suo trionfo sugli altri. In maniera subdola Lanthimos ci dimostra che di fronte alla possibilità di dimostrare il proprio valore agli altri, quasi ci si dimentica del male che si può procurare a se stessi.

Francesco D’Anna

 

La Grande Crociata

Challengers
La Grande Crociata: un magnifico dark fantasy a sfondo storico- Voto UVM: 5/5

Theo Szczepanski, classe 1975, è un fumettista, illustratore brasiliano di nascita e cagliaritano di adozione. Pubblica nel 2015 la prima parte de La Grande Crociata, per poi pubblicarla integralmente nel 2022 con la casa editrice Neo. Ma di cosa parla quest’opera?

La grande crociata
Copertina de La grande crociata. Fonte: libraccio.it

Tra storia…

La “Crociata dei Fanciulli” è un evento sospeso tra realtà e mito. Una fiumana di ragazzi e bambini, provenienti principalmente da Francia e Germania, diretti verso la Terra Santa, in un viaggio dall’esito incerto ma comunque disastroso. Le fonti su questo evento sono poche e poco chiare: per alcuni storici il puer riportato da alcune cronache non indicherebbe neppure dei ragazzi ma dei diseredati; e, se pensiamo che una delle cause endogene delle Crociate furono proprio i giovani rampolli diseredati e desiderosi di avventura, questa ipotesi non appare così irrealistica.

…e delirio

Siamo nel 1212, in Francia, il protagonista è un pastorello dodicenne di nome Stefano. Ci troviamo circa un secolo dopo l’inizio delle Crociate, Stefano ci viene presentato mentre gioca a fare il crociato, imbevuto del mito che già si è creato intorno alle guerre sante. Tutto inizia a prendere una piega strana quando un’imponente figura fiammeggiante si rivela a Stefano: prima come uomo, poi con le sembianze di un essere simile al Bafometh. Questo essere non dice come si chiama, dà solo un ordine: Stefano deve radunare un esercito di puri e condurlo in Terra Santa. Solo così il Sepolcro potrà essere liberato. Da qui in poi veniamo trascinati in un turbine di follia sempre crescente, tra le atrocità della guerra, mossa da fanatici religiosi, e strane creature che si manifestano, esseri ignoti di cui nulla ci è dato sapere, se non che sono infinitamente superiori a noi uomini.

fumetto La grande crociata
“Dio” che si manifesta. Foto: Alberto Albanese, casa editrice Neo

E la ragione?

La fede cammina sempre al fianco della follia…

Stefano è una figura quasi messianica, l’eletto, scelto da “Dio”, che supera tutte le prove che gli vengono poste innanzi. In lui ha fede Umfrey, monaco e consigliere di Stefano che spesso gli intima di non andare troppo per il sottile con chi si oppone a loro o chi cerca di abbandonare la missione. Stefano, o i suoi fedelissimi, eliminano ogni ostacolo in maniera brutale, in quanto si sentono pienamente legittimati da Dio.

Fossero tutti sani, la Chiesa sarebbe da tempo preda della miseria

Una fede irrazionale, che taglia con l’accetta il mondo ma che ha un risvolto “positivo”: aiuta a dare un senso al mondo e alle forze incomprensibili che lo dominano. In un Medioevo che pullula di creature lovecraftiane e divinità cthonie, la fede diventa ciò che, per dirla con Nietzsche, impedisce a Stefano e agli altri di precipitare nel “non-senso“, ma anzi di dare un senso. Dall’altra parte della follia, c’è Blicze, un ex monaco che ha abbandonato la chiesa e cerca di indagare il mondo razionalmente, senza dogmi o pregiudizi. Uno scienziato ante litteram, volendo, ma che non trova posto in una realtà in preda al caos.

Il dubbio come compagno di viaggio

Ma se ai personaggi non è permesso dubitare, a noi lettori il dubbio viene insinuato sin dalle primissime pagine, già quando appare il “Dio” di fuoco. Infatti Stefano lo vede, si, ma dopo aver mangiato un fungo ignoto, lasciando quindi il sospetto che quell’apparizione fosse dovuta a sostanze allucinogene. Questo dubbio originale rimarrà, e ci accompagnerà per tutto il volume, acuendosi e arrivando a coinvolgere tutti gli eventi del volume, con la costante sensazione che qualcosa sfugga alla nostra comprensione.

