“L’uragano di un batter d’ali” – Sara Tessa

L’incontro tra due persone prende risvolti imprevedibili. Voto UvM: 3/5

 

 

 

 

Può il battito d’ali di una farfalla in Brasile scatenare un uragano in Texas?

E’ questo il principio fondamentale della Teoria del Caos di Edward Norton Lorenz ed è questo il presupposto su cui è costruito questo splendido romanzo.

“L’uragano di un batter d’ali” è la storia nata dall’incontro tra un uomo, Adam Scott e una donna, Sophie Lether, due individui apparentemente opposti, dall’animo complesso e un passato travagliato.

L’incontro tra queste due persone, accomunate da condizioni iniziali estremamente difficili, ha un’evoluzione e dai risvolti assolutamente imprevedibili, spingendo i protagonisti a delle obbligate evoluzioni personali.

“Sensibilità alle condizioni iniziali, imprevedibilità ed evoluzione”.

La nozione di base della Teoria del caos, che si applica perfettamente alle dinamiche di questa sorprendente storia.

Sophie è una giovane donna che ritorna a New York e si rifugia a casa del fratello dopo essere scappata all’ennesima relazione distruttiva, un rapporto malato in cui ha subito violenza verbale e fisica, reduce da un anno passato in un centro di recupero.

Ma Sophie, nonostante le mortificazioni, appare animata da una straordinaria resilienza, che la porta a rimettere insieme i pezzi di una vita vilipesa e distrutta.

Adam, schermato dall’apparenza di un uomo forte e di successo, ricco e bellissimo, dotato di un grande fascino, nasconde invece una grande sofferenza interna, uno stato emotivo e sentimentale che ha deliberatamente messo in “stand by”.

Così Adam si impedisce qualsiasi tipo di relazione sentimentale o di un qualsivoglia legame.

Le sue frequentazioni femminili sono prostitute e i suoi unici rapporti sono fugaci, occasionali e basati solo sul sesso nudo e crudo.

Il sesso rappresenta per lui una valvola di sfogo, una fuga dalla vita e al dolore.

Questa situazione di oblio autoindotto ha inizio 5 anni prima quando quando ha scoperto sua moglie incinta a letto con il suo migliore amico.

Quello è stato il punto di svolta, l’inizio della fine, il trampolino verso il baratro.

Ora Adam è un guscio vuoto accompagnato solo dalla sua solitudine, l’unica condizione che gli garantisce il pieno controllo di sè stesso, della sua vita, impermeabile a qualsiasi forma di emozione.

L’incontro tra Adam e Sophie è come la luce che squarcia il buio, improbabile, impossibile eppure inevitabile e deflagrante.

Un incontro che annienta le barriere emotive di entrambi, che scardina i perni su cui entrambi hanno scelto di ricostruire la loro esistenza.
Sophie, spinta dall’istinto da crocerossina”, vuole liberare Adam dai suoi demoni, cerca in tutti i modi di salvarlo da sé stesso ma ne è anche perdutamente innamorata e, mentre lui la sottomette e la piega alle sue condizioni, al suo volere, allo stesso tempo lei si libera dalla sua prigionia auto inflitta, trascende da sé stessa perché Adam è l’unico che riesce a comprenderla e a renderla veramente felice e appagata.

Per Adam, Sophie rappresenta la luce, la sua tenerezza, la sua fragilità e la sua indulgenza lo mettono di fronte alla sua miserabile a malata condizione, e lo spinge a riconsiderare le sue priorità.

“L’uragano di un batter d’ali” è la storia di un amore ineluttabile, che trascende le condizioni iniziali fra i due amanti per dirompere in tutta la sua deflagrante potenza trasformandoli e salvandoli entrambi.

Il romanzo, appartenente al genere Erotic Romance, rappresenta un caso editoriale datato 2013. Nato come opera di self-publishing e distribuito solo in E-Book attraverso la piattaforma Amazon, si è in brevissimo tempo conquistato uno straordinario successo grazie al passaparola fra le lettrici tanto che, nello stesso anno, Sara Tessa ha deciso di “regalare” un’appendice a questo romanzo con “La versione di Adam”, ovvero un racconto più breve nel quale la scrittrice da voce al suo enigmatico e complesso protagonista maschile.

 

Giusi Villa

Storie di Ordinaria Follia – Charles Bukowski

 

42 racconti di “ordinaria follia”. Voto UvM: 5/5

 

 

 

 

Charles Bukowski ci presenta una raccolta di 42 racconti, molte parti sono un racconto della vita disordinata dello scrittore.

