Da tradito a “Traditore”: ritratto dell’uomo che svelò Cosa nostra a Falcone

Esattamente un anno fa veniva proiettata nelle sale italiane la pellicola “Il traditore” del regista Marco Bellocchio, incentrata sulla figura del boss pentito Tommaso Buscetta. Emblematica la data scelta per l’esordio, il 23 maggio, ricorrenza della strage di Capaci in cui persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. Una provocazione dunque? Decisamente no. È noto a tutti infatti il ruolo che Buscetta giocò nel far conoscere a Falcone personaggi, vita, segreti e comportamenti di Cosa nostra.

 Fonte: Periodico Daily                      

Il traditore non vuole essere il classico biopic che racconta staticamente la vita di un determinato personaggio dalla nascita fino alla morte. Bellocchio tira fuori un ritratto psicologico anziché biografico di Don Masino, non lo assolve del tutto, come molta letteratura ha fatto, e non lo condanna, ma mostra semplicemente l’uomo o – per meglio dire – l’uomo d’onore.

La trama

La trama si concentra sulle vicende più significative che porteranno poi Buscetta a diventare collaboratore di giustizia, passando dai colloqui con Falcone fino a giungere al maxiprocesso. Il film comincia in medias res nel pieno folklore della festa palermitana di Santa Rosalia. Il mafioso Buscetta capisce che i Corleonesi con a capo Totò Riina stanno prendendo il sopravvento su Cosa Nostra e sulle famiglie dei mandamenti palermitani (di cui lui fa parte) e decide di scappare in Brasile: sarà noto alle cronache infatti come “il boss dei due mondi”.

Siamo al tempo della seconda guerra di mafia, Totò Riina fa uccidere molti familiari di Don Masino tra cui i figli. In Brasile Buscetta viene arrestato ed estradato In Italia. Totò Riina e Don Masino entrambi mafiosi ma anche così diversi: Bellocchio quasi gioca nel contrapporli. Riina vuole emergere in Cosa nostra mentre Don Masino preferisce godersi la vita,come una sorta di edonista.

Fonte: Sentieri selvaggi – Buscetta in Brasile

Cosa nostra si è trasformata, gli ideali di Don Masino e della vecchia mafia che non faceva del male a donne e bambini (cliché che tutti conosciamo e più volte rimarcato nella pellicola) non esistono più. Adesso gli affiliati fanno affari con il mercato della droga che uccide i giovani. Don Masino si sente tradito da Cosa nostra e da tradito decide di divenire il Traditore, linfame. Dunque uno degli interrogativi che il film ci lascia potrebbe essere questo: Tommaso Buscetta si sta pentendo della vita da criminale oppure si pente di aver fatto parte di un’organizzazione che non è più quella di quando egli stesso si era affiliato?

Fonte: Linkabile – Incontro tra i due schieramenti

L’incontro con Giovanni Falcone

Giungiamo così alle scene più emotivamente cariche di tutto il film. L’uomo dello Stato e delle istituzioni ha davanti a sé l’uomo dell’Antistato che confessa e svela nomi e segreti di una delle organizzazioni criminali più potenti di sempre. Due figure così diverse, così distanti, due figure che vengono accomunate dai gesti quotidiani, come offrire una sigaretta durante l’interrogatorio. L’uno rispettoso della dignità che l’altro a suo modo ha e viceversa. Insomma Falcone seduto alla scrivania di fronte a Don Masino che “racconta i fatti di Cosa nostra”. E qui si procede con qualche flashback.

Fonte: Dules.it – Falcone interroga Buscetta

                                   

È Fausto Russo Alesi a calarsi nel difficile compito dell’interpretazione del magistrato, il quale ha affermato di non aver scelto la strada dell’imitazione così da cercare di dare una carica quanto più realistica ad un personaggio di tale calibro.

L’interpretazione di Pier Francesco Favino

L’attore romano supera sé stesso. Diviene Don Masino e ora deve esprimersi in siciliano, ora in portoghese sino a giungere ad uno stentato italiano durante l’interrogatorio con Falcone e nel corso del maxiprocesso; il tutto avviene con una tale naturalezza da non sembrare neanche che Favino stia recitando.

Si passa poi ad una accurata mimica facciale e gestualità che imprimono quasi un certo elegante carisma ad un personaggio per sua natura rozzo. Grazie a questa sublime prova attoriale Favino ha conquistato un sacco di riconoscimenti tra cui il David di Donatello al miglior attore protagonista.

Fonte: Anonima Cinefili – Favino interpreta Buscetta nella scena del maxiprocesso

                    

Innumerevoli sono state le nomination e i premi cinematografici nazionali e internazionali per Il Traditore: ai David di Donatello riesce a portare a casa ben sei statuette tra cui miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista, miglior attore non protagonista a Luigi Lo Cascio, miglior montaggio e miglior sceneggiatura originale.

 

Perché proprio in questa ricorrenza parliamo de “Il traditore” e di una figura come quella di Buscetta? Sicuramente per l’apporto che diede alle indagini di Falcone, ma non solo: conoscere il fenomeno mafioso è il primo passo per scardinarne le basi, nel ricordo di chi – nel farlo – ha dato tutta la sua vita.

                                                                                                                                                                                      Ilenia Rocca

 

Tyler Rake, l’arte dell’action movie

Dopo l’esperienza particolarmente fruttuosa ed efficace con il Marvel Cinematic Universe, i fratelli Russo e Chris Hemsworth tornano a collaborare per un action-thriller prodotto e distribuito dal colosso Netflix, che pare sia l’unico movie- brand a non aver subito le conseguenze economiche del coronavirus.

Fonte: www.allstreamingmovie.com

Chris Hemsworth, per i profani “Thor”, interpreta Tyler Rake un mercenario spietato, schivo e solitario impegnato in una difficile e pericolosa missione.

Tyler Rake (Extraction) rappresenta l’esordio registico di Steve Hargrave, che  aveva già lavorato con i fratelli Russo come direttore degli stuntman in Captain America: Civil War e Avengers: Endgame.

Anthony e Joe Russo compaiono invece in veste di produttori e direttori creativi della pellicola tratta da Ciudad, una graphic novel concepita proprio dalla creatività dei due fratelli.

Plus narrativo dello sceneggiatura del film è il racconto del passato di Tyler Rake segnato da una tragedia che lo ha portato all’elaborazione della solitudine come meccanismo di difesa.

Tyler viene incaricato di salvare Ovi, figlio del più grande signore della droga dell’India, rapito da Amir Asif boss del narcotraffico del Bangladesh.

Fonte: www.cinemasession.com

La complessità della missione costringerà il soldato Rake ad attingere tutte le abilità belliche e di combattimento dalla sua faretra di mercenario.

Dacca è controllata dai soldati di Asif, che controlla persino le autorità locali; ad avviluppare ulteriormente la vicenda action  è il mercenario incaricato (David Harbour, celebre per la serie tv mondiale Stranger Things) dal padre di Ovi di controllare Rake.