Un intreccio di stili

Uno degli aspetti più interessanti de La Grande Crociata è senza dubbio il disegno: uno stile assai poco ortodosso. O meglio, un susseguirsi di stili. Questo perché l’autore non mantiene una coerenza del disegno, ma alterna immagini di varia natura, ora molto colorate e ora con un colore dominante, ora realistiche e ora oniriche, e ruotando persino le immagini nel mentre descrive i sogni di Stefano, costringendo dunque il lettore a girare il volume di 90 gradi per leggerle. C’è anche un doveroso disclaimer: molte immagini rappresentate sono forti, molto dirette e senza filtri, immagini brutali che potrebbero turbare i più sensibili. Perciò, se non volete turbare i vostri sogni, non approcciate il volume; per tutti gli altri, vi attende un dark fantasy molto particolare, di cui sono sicuro riuscirà a darvi anche numerosi temi su cui riflettere.

 

Alberto Albanese

Challengers: cambio di gioco

Challengers
Challengers: con questa nuova pellicola Luca Guadagnino produce un nuovo gioiello audio visivo dalla trama avvincente, piena di tensione ed eccitazione- Voto UVM: 5/5

Film dal cast a incastro perfetto: Zendaya (Rue di Euphoria,  MJ in Spider-Man con Tom Holland o Chani in Dune) nei panni di Tashi Duncan, Josh O’ Connor in quelli di Patrick e Mike Faist in quelli di Art; tutti e tre hanno una cosa in comune: il tennis. Due di loro ne hanno un’altra in comune ma diversa da quella precedente, in cui c’entra sempre l’amore e non lo sport. Un teso gioco di seduzione in cui il potere ha un ruolo quasi centrale all’interno della vicenda; assieme alla sete di vincere, alla voglia di sfidarsi e al guardarsi. Tutti elementi sufficienti per creare la dinamica di un triangolo di passione.

Challengers: pronti, partenza…sfida!

L’efficacia della vicenda sta proprio nel fatto che lo spettatore riesce, in maniera chiara, a cogliere il senso del racconto senza il bisogno di contenuti espliciti. Il messaggio è implicito ma anche evidente!
Tra le parole d’ordine c’è soprattutto l’amicizia, quella che lega Art e Patrick, dove entrambi possiedono due personalità di spicco ma molto diverse tra loro, la cosa che dà subito all’occhio infatti è proprio la complicità che paradossalmente li lega, sia sul campo che non. Art è attento, disciplinato e premuroso, ma sa giocare bene le sue carte, mentre Patrick è il tipico talentuoso ma svogliato che si ritrova a dormire nei sedili posteriori dell’auto. Ciò che li accomuna più di tutto è la sfida e la grinta che mettono sul campo che sembra non far schierare lo spettatore da nessuna delle due parti.

Tutto è lecito in guerra e in amore

 

Challengers
Scena di Challengers. Fonte: Metro-Goldwin-Mayer, Warner Bros.

I salti temporali presenti nel film, insieme alla colonna sonora principale e alle altre musiche composte da Trent Reznor e Atticus Ross, creano suspense e ansia di sapere se gli sguardi dei protagonisti, avanti e indietro, siano lo specchio stesso della partita di tennis. L’istinto primordiale e la voglia di primeggiare fanno pensare che si tratti di una semplice gara a chi arriva primo, che per un certo punto di vista non è del tutto sbagliato, ma c’è molto di più. La storia segue un filo logico, in cui movimenti, atteggiamenti e sentimenti, sono legati a ritmo di musica, passione e alla frenesia di competizione, caratteristiche che hanno a che fare anche con la contesa di un amore.

Schiavi di passione

Ciò che è difficile attrae, l’impossibile seduce, ciò che è complicato spaventa, ciò che estremamente complicato innamora.

Questa sembrerebbe essere la perfetta descrizione di Tashi. Tutti la desiderano ma lei ha il cuore già impegnato col tennis. Il rapporto con la racchetta mostra la vera Tashi, e quando questo le viene portato via sembra che in qualche modo lei continui ad amarlo. Ne è talmente innamorata che farebbe di tutto, anche solo guardare una partita tra due contendenti, per provare le stesse sensazioni e la stessa goduria di quando si trovava ancora sul campo. Non è anche questo un amore impossibile?