Nel libro incontriamo le cosidette minoranze, come prostitute, vagabondi e alcolisti, persone piegate dalla società.

Lo scittore americano come sappiamo è sempre stato un Don Giovanni, egli infatti conquisterà molte donne anche all’interno della storia, ma ognuna di loro per lui rappresenta una storia d’amore, non si sofferma superficialmente solo alla parte fisica.

 

 

Poche sono le persone che riescono a rendere il volgare qualcosa di meraviglioso e Bukowski ne è la prova perfetta.

Alessia Orsa

 

Educare all’arte con ‘Nuovo Cinema Paradiso’

Un film che insegna ad amare l’arte. Voto UvM: 5/5

 

 

 

Esiste un film che ci insegna ad amare il cinema, ad emozionarci, a piangere, a ridere, ad innamorarci, esiste un film capace di dimostrarci che il Cinema, che l’Arte è semplicemente e meravigliosamente Vita.

La regia è quella del grande regista siciliano Giuseppe Tornatore, anno 1988, il film è destinato a divenire una delle colonne portanti della storia del Cinema italiano, anche grazie alle musiche di Ennio Morricone.

Il suo titolo, noto a molti, è Nuovo Cinema Paradiso.

Il Cinema Paradiso, unica occasione di svago per gli abitanti del paesino siciliano Giancaldo, prende vita e diviene motivo ispiratore dell’intera pellicola, è ciò che scandisce le vite dei protagonisti, è ciò che ne le lega indissolubilmente le storie.

Nella cabina di questo cinema, alla fine degli anni 40’, in un’Italia ancora devastata dalla guerra, il piccolo Totò, bambino particolarmente vivace ed intelligente, incontra Alfredo, il cinematografo, uomo apparentemente cinico e scorbutico, ma capace di donare affetto e saggezza.

 

 

Quell’uomo, quel luogo, quelle pellicole, quella forma d’Arte che è il cinema divengono ben presto per Totò, divenuto orfano di padre, il suo principale ed unico punto di riferimento.

È qui che fin dalla tenera età egli impara a meravigliarsi dinnanzi a una pellicola, incontrando i grandi del cinema, da Charlie Chaplin a Luchino Visconti, che conosce la potenza dell’amore, tra delusioni e proibizioni, che sperimenta personalmente la fatica e il rischio del lavoro, ma anche la gratitudine e la soddisfazione per aver contribuito alla felicità di un intero paese.

In tutto questo egli è sicuramente guidato da Alfredo, che tuttavia non insegna a Totò soltanto come proiettare le pellicole, tagliarle e sistemarle. Ciò che Totò riceve da Alfredo è una vera e propria testimonianza, che racchiude in sé la necessità di nutrirsi di meraviglia, di arte, di avventura, di Amore per dare un senso alla propria vita.

“Qualunque cosa farai, amala, come amavi la cabina del paradiso quando eri picciriddu”, questa la testimonianza di Alfredo, pienamente compresa da Totò solo al momento della loro separazione, necessaria affinché egli si riconosca pienamente come erede.

 

 

Ogni movimento autentico dell’ereditare presuppone infatti il trauma dell’abbandono, del sentirsi “spogli”, “mancanti”.

Non è un caso che l’eredità acquisita al momento della morte dell’anziano sia una pellicola, composta da tutti i frammenti dei film che la censura moralistica del prete del paese aveva impedito venissero proiettati.

Essa trasmette proprio la passione del bacio, la forza dell’amore, l’irruenza dell’abbraccio, che nessuna censura può pensare di oscurare.

Totò, divenuto adulto, emozionandosi dinnanzi a questa pellicola, scopre di essere diventato quello che era già da sempre stato, fa proprio quello che era già suo da sempre e che forse, da buon maestro, Alfedro aveva già visto ben prima di lui.

Specialmente in quest’ultima scena, lo spettatore, che non può che sentirsi rapito dalla delicatezza e dalla potenza con cui Tornatore narra la storia di Totò, finisce per immedesimarsi del tutto nel protagonista.

 

 

Ognuno di noi scopre che quella meraviglia, quelle lacrime, quella gioia e quella stretta al cuore avvertite da Totò dinnanzi alla pellicola lasciatagli da Alfredo sono le stesse che noi abbiamo provato durante la visione di Nuovo Cinema Paradiso.

