Alla scoperta degli Oscar: 1917, la prima guerra mondiale come non l’avete mai vista

Voto UVM: 4/5

1917, locandina del film – Fonte: comingsoon.it

1917, ultimo lavoro cinematografico del noto regista britannico Sam Mendes, è un film all’insegna dell’eccedenza – e dell’eccellenza – sotto vari aspetti.

Distribuito su scala limitata negli USA dalla Universal Pictures a partire dal 25 dicembre e poi a gennaio nelle sale di tutto il mondo, ha già incassato ben 202 milioni di dollari e si è – a buon merito – conquistato 10 candidature all’Oscar (miglior film, miglior regista, migliore sceneggiatura originale, migliore fotografia, migliore scenografia, migliore colonna sonora, miglior sonoro, miglior montaggio sonoro, migliori effetti speciali, miglior trucco e acconciatura). Ma non solo: ha già vinto 2 Golden Globe come migliore film drammatico e migliore regia e 7 BAFTA ( miglior film, miglior film britannico, miglior regista, migliore fotografia, migliore scenografia, miglior sonoro e migliori effetti speciali).

Cosa ci aspettiamo da una simile tempesta di riconoscimenti per un film di guerra?

Sicuramente un kolossal moderno ricco di scene d’azione, grandi dispiegamenti di truppe, battaglie epiche e trionfali, che si vedono anche in numerose pellicole fantasy. Il nuovo capolavoro di Sam Mendes invece non è niente di tutto questo!

Il regista, che si è ispirato ai racconti del nonno Alfred Hubert Mendes, il quale combattè per due anni sul fronte francese, ci fa invece notare che quando si tratta di guerre, soprattutto guerre di movimento come il primo conflitto mondiale, c’è ben poco da celebrare, ma solo da raccontare con sguardo realista e disincantato, scegliendo un punto di vista “minore”, quello di un semplice soldato.

Il protagonista William Schofield (George MacKay), caporale dell’esercito britannico sul fronte francese, ha una precisa missione: attraversare le linee nemiche e consegnare un messaggio al colonnello Mackenzie del 2° battaglione del Devonshire Regiment ,per impedire l’attacco ai tedeschi previsto per l’indomani ed evitare così la morte quasi certa di 1600 uomini. Nella sua corsa contro il tempo attraverso desolate terre di nessuno, trincee labirintiche e paesi fantasma devastati dalle bombe, è accompagnato dall’amico e commilitone Tom Blake (Dean-Charles Chapman), coinvolto in prima persona perché fratello di Joseph (Richard Madden), combattente nel 2° Devon.

George MacKay e Dean-Charles Chapman vicino a una trincea nemica – Fonte: fortemertein.com

Riusciranno i due ad avvisare il battaglione in tempo e salvare i compagni dal disastro?

Al di là del finale e dell’intreccio, quello che importa di più a Mendes è far piombare lo spettatore dentro un’atmosfera ben precisa: quella di una guerra atroce che, come afferma il colonnello Mackenzie, interpretato da un magistrale Benedict Cumberbacht, “la vince chi sopravvive”. Il suo occhio non risparmia particolari macabri: mosche e avvoltoi che sorvolano cadaveri, resti umani intrappolati nel fango, né esita a raccontare gli stenti dei protagonisti, la voglia di tornare a casa, i loro ricordi, la fame e la sete per cui si baratta volentieri una medaglia che alla fine “è solo un inutile pezzo di latta”. Una narrazione priva di retorica che si avvale di dialoghi ben scritti (e in questo si vedono le radici teatrali di Mendes) e di un realismo sconcertante.

A creare ancor di più quest’atmosfera sono le scenografie di Dennis Gassner che ricostruiscono un paesaggio quasi post-apocalittico e la fotografia di Roger Deakins che strizzano l’occhio all’arte pittorica. I ruderi del paesino illuminati dalla sola luce dei bombardamenti non sembrano usciti direttamente da un dipinto del romantico Friedrich?!