Challengers: match point

 

Challengers
Zendaya nel film. Fonte: Metro-Goldwin-Mayer, Warner Bros.

 

La regia e la sceneggiatura sono i veri vincitori di questa partita. I personaggi con un’ottima intesa si scontrano, si riconciliano, fanno buon viso a cattivo gioco. Proprio per questo svolgimento, lo spettatore è intrattenuto nel cercare di decifrare non solo quello che dicono ma anche quello che fanno. Le micro espressioni e il linguaggio del corpo tradiscono le parole, e questa trama quasi comune, diventa interessante grazie ai cambi temporali che aiutano ad aumentare il climax. Tutto è accompagnato da questa fatidica colonna sonora imponente che soffoca tutto e trasporta l’azione, continuando poi in un finale che lascia una serie di interpretazioni.
I veri campioni sono coloro che vivono in prima persona e regalano la stessa emozione a chi si trova dall’altro lato a guardare, e pare che Art, Patrick e Tashi ci siano riusciti alla grande.

Asia Origlia

The Fall Guy: puro intrattenimento cinefilo

The fall guy è Intrigante, spettacolare e divertente. Voto UVM: 4/5

The Fall Guy è un film del 2024 diretto da David Leitch che torna sul grande schermo a due anni da Bullet Train. Leitch riesce a racchiudere in maniera perfetta azione, commedia e giallo in una cornice romantica, bilanciando tutti questi generi perfettamente. Il cast è ricco di nomi importanti, tra i quali Ryan Gosling (Blade Runner 2049) ed Emily Blunt come protagonisti insieme a Aaron-Taylor Johnson, che ha già lavorato con il regista nel suo ultimo film, e ad Hannah Waddingham.

The Fall Guy: la trama

Colt Seavers (Ryan Gosling) è un talentuoso stuntman di Hollywood in una relazione con l’operatrice di camera Jody Moreno (Emily Blunt), con cui lavora sui set. In una normalissima giornata di lavoro è però coinvolto in un incidente dal quale ne esce gravemente ferito. A seguito dell’incidente, di cui si sente responsabile, cade in una crisi che lo porta a tagliare tutti i rapporti con l’ambiente di lavoro, fidanzata inclusa.
Dopo essere guarito cerca di tirare avanti facendo l’autista, ma quando la produttrice Gail Meyer (Hannah Waddingham) lo informa che Jody sta girando il suo primo film come regista, lui decide di tornare in scena. Jody, non informata del suo arrivo, non lo accoglie calorosamente, rinfacciandogli il fatto che l’abbia lasciata senza farsi sentire. Intanto l’attore di cui Colt è la principale controfigura, Tom Ryder (Aaron-Taylor Johnson), è scomparso e sarà proprio lo stunt a doverlo cercare.

the fall guy
Ryan Gosling e David Leitch sul set. Fonte: gqitalia.it

David Leitch: da stuntman a regista

Il film nasce proprio con l’idea di mettere per la prima volta in evidenza sul grande schermo quegli attori “nascosti” fra i grandi nomi di Hollywood che però compiono le scene più adrenaliniche e contemporaneamente più pericolose: le controfigure. Il tutto è reso più avvincente se pensiamo che lo stesso regista è nato come stuntman e perciò ha potuto curare nel minimo dettaglio le riprese, affinché risultassero più spettacolari possibili.
David Leitch viene da una carriera immersa appieno nel mondo del genere action: dalle già citate presenze sullo schermo come stuntman, arriva poi a produrre l’intera saga di John Wick e a dirigere Deadpool 2 e Fast & Furious – Hobbs & Shaw.

Con questa opera fa quindi un tributo a una categoria come quella degli stuntman. Inoltre, qui si vedono riprese dal “dietro le quinte” nel finale del film, dando così lo spazio che tutti gli stunt si meriterebbero.

Un cast d’eccezione per attirare il pubblico

Emily Blunt e Ryan Gosling agli Oscar 2024. Fonte: hollywoodreporter.com

Come già anticipato, il cast vede gli importanti nomi di Ryan Gosling e Emily Blunt nei panni dei protagonisti: i due si rincontrano dopo la notte degli Oscar 2024. Nell’ultima edizione degli Academy entrambi si sono visti candidati nella categoria di Miglior attore e miglior attrice non protagonista. Spiacevolmente nessuno dei due è riuscito a portare a casa il premio, ma ci hanno dato l’occasione di vederli insieme all’opera in un piccolo siparietto organizzato per tirare fuori la tanto discussa rivalità fra Barbie e Oppenheimer.