La costruzione delle scene in cui il protagonista, assieme al suo protetto, corre, fugge, guida in strade caotiche, spara, uccide e lotta incessantemente, è realizzata in modo da trasmettere una costante scarica di adrenalina che tiene col fiato sospeso lo spettatore, immerso negli inseguimenti e nelle sequenze d’azione.

Le rare occasioni di pausa e di rallentamento dall’azione incalzante e spasmodica, sono meccanismo narrativo che permette di approfondire il focus introspettivo del film sul rapporto tra il taciturno Rake ed il ragazzino, che stimola la coscienza del mercenario che si vede dunque costretto  a rivalutare quanto è accaduto sin qui nella sua vita.

www.homemovies.com

Chris Hemsworth è un protagonista azzeccato, credibile drammaticamente e fisicamente, che riesce ad aderire perfettamente al ritmo registico imposto dalle scene d’azione pregne di primi piani ed inquadrature a mezzo busto, che trasportano lo spettatore dentro le dinamiche con la sensazione di diventare protagonisti dell’esperienza visiva.

Acrobatismo muscolare e combattimenti dinamici fanno scorrere Tyler Rake con un ritmo battente, che esplode nella lunga scena di undici minuti realizzata come unico piano sequenza.

Dacca, viva, caotica e pulsante fa da sfondo sonoro e visivo alla velocità tipica dell’action movie.

Definire Tyler Rake un film sarebbe riduttivo; è piuttosto un prodotto d’intrattenimento eccitante ed appagante, confezionato come un giocattolo cinematografico che vuole squisitamente divertire e trascinare il fruitore, senza annoiarlo con fronzoli narrativi che esulerebbero dalla tipicità del genere.

Fonte: www.moviedescription.com

Tyler Rake è un lavoro energico che soddisferà i gusti degli action lovers, dando comunque modo anche al pubblico più eterogeneo d’esser coinvolto in un film che funziona nel contesto dell’entertainment.

Armi, lotta, sangue, inseguimenti e tanto altro a portata di telecomando.

Pronti per una serata scoppiettante?

Antonio Mulone

After Life, il ritratto comico del dolore e della solitudine

Il dolore e la solitudine sono i claim emotivi di After Life, lo show Netflix magistralmente scritto, diretto e interpretato da Ricky Gervais.

Tony Johnson è un giornalista, che più cinico non si può, del Tambury Gazette un piccolo quotidiano di provincia.

Dopo la morte della moglie Lisa (interpretata da Kerry Godliman), Tony scivola nel baratro di una profonda depressione, e gravita in un triste vuoto esistenziale, tentando invano di metabolizzare il distacco traumatico dalla compagna di vita.

Fonte: www.upcomingseries.it

Il tentato suicidio, sventato con tenerezza dal cane Brandy, è il punto più basso ed il turning point della serie.

Tony trasla la malinconia in una adrenalinica fame di vita e di riscatto da questa: le conseguenze non contano.
Dodici episodi che rappresentano uno slancio verso la vita, e che ci consentono di osservare l’alterità con sarcasmo da una prospettiva completamente inedita.

Un uomo che cerca di reagire come può a un dolore che sembra insuperabile.

Guardare i video della moglie lo fa ancora soffrire tantissimo, ma quasi senza accorgersene, Tony si apre sempre di più al mondo.

Prova a stare dietro al cognato Matt sull’orlo di una crisi di nervi, si occupa del padre Ray (David Bradley) affetto da demenza e assistito in una casa di cura.

Sempre più sensibile ai sentimenti degli altri, inizia ad elaborare il lutto spostando il focus egoistico dal proprio dolore a quello altrui.

Fonte: www.bestshows.com

«Non si tratta solo di noi, ma anche delle altre persone, alla fine, no?» diceva, a ragione, il personaggio di Penelope Wilton nella prima stagione.

Ricky Gervais è tenero e vero nell’incarnare Tony che riscopre l’importanza del contatto umano e trova un nuovo equilibrio nella bilancia della propria vita.

After Life custodisce la propria potenza narrativa nel racconto intimo, sebbene apparentemente comune, della perdita di una persona cara.

Fonte: www.netflixshow.com

Non ci si può abbandonare all’oblio dell’eccesso, non ci si può discostare dalla realtà sebbene triste e troppo vera.

Quando chi ami di più se ne va, il mondo ti cade addosso. Eppure, allo stesso tempo il mondo va avanti e Gervais lo racconta con una semplicità brutale.

Tony imparerà, a fatica, le  piccole grandi sfide quotidiane, che sono il carburante che ci permette di andare avanti nella vita, anche quando pensiamo non abbia più valore.

La linearità narrativa della serie permette di cogliere quel dolore che sembra abbia strappato via un pezzo di noi, ma del quale il mondo che ci circonda non sa nulla.

Fonte: www.tvzipmedia.com

Ricky Gervais è riuscito a dare nuova linfa ad un prodotto che sembrava concluso, senza snaturarlo. La seconda stagione approfondisce il finale della prima e completa la chiusura circolare del percorso di Tony, attraverso dialoghi originali e brillanti, interpretazioni snelle e credibili, ed una trama scorrevole e coerente.

Il pungente black humour di Gervais smaschera le ipocrisie e le falsità dell’essere umano.

Il ritratto del lutto di Tony è di una forza emotiva straordinaria, alcuni monologhi sono strazianti, spaccati introspettivi di una persona che ha perso il centro di gravità della sua vita.

Se volete piangere dalle risate, e subito dopo fare lo stesso per la tristezza e lo sconforto, After Life fa per voi.

Antonio Mulone

 

 

I 5 drive-in più cult della storia del cinema

La pandemia da COVID-19 ha costretto a chiudere molte attività, tra le quali inevitabilmente anche i cinema. Il coronavirus ci ha sottratto la nostra quotidianità,  ma ci ha anche fatto ritornare al passato, almeno in qualche caso.

Parlando di cinema, infatti, è tornata di moda l’idea del drive-in. Questa appare oggi una soluzione ideale: un locale all’aperto in cui si può assistere alla proiezione di film rimanendo nella propria macchina, mantenendo le distanze e senza creare assembramenti.

Il primo ristorante drive-in aprì a Dallas nel 1921: veniva servito cibo da fast-food  ed era frequentato prevalentemente da giovani. Un luogo che permetteva di distaccare la mente dalla realtà e immergerla nell’arte cinematografica.

Sono molti i film nei quali sono presenti riferimenti espliciti al drive-in, ma oggi noi ve ne presentiamo cinque.

Partiremo dagli anni ’50 per arrivare ai giorni nostri, quindi mettetevi comodi e lasciatevi trasportare in questo viaggio nel tempo!

1)Grease di Ranald Kleiser (1978)

Sì, questo è il mio nome ma non lo sciupare.

Chi non conosce Grease-Brillantina? Chi non ha mai sognato di uscire con Danny Zuko (interpretato da John Travolta) o avere la giacca delle Pink Ladies?