Fonte: screenWEEKblog

Ma la trovata tecnica più azzeccata è sicuramente l’unico piano sequenza che travolge lo spettatore in un crescendo di forte tensione: scena dopo scena sembra di correre accanto al protagonista, sentire gli spari dei nemici, le trappole tese, le bombe, il fiato che manca, il suo cuore che salta in gola in una corsa infinita in cui non c’è tempo di fermarsi e ricucire le ferite del corpo e dell’animo: bisogna correre, lottare per la sopravvivenza. Ci sono solo pochi momenti di pausa in tutto il film e uno di questi è il canto mattutino che raccoglie i soldati prima della battaglia: un canto privo di speranza, una preghiera di chi sa che va in marcia per morire.

Le premesse per trionfare nella notte degli Oscar ci sono tutte!

Se siete militaristi incalliti con qualche nostalgia per le imprese dei nostri nonni, non andate a guardare 1917: vi racconterà una verità sulla guerra che non volete sentire. Anzi, se lo siete, e soprattutto se siete giovani, andate a vederlo perché per conoscere la storia purtroppo non sempre bastano i libri e quello di Mendes è uno dei film bellici più onesti dell’ultimo decennio!

Angelica Rocca

L’ultima puntata… e torno a studiare.

Durante la sessione , che tu sia un fuori sede o meno e qualsiasi sia il tuo metodo di studio, hai bisogno di staccare. C’è chi come me, adora passare le pause pranzo e cena guardando una serie tv, chi preferisce concedersi un paio di puntate la sera prima di dormire e chi una volta la settimana. Ciò che è certo, in questi giorni di studio intenso, è che non vogliamo altro che una pausa e questo articolo potrebbe darci qualche dritta a riguardo.

Ma quali dovrebbero essere le caratteristiche delle serie più adatta a questo scopo?

Sicuramente è un qualcosa di personale ma quello che non deve mancare è la leggerezza, la necessaria “noia free” e la durata della puntata di 20/30 min.

Vi propongo 5 delle serie tv che, personalmente, ritengo più adatte per non pensare alla montagna di libri che ci aspettano sulla scrivania.

1)BoJack Horseman

Todd perché non vai a fare due passi con Rutie mentre parlo con questi studenti? Non voglio esporla a troppa disperazione

(Princess Carolyn –  BoJack Horseman 6×9)

Venti minuti di pura realtà esposta con estrema abilità e leggerezza che permette di distaccarci… ma non troppo. E’ un cartoon dietro le cui animazioni, definite con estrema maestria, si nascondono (e poi non così tanto) degli argomenti più che comuni. BoJack non è solo un cavallo famoso in balia di ogni dipendenza, che vive in una Holliwoo(d) con animali antropomorfi e umani ma è  anche un po’ ognuno di noi. O forse ognuno di noi è un pò lui in quanto ci costringe ad una minima introspezione e il suo percorso diventa anche il nostro.  È un modo diverso di passare il tempo e senza che te ne accorga ti dà la carica per tornare alla vita quotidiana (e sui libri).

2)Atypical

La storia di Sam Gardner, ragazzo autistico che prova a vivere una vita normale e che ci riesce, forse la sua è la “più normale” di tutte quelle raccontate. La famiglia , gli amici e le sue conquiste fanno da contorno alle avventure quotidiane. Con estrema delicatezza e leggerezza Netflix ci espone una nuova prospettiva e ci costringe a pensare e ad essere più sensibili senza perdere quel velo di divertimento essenziale. Ed è quasi come se attraverso le esperienze di Sam anche noi possiamo crescere e non c’è niente di meglio che farlo 20 minuti alla volta.

3)Sex Education

Altra big di Netflix che fa da calamita anche per gli anti-serie. Otis e i suoi amici, sua madre e le sue insicurezze riescono a liberarci da anni di chiusura mentale e di pregiudizi con estrema leggerezza e allo stesso tempo profondità. Gli argomenti trattati (e in parte risolti da un terapista inesperto – il protagonista), rendono giustizia alle esperienze e alle insicurezze che giovani e adulti hanno passato e molte delle quali non sono ancora risolte. Legittima i pensieri e permette di essere free da tutte le inibizioni sociali, rende creativi e personalmente non c’è niente di meglio prima di  ricominciare a studiare e a vedere tutto in bianco e nero.