In questi due film, che hanno sbancato il botteghino lo scorso anno, usciti entrambi il 23 luglio in America, gli attori hanno interpretato magistralmente personaggi chiave come Ken e Kitty Oppenheimer, tanto da ottenere la candidatura.
Potremmo stare ore a parlare delle immense carriere degli attori protagonisti ma il cast è composto anche da altri attori di spessore come Aaron-Taylor Johnson. Quest’ultimo già comparso in due film del “Marvel Cinematic Universe” nelle vesti di Quicksilver e in Godzilla nel 2014, dove è protagonista con il tenente Ford Brody. Torna ufficialmente alla ribalta grazie a Bullet Train dello stesso Leitch, dove riesce a imporsi scenograficamente anche grazie al carismatico personaggio di Tangerine.
Ultima, ma non per importanza, fra i grandi nomi è Hannah Waddingham, rinomata attrice nel mondo dello spettacolo che non si è mai limitata a un solo settore: ricordiamo la sua partecipazione in Ted Lasso. Di fatti, questo per lei è il primo grande ruolo in un lungometraggio, la quale è riuscita a immedesimarsi perfettamente nell’eccentrica figura di Gail.

In conclusione, il film si presenta veloce e pieno di colpi di scena, grazie ai quali si riesce ad articolare una trama particolare e mai banale. Il tutto inoltre è condito da riferimenti alla cultura pop cinematografica, che i più appassionati sicuramente riconosceranno durante la visione. La pellicola sarà ancora per poco disponibile al cinema, quindi accorrete perché ne vale la pena, e in seguito sarà disponibile su Amazon Video.

Giuseppe Micari

Emma: 40 anni di una “tigre” dal cuore salentino

Presentatasi in splendida forma alla 74esima edizione del Festival di Sanremo con il brano Apnea (scritto a otto mani con Paolo Antonacci, Julien Boverod e Tropico alias Davide Petrella), è riuscita a raggiungere la quattordicesima posizione. Stiamo parlando di Emma, artista straordinaria che attraverso la sua musica e le sue parole è diventata un ottimo esempio di come nella vita chiunque può rialzarsi dai momenti difficili. Oggi, 27 maggio 2024, celebriamo questo importante compleanno ripercorrendo la sua fantastica carriera, fatta di musica e non solo, anche attraverso delle curiosità che forse molti di voi non conoscono!

La svolta con Amici

Emmanuela Marrone nasce a Firenze il 25 Maggio 1984. Dopo alcuni anni a Sesto Fiorentino, la famiglia decide di trasferirsi ad Aradeo (in provincia di Lecce), un paesino nel cuore del Salento. All’età di 9 anni la musica entra attivamente nella sua vita, grazie al padre, Rosario, che la introduce in band in cui lui suonava la chitarra.

É il 2009 l’anno in cui riesce a entrare nella scuola di “Amici” di Maria De Filippi, il noto talent show di Canale 5, che vince il 29 Marzo 2010. Il 16 Marzo dello stesso anno esce il suo primo album, Oltre, contenente il singolo Calore, suo primo grande successo. Arrivano in seguito: A me piace così (2010), Sarò libera (2011), Schiena (2013), Adesso (2015), Essere qui (2018), Fortuna (2019) e Souvenir (2023).

Diverse le sue partecipazioni al Festival di Sanremo: nel 2011 con Arriverà insieme ai Modà, nel 2012 con Non è l’inferno (canzone vincitrice di quell’anno), nel 2022 con Ogni volta è così e quest’anno con appunto Apnea. Nel 2015 ha affiancato Carlo Conti nella conduzione del Festival insieme a Arisa e Rocío Muñoz Morales. Inoltre nelle edizioni condotte da Amadeus l’abbiamo vista anche fuori gara: nel 2020 super ospite, nel 2021 protagonista insieme a Monica Guerritore nel terzo quadro di Achille Lauro cantando insieme il brano Penelope e con Alessandra Amoroso per presentare il brano Pezzo di cuore (che celebra in qualche modo anche l’amicizia tra le due artiste), e infine nel 2023 per la serata delle cover con la violinista Laura Marzadori ospitata da Lazza per l’esecuzione di La Fine.

