Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick

Quando l’uomo si crede onnipotente, la natura gli ricorda chi comanda.
Anno 1850. Lo scrittore Herman Menville (Ben Whishaw), non ancora molto celebre nonostante i suoi recenti successi letterari , si reca alla dimora di Thomas Nickerson ( Brendan Gleeson), un vecchio “baleniere” ormai ritirato a vita privata, nella speranza di riuscire a strappare dalla sua bocca una storia, taciuta ormai da troppo tempo, diventata quasi leggenda, nel tentativo di poter scrivere quello che potrebbe senza dubbio diventare il suo manoscritto più celebre. Tuttavia l’anziano baleniere è irremovibile e non intende raccontar nulla, nonostante gli fosse stata offerta un’importante somma. Grazie all’aiuto della moglie, la stessa signora Nickerson (Michelle Fairley), il giovane scrittore è pronto ad imbrattare la carta con l’inchiostro che sancirà l’inizio di una storia mai raccontata fino ad allora.
La pellicola si incentra sulle figure di Owen Chase (Chris Hemsworth), un giovane proveniente da una famiglia di agricoltori (e per questo mal considerato dai suoi colleghi) con l’incarico di rivestire il ruolo di Primo Ufficiale sulla baleniera Essex, ed il Capitano della stessa, George Pollard (Benjamin Walker), proveniente dalla famiglia più importante della città, inesperto e arrogante. Sarà proprio il grado di quest’ultimo a creare attrito fra i due, poiché il “posto” da Capitano era stato promesso da tempo a Owen, ma il buon nome della famiglia Pollard prevarrà non dando importanza alla mancanza di esperienza di George. Fra i loro uomini vi era un giovane mozzo alla sua prima esperienza , ovvero proprio Thomas, che ai tempi, aveva solo 14 anni (nella veste da ragazzo è interpretato da Tom Holland). L’obiettivo: tornare con 2000 barili di olio di balena. Nonostante i successi iniziali, l’equipaggio della Essex si ritroverà a faticare per trovare altre balene, così il Capitano Pollard e il Primo Ufficiale Chase fissano un incontro con un ex capitano di baleniere di origini spagnole (Jordi Mollà) che racconta loro di essersi spinto a ovest delle coste dell’Ecuador, dove vi erano branchi di balene e dove tutto stava andando per il verso giusto, finché non arrivò la balena più grande che lui avesse mai visto, di un particolare colore bianco, che decimò il suo equipaggio. Pollard e Chase, non dando molto credito alle parole del ex Capitano, si dirigeranno proprio lì, dove la loro spedizione e conseguentemente anche la loro vita, cambieranno per sempre.
Il “tentativo” di Ron Howard di voler raccontare i fatti realmente accaduti che portarono lo scrittore Herman Menville ad ispirarsi per la stesura del capolavoro Moby Dick è ammirevole e, sicuramente, ben riuscito. Le ambientazioni risultano quasi protagoniste, curate in maniera peculiare. La storia segue il suo corso in maniera naturale, anche se in alcuni casi risulta un po’ lenta, soprattutto in un punto specifico. E’ lodevole lo sforzo fisico impiegato dagli attori, riuscendo a dimagrire in maniera impressionante, ma meno curato quello psicologico, in quanto solo pochi di loro sono riusciti a trasmettere un vero e proprio “smarrimento” derivato dalle peripezie da loro subite. In generale il film risulta molto azzeccato, ma se fosse stato curato in maniera più chirurgica, come nel caso della psiche dei personaggi, sarebbe sicuramente diventato un maggiore successo di quanto non lo sia già.

Giuseppe Maimone

Suburra

Tra le uscite più attese durante il CinemaDays figura “Suburra”, diretto da Stefano Sollima e basato sull’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini. Ambientato nel periodo precedente la caduta del governo Berlusconi, il regista decide di scandire drammaticamente il tempo dividendo gli avvenimenti in più giornate. Attorno a un grande evento, la trasformazione di Ostia nella Las Vegas d’Italia, si intrecciano le vicende dei tre protagonisti. Numero 8, giovane boss di Ostia, che incarna lo spirito ribelle restio ad attenersi alle rigide “leggi” della malavita. Filippo Malgradi, parlamentare corrotto e dalla vita dissoluta, pronto ad usare la sua posizione per garantire i propri interessi. Ed infine Manfredi Anacleti, capo di un clan di zingari disposto a tutto per ottenere un posto nella criminalità che conta. A colorare le loro vicende il regista inserisce una serie di personaggi minori ma decisivi; Viola, la tossica compagna di Numero 8, Sabrina, giovane escort di fiducia di Malgradi, emblemi del vizio e della lussuria, e Sebastiano, organizzatore di feste vip che si ritrova in un gioco più grande di lui. Su tutti aleggia l’ombra del temuto quanto rispettato Samurai, ex componente della Banda della Magliana, interpretato da un serafico Claudio Amendola, che si adopera per mantenere l’ordine e la pace tra i clan. 130 minuti per avere una panoramica della malavita della capitale, passando attraverso il contrasto tra le nuove potenze emergenti e i vecchi baluardi della criminalità in lotta per il rispetto degli antichi codici. Entrambi si richiamano ad una terza potenza, la politica, che finisce per ridursi a un mero sfondo di scontri in cui non si risparmia il sangue. Film da vedere per un pubblico medio che ha voglia di immergersi in questo spaccato di realtà. Da segnalare le interpretazioni di un sorprendente Claudio Amendola, ineccepibile nella serietà del suo ruolo, e di Pierfrancesco Favino, che da personalità al suo personaggio forse un po’ troppo stereotipato. Unica nota negativa è a volte l’eccessiva approssimazione di alcune storie (soprattutto le dimissioni di un cardinale) e un finale che si presta a non troppo chiare interpretazioni.