4)Scrubs

Serie cult dei primi anni del 2000 che rimane un old but gold imbattibile. A differenza degli altri medical-drama qui non ci si perde solo tra love stories e casi clinici impossibili ma si entra nella vita di un giovane medico sognatore costretto a tenere i piedi per terra. JD non è solo, accanto a lui l’amico di sempre, i colleghi e il dottor Cox che viene descritto da Kelso come “dottor House senza il bastone“.

Okey chi non ama dottor House? E chi non ama il dottor Cox? Se dobbiamo decidere di prenderci una pausa e dobbiamo staccare non c’è niente di meglio che perdersi tra i sogni di JD e tornare con i piedi per terra come ci costringe la serietà di Cox , che il tuo ambito sia medico o no Scrubs rimane un’evergreen che permette a chiunque di ridere e piangere in egual misura tra i corridoi di un ospedale.

5)Californication

Hank Moody è un tizio a cui apparentemente non interessa nulla se non superare il blocco dello scrittore. Eppure ci trasporta sulla East Coast (che ama e odia) e, anche se con i suoi modi, riesce a risolvere la sua vita e a rimettere insieme le cose importanti: sua figlia, la sua compagna e la sua scrittura. Ci permette, tra bellissime donne e bellissimi panorami, di perderci tra le onde di Venice Beach nonostante siamo al buio in una stanzetta fredda.

5+1)Extra

Oltre le cinque serie tv consigliate, non posso tralasciare Dynasty. Siamo stanchi della “vita scandalosa dell’élite di Manhattan” ma non delle storie di giovani privilegiati e Netflix ci viene incontro con una delle serie meglio riuscite di sempre. Sono quaranta minuti di comedy, love stories e intrighi ma sono quello che più può aiutarci ad uscire dagli schemi. In realtà, le altre series consigliate sono molto reali, questa è francamente finzione che permette di sorvolare ogni tipo di problema e di farlo con estrema eleganza. Ha dei principi ma ben celati dietro eventi mondani e look da urlo.

Detto questo, ognuno passa le pause come vuole, ma di certo l’ideale è quello di dedicarsi un po’ di tempo e vi consiglio di farlo in modo leggero e sicuramente interessante. Il problema delle serie tv è che non sarà mai una sola puntata e quei 20 minuti diventano 40 e diciamocelo, che ce lo meritiamo o meno ce lo concediamo comunque.

Barbara Granata

Immagine in evidenza: Barbara Granata©

Odio l’estate: grande ritorno del trio comico più magico d’Italia

 

Profondità e leggerezza, la comicità che non stanca mai. Voto UVM: 4/5

Un magnifico ritorno sul grande schermo quello di Aldo, Giovanni e Giacomo nel film Odio l’estate, uscito nelle sale il 30 gennaio.

Perché parlare di ritorno? La penultima fatica cinematografica del trio (Fuga da Reuma Park– 2016) è relativamente recente, ma da un paio d’anni a questa parte in realtà, Baglio e compagni non erano più gli stessi. La comicità semplice ma talora portata all’assurdo, che non cade mai nella volgarità o negli schiamazzi, l’ironia fatta di mimica, gag memorabili, lunghi botta e risposta e battute tutt’altro che scontate non brillavano certo a partire da Il cosmo sul comò (2008), oscurate com’erano da una regia incerta. Tra le altre pecche abbiamo visto trame abbozzate in cui i dialoghi scorrevano a fatica e la risata stentava a decollare.

Con il ritorno alla cinepresa di Massimo Venier, regista dei loro primi lavori fino a Tu la conosci Claudia (2004), è tutt’altra musica!

Fonte: rbcasting.com

Ma parlando appunto di trama,  cosa ha di tanto originale Odio l’estate?

Aldo Baglio, Giacomo Poretti e Giovanni Storti sono tre padri che vogliono trascorrere una serena vacanza con le proprie famiglie in un’isoletta della Puglia. Il caso – o l’errore – vuole che si trovino a prenotare tutti e tre la stessa casa vacanze. Dopo essersi rivolti alle autorità del luogo- un magnifico Michele Placido nei panni di un disincantato maresciallo di provincia, stremato dal caldo estivo- per non ricorrere in lungaggini giuridiche, optano per il compromesso: condividere gli spazi fino alla fine dell’estate. Dapprima scontenti, si ritroveranno come da copione a stringere amicizia.