Ed è proprio in un coinvolgimento e in una compenetrazione tali che risiedono la grandezza e l’unicità di questo film, che rivela chiaramente come l’arte, in ogni sua forma, e le sorprendenti emozioni che essa è in grado di suscitare accomunino straordinariamente tutti gli esseri umani.

Ogni spettatore negli occhi di Totò non potrà che riconoscere la luce di colui che ha fatto esperienza della bellezza, non potrà che sperare che anche i propri occhi si riempiano sempre più spesso di quella luce che è potentissima vita.

Giusy Mantarro

AUT AUT (1843) di Sören Kierkegaard

La vita etica e la vita estetica secondo Kierkegaard. Voto UvM: 4/5

 

 

Aut Aut, del filosofo Sören Kierkegaard, considerato il padre dell’esistenzialismo, si presenta come una lettera dal tono informale in cui un personaggio fittizio, Wilhelm, che incarna la figura del bravo lavoratore e padre di famiglia, illustra al suo amico i vantaggi della vita etica, improntata all’assunzione della responsabilità e al rispetto del dovere, su quella estetica, incentrata sulla fuga dalla noia e sulla ricerca del godimento.

«Cosa vuol dire vivere esteticamente e cosa vuol dire vivere eticamente?»

Estetica è indifferenza, essere tutto e niente, et et in base alle contingenze del momento, signore assoluto nella vita del Don Giovanni; è un continuo vestire e svestire molteplici maschere in un vorticoso carnevale in cui ci si nasconde persino a sé stessi.

 

 

Etica invece è quello stile di vita che ha il coraggio, l’energia e la serietà di porre l’assolutezza della scelta. Aut aut. O questo o quello. Non et et.

Γνῶθι σαυτόν, conosci te stesso, recita appunto il detto delfico accolto da Socrate di cui l’autore si proclama erede, esponente come lui di una filosofia che sia capace di tornare per strada, sandali ai piedi, a interrogare nuovamente non lo Spirito, la Sostanza, l’Idea eterna, ma l’individuo, il singolo uomo.

 

 

Diventa te stessopartorisci te stesso dice inveceKierkegaard perché «[…] la più ricca personalità non è nulla prima di aver scelto sé stessa […].»

Attraverso una serie di temi tipici della filosofia kierkegaardiana, tra cui spicca la disperazione e una dialettica che si gioca sui termini momento/continuità, eccezione/ regola, casualità/universalità, infinità/ finito, eterno/temporalità , il filosofo sarà in grado di ribaltare tutti i miti e i cardini del vivere estetico, primo su tutti quello dell’eroe, l’uomo al di fuori d’ogni norma, l’eccezione.

«Uno può conquistare regni e paesi senza essere un eroe, un altro invece nel signoreggiare il suo carattere può rivelarsi un eroe […] Ciò che importa è il modo in cui agisce» ed ancora «Il vero uomo eccezionale è il vero uomo comune».

Se Aut aut si distingue nettamente da altre opere filosofiche coeve, è perché il problema che tratta è di urgenza esistenziale e non esclusivamente speculativa.

A Kierkegaard non interessa costruire un sistema.

Il suo pensiero, ancor prima di quello di Nietzsche, è reazione antihegeliana per eccellenza in quanto si pone intenzionalmente il più lontano possibile dalla pura e astratta teoresi, dalla ricerca metafisica del principio infinito e più prossimo alla vita concreta, all’esistenza determinata dell’individuo in quanto persona.

Non a caso la scrittura stessa non ha niente della classica prosa scientifico-filosofica.

Aut aut è invece una lettera ricca di metafore ed esempi di vita quotidiana e non, un’opera scorrevole che non suona ostica nemmeno ad un lettore della contemporaneità se non su alcuni punti.

Che dire infatti dell’esaltazione del matrimonio come necessaria tappa in cui si attua l’ideale del vivere etico? E della condanna di qualsiasi altro tipo di legame o sentimento amoroso che non si inquadri nei rigidi contorni di questo?

Appare invece di una democraticità quasi moderna la concezione etica che valorizza ogni uomo in quanto dotato di un particolare talento e capace di realizzare sé stesso attraverso il lavoro – «L’etica […] dice: ogni uomo ha un mestiere» – in opposizione alla visione aristocratica dell’esteta che gioca sul contrasto svilente individuo eccezionale/massa.

Spicca inoltre per bellezza e poesia la rappresentazione della donna come ancora di salvezza, come colei che è capace di riconciliare l’uomo al finito, alla temporalità e alla vita vera.