Grease è ambientato negli anni ’50 negli Stati-Uniti ed è considerato come uno dei più grandi musical di sempre.

I protagonisti sono Sanndy (Oliva Newton John) e Danny Zuko, due giovani innamorati che si sono conosciuti un giorno d’estate ma costretti a separarsi per via della fine delle vacanze, il classico “amore estivo”. Ci sarà una sorpresa per il nostro bad-boy: infatti, la dolce e ingenua Sandy si traferirà nella città di Danny e anche nella sua stessa scuola: ma per giungere al “vissero per sempre felici e contenti”, i due dovranno affrontare varie difficoltà legate non solo all’arroganza del protagonista ma anche ai loro amici.

In questo film c’è una famosa scena ambientata in un drive-in, nella quale Danny invita Sandy per riconquistarla, ma per via della sua frettolosità la ragazza scappa via piangendo. Così Danny, disperato e dispiaciuto, comincia a vagare per il drive-in cantando la canzone “Sandy”, dimostrando che è realmente innamorato.

Abbandonato al drive-in, definito un idiota, cosa diranno lunedì a scuola? Sandy, non lo vedi, sono in miseria. Avevamo iniziato, ora siamo divisi, non è rimasto niente per me.

Fonte: pinterest

2)The Founder di John Lee Hancock (2017)

So che cosa vi chiedete. Come fa uno di 52 anni, attempato, che vende frullatori per milkshake, a diventare il fondatore di un impero del fast food con 1600 ristoranti e un fatturato di 700 milioni di dollari? Una sola parola: perseveranza.

The Founder è un film che racconta la vera storia dell’imprenditore Ray Kroc (interpretato da Micheal Keaton) e di come sia riuscito a impossessarsi il marchio McDonald’s dai due fratelli McDonald. Il film si apre proprio con una scena ambienta in un drive-in, nella quale vediamo il nostro protagonista intento di vendere al proprietario un frullatore per il suo locale: ma gli affari per Kroc non vanno come sperato ed è costretto a girare con la sua macchina finché non si imbatte in un chiosco gestito dai i due fratelli. È proprio qui che Ray Kroc elabora il suo piano per rendere quel semplice fast-food il McDonald che tutti noi conosciamo.

Fonte: Comingsoon

3) American Graffiti di George Lucas ( 1973)

Siamo sempre in America, ma non un’America qualsiasi… È quella favolosa dell’ american dream, delle rock’n’roll hits, l’America ingenua e spavalda delle corse in auto alla James Dean, quella dove basta abbassare il finestrino di una splendida auto laccata per gustare hamburger e patatine fritte. È l’America di Grease, ma non proprio.

American Graffiti: poster. Fonte: posteritati.com

Cult diretto da George Lucas,  prodotto niente meno che da Francis Ford Coppola e interpretato da stelle come Harrison Ford (Bob Falfa) e Ron Howard (Steve Bolander), American Graffiti racconta l’ultima notte da liceali di quattro ragazzi pronti a spiccare il volo verso il college e l’età adulta.

Tra dilemmi adolescenziali e note strategie di rimorchio, Lucas affronta un periodo di passaggio fondamentale alle soglie di una nuova epoca. È il 1962 e come dice John Milner (Paul Le Mat), il più scapestrato dei quattro, «il rock’n’roll, dopo la morte di Buddy Holly non è più lo stesso».

Ma presto neppure l’America sarà più la stessa: l’assassinio di Kennedy, la guerra in Vietnam, le contestazioni giovanili porranno fine a quel sogno americano che il film coglie al suo tramonto.

Il Mel’s drive in. Fonte: wereporter.com

Non è un caso se il Mel’s drive-in – con la sua attraente insegna al neon –  è solo un locale sullo sfondo delle prime scena. I ragazzi, a differenza di Grease, non assisteranno a nessuna proiezione: ordineranno qualcosa da sgranocchiare per poi sfrecciare per le strade della città in cerca di qualcosa che forse è solo un’illusione.

4) La leggenda di Al, John e Jack di Massimo Venier (2002)

Non è la prima volta che in un film del trio assistiamo alla magia del cinema dentro il cinema (vedi Così è la vita del 1997).

Questo film del 2002, parodia mai scadente del genere gangster, si apre proprio in un drive-in. Siamo a New York, nel 1958 e sullo schermo viene proiettato Vertigo (meglio conosciuto in Italia come La donna che visse due volte).

Al,John e Jack al drive-in. Fonte: justwatch.com

Alla tensione della pellicola hitchcockiana fa da contraltare quella più comica dei tre impacciati malavitosi Al Caruso (Aldo Baglio) Johnny Gresko (Giovanni Storti) e Jack Amoruso (Giacomo Poretti), accorsi alla proiezione per cogliere il boss Sam Genovese (Aldo Maccione) in flagrante di reato e venderlo all’FBI.

L’espediente sarà un vecchio registratore a cassette che comporterà non pochi problemi, dando risvolti divertenti alla vicenda.

Insomma, se in un vicino futuro l’ipotesi drive-in diventerà concreta realtà, speriamo di non rimanere invischiati in simili intrighi criminali. Anzi, speriamo di trovare a fianco della nostra auto tre spioni così simpatici come Aldo, Giovanni e Giacomo.

5) Nuovo cinema paradiso di Giuseppe Tornatore (1988)

Chi non conosce Nuovo Cinema Paradiso?

L’amore per il cinema raccontato dal cinema stesso, attraverso la storia del piccolo Salvatore detto Totò (Salvatore Cascio) che troverà nel proiezionista Alfredo (Philippe Noiret) il proprio mentore e padre in un paesino siciliano del dopoguerra.

A partire da una vita che “è più difficile di quella vista al cinematografo“, ma che trova il proprio riscatto proprio grazie a quest’ultimo, Nuovo Cinema Paradiso rivela la propria potenza non solo nel messaggio ricco di profondità, ma nelle immagini iconiche e attuali… fino alla profezia! Pensate alla celebre scena in cui Alfredo proietta la pellicola I pompieri di Viggiù (1949) sul palazzo di fronte davanti alla folla sbalordita.

Nuova Cinema Paradiso: la proiezione sul palazzo.Fonte: farodiroma.it

Oppure a quella in cui il pubblico di Giancaldo, per sfuggire all’afa estiva, si trova ad assistere all’aperto all’Ulisse del ‘54 con Kirk Douglas e accorrono i pescatori dal mare sulle proprie barche, pronti anche loro a farsi suggestionare dalla magia del cinema.

Le barche che si accostano per guardare il film in Nuovo Cinema Paradiso. Fonte: El heraldo.hn

In tempi di pandemia qualcuno sembra aver fatto tesoro dei suggerimenti geniali di Tornatore.

Film cult come Pulp Fiction, Tempi moderni o Forrest Gump sono già stati proiettati sulle palazzine di città quali Roma, Bologna, Firenze e Bari nel mese di marzo, in piena quarantena.