Emma oltre la musica…

É un artista riconosciuta non solo in ambito musicale. Nel 2012, infatti, la sua versione di Volare (Nel blu dipinto di blu) di Domenico Modugno viene inserita nella soundtrack del film Benvenuti al Nord di Luca Miniero. Stessa cosa nel 2016 con il suo brano Quando le canzoni finiranno che divenne la colonna sonora de La cena di Natale di Marco Ponti (sequel di Io che amo solo te, tratti entrambi dai romanzi di Luca Bianchini).

Nel 2020 debutta sul grande schermo come attrice grazie a Gabriele Muccino ne Gli anni più belli accompagnata da un grande cast: Pierfrancesco Favino (Comandante), Micaela Ramazzotti, Claudio Santamaria e Kim Rossi Stuart. Proprio Muccino la sceglie nel 2021 per A casa tutti bene – la serie (ispirata al suo film A casa tutti bene del 2018) per il ruolo di Luana. Nel 2022, invece, torna al cinema con un ruolo da protagonista, quello di Teresa ne Il ritorno diretto da Stefano Chiantini. Nello stesso anno Amazon Prime ha lanciato un documentario incentrato sulla sua vita dal titolo Sbagliata ascendente leone per la regia di BENDO.

Come non citare anche il suo impegno per i diritti delle donne! L’11 giugno 2020 ha preso parte insieme ad Alessandra Amoroso, Giorgia, Elisa, Fiorella Mannoia, Gianna Nannini e Laura Pausini a Una. Nessuna. Centomila, un concerto benefico contro la violenza sulle donne al Campovolo di Reggio Emilia (riproposto con altri artisti proprio quest’anno all’Arena di Verona).

Emma: combattente sul palco e nella vita!

In 15 anni di carriera Emma è diventata una delle voci femminili italiane più importanti. Attraverso la sua musica ha saputo sperimentare e sperimentarsi, “militando” in generi anche molto diversi tra loro.

«Io sono quello che faccio e faccio quello che sono».

Questa citazione descrive il suo modo di essere, il suo coraggio, la sua grinta. A soli vent’anni si ritrova ad affrontare una malattia grave e insidiosa. Non è solo la qualità della sua musica che arriva ai fans ad ogni performance ma anche tutta la sua energia!

«Quando le persone mi dicono “noi prendiamo tanta forza da te”, “riesci a catturarci”, “riesci a portarci in dimensioni diverse, nuove con le tue canzoni”, io ancora questo non me lo spiego».

 

Rosanna Bonfiglio

Baby Reindeer: la miniserie di Netflix che sconvolge e incuriosisce

Baby reindeer
Baby reindeer è una miniserie cruda, ben scritta e capace allo stesso tempo di sconvolgere e incuriosire il pubblico.- Voto UVM: 4/5

 

Baby Reindeer è una miniserie televisiva composta da sette episodi ed è disponibile su Netflix. La miniserie è ideata, scritta ed interpretata da Richard Gadd e si basa sul suo stesso One Man Show, uno spettacolo che parla di fatti realmente accaduti nell’arco della sua vita. Dietro la regia della miniserie ci sono Weronika Tofilska e Josephine Bornebusch, mentre lo stesso Gadd è affiancato nel cast da Jessica Gunning.

Baby reindeer: trama

La trama della miniserie Baby Reindeer si ispira alla vita di Richard Gadd, trasferitosi a Londra per coronare il suo sogno di entrare nel mondo della comicità. Nella miniserie realizzata da Netflix, il protagonista prende il nome di Donny. Il ragazzo si mantiene lavorando in un pub, cercando in tutti i modi di diventare un comico affermato ma la strada per raggiungere il suo obiettivo sembra essere piena di insidie.

Una sera, nel pub, entra una donna più grande di lui di nome Martha (Jessica Gunning). Martha afferma di essere un avvocato di successo, ma nonostante ciò non sembra avere mai denaro neanche per pagarsi qualcosa da bere. Donny, per gentilezza, le offrirà da bere e da quel momento, la donna si presenterà al pub ogni sera. Ma in realtà quello che sembra un semplice incontro abitudinario sarà il preludio di uno stalking (appostamenti, minacce, e-mail indesiderate, aggressioni alle persone vicine alla vittima, ecc.). Donny si recherà alla polizia, ma non sarà accolto come si aspettava: gli elementi non sono sufficienti per fare alcunché.