Angelica Rocca

Bianco come Dio: una storia di grande ispirazione

La storia di un ragazzo risvegliato. Voto UvM: 5/5

 

 

 

 

 

 

Ho diciott’anni e mi sento vecchio.

Lo avete mai pensato? Avete mai provato questa sensazione?

Abbiamo tutto ciò che un ragazzo o una ragazza di 18-25 anni potrebbe desiderare. Una famiglia, un ragazzo/a, studiamo, magari siamo già economicamente indipendenti. Eppure, anche se non vogliamo ammetterlo, qualcosa manca.

Non te lo sai spiegare.

Questa società è profondamente sbagliata.”

Sì, avete pensato anche questo. Molte volte. Tante volte.

Chi non lo pensa?

Organizziamo la nostra intera vita sulla base di questo concetto.

È vero, chi crede il contrario si sta prendendo in giro.

Abbiamo tutti rinunciato ai nostri sogni, e ci va bene così. Ci va bene questa vita preconfezionata. Ci va bene non esistere. Ci va bene arrenderci, e accontentarci e scegliere un dolore facile anziché un’impervia vittoria.”

Forse qualcuno è arrivato a questa conclusione. Sono le nostre stesse vite a comunicarcelo, lo vediamo nelle vita degli altri, il clima della società ne trabocca.

Non c’è alcun giudizio in tutto questo, è solo una fotografia della nostra realtà. Lo stile di vita predominante in questo momento storico.

C’è chi accetta volentieri e chi con un sentimento di impotenza.
Quale la bussola in questa situazione?

Io merito di meglio” è la risposta che si dà Nicolò Govoni in questo mare di incertezze.

Lui, giovane ventenne come noi, decide di giocare secondo le sue regole in un mondo privo di promesse per generazioni come la nostra.

Nel 2013 organizza la sua fuga e parte per un orfanotrofio dell’India meridionale.

Ricerca risposte, ma soprattutto ricerca sè stesso. È di una manciata di mesi la sua permanenza nella parte più povera del paese (Raccontata in un altro libro, “Uno”).

Tornato in Italia si ritrova cambiato: non è più lo stesso ragazzo.

Il vuoto, avvertito prima della partenza, è stato colmato dai bambini di Davayavu Home.

Nicolò ha trovato le risposte che cercava, ha trovato sè stesso.

Il pensiero di aver migliorato un’altra vita per un po’, ma poi lasciarsela alle spalle è per lui insopportabile.

Torna da loro, torna a Casa.

 

 

È da qui che ha inizio la narrazione di “Bianco come Dio”, pubblicato il 30 ottobre 2018 edito Rizzoli.

Una storia profonda, ricca di atti d’amore e resilienza.

Una lettura adatta a tutti, ma di grande impatto per la giovane generazione che può, senza ombra di dubbio, rispecchiarsi in Nicolò.

Lo stile, estremamente coinvolgente, affronta temi di notevole importanza con quella genuina semplicità che riesce a dare valore agli argomenti trattati più di tanti paroloni e ragionamenti stilistici.

La comunicazione di Govoni trascina il lettore in delle esperienze di vita vissuta facendolo entrare in risonanza con i protagonisti degli eventi narrati.

Per Nicolò la risposta è stata aiutare gli ultimi, ma questo libro non parla solo di volontariato.

Nell’opera è possibile individuare alcune tappe che ognuno di noi che crede di “meritare di meglio” si troverà a compiere. Eccole di seguito:

 

Risveglio. 

Già largamente argomentato nell’introduzione, è qui ripreso brevemente.

È dura ammettere che viviamo da “addormentati”, ebbri e accecati da uno stile di vita mediocre venduto da pubblicità e televisione.

Le massime aspirazioni del nostro tempo sono trovare un partner, avere un lavoro che ci permetta di divertirci nel weekend e trascorrere gli ultimi anni della nostra vita in tranquillità.

Non c’è nulla di sbagliato in tutto questo, è solo lo stile di vita della vecchia generazione.

Rendeva felici i nostri nonni e i nostri genitori. Siamo sicuri che funzionerà anche per noi?

Nicolò percepisce questa precarietà e fugge in India. Allontanandosi dalla realtà sgangherata in cui viviamo riesce a coglierne le falle.