Il “cinema da casa” a Roma. Fonte: donnemagazine.it

E chissà se, passati alla fase 2 e con le dovute distanze di sicurezza, un boat-in come quello che si vede in Nuovo Cinema Paradiso non potrà essere una soluzione tutta italiana di far ripartire l’industria cinematografica e il turismo sulle nostre belle coste!

Un’idea forse poco pratica, ma sicuramente originale.

Angelica Rocca, Alessia Orsa

 

Jova “trip” party: una pedalata alla volta

 Fonte:  Instagram @lorenzojova

Ancora una volta Jovanotti crea qualcosa di unico: questo docutrip è l’ennesima conferma della sua arte e del suo amore per la vita e per la libertà.

È davvero un ragazzo fortunato, ma il suo sogno lo condivide con noi.

Sulla piattaforma Rai Play è disponibile in esclusiva : “Non voglio cambiare pianeta, Dagli Appennini alle Ande, 4000 km fa”,  16 puntate girate on the road, tra orizzonti sconfinati e alberghi improvvisati che in quindici minuti ci portano dall’altra parte del mondo a chiacchierare con Jovanotti… di cosa? Beh, un po’ di tutto.

Ma come si potrebbe descrivere la novità di un grande artista, se non attraverso i titoli delle sue stesse canzoni?

SI PARTE, SI PARTE, IL DITO SULLE CARTE

L’idea di un viaggio in solitaria che nasce dalla confusione: il nostro caro Lorenzo, comincia a progettarlo dietro le quinte del Jova Beach Party, con l’aiuto dell’amico Augusto (con cui farà una tappa del viaggio).

Sembrerebbe strano ma lui dice: “Dopo ogni cosa importante ho voglia di fare un viaggio per stare da solo e farmela risuonare dentro”, l’emozione di un grande evento che l’ha impegnato per tutta l’estate pare poter essere elaborata solo in 4000 km tra Cile e Argentina, lungo la panamericana e le Ande.

Fonte: @lorenzojova

SEI COME LA MIA MOTO, SEI PROPRIO COME LEI

La sua moto stavolta sarà una bici, amica fedele e silenziosa.

Da montare e smontare, da caricare con una tenda , la “telecamerina”, cibo e bandierine: italiana, cilena e argentina. Compagna di viaggio e di camera, rispettosa dell’ambiente ma super attrezzata. Certo che di km ne hanno fatti, ore ed ore; la co-protagnonista di questo viaggio.

“Ma lo sai che c’hai una bella moto?” 

Fonte: @lorenzojova

La stanchezza e la fatica si sono fatte sentire e certamente la pioggia o il sole battente non lo hanno fermato: lui, la bici e inaspettatamente noi.

IL PIU’ GRANDE SPETTACOLO DOPO IL BIG BANG

Luoghi di un altro mondo, albe gratuite e tramonti mozzafiato. Jova, che: “saluti dallo spazio, le fragole maturano anche qua”, sembra aver capito di non voler cambiare pianeta. Ringrazia il sole di sorgere e saluta gli animali come se fossero suoi fratelli: lui stesso si descrive come un tale, riscoprendosi come una parte del tutto.

Fonte: @lorenzojova

Lama, lumache giganti, terra dei cactus, verde psichedelico e tropico del capricorno: perché qualcuno vorrebbe cambiare o maltrattare la nostra terra, soprattutto senza conoscere tutto quello che ci propone?

“Voglio stare qui, perché questo pianeta è un dono, è un miracolo in questo sistema solare”.

E IO SONO PROPRIO NEL MEZZO, NELLA TERRA DEGLI UOMINI

Nel suo percorso non sarà proprio solo; oltre la natura che lo abbraccia e lo rende parte di sé, incontrerà qualcuno, come Ilse: donna olandese di 70 anni che pedala da mesi e che in solitaria ci ha passato gran parte della sua vita; nelle persone del nuovo mondo rivede il viso “del mio babbo” e si presenta come Lorenzo, non come Jovanotti, svestendosi della fama e ritrovando la semplicità di andare al supermercato  o di comprare un piccolo lama da appendere alla bici, fa il turista e fa anche da guida.

Fonte: @lorenzojova

PAROLA MAGICA, METTILA IN PRATICA

Quello di Jova è un inno alla continua ricerca dell’arte e alla sua scoperta in tutte le forme.

Dal titolo della mini serie stesso: Dagli Appennini alle Ande, che è ripreso dal libro cuore ( che ci confessa essere uno dei suoi preferiti); al titolo di ogni puntata: nome di una grande opera inerente a quella tappa e al suo viaggio.

Da poeti italiani come Primo Levi: di cui sceglie Lunedì, per il KM 0;  a poeti sud americani come Pablo Neruda: da cui prenderà in prestito un verso de il Pigro, per intitolare il suo “filmino”, fino a concludere con un: “vola solo chi osa farlo” del cileno Luis Sepulveda, in piena attualità e in pieno stile Jova, come a voler onorare e ringraziare la terra su cui sta pedalando.

fonte: ivoltidipas.it

IN QUESTI GIORNI IMPAZZITI DI POLVERE E DI GLORIA

Tra gennaio e febbraio, sono tanti giorni e tante “salitone e discesine”, Jovanotti pedala per tutti noi e ci rende partecipi di cosa vuol dire: la fatica, stare lontano dalle sue ragazze e di come è bella la vita se si “fa una pedalata alla volta”.

Ma oltre la filosofia, c’è la realtà di un uomo che non ha mai smesso di credere nella fantasia e nell’arte e ancora una volta ci stupisce, stupendosi egli stesso della bellezza del nostro mondo.

Barbara Granata 

Cinema rompicapo: 5 film che metteranno a dura prova la vostra mente

Spesso un buon film è un’ottima occasione per evadere un po’ dai pensieri della nostra routine che ci schiaccia. A questo scopo, quale film migliore se non uno che ci arrovella così tanto il cervello da costringerci a spremere ogni nostro neurone per venire a capo di enigmi e controverse meccaniche presenti nella storia che stiamo guardando?

Eccovi dunque cinque film la cui visione potrebbe tenervi svegli tutta la notte nel tentativo di capire cosa abbiate appena visto.

1) Fight Club (David Fincher, 1999)

Tratto dall’omonimo romanzo di Chuck Palahniuk, il film si pone come una forte critica alla società contemporanea volta al consumismo più sfrenato.

Il protagonista è un impiegato in una società di assicurazioni interpretato da Edward Norton che, durante un viaggio di lavoro, incontra Tyler Durden (Brad Pitt) il quale conduce uno stile di vita diametralmente opposto al suo e rappresenta tutto ciò che l’impiegato vorrebbe essere. I due fondano un club dove gli uomini danno sfogo ai loro istinti violenti in combattimenti clandestini a mani nude, che ben presto comincia a mutare diventando un’organizzazione dalle proporzioni più grandi volta alla messa in atto di veri e propri attacchi terroristici contro le principali sedi del potere economico della città, sfuggendo al controllo del protagonista.

La nostra mente però può giocarci brutti scherzi e a volte la realtà che vediamo può rivelarsi ingannevole.