Cast del film – Fonte:techniprincess,it

A prima vista, insomma, un intreccio scontato di quelli che non mancano certo alla commedia italiana dell’ultimo decennio, ma in realtà un racconto che si rivela originale nei dettagli.
A partire dai personaggi: all’apparenza stereotipati, evolvono nel corso della pellicola rivelandoci lati inaspettati. Abbiamo Aldo tipico meridionale ipocondriaco trapiantato al nord con tanto di famiglia rumorosa a carico, Giacomo, noioso dentista attaccato al guadagno, Giovanni, pignolo proprietario di un negozio di scarpe messo alle strette dalla crisi. E poi le mogli, donne che stavolta sono più che semplice spalla del trio, ruoli ben caratterizzati e affidati a virtuose attrici. Notevole una Lucia Mascino nei panni della nevrotica madre borghese che ha qualche problemino a lasciarsi andare.

Maria di Biase, Lucia Mascino e Carlotta Natoli – Fonte:optimagazine.com

Le differenze di “classe” sono evidenti, ma come in altri film del trio le tematiche sociali sono solo accennate: non si insiste fino allo sfinimento sulle solite dialettiche nord-sud, ricchi-poveri e via dicendo, ma si preferisce puntare piuttosto su ciò che accomuna i personaggi. Giovanni fa cerchi con le mani quando gli mancano le parole, il nostro Giacomino lascia banconote al figlio al posto di un ti voglio bene e Aldo, all’apparenza il più estroverso ed espansivo e voce narrante come in Chiedimi se sono felice, porta con sé un segreto che non può rivelare.

La profondità tipica dei loro primi film viene a galla senza stancare, alleggerita dalle risate e da dialoghi che fluiscono leggeri, affidata anche alle parole dei personaggi minori, per raccontare senza sdolcinatezze di sorta la magia della vita che è come i fuochi d’artificio: “se ci pensi è una minchiata, ma se non ci pensi non è poi così male.

Ma a parlare di magia ci pensano soprattutto le scene che portano la chiara firma di Venier.
Quasi commuovono il cameo di Massimo Ranieri che canta con un Aldo fan incallito “Erba di casa mia”, le sequenze da road movie tipiche del trio e la partita di calcio in spiaggia sulle note di Capossela, chiaro richiamo a Tre uomini e una gamba. Ci viene quasi da dire: “Non ce la faccio, troppi ricordi!

Fonte: lospettacoliere.it

Sottofondo gradevole e azzeccato poi le canzoni di un grande della musica italiana odierna: Brunori Sas!

Lontano dalla grandezza dei vecchi tempi, ma omaggio non meno maturo, Odio l’estate è in definitiva un film che rende giustizia alla bistrattata comicità italiana!

Angelica Rocca

Il Pop-rap in 1002 degli Psicologi

 

Psicologi è il progetto innovativo del duo Drast, rapper e producer napoletano, e di Lil Kaneki, rapper romano conosciuto anche come Caravaggio. Dopo alcuni lavori pubblicati su Youtube, raggiungono la notorietà con Bomba Dischi; per essere chiari: etichetta romana che ha lanciato artisti come Calcutta, Carl Brave, Franco126 e Giorgio Poi.

L’album o EP, presenta delle collaborazioni con sei producer diversi, spiccano nomi molto interessanti nel panorama rap-trap come Zef (producer di I love you di Ghali), Mr.Monkey (ha prodotto interamente l’ultimo disco di Tredici Pietro, figlio d’arte di Gianni Morandi) e del buon Sick Luke(producer di moltissime hit come Stamm Fort di Luchè feat. Sfera Ebbasta).

Il titolo 1002 si riferisce all’EP precedentemente pubblicato col nome di 2001 scritto inverso, infatti la copertina viene presentata coi colori invertiti.

TRACKLIST :
“Robin Hood” (Prod. Fudasca)
“Ancora sveglio” (Prod. Zef)
“Stanotte” (Prod. Sick Luke)
“Non mi piace” (Prod. Greg Willen)
“Festa” (Prod. Mr. Monkey)
“2001” (Prod. Voga)

 

Francesco Lui

Il terzo gemello a metà strada tra etica, genetica e mistero

Un thriller tra scienza ed etica. Voto UvM: 4/5

 

 

 

Il terzo gemello è un’opera dello scrittore britannico Ken Follet pubblicata nel 1996.