 

Non lo so, papà” faccio dopo un po’. “Non so nulla. Nessuno di noi sa nulla, a casa, nè i miei coetanei, nè gli adulti, e questa incertezza ci sta facendo sbiadire giorno dopo giorno.
Questo perchè la gente cerca conferme in fattori esterni.” Si sfrega le mani. “La famiglia, il denaro, l’amore, la carriera…
Mi sento vecchio” lo interrompo. “Ho vent’anni e mi sento vecchio

 

La scelta. 

Conosciuta la verità è quasi impossibile fingersi ciechi e sordi.

Non è facile remare contro il modo di essere che ci è stato insegnato, ed è difficile accettare che sia infruttuoso. Tuttavia nasce una scintilla; si sente il dovere di farsi carico della responsabilità di cambiare le cose.

Govoni affronta le ferite del suo passato e combatte contro quei dubbi che silenziosamente assillano ognuno di noi ogni giorno. Una scelta è per sempre? Che ruolo ha il tempo nelle nostre vite? Si può tornare indietro?

 

Ma dobbiamo scegliere ugualmente.” Mio padre sospira, eppure la sua voce risuona nitida.
Come possiamo prendere decisioni se la posta in gioco è tanto alta?
Se non prendi alcuna decisione, stai comunque già scegliendo, no? Scegli di restare fermo.

 

La missione. 

La scelta implica un impegno. Un impegno che va onorato con tutti se stessi, ogni giorno, per tutta la vita.

È solo trovando noi stessi che scopriamo di poterci dedicare a qualcosa più grande di noi.

 

Fai in modo che ogni tua decisione” mi dice Piriya in una delle nostre lunghe passeggiate dopo la scuola “ti porti di un passo più vicino al tuo obiettivo finale.
E se non lo conosco, il mio obiettivo finale?
Passa un istante prima che risponda. “In che mondo vorresti vivere?

 

Anche noi, chiediamoci in che mondo vorremmo vivere, e poi mettiamo al servizio il nostro impegno per realizzare un cambiamento.

 

 

Il servizio come stile di vita. 

Il mondo ha tanti problemi, da un estremo all’altro.
Ignorarli “pensando in positivo” non li risolverà.

Migliorare la situazione non è così semplice come si crede. Tuttavia un modo c’è, e Nicolò è di grande ispirazione per tutti noi.
Sarebbe sufficiente mettere al servizio di una missione, che sentiamo ci appartenga, i nostri talenti e il nostro impegno. Tutto questo, perchè ci siamo compresi davvero.
I risultati non tarderebbero ad arrivare.

 

Sono solo un venticinquenne con un sogno: lasciare il mondo un po’ migliore di come l’ho trovato. Dopotutto, celebrare la vita significa farne il miglior uso possibile, e alleviare il dolore altrui è la miglior vita che io possa vivere.

 

Angela Cucinotta

Gotham: tra corruzione e James Gordon

Aspettiamo che questa serie ci sorprenda ancora per valutarla al massimo. Voto UvM: 4/5

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lunedi 1 aprile è uscita su Netflix la quarta stagione di Gotham, sorprendentemente nuova, con i classici toni ironici ma con un livello più alto riguardo i personaggi e l’intreccio della storia.

Partendo dal principio, la serie rappresenta un prequel concentrato sull’origine dei personaggi, buoni o cattivi, che ruotano attorno all’universo di Batman.

Non è una serie che propone un’alternativa televisiva ai fumetti, ma un nuovo punto di vista, molto più umano e interessante anche per chi non ha una passione per i supereroi della DC, poiché racconta, in modo preciso e attento, l’evoluzione dei numerosi personaggi che quasi si affollano sullo schermo.

 

 

Essendo un prequel relativo al mondo del Cavaliere Oscuro, possiamo tutti immaginare che la storia inizia con l’omicidio di Thomas e Martha Wayne, genitori del giovane Bruce che, rimasto orfano si affida alla figura del suo maggiordomo Alfred.

La storia di Bruce Wayne (David Mazouz), destinato a diventare Batman, è raccontata e approfondita seguendo il punto di vista di un bambino traumatizzato che durante tutte le puntate cerca di vendicare l’assassinio dei suoi genitori e si affatica verso la ricerca di una propria identità.

In questa situazione risulta fondamentale la figura di Alfred (Sean Pertwee), l’immortale maggiordomo/tutore/maestro di vita di Bruce, che ritroviamo nella serie con un forte carattere, irruento e decisamente coinvolgente.