Edward Norton e Brad Pitt in una scena del film. Fonte: movieplayer.it

2) Donnie Darko (Richard Kelly, 2001)

Film che non ha bisogno di presentazioni in cui un giovanissimo Jake Gyllenhaal, ancora agli albori della sua carriera attoriale, interpreta Donnie, un liceale che sembra essere affetto da schizofrenia, poiché è l’unico a poter vedere Frank: quest’ultimo è un uomo con un vestito da coniglio che lo invoglia a compiere azioni sempre più drammatiche, senza che Donnie riesca ad opporsi al suo volere.

Tutto ha inizio con un incidente aereo che distrugge la camera del protagonista, il quale miracolosamente si salva per un attacco di sonnambulismo a causa del quale si sveglia nel bel mezzo di un campo da golf. La storia si snoda quindi tra paradossi temporali e wormhole fino ad arrivare a un finale che tuttora divide gli spettatori offrendo varie interpretazioni.

Donnie, la sua fidanzata Gretchen e Frank al cinema. Fonte: thevision.com

3) Mr. Nobody (Jaco Van Dormael, 2009)

All’interno di questa surreale pellicola veniamo catapultati in un futuro in cui l’uomo ha scoperto un trattamento che permette di vivere per sempre. Ma Nemo Nobody, interpretato da Jared Leto, ha 118 anni ed è l’ultimo uomo a non essersi sottoposto al suddetto trattamento e – di conseguenza – sarà l’ultimo uomo sulla Terra a morire.

Giunto quasi alla fine dei suoi giorni viene intervistato da un giornalista che gli chiede di raccontargli la sua vita. Inizia così un viaggio a ritroso nelle memorie dell’anziano che analizza tutte le scelte che l’hanno condotto fino a quel momento, ripercorrendo tre età fondamentali della sua vita. Si scoprirà che non sempre l’inizio e la fine del concetto che chiamiamo “tempo” sono come ce li aspettavamo.

Nemo Nobody (Jared Leto) a visita dal suo medico. Fonte: filmpost.it

4) Inception (Christopher Nolan, 2010)

Vincitore di 4 premi Oscar vanta anche un cast di tutto rispetto tra cui Leonardo Di Caprio e l’inseparabile coppia Tom Hardy/Cillian Murphy.

Cosa accadrebbe se un estraneo prendesse il controllo dei nostri sogni? Questo è possibile in Inception grazie a un macchinario che permette di entrare nei sogni delle persone e impiantare delle idee nella mente dei sognatori. Questa pratica è, tuttavia, molto pericolosa: stare troppo dentro un sogno ed entrare sempre più a fondo nella mente di qualcun altro può far perdere il contatto con la realtà. Una continua alternanza di sequenze tra sogno e realtà che conduce a un finale ricco di incertezze e che spinge ogni spettatore a chiedersi se il protagonista stia ancora sognando o sia sveglio.

Il totem di Dom Cobb (Leonardo Di Caprio). Fonte: auralcrave.com

5) Madre! (Darren Aronofsky, 2017)

Madre! rappresenta probabilmente la più grande sfida che il regista ha lanciato alla critica cinematografica, essendo il film un concentrato di metafore e simbolismi spinti spesso anche all’eccesso.

Il film è avvolto da un alone di mistero, complice anche la mancanza di nomi dei personaggi: ad esempio, i due protagonisti, interpretati da Jennifer Lawrence e Javier Bardem, sono chiamati semplicemente “madre” o “Lui”. All’inizio della storia veniamo introdotti alla tranquilla vita della giovane coppia che vive in una bella casa isolata dal resto del mondo, anche se non lo rimarrà a lungo: assisteremo infatti all’arrivo di uno straniero che si è perso e viene invitato dal padrone di casa a fermarsi per la notte. Da questo momento la coppia verrà travolta da una serie di eventi che porteranno alla distruzione della loro realtà.

Jennifer Lawrence in una scena nella casa. Fonte: movieplayer.it

Viene da chiedersi come questi registi possano partorire delle storie così intricate, ma in fondo sono pur sempre degli artisti e si sa che per esserlo bisogna essere un po’ strani. Anche se, come ci insegna Donnie Darko, “strano” può essere anche un complimento.

Davide Attardo

“Don’t stop” all’improvviso: è il ritorno degli Oasis?

A quanto pare il 2020 regala anche qualche gioia.

Alle 23.59 del 29 Aprile tanti erano i fan che aggiornavano le varie piattaforme musicali in attesa del rilascio del singolo Don’t stop.

Per i pochi che non li conoscessero, ripercorriamo brevemente la storia del gruppo.

Gli Oasis nascono a Manchester nel 1991 da un progetto dei fratelli Noel e Liam Gallagher a cui presero parte Paul “Bonehead” Arthurs, Paul “Guigsy” McGuigan e Tony McCarroll. È questa la prima formazione che, nel corso degli anni, ha visto cambiare diversi componenti (Alan White, Gem Archer, Andy Bell, Zak Starkey), mantenendo al centro dell’attenzione l’eccentrica coppia Gallagher.

“Don’t Look Back in Anger”, “Wonderwall”, “Champagne Supernova” sono solo alcuni dei brani che li hanno consacrati come band di riferimento del Britpop, movimento musicale inglese che ha caratterizzato gli anni ’90. L’apice venne raggiunto nel 1995 quando si resero protagonisti della storica band battle con i Blur (vago ricordo all’analoga contesa tra Beatles e Rolling Stones), uscendone vincitori e sopravvivendo allo stesso movimento, grazie anche all’esplosione oltre oceano dei primi anni 2000.

Il 2002 segna <<una nuova era>> per la band, come detto dal fratello maggiore stesso con brani del calibro di Stop Crying Your Hearth Out e Little by Little.

In totale la loro carriera conta più di 70 milioni di dischi in tutto il mondo e vanta numerosi riconoscimenti sia per i singoli che per la band, che si è aggiudicata per due anni consecutivi nel 1995 e 1996 (come Noel Gallagher) il prestigioso riconoscimento Song writers of the year.

Il sipario calò su di loro a seguito dello scioglimento, a tre date dal termine del tour mondiale, nell’agosto 2009 con una lite accesa tra i due fratelli (due chitarre ne furono vittime), che vide Noel annunciare la sua definita uscita dal gruppo e l’inizio della sua carriera da solista.

«È con un po’ di tristezza e grande sollievo che vi dico che questa notte lascio gli Oasis. La gente scriverà e dirà quello che vorrà, ma semplicemente non riuscirei a lavorare con Liam un giorno di più. Le mie scuse a tutte le persone che avevano comprato i biglietti per Parigi, Costanza e Milano.»

Sono passati 11 anni durante i quali i fan hanno sempre coltivato il sogno di una reunion, a volte alimentata anche dallo stesso Liam, ma sempre prontamente smentita, spesso in modo ironico e colorito, dal fratello maggiore.

Capite bene quindi che per gli appassionati leggere rumors su un nuovo singolo, abbia riacceso la speranza.