Fonte: Netflix.it

La miglior Serie Tv di Netflix di quest’anno?

Essendo quasi a metà anno, Baby Reindeer si può considerare una delle sorprese dal punto di vista telefilmico di questo 2024, viste le innumerevoli visualizzazioni che sta avendo sulla piattaforma da diverse settimane. Ancora oggi rimane nella Top 10 delle Serie TV più viste della piattaforma streaming.

Le ragioni ci sono eccome, perché Baby Reindeer è una miniserie ben realizzata e i motivi principali per cui riesce a coinvolgere sono un lato tecnico ben strutturato e il modo in cui tratta una tematica piuttosto delicata, divenuta sempre più ricorrente in questa società contemporanea: lo stalking.

 

Fonte: Netflix.it

Uno stalking molto crudo con un modus operandi differente

Vista la tematica, la miniserie non tratta nulla di originale però ciò che conta è il come viene raccontata una storia. Baby Reindeer affronta una storia realmente accaduta con una tonalità cruda, angosciante e capace di colpire come una cannonata la parte emotiva dello spettatore. E’ molto scorrevole ed ogni episodio ha una durata che oscilla tra i 30 e i 40 minuti. Nonostante il minutaggio complessivo della miniserie e il coinvolgimento che riesce a far venire allo spettatore, difficilmente si riesce a guardarla in poco tempo. Ciò avviene perché certe scene sono talmente forti che lo spettatore ha bisogno di una pausa dalla visione sia per l’angoscia che può venire che per un’analisi psicologica che viene spontaneo fare.

La miniserie trascina il pubblico all’interno della psiche sia della vittima che della stalker. Man mano che prosegue, ci si accorge di provare non solo angoscia, ma anche una sorta di empatia o addirittura rabbia per i comportamenti dei due (soprattutto per quelli di Donny).

Fonte:Netflix.it

Baby reindeer: la violenza psicologica

Richard Gadd si è messo a nudo in senso metaforico e si capisce dalla scrittura fatta di suo pugno che aveva molto a cuore lo scopo di raccontare la propria esperienza e la scrittura è talmente lineare che si percepisce ciò che ha provato, tanto da farlo arrivare allo spettatore. Il suo scopo era anche mettere in evidenza tutti gli aspetti che ruotano intorno allo stalking e alla psiche delle due persone coinvolte: lui e Martha.

Donny non ha mai elaborato il dramma di ciò che ha passato, le sue ferite emotive ancora sanguinanti non hanno mai ricevuto le cure necessarie. Quanti vogliono sentirti capiti, accolti e amati? Ma a che prezzo? La Serie mostra anche questo ed in effetti, Donny voleva solo affetto e la sua insicurezza e voglia di accettazione altrui, forse lo ha portato da Martha.

Il rapporto con la stalker

Quando subentra Martha nella sua vita, da una parte ne è terrorizzato ma dall’altra “ne ha bisogno” e questo rapporto malato diventa come una dipendenza. Sì, perché alla fine anche Martha, per quanto sia mentalmente instabile, e nonostante tutte le azioni discutibili, è l’unica che ha veramente a cuore Donnie.

Basta anche fare un’allusione al titolo per capire qualcosa in più sul loro rapporto, perché “Baby Reindeer” significa “Piccola Renna” ed è il nomignolo di Donny adottato da Martha. E’ un riferimento ad una renna peluche che aveva da bambina ed era l’unico appoggio che aveva durante la sua infanzia e quindi Donny in un certo senso, colma quel vuoto lasciato e rappresenta quel barlume di luce che ha ritrovato dopo tanto tempo.

In un certo senso, si possono considerare due facce della stessa medaglia: se da una parte vivono un rapporto malato capace di distruggere sia fisicamente che mentalmente, hanno bisogno l’uno dell’altro.

Baby Reindeer è una miniserie cruda:  capace di far venire l’ansia a chi ha vissuto situazioni simili, come anche a chi finora ne è rimasto indenne . Ma è anche un invito a guardare questi temi delicati da un’altra prospettiva, ricavandone degli spunti di riflessioni differenti.

Giorgio Maria Aloi