 

 

In realtà il vero protagonista non è il giovane Batman, ma la serie si presenta come un giallo in cui il detective James Gordon (Benjamin McKenzie) tenta di combattere il crimine fortemente radicato nelle fondamenta della città, cercando di rimanere aggrappato alla parte del giusto.

Accanto a lui vediamo il comandante della GCPD Harvey Bullock (Donal Logue), un personaggio che non riesce mai ad allontanarsi definitivamente dalla malavita e rimane, almeno all’inizio, quasi debole ma sempre estremamente divertente.

La malavita a Gotham è un problema che sembra non risolversi mai e durante tutta la serie viene gestita da diversissimi personaggi, ognuno con una propria storia e un proprio modo di agire. Da Don Falcone a Fish Mooney, l’unico che sembra essere sempre presente è Oswold Cabblepot (Robin Lord Taylor), il fantastico Pinguino, in continua lotta contro chi vorrebbe prendere il suo trono.

Ogni personaggio ha un proprio spazio nella serie.

 

 

Di ogni personaggio, che sia per due intere stagioni o per due sole puntate, si comprende l’evoluzione psicologica, il passato quasi sempre traumatico, ma importantissimo.

È da queste vicende che nasceranno infatti i cattivi o gli eroi che noi tutti conosciamo: è interessante notare il rapporto morboso di Oswald con l’adorata madre; la continua ricerca da parte di Selina Kyle, l’evidentissima futura Catwoman, di qualcuno di cui fidarsi; o le tragiche storie d’amore finite decisamente male di Edward Nigma, che già nelle puntate alterna la sua personalità con quella del cattivo Enigma; o ancora le vicende all’interno del manicomio di Arkham (in cui tutti sono entrati e da cui tutti sono poi magicamente usciti) di un morto e poi resuscitato Jerome Valeska (Cameron Monaghan), (ma riguardo al principale antagonista di Batman ci fermiamo qui per evitare pesanti Spoiler).

D’altra parte non è possibile dimenticare quello che tra tutti questi personaggi è il protagonista, ed è altrettanto impossibile non notare la sua continua e difficile lotta verso il male che non rispecchia solo la citta di Gotham, ma anche il suo stato d’animo.

Insomma vediamo una città piena di super cattivi, di pazzi, di corrotti contro cui James Gordon e tutta la sua squadra ha limitate possibilità.

Chissà quindi se al termine della serie riusciremo a vedere Bruce con maschera e mantello, o se Gordon riuscirà da solo a sconfiggere tutti i disastri che come funghi spuntano a Gotham.

La serie non si conclude però con la quarta stagione, dobbiamo attenderne una quinta, appena uscita negli Stati Uniti e che uscirà in Italia il 5 maggio, sulla piattaforma Mediaset Premium.

 

Federica Cannavò

A un metro da te

La lotta contro una brutta malattia e la forza dell’amore per superarla. Voto Uvm: 4/5

 

 

 

 

 

Diretto da Justin Baldoni, questo teendrama è il racconto della storia di due adolescenti, colpiti dalla stessa malattia.

Stella (Haley Lu Richardson), una ragazza determinata a vincere questa lotta contro la sua patologia, cercando di rendere le sue giornate sempre più interessanti, riprendendo i suoi progressi.

Will (Cole Sprouse), il protagonista maschile, menefreghista e rassegnato nei confronti della sua malattia.

Per i due sarà amore a prima vista.

 

 

Sarà proprio l’amore a spingere i due giovani a cercare di superare gli ostacoli.

Il titolo inglese “Five feet apart”, allude alla distanza alla quale devono stare i due innamorati, entrambi effetti dalla fibrosi cistica.

 

 

Per i due l’obbligo più grande sarà quello di stare lontani, per evitare lo scambio di batteri; ma i due innamorati combatteranno oltre il tempo e lo spazio.

Dalila De Benedetto

 

Brain On Fire – My month of madness

La vera storia di una rinascita. Voto UvM: 5/5

 

 

 

 

 

La giovane giornalista del New York Post Susannah Cahalan (Chloë Grace Moretz) a soli 21 anni vive la vita che ha sempre desiderato: è indipendente, all’inizio di una promettente carriera e alle prese con un amore appena sbocciato, Stephen (Thomas Mann), un giovane chitarrista con la testa fra le nuvole che spera di sfondare nel mondo della musica. 

Ma non succede quasi sempre così? Non è quando tutto sembra andare per il meglio, quando si abbassa la guardia, che accade l’inimmaginabile? In questo caso, l’inspiegabile.