Liam con un tweet criptico lasciava presagire imminenti novità paragonabili al passaggio dell’asteroide che in questi giorni si è avvicinato alla terra.

Ma è stato proprio Noel a ritrovare in una tranquilla giornata di pulizia di quarantena questo reperto storico, già noto ai fedelissimi, risalente ad un soundcheck del concerto di Hong Kong di 15 anni prima e mai ufficialmente pubblicato.

Ecco così svelato l’arcano mistero.

Don’t stop

Se da una parte le sonorità ci portano indietro nel tempo ai vecchi e buoni Oasis, dall’altra il testo della canzone risulta tristemente attuale:

Bye bye my friend, I’m leaving
I’m gonna feast on the stars in the sky
And while I’ll be gone, don’t stop dreaming
And don’t be sad and don’t cry

al contempo però lascia aperto un invito alla speranza, a non arrendersi davanti alle avversità:

Don’t stop being happy
Don’t stop your clapping
Don’t stop your laughing

e ad aggrapparsi alla vita per allontanare “la notte”, come a voler allontanare “il buio” di questo brutto periodo:

Take a piece of life, it’s alright

To hold back the night.

Che sia stato forse il coronavirus a fare da paciere e a dare l’input per un concerto, magari benefico?

Non sembra, purtroppo, questo il caso.

Ad infrangere i sogni dei fan ci hanno pensato gli stessi fratelli – chi prima, chi dopo – lasciandosi andare su Twitter o tramite interviste a vari giornali ad un ping pong di dichiarazioni al veleno, che vanno avanti oramai da anni. Nonostante entrambi siano ben consapevoli che le loro carriere da solisti non raggiungeranno mai i numeri che toccavano insieme, non ne vogliono proprio sapere.

Anche un momento di condivisione come il lancio di “Don’t stop” ha lasciato emergere questi dissapori.

Liam stesso (sempre stato il più nostalgico dei due)  in un primo momento si è lasciato prendere dai ricordi che suscita la canzone (primo tweet), per poi ritrattare ed attaccare Noel a distanza di poco tempo (secondo tweet). Ha inoltre sfidato il fratello a pubblicare anche “Step Out” un brano da lui scritto e di cui il primogenito sarebbe geloso, consapevole del fatto non vedrà mai la luce.

Ma, come si dice, la speranza è sempre l’ultima a morire, nonostante i “tweet” siano avversi e probabilmente i due Gallagher starebbero ad un metro (forse più) di distanza anche senza l’ordine del distanziamento sociale!

Eppure, come disse Noel stesso:

<<La forza più grande degli Oasis era la relazione tra me e Liam. E alla fine è anche ciò che ha messo in ginocchio la band>>.

Forse basterebbe seppellire l’ascia di guerra e don’t look back in anger?

 

                                                                                                                    Claudia Di Mento e Luca Giunta

Viaggio alla scoperta di Calcutta: tra luoghi e città d’Italia

Se parliamo di Calcutta pensiamo all’indie che è diventato fenomeno mainstream, pensiamo ai testi indecifrabili quasi quanto una poesia di Ungaretti ed illustrati sui social, ad un tipo di cantautore schivo e riservato un po’ alla Battisti. Ma soprattutto alle immagini e ai luoghi che le sue note sono in grado di evocare anche se le ascoltiamo stesi tra “i sospiri nel letto”.

Quante città e luoghi d’Italia sbucano nelle sue canzoni? Lasciate perdere “Milano” e “Frosinone”. Oggi che è il compleanno di Edoardo d’Erme, in arte Calcutta, vi trascineremo in un viaggio coinvolgente dentro cinque canzoni che saranno in grado di farvi partire, anche durante questa noiosa quarantena!

Edoardo d’Erme, in arte Calcutta, in concerto all’Arena di Verona. Fonte: news mtv italia.it

Gaetano

“E ho fatto una svastica in centro a Bologna ma era solo per litigare”

Un must della discografia di Calcutta è sicuramente la traccia che apre l‘album Mainstream ( 2015),  una ballata  tradizionale nella struttura ma che strizza l’occhio al synth-pop soprattutto nell’ultima parte. “Le fiamme in un campo rom” e “la svastica in centro a Bologna” sono immagini molto forti, che a una lettura superficiale sono state giudicate filonaziste. Ma al di là di singole parole e frasi quasi incomprensibili, emerge una dedica un po’ arrabbiata forse a un’ex troppo diversa che è bene lasciar andare. E poi la confessione esplode con dolcezza nel bridge: “Ma in verità ti vorrei accompagnare/ fare ancora quattro passi con te/ ma è difficile se vai veloce stare al passo con te…” “Come si fa?” si chiede l’autore. E ce lo chiediamo tutti con lui in un intermezzo strumentale sognante e a tratti beatlesiano.

“Mainstream”: cover. Fonte: amazon.it

Cosa mi manchi a fare

“Pesaro è una donna intelligente/ forse è vero ti eri fatta trasparente”

Ma che caspiterina significherà mai “Pesaro è una donna intelligente”? Inserire città a caso nei versi delle canzoni è forse la nuova moda dei cantanti indie? In ogni caso le canzoni di Calcutta sono così: inutile puntare a scovare il significato del singolo verso, ma farsi travolgere dal potere evocativo del suono.

E per suono non si intende solo quello delle note, ma anche e soprattutto quello delle parole. Arrangiamenti elettronici e versi schietti come “volevo solo scomparire in un abbraccio” sono gli ingredienti di questa ballata del 2015 tratta sempre da Mainstream e che ha segnato la nascita del fenomeno Calcutta. Il video-clip che ha per protagonista un bimbo come tanti testimonia ancora di più il carattere schivo e restio ad autocelebrarsi del suo autore. Notevole anche la cover acustica di Coez tratta dal suo From the rooftop (2016).

Chi non si è mai commosso su queste note mente!

Dal videoclip di “Cosa mi manchi a fare”. Fonte: listone mag.it

 

Sorriso

“Milano-Dateo sulla mappa è un neo”

Siamo ormai alla traccia più recente: “Sorriso” singolo pubblicato il 7 giugno 2019 e inserito poi nella ristampa di “Evergreen”.

Cos’ha ormai da raccontarci un cantante indie prestato al pop?

In “Sorriso” abbiamo sempre una città: Milano – già protagonista della canzone omonima (Mainstream) e di “Paracetamolo” (Evergreen)- con il suo caotico labirinto di strade e stazioni metro che sulla mappa spariscono quasi come nei. E in questa folla di persone che si incontrano, si perdono e non si baciano da due anni, il cantante strappa alla sua amica una promessa: “Ti prego amore mio promettimi/ che persa nei tuoi giri/ se qualcuno poi ti parla di me (parla di me)/ un sorriso ti spaccherà in tre.” Pare che l’ispirazione del nostro D’Erme sia stato l’abbagliante sorriso di Mia Martini appena le nominarono il suo amore di un tempo: Ivano Fossati. Un motivo in più per ascoltarla.