L’autore ci propone un accattivante thriller che affascinerà il lettore già dalle prime pagine.

La trama ha come ambientazione Baltimora in cui si presenta sulla scena una giovane e brillante ricercatrice universitaria, Jeannie Ferrami, alle prese con un ambizioso esperimento che si occupa di esaminare gemelli monozigoti separati per caso dalla nascita e cresciuti in contesti sociali ed educativi totalmente diversi.

Attraverso l’esame di questi gemelli, la nostra protagonista scoprirà se il carattere, l’indole o ancor di più la personalità di un individuo possano dipendere esclusivamente da fattori genetici oppure da fattori esterni al soggetto quali l’educazione impartita e il contesto familiare e sociale in cui ha vissuto.

Qualora convivessero questi due fattori, Jeannie dovrà capire in che misura possano essere determinanti oppure quale dei due potrà essere prevalente. Siamo esclusivamente ciò che viene codificato dal nostro Dna o siamo anche il risultato di quello che è il “nostro vissuto”?

 

Per riuscire a portare avanti la propria ricerca Jeannie si imbatte in una matassa da districare, un intrigo “all’americana” che vede come al solito coinvolta la Cia, il Pentagono, gli apparati militari e la tanto agognata corsa alla Casa Bianca.

L’arco temporale della vicenda si dilata in una settimana. Il racconto è lineare: non sono presenti flashback o ring composition; lo stile è scorrevole con una terminologia intellegibile anche quando lo scrittore si cala nel lessico di settore.

L'autore, Ken Follet
L ‘ autore Ken Follet, Wikipedia.org

 

Ken Follet propone al lettore un thriller a sfondo scientifico; non possono non fare da perno alla vicenda esperimenti di ingegneria genetica e il frequente ricorso alle biotecnologie. Fino a che punto sarà possibile utilizzare questi ingegni che il progresso ci ha fatto conoscere? Ed è qui che entra in gioco l’etica.

Dunque genetica, scienza, etica e mistero diventano grazie a Ken Follet “cornice di un quadro” che il lettore non potrà fare assolutamente a meno di ammirare.

                                                                                                                                                                                   Ilenia Rocca

Revolver, 1966. L’album della svolta per i Beatles

Quando la musica pop diventa arte… A partire dalla copertina! Voto UvM: 5/5

 

 

 

 

Discogs.com

 

Meno famoso rispetto al successivo Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band, ma sicuramente non meno importante nelle carriera discografica dei Beatles è Revolver, pubblicato il 5 agosto del 1966.

Perfetto equilibrio tra pop e canzone d’autore, tra accenni alla musica colta e soft rock, Revolver – e questo per alcuni può essere una pecca- è un album molto più eterogeneo del Sgt Pepper, un viaggio travolgente di ben 14 tappe in cui non viene mai meno la curiosità di chiedersi: e adesso cosa viene dopo?

Dal rock mordace di Taxman o She said She said alla ballad romantica Here There and Everywhere, dagli echi barocchi di For no One a quelli orientali di Love you to, passando dagli archi di Eleanor Rigby al motivo monocorde di Tomorrow Never Knows (pezzo più ostico per i fan), in Revolver nessuna traccia è uguale alla precedente. Sia per temi sia per musica.

Sicuramente l’album della maturità.

Lontani sono i tempi del semplice e immediato rock’n’roll,  dei testi genuini e immediati, ma non certo profondi e originali.

Il settimo album del quartetto di Liverpool apre definitivamente le porte alla sperimentazione e a un più accurato lavoro in studio (percorso già accennato dal precedente Rubber Soul) e stacca dal gruppo l’etichetta di cantanti per teenager, facendolo arrivare alle orecchie di un pubblico più vasto, un pubblico attento alle note, ma soprattutto alle parole, alle storie, ai mondi nascosti dietro una canzone.