Susannah comincia a sentirsi perennemente stanca, confusa, fatica a rimanere concentrata e presente anche durante la più banale delle conversazioni, perde il senso del tempo, inizia ad avere vere e proprie allucinazioni, diventa esageratamente irascibile al punto da venire allontanata dall’ufficio; si auto-diagnostica un disturbo della personalità ma si rifiuta di prendere gli psicofarmaci che le ha prescritto lo psicoterapeuta; assomiglia sempre meno a se stessa, diventa violenta fino a spaventare anche i genitori che decidono di farla ricoverare.

 

 

A questo punto prima ancora che con la malattia, la famiglia di Susannah ingaggia una lotta all’ultimo sangue con i medici che, non riuscendo a diagnosticarle nulla, vista la negatività di tutti gli esami, cercano di etichettarla prima come psicotica, poi come depressa bipolare, epilettica e infine schizofrenica per farla trasferire in un ospedale psichiatrico.

 

 

Mentre Susannah viene risucchiata in un buco nero da cui sembra non poter più uscire, è struggente vedere come i genitori non si arrendano e continuino a fare pressione ai medici per avere delle risposte e continuare le ricerche; come Stephen, con i suoi vestiti stropicciati e i capelli  spettinati, sia sempre presente, anche a costo di dormire nel corridoio dell’ospedale; Stephen che con le sue canzoni cerca di riportare indietro quella ragazza che sembra sempre meno la sua Susannah, che non parla, che non si muove più, che sembra spegnersi piano piano nonostante i macchinari dicano tutto il contrario.

Proprio quando sembra non esserci più alcuna speranza, viene chiesto il parere del dottor Najjar, ormai ritiratosi dall’esercizio in ospedale e divenuto professore. L’uomo, in un primo momento restio, non può che rimanere ben presto coinvolto dal caso di Susannah, e vi si immerge completamente. Pensa a lei giorno e notte; pensa a quella ragazza così giovane e piena di vita che si è persa ma che è ancora là da qualche parte, che ha ancora tanto da fare, che vuole essere ritrovata.

E ci riesce, a ritrovarla, con un test molto semplice: le chiede di disegnare un orologio e inscriverci dentro i numeri da 1 a 12; e questa è la conferma della sua intuizione: Susannah disegna i numeri concentrati solo ed esclusivamente nella parte destra dell’orologio; le viene così diagnosticata l’ encefalite da anticorpi anti-NMDA: si tratta di un disordine del sistema immunitario, dove gli anticorpi attaccano il cervello; nel caso di Susannah proprio l’emisfero destro. Se non si fosse intervenuti in tempo non si sarebbe riusciti a recuperarla, sarebbe morta di certo.

“Io sono stata fortunata, perchè in un sistema fatto per perdere gente come me, grazie al dottor Najjar sono stata ritrovata, lui mi ha ritrovata. Ho dovuto imparare tutto una seconda volta, da zero, come camminare di nuovo, parlare di nuovo, sorridere, essere una figlia, amare Stephen, scrivere. Ho dovuto imparare di nuovo ad esistere.”

Susannah era stata data per pazza, era stata data per persa, ma Najjar, i suoi genitori e Stephen non si sono arresi; lei non si è arresa. Si è rimessa in piedi, ha ripreso in mano la propria vita sfruttando la seconda possibilità che le è stata data dal miracolo della medicina.

 

 

Brain on fire è un film del 2015, regia di Gerard Barret, ispirato alla storia vera di Susannah Cahalan, una storia vera di vita, sofferenza, amore, speranza, vittoria.

Uno di quei pochi film di questo genere che ti lascia con gli occhi lucidi, ma per la gioia.

Alice Caccamo

 

 

 

 

 

Il Fascismo Eterno – Umberto Eco

Riflessioni sulla libertà. Voto UvM: 3/5

 

 

 

 

”Gloria ai caduti per la libertà”.

Ma che cosa è realmente la libertà? Umberto Eco già dalla prima pagina fa una distinzione tra libertà e liberazione, che verrà spiegata però solo nelle ultime pagine; lo scrittore ci vuol far capire che la Libertà è essenza di tempo, in quanto è un ente infinito mentre la Liberazione è un tempo determinato, un ente statico.

Ecco perché dobbiamo difendere la libertà e non dobbiamo farci opprimere da ideologie che negano la libertà individuale ma sopratutto universale, la libertà è solo quando non nego essa a qualcun altro, giacché solo in quel momento mi posso definire cittadino del mondo e no di una singola Nazione.