 “Sorriso”: cover. Fonte: Amazon.it

Hubner

“ Venezia è bella, ma non è il mio mare”

Questa è forse una delle canzoni meno conosciute del cantante di “Pesto”, ma sicuramente meritevole di ascolto al pari di tante altre. Settima traccia di “Evergreen” (2018), è forse una delle più intimiste, con arrangiamenti e coretti vintage ed un testo ermetico a dir poco: “ io certe volte dovrei fare come Dario Hubner/ e non lasciarti a casa mai a consumare le unghie” Dedica a un’amante insicura? Al di là dei soliti riferimenti geografici (compaiono Venezia e Fondi) spicca sicuramente la figura di Dario Hubner: per chi non lo sapesse, attaccante del Brescia negli anni ’90 ed “eroe romantico” in quanto esempio di calciatore coraggioso e ribelle. Che dire? La musica indie avvicina al calcio anche i profani!

“Evergreen”: cover. Fonte: genius.com

Del verde

“Preferirei una spiaggia di Sardegna”

Altra traccia di Evergreen su cui sono state fatte diverse congetture è “Del verde”. Stavolta non fa da sfondo nessun panorama urbano, ma spiagge di Sardegna e boschi imprecisati. Cos’è “quel verde tutto intorno” che il cantante preferirebbe anche alla “città più bella che abbia visto”, alle comodità della vita, al tanto decantato “posto fisso”? Le orecchie più maliziose sentono un riferimento alla droga. Gli animi romantici vedono una coppia di amanti che al di là delle ristrettezze economiche (“ti presterò i miei soldi per venirmi a trovare”) possono giocare ad essere per un po’ “Sandra” e “Raimondo”, perdersi nel bosco e prendersi “una notte per ricominciare”.

Calcutta in mezzo al “verde”. Fonte: mp3 cielo.it

Cos’altro aggiungere?

I nostalgici, per far conoscere l’Italia attraverso la musica, farebbero ascoltare ad uno straniero solo il grande cantautorato. De Andrè, Dalla, Battisti e tanti altri sono e devono rimanere mostri sacri e intoccabili, ma da un paio d’anni a questa parte l’indie-pop ha rappresentato una vera rinascita nel panorama musicale italiano. Non solo un fenomeno commerciale ed alla moda, ma un fiorire di testi profondi e originali. E tutto ciò non è da sottovalutare!

Angelica Rocca

Il Coronavirus blocca Hollywood: tante le uscite in sala rinviate

Quelli che stiamo vivendo sono giorni surreali, infiniti, sospesi nel vuoto.

L’emergenza pandemica che investito l’intero globo ha prodotto delle conseguenze concrete anche sul mondo della settima arte e delle dimensioni professionali che vi ruotano attorno.

Produzioni in stand-by, riprese interrotte, set “smontati”, serie tv sospese, uscite nelle sale rinviate e non solo.

Qui vi proponiamo una rapida – ma intensa  – carrellata di ciò che ci aspetta una volta rientrata l’emergenza sanitaria!

NO TIME TO DIE

Fonte: ItaliaSera

Il titolo del venticinquesimo lungometraggio dedicato alle gesta di James Bond, beffardo ed attuale quanto mai, era indubbiamente tra le pellicole più attese.
Il film diretto da Cary Fukunaga, inizialmente previsto per aprile, è stato posticipato al 12 novembre 2020. Considerando l’imminenza del suo arrivo in sala, con Daniel Craig & Co. in rampa di lancio, lo spostamento degli eventi marketing e della campagna pubblicitaria creata attorno all’ultimo capitolo di 007 non sarà affatto indolore per le casse della Universal.
Questo slittamento potrebbe costare tra i 30 e i 50 milioni, basti pensare ai 5 milioni di dollari investiti nel Super Bowl di febbraio.

FAST & FURIOUS 9

Fonte: Comicus

Come insegna il buon vecchio Dominic Toretto: la famiglia prima di tutto. Del resto si sa: la famiglia va protetta, a qualsiasi costo.
Questa volta, però, Vin Diesel ha dovuto inserire la retromarcia.
La star americana, inizialmente, aveva rassicurato i fan della fortunata saga Fast & Furious, garantendo loro l’uscita regolare del nono attesissimo capitolo.
L’attore aveva anche rimarcato l’importanza del cinema come fonte di svago e di leggerezza in un momento delicato ed incerto come questo.
Purtroppo per i fan del cinema rombo e motori così non è stato, anche l’uscita di Fast & Furious è stato rimandato al 2 aprile 2021.

A QUIET PLACE 2

Fonte: Ansa

La prima pellicola è stata una delle sorprese del 2018.
Un dramma familiare che rende la narrazione tesa ed estremamente coinvolgente, ambientato in uno scenario post-apocalittico ispirato, visivamente potente e soprattutto credibile.
Il sequel, che era previsto per Aprile 2020, è la naturale conseguenza di un successo acclamato.
A Quiet Place 2 slitta a data da destinarsi, ad annunciarlo è stato Krasinski regista-attore-sceneggiatore con attraverso il suo account Instagram: “Le persone sostengono che il nostro film vada visto tutti insieme in sala. Ebbene, a causa delle mutevoli circostanze di ciò che sta succedendo in questo momento intorno a noi, questo non è chiaramente il momento giusto per una cosa del genere. Anche se eravamo estremamente entusiasti di farvi vedere il film al più presto, aspetteremo a distribuirlo, in modo che tutti possiamo vederlo insieme”.

BLACK WIDOW

Fonte: SkyNews

Anche un colosso come la Disney ha dovuto deporre le armi davanti al nemico invisibile coronavirus.
Dopo aver resistito sino all’ultimo, anche Black Widow viene travolto da questo ineluttabile effetto domino.
Il cinecomic dedicato ad esplorare le “ombre” affascinanti di Vedova Nera, interpretata dalla magnifica Scarlett Johannson quest’anno candidata a due premi Oscar, era previsto nelle sale italiane per il 30 aprile, ma è stato spostato a data da destinarsi.
Dunque anche i fan dei fumetti Marvel dovranno arrendersi all’idea di pazientare per vedere in sala il primo adattamento cinematografico sulla Vedova Nera.

AVATAR

Fonte: TgCom24

La produzione dei tre attesissimi sequel di Avatar, le cui riprese erano in corso in Nuova Zelanda, è stata “rinviata fino a nuovo avviso”.
Il cast e la troupe della saga creata e diretta da James Cameron sono tornati a Los Angeles.
La previsione, sebbene molto ottimistica, è quella di tornare negli studi di Wellington entro la fine dell’anno.
Pare quindi che il coronavirus abbia messo in ginocchio anche i “giganti blu” di Pandora, chissà ancora per quanto tempo.

MATRIX 4

Fonte: Ciak!