Ecco la novità forse più notevole di Revolver al di là delle innovazioni sonore… Ogni canzone racconta una storia, ogni nota è capace di dipingere a tinte vivide un mondo in cui i suoi autori ci vogliono proiettare.

Got to get you into my life, ode molto velata alla marijuana, è in grado di trasmettere all’ascoltatore la tipica euforia da droghe leggere. Ideale da ascoltare quando non si ha voglia di alzarsi dal letto e serve tutta la carica giusta per affrontare la giornata!

Eleanor Rigby che raccoglie il riso sul pavimento della chiesa e Father McKenzie che rammenda i suoi calzini nel buio della notte sembrano scenette uscite direttamente da un film neorealista tanto è la cura per il dettaglio nel descrivere due personaggi esempio della solitudine umana.

« All the lonely people/ where do they all come from?» (Tutte le persone sole da dove vengono?)  è infatti la domanda quasi filosofica del ritornello.

Ma la sfida la lancia un criptico Lennon nell’ultima Tomorrow never knows.

«But listen to the colour of your dreams/ It is not leaving, it is not leaving                                                                               So play the game “Existence” to the end/ Of the beginning, of the beginning»

(Ma ascolta i colori dei tuoi sogni/ Non è vivere, non è vivere                                                                                                    Perciò gioca il gioco “ Esistenza” fino alla fine/ Dell’inizio, dell’inizio)

 

«Avete smesso di essere carini e simpatici» dirà Dylan a McCartney qualche anno dopo.

In realtà il periodo “carino” era già finito con Revolver.

 

              Angelica Rocca

 

 

 

The hurt locker: il miglior (non) film di guerra

“The hurt locker: rompere gli schemi convenzionali del film di guerra”

Voto UvM: 5/5

 

Fermi lì!

Devo avvisarvi: se non avete preso sul serio il titolo dell’articolo vi sconsiglio anche solo di guardare il trailer del film in questione.

Questo non è un classico film di guerra, ricco d’azione e “God bless America”.

Non esalta figure di soldati strafighi e virili, eroi che risolvono tutti i problemi o salvatori del mondo.

Non è neanche un film storico, la seconda guerra mondiale non c’entra proprio nulla.

Quest’opera non segue le etichette tradizionali della sua categoria, potrebbe trattarsi di un caso unico nel suo genere.

Per cui, se non siete pronti ad affrontare le novità (tematiche, narrative e stilistiche), ma anzi preferite il solito film d’azione che ha il solito finale e la solita sceneggiatura, lasciate perdere immediatamente. Non fa al caso vostro.

Detto questo…iniziamo da qualche dato tecnico.

The hurt locker è un film del 2008 diretto da Kathryn Bigelow e scritto dal giornalista Mark Boal, risultato vincitore di 6 premi Oscar nel 2010 (miglior sceneggiatura originale, miglior montaggio, miglior sonoro, miglior montaggio sonoro, miglior regista e miglior film).

Racconta le vicende di un gruppo di artificieri dell’esercito americano in Iraq, impegnato nella localizzazione e neutralizzazione delle mine. Protagonista indiscusso è il sergente Will James, interpretato da Jeremy Renner.

Ciò nonostante, in parallelo, vengono sviluppate le vicende esistenziali dei due suoi compagni, il sergente JT Sanborn e lo specialista Eldridge, per poi confluire in un’unica trama.

 

I tre sono accomunati dal desiderio -o dalla necessità- di sopravvivere in uno scenario pieno di ingiustificate atrocità, davanti alle quali si è soltanto impotenti.

Il montaggio delle scene e le inquadrature comunicano la drammaticità della situazione.

Vi capiterà di restare col cuore in gola e provare emozioni forti.

Tutto questo è reso possibile grazie ad una strana sensazione di sentirsi in pericolo anche nei momenti in cui questo non esiste.

Non a caso, il titolo del film si riferisce ad un’espressione militare per indicare “un luogo particolarmente rischioso i cui risvolti sono imprevedibili”.

 

Cosa puoi aspettarti dalla visione di questo film? Perchè dovresti guardarlo?