 

 

”Ritengo sia possibile indicare una lista di caratteristiche tipiche di quello che vorrei chiamare l’‘Ur-Fascismo’, o il ‘fascismo eterno’.

 L’Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: ‘Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!’.

Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntarel’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo.”

 

 

Alessia Orsa

Vice – L’uomo nell’ombra

L’ascesa politica di Dick Cheney. Voto UvM: 4/5

 

 

 

 

Il potere? Non sempre si mostra in quelle forme spettacolarizzate che ci si potrebbe aspettare.

Il vero potere sta nell’ombra, non si espone, cresce silenziosamente e si insinua in ogni falla del sistema potenzialmente sfruttabile.

Il vero potere è subdolo, ipocrita, opportunista, segue trame e sentieri volutamente ambigui e celati agli occhi dei più.

È questa la verità che Adam McKay mostra con il suo ultimo biopic dal titolo “Vice”, vincitore della statuetta come miglior trucco agli Oscar 2019 e candidato ad altri sette Golden Globe.

Scandito dalle straordinarie interpretazioni di Christian Bale (Dick Cheney) ed Amy Adams (Lynne Cheney), Vice racconta con toni ironici e sferzanti l’ambigua ascesa al potere di Dick Cheney, vicepresidente “imperiale” dell’amministrazione George W. Bush.

 

 

Efficace e pungente, Vice ripercorre con obiettività la storia del più potente vice – presidente degli Stati Uniti d’America, senza mai tuttavia presentarlo agli spettatori come il “cattivo” di turno.

Dick Cheney, dapprima giovane scapestrato e studente ben poco brillante, si mostra in tutta la sua pochezza: è un pessimo oratore, poco attraente, privo di ideali politi o di alcun tipo di acutezza.

Egli è un uomo “banale”, mediocre, dannatamente insulso e perlopiù manovrato dai desideri ambiziosi di una moderna “Lady Macbeth” (la moglie Lynne) ancor più assettata di potere.

 

 

Ma, pur rimanendo un inetto privo di alcuna aspirazione, strisciando silenziosamente tra una occasione e l’altra e approfittando della vicinanza dei “potenti”, egli riesce in pochi anni ad emergere politicamente, a fianco di Donald Rumsfeld e del presidente Ford.

L’occasione per esercitare finalmente il potere assoluto, pur restando comodamente nell’ombra, gli si presenta grazie al presidente Bush junior, interpretato da Sam Rockwell, dipinto nel film come un imbecille facilmente manovrabile, incapace di governare, che ottiene la poltrona quasi “per via ereditaria”.

Debole e incompetente, il piccolo Bush è la preda perfetta per Dick Cheney, che ne diventa presto il burattinaio.

George W. Bush: Ti voglio come vicepresidente. Io, George Bush, voglio te.
– Dick Cheney: Io ti ringrazio, ma sono già l’amministratore delegato di una multinazionale, sono già stato segretario della Difesa e sono già stato Capo di Gabinetto della Casa Bianca, quindi la vicepresidenza non è che una carica simbolica. Se invece trovassimo un diverso accordo, se mi dessi le deleghe per cose più… banali… amministrazione, esercito, energia e politica estera…”

 

 

Dick Cheney, approfittando delle informazioni ottenute in qualità di vicepresidente e piazzando i propri uomini in ruoli chiave dell’amministrazione, diviene, all’insaputa della popolazione americana, il vero cuore pulsante della Casa Bianca.

È Dick il solo ad impartire ordini l’11 settembre 2001, approfittando dell’assenza del presidente, è Dick a dirottare tutti sulla necessità di muovere guerra in Medio Oriente, è Dick a rendere praticabili alcune forme di tortura nei confronti dei prigionieri politici, ed è ancora Dick ad aggirare le leggi per mettere in pratica la teoria dell’esecutivo unitario e a favorire le multinazionali.

Vice non è semplicemente la trasposizione cinematografica della vita di Dick Cheney, esso è la chiara dimostrazione di come l’attuale crisi politica, la nascita dell’ Isis, l’aggressiva gestione del terrorismo furono in gran parte causate dalle azioni occulte di quell’uomo che, paradossalmente, fece del restare nell’ombra il proprio unico e grande punto di forza.

 

Giusy Mantarro

 

https://youtu.be/PkdnBmUHAYg