Anche la quarta pellicola dell’ormai storico “The Matrix” ha dovuto chiudere i battenti della produzione.
Conclusesi le riprese in quel di San Francisco, il progetto si è letteralmente arenato a Berlino, dove l’intera troupe si trova bloccata.
Non è ancora stata comunicata una data di uscita nelle sale dell’ultimo entusiasmante atto che vede di nuovo insieme Keanu Reeves e Carrie-Anne Smith.
Un po’ di pazienza, Neo sta per tornare nel cyber-spazio.

THE BATMAN

Fonte: Movieplayer

Le riprese del nuovo lungometraggio sull’ultimissima versione del celebre uomo-pipistrello della DC, già fermatesi per due settimane, sono state ulteriormente arrestate per ovvi motivi di sicurezza.
Il regista Matt Reeves ha confermato sul suo profilo Twitter la proroga dello stop: “Ci siamo fermati finché non sarà sicuro per tutti noi riprendere le riprese. Tutti sono al sicuro per il momento, grazie per averlo chiesto, e state al sicuro anche voi”.
The Batman aveva attirato i riflettori di Hollywood su di sè, soprattutto per la presenza di Robert Pattinson, ritenuto perfetto persino dall’ex Batman Ben Affleck.

Ai cinefili è chiesta in questo momento un po’ di pazienza.

Tutto è stato sospeso, nulla cancellato Il prossimi mesi saranno pregni di buon cinema, abbiate fiducia.

Antonio Mulone

Da Mario Girotti a Terence Hill: nascita di un’icona

Fonte: Secolo d’Italia- Terence Hill

Terence Hill potrebbe tranquillamente essere il nome di un noto personaggio statunitense… invece no. Terence Hill è il nome d’arte di Mario Girotti, uno dei più celebri attori italiani. Nasce a Venezia – come oggi – ben 81 anni fa da madre tedesca e padre italiano. Per sfuggire ai bombardamenti della Seconda Guerra mondiale si trasferisce in Sassonia (Germania) con la famiglia per poi tornare in Italia durante gli anni del liceo, anni in cui si dedicherà ad una delle sue più grandi passioni: il nuoto.

Ma cosa lo ha spinto a cambiare totalmente carriera?

Ripercorriamo insieme le sue fortunate esperienze cinematografiche e televisive!

I primi esordi

Nel corso di una gara di nuoto viene notato da Dino Risi, il quale lo sceglierà per un ruolo nel film “Vacanze col gangster, (1952)”. Cosciente ancora del fatto che la sua vera passione sia il nuoto e non la recitazione, Mario Girotti continuerà ancora a recitare solamente con lo scopo di  pagarsi gli studi classici. Nel 1957 recita in Lazzarella di Carlo Ludovico Bragaglia per arrivare successivamente allo sceneggiato televisivo “Il ritratto di Dorian Grey” , tratto dall’omonima opera di Oscar Wilde, in cui ottiene il ruolo principale e verrà conosciuto così dal grande pubblico.

Galeotto però fu Luchino Visconti che scelse il giovane per il ruolo del Conte Cavriaghi ne “Il Gattopardo”; da qui Mario Girotti capirà di volersi dedicare alla carriera cinematografica.

 

Gli anni degli spaghetti western

Alla volta della Germania per studiare recitazione l’attore qui verrà scritturato per alcuni film western.

Tornato in Italia dopo l’esperienza tedesca  diverrà quello che forse potremmo definire l’antesignano di un western tutto all’italiana; con lui prenderà piede infatti il genere “spaghetti western” caratterizzato dall’uso della comicità.

Il nome Mario Girotti risultava molto provinciale per il genere di film che si accingeva a fare. Serviva qualcosa che avesse il “sapore di America”, qualcosa che sapesse di vecchio west insomma, e così Mario Girotti diviene Terence Hill.

Complice del suo successo sarà anche il sodalizio artistico con Carlo Pedersoli in arte Bud Spencer con il quale condivide anche la passione per il nuoto.

Fonte: Everyeye Cinema- Bud Spencer e Terence Hill in Lo chiamavano Trinità

Fu nel set de “Dio perdonaio no!” che i due si conobbero.

Ma il film che identifica la coppia Bud SpencerTerence Hill con il western all’italiana è Lo chiamavano Trinità, pellicola del 1970 in cui Terence Hill, in un approssimato ambiente western in un parco naturale fra Lazio e Abruzzo, interpreta il giovane pistolero Trinità che dovrà difendere, insieme al fratello Bambino (Bud Spencer) un  gruppo di mormoni perseguitati dalle intimidazioni del maggiore Harriman.

Da questi lavori è visibile la tempra risoluta di Terence Hill, capace, per interpretare al meglio il suo personaggio, di digiunare per tre giorni per la riuscita della scena iniziale, ovvero Trinità che entra in un saloon e divora una scodella piena di fagioli al sugo.

Fonte: Ristorazione con Ruggi- Terence Hill nella scena cult dei fagioli

Numerosi film dello stesso genere seguirono Lo chiamavano Trinità, complici sicuramente le doti attoriali di Terence Hill, il sodalizio con l’amico e collega Bud Spencer, ma sicuramente anche le caratteristiche fisiche; non tanto per essere possente, quanto per i connotati del viso: gli occhi azzurri acceso, i capelli biondi e il tipo di carnagione olivastra sono propri nell’immaginario collettivo degli attori dei western americani.

 

Dagli spaghetti western alle fiction della maturità

È riduttivo sicuramente identificare il personaggio di Terence Hill solamente con il western all’italiana, sebbene questo abbia rappresentato una fase significativa della sua carriera e abbia contribuito alla sua crescita attoriale. Negli ultimi 20 anni lo vediamo infatti protagonista di molte fiction di successo nel piccolo schermo.

Tutti ormai conosciamo le vicende del prete detective in bicicletta giunte ormai alla dodicesima stagione. Don Matteo è famoso per riuscire a scovare i colpevoli prima dei carabinieri che conducono le indagini. Non ha bisogno di particolari indizi e prove, il nostro prete fa molta attenzione, giocando d’astuzia, alla psicologia della vittima e di chi gli sta attorno.

Fonte: Ciak Generation- Terence Hill in Don Matteo

 

Un’altra fiction con protagonista Terence Hill che merita di essere menzionata è “L’uomo che sognava con le aquile” (2006) andata in onda in due puntate su Rai 1 e ambientata nella splendida cornice dell’Aspromonte. L’attore questa volta interpreta Rocco Ventura, un avvocato che si è dedicato alla pastorizia, impegnato su tutti i fronti per difendere la sua azienda e la sua proprietà davanti a chi vorrebbe renderla un complesso residenziale.

Fonte: Amazon.it

Personaggi astuti che combattono contro le intimidazioni dei potenti, dinamismo nelle scene, tempra risoluta e figure carismatiche sembrano tutti elementi costituenti la cifra stilistica dei personaggi di Terence Hill partendo dagli spaghetti western a questi ultimi che abbiamo definito come fiction della maturità, sebbene siano generi tra loro diversi.

Nel fare gli auguri a Terence Hill, ci auguriamo anche che continui a regalare capolavori sia nel piccolo che nel grande schermo.

                                                                                                                                                                                          Ilenia Rocca