 

 

 

  • L’adrenalina che trasmette il protagonista

Il sergente James è un soldato un po’ folle. Imparerai a conoscerlo insieme ai suoi compagni di squadra, i quali si troveranno in pericolo diverse volte a causa delle scelte azzardate del collega.
Ricorda che stiamo parlando di artificieri…e dunque di disinnesco bombe.
Stiamo parlando di un un “folle”, non in senso psichiatrico, che disinnesca ordigni: trai le tue conclusioni.

Come già detto, il montaggio delle scene ti permetterà di provare adrenalina insieme al protagonista e ansia insieme ai suoi compagni. Ne uscirai scosso, garantito!

  • La drammaticità della guerra, quella vera

Inutile dire sempre le stesse cose: lo sanno tutti che la guerra la vediamo solo attraverso la televisione e non possiamo comprenderla davvero.

Qui vengono colti solo alcuni scorci del conflitto armato.

Sì pochi, ma buoni.

Potrai confrontarti con i sentimenti di chi, normalmente, è il buono, l’eroe.

Capirai che dietro gli eserciti ci sono uomini, e dietro di loro emozioni troppo difficili da spiegare a parole.

  • Il finale, fortemente controintuitivo, a cui non potrai più smettere di pensare

Tutti i motivi che ti ho elencato e i complimenti fatti a questo film non possono eguagliare il finale.

Resterai stupito e anche fortemente colpito nel profondo.

Dopo aver “vissuto” il film insieme ai protagonisti ti sembrerà di esserne colpito in prima persona.

Proverai a capire, a immedesimarti ma, a differenza di quanto accadrà lungo tutto il film, nell’ultima scena non ci riuscirai.

Sta’ attento, perchè potrebbe creare dipendenza.

Capirai dopo aver visto. Buona visione!

Trailer qui

Angela Cucinotta

Respirare – Ad una fine esisterà un nuovo inizio?

 

Respirare è il primo libro della trilogia dei romanzi della scrittrice Carmen Caratozzolo (Respirare, Vivere, Impazzire).

Il romanzo è nato ed è stato pubblicato nel 2018 sulla piattaforma online “Wattpad”, per poi essere pubblicato anche in formato cartaceo dalla casa editrice Ilmiolibro.it.

 

La storia tratta di Cara l’adolescente sensibile, difficile, complicata, rimasta invisibile per troppo tempo dentro una società tutta uguale.

Quello di cui aveva bisogno era qualcuno che la riportasse a casa, qualcuno per cui valesse la pena amare ogni dettaglio: espressioni, degli sguardi, di un neo particolare sul viso o su qualsiasi altra parte del corpo.

Un suo particolare era la nostalgia, di tutto quello che non ha mai dato ma che avrebbe voluto ricevere.

Harry al contrario, un ragazzo dannato con un passato alle spalle inciso sulla pelle che cerca di scappare da se stesso, sperando di essere fermato prima o poi da qualcuno.

Tra Harry e Cara nasce un “patto”che li cambierà per sempre, lei così innocente difronte a così tanta violenza, lui senza regole e senza timori.

La passione rovente, paesaggi quasi incantati, chiazze di colori che macchiano la pelle, tutto diventa arte poetica di una vita reale.

Ad ogni inizio c’è sempre una fine, ma ad ogni fine esisterà un nuovo inizio?

 

“Le mani le porti al viso quando piangi o ridi, due opposti ma con qualcosa in comune”.

 

Edizione Wattpad gratuita: https://www.wattpad.com/story/148565673-respirare-ad-una-fine-esister%C3%A0-un-nuovo-inizio 

Edizione Cartacea/Ebook: https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/narrativa/420690/respirare/

 

 

Aladdin – Tra realtà e magia

Il remake di un grande classico. Voto UvM: 5/5

 

 

 

Già da un po’ di tempo la Disney ci sta deliziando con un percorso di remake dei grandi classici di animazione che attirano nelle sale cinematografiche grandi e piccoli.

Nel 2019 abbiamo visto Dumbo, ma ci allontaniamo dalla drammaticità tipica di questa fiaba per arrivare a un misto di azione e romanticismo in Aladdin, il live-action diretto da Guy Ritchie basato sul grande classico del 1992.

La storia la conosciamo tutti e inizia con un ladruncolo di città che si innamora di una principessa e percorre una serie di avventure tra bazar di spezie e seta nelle vie della città di Agrabah .