Diva Famà e Alessia Edvige Attivissimo

La ragazza del treno – Paula Hawkins

Quando un modesto thriller diventa un successo editoriale

Devo essere sincero: la pubblicità al giorno d’oggi ha un ruolo fondamentale nella vendita di un libro come di un qualsiasi altro prodotto. Dopo aver letto tutto d’un fiato questo libro, da cui ero stato catturato per la mole di pubblicità, posso affermare che le intenzioni c’erano, ma si sono perse strada “scrivendo”.
Una breve sinossi offerta dal sito della Piemme:
La vita di Rachel non è di quelle che vorresti spiare. Vive sola, non ha amici, e ogni mattina prende lo stesso treno, che la porta dalla periferia di Londra al suo grigio lavoro in città. Quel viaggio sempre uguale è il momento preferito della sua giornata. Seduta accanto al finestrino, può osservare, non vista, le case e le strade che scorrono fuori e, quando il treno si ferma puntualmente a uno stop, può spiare una coppia, un uomo e una donna senza nome che ogni mattina fanno colazione in veranda. Un appuntamento cui Rachel, nella sua solitudine, si è affezionata. Li osserva, immagina le loro vite, ha perfino dato loro un nome: per lei, sono Jess e Jason, la coppia perfetta dalla vita perfetta. Non come la sua.
Ma una mattina Rachel, su quella veranda, vede qualcosa che non dovrebbe vedere. E da quel momento per lei cambia tutto. La rassicurante invenzione di Jess e Jason si sgretola, e la sua stessa vita diventerà inestricabilmente legata a quella della coppia. Ma che cos’ha visto davvero Rachel?

Poco dopo la sua pubblicazione è divenuto un best seller negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, con oltre 3 milioni di copie vendute solo negli USA.Ha debuttato alla numero uno nella lista dei best sellers del New York Times, rimanendovi per 13 settimane.Indubbiamente con queste premesse chiunque sarebbe tentato all’acquisto,il romanzo in se ha tutto:scritto perfettamente(tradotto molto bene) ed una storia narrata da 3 punti di vista diversi oltre quello di Rachel.
Sembra tutto perfetto o quasi,diciamo che il romanzo cade,e lo fa molto male,dove proprio non doveva.
I motivi principali sono due:
I personaggi
Il finale
I personaggi della vicenda sono poco caratterizzati,a parte Rachel la protagonista,gli altri sono un pò lasciati alla semplice parte delle comparse.Questo potrebbe essere accettabile se la storia fosse narrata solo dal punto di vista di Rachel,ma quando si leggono gli altri due punti di vista si ha l’impressione di avere a che fare con dei fantasmi privi di qualsiasi pensiero,inoltre i vari punti di vista non offrono una nuova prospettiva sui fatti,ma una semplice ripetizione.Sembra quasi che siano stati inseriti in modo forzato,un altro problema che hanno i personaggi è quello di essere dei luoghi comuni,ossia le donne deboli ed indifese “schiave” di un uomo,che è lo stesso per tutte e tre,e la classica figura del disoccupato schiavo dell’alcol.
Il finale,sinceramente mi aspettavo molto di più dal finale,speravo di non aver intuito tutto già a meta del libro,di per se non molto grande(circa 300 pagine).Un finale che non soddisfa a pieno le aspettative che crea sin dall’inizio,si crea così una parabola discendente che porta il romanzo ad affondare nel finale.
È impossibile dire che io sia rimasto soddisfatto totalmente da questo romanzo,spezzo una lancia a favore della Hawkins perchè è il suo romanzo di esordio e posso solo sperare in futuro che il suo secondo lavoro sia più profondo,dai personaggi al finale.
Il romanzo nel suo complesso lo consiglio vivamente,tenendo conto però dei problemi già espressi,perchè a parte quelli si rivela un’ottima e veloce lettura.

Alberto Lombardo