 

 

Aladdin è interpretato da Mena Massoud, che riesce perfettamente a incarnare un personaggio genuino, un ladro gentile dall’animo puro che attraversa momenti tormentati ma riesce ad affrontare le tentazioni rimanendo sempre fedele ai suoi principi e con la furbizia tipica del protagonista.

Nei panni della bellissima principessa Jasmine troviamo invece Naomi Scott, perfetta nel ruolo di donna forte che vuole affermare la sua posizione in un mondo dove il giudizio maschile predomina, affrontando questo importante tema prima ancora di dare spazio alle questioni romantiche.

 

 

Tale romanticismo trova spazio naturalmente nel lieto fine, ma si esprime pienamente nella scena che vede i due protagonisti viaggiare sul tappeto volante sulle note di “Il mondo e mio”, canzone vincitrice del premio Oscar per la migliore canzone nel 92.

Protagonista indiscusso dell’intero film è sicuramente il Genio della Lampada, interpetato da Will Smith, quale degno erede del suo predecessore Robin Williams. Smith sostituisce perfettamente la parlantina spedita di Williams con genuina ironia portando un velo di comicità anche alle scene più drammatiche. L’arrivo del genio introduce anche le scene più spettacolari cantate e ballate con grande spettacolarità.

Personaggi tutti estremamente adatti, compreso Jafar (Marwan Kenzari), inaspettatamente giovane ma capace di dare all’intero film un velo di azione e drammaticità indispensabile, specialmente nelle scene che precedono il lieto fine.

La scenografia coinvolge gli spettatori nel mondo orientale che vede strade ricche di bazar, scenari esotici che includono scimmie, tigri ed elefanti. Il tutto si mescola con la parte magica della storia resa perfettamente attraverso effetti speciali che rendono tappeti volante e incantesimi estremamente reali. In questo modo si mantiene quell’atmosfera incantata necessaria per un film che è principalmente diretto ai più piccoli.

 

 

Nuovamente la Disney non ci delude e riesce ad allontanare i suoi spettatori dalla tradizione, stravolgendo gli elementi tecnici del film, ma rimanendo ancorati alla bassa narrativa e incantata della storia, senza rendere questo distacco traumatico ma anzi estremamente piacevole che ci rende desiderosi di andare al cinema per il prossimo remake che vede nelle sale, a partire dal 21 agosto, la meravigliosa storia de Il re leone.

Federica Cannavo

Il secondo tragico Fantozzi

Paolo Villaggio con amara ironia, attraverso il ragionier Fantozzi racconta l’italiano medio.
Voto UvM: 4/5

 

 

 

 

 

Film comico del 1976, “Il secondo tragico Fantozzi” è il secondo degli episodi dell’intera saga dedicata al ragionier Ugo Fantozzi tratta dagli scritti dello stesso interprete Paolo Villaggio e diretto da Luciano Salce.

Come nel primo episodio, rivediamo qui il ragionier Fantozzi (personaggio creato e interpretato eccellentemente da Villaggio) affrontare le angherie e le vessazioni dei vertici aziendali avallate dai suoi stessi pusillanimi colleghi, quali il noto geometra Calboni e la signorina Silvani del quale Fantozzi è perdutamente innamorato.

La pellicola presenta un’escalation di situazioni differenti tra di loro che ritraggono la quotidianità media del ragioniere accomunate però tutte dalla “sfiga fantozziana” che non abbandona il nostro personaggio e lo porta ancor di più ad essere vittima della sua stessa esistenza dominata dai soprusi e da un’inettitudine all’interno delle relazioni sociali e familiari.

Un’inettitudine che però Fantozzi sconfigge in minima parte quando davanti ai suoi colleghi e al professor Guidobaldo Maria Riccardelli, ovvero un dirigente appassionato di cinema d’élite che costringe ogni sabato i suoi sottoposti a visionare la pellicola “La Corazzata Kotiomkin”, al momento di esprimere il suo parere riguardo al film affermerà di ritenerlo “una boiata pazzesca”, trainando così l’entusiasmo dei colleghi che prima lo umiliavano, il tutto racchiuso in una scena che è divenuta una delle più celebri del cinema italiano.

 

Ilenia Rocca