Amor Vincit Omnia: 51 anni di bandiere arcobaleno

Quando si pensa al mondo LGBTQ+, si pensa subito alle bandiere arcobaleno e alle proteste ma, dai Moti di Stonewall del 1969 all’attuale genitore 1 – genitore 2 , ne è passato di tempo.

Oggi come allora, si festeggia il Pride Month: evento affascinante ma ricco di valori che, con le sue parate in giro per il mondo, vernicia di mille colori le critiche e i pregiudizi rispettando la regola del “ridere di ogni problema, mentre chi odia trema”.

Fonte: Wired

Ed è a modo nostro che vogliamo ricordare e celebrare questo giorno e per farlo abbiamo selezionato tre tra documentari, serie tv e film più significativi – in una marea di possibilità –  e fidatevi, ce n’è per tutti i gusti!

The Death and Life of Marsha P. Johnson

Marsha P. Johnson è stata un’attivista per i diritti LGBTQ+ la cui storia è parte fondamentale dello sviluppo della comunità, a tal punto da essere vista come un’icona dei Moti di Stonewall.

Ci verrà raccontata in un documentario, diretto da David France e disponibile su Netflix.

Fonte: serial-escape.com – locandina ufficiale

La sua storia è esposta in modo originale, raccontata tramite la figura dell’investigatrice Victoria Cruz, un’ attivista transgender che ha dedicato tutta la sua vita alla comunità LGBTQ+, applicandosi alla prevenzione della violenza. Nel documentario, Victoria, ormai prossima alla pensione si propone di risolvere un ultimo caso: l’enigmatica morte di Marsha il cui corpo venne trovato nel fiume Hudson nel 1992.

La stessa Cruz, la definì come «la Rosa Parks della nostra comunità» volendo sottolinearne la forza e l’importanza delle sue azioni per il mondo LGBTQ+. In un’ora e quarantacinque minuti pieni di storia e di realtà, non potevano mancare la denuncia alla violenza e ai soprusi nei confronti delle persone di colore e dei “diversi” in generale, condizioni molto in voga nell’America degli anni sessanta (e di adesso).

Con l’obiettivo di mantenere viva la memoria di Marsha, France ci propone uno spunto di riflessione e al contempo una forma di intrattenimento diversa dal solito.

Pride, Matthew Warchus (2014)

Il film Pride, diretto da Matthew Warchus (e disponibile su Amazon Prime Video) è basato su un’ incredibile storia vera.

Fonte: cinema.everyeye.it – rivolta

Ambientato nel 1984, racconta di un gruppo di giovani attivisti londinesi, capitanati da Mark Ashton, che decidono di impegnarsi a raccogliere fondi per sostenere uno sciopero indetto dai minatori Gallesi. Questi, infatti, si stavano ribellando al governo di Margaret Tatcher, che aveva imposto la chiusura dei loro posti di lavoro.

Sebbene – apparentemente la causa dei minatori non trovi punti di incontro con la comunità LGBTQ+, ben presto risulterà evidente come la battaglia dei due gruppi fosse una rivolta all’intolleranza della società di quegli anni.

Questo film mostra come possa nascere un inaspettato rapporto di amicizia e di stima reciproca anche tra persone che hanno idee diverse e che sembrano combattere per obiettivi diametralmente opposti ai nostri;  ci pone davanti a delle tematiche importanti: dai diritti civili alla paura dell’AIDS, fino alla ricerca della rivoluzione.

È così ricco di momenti suggestivi e di significati che stenterete a credere che sia una storia vera!

Sense8

Sense8, uno dei gioielli della grande N, è una serie tv che ha riscosso un successo clamoroso e che nei suoi ventiquattro episodi (più un extra) esaspera il concetto di empatia, introducendo i sensate. Gli otto protagonisti infatti, avranno la possibilità di una connessione interumana e vivranno esperienze ed emozioni oltre i confini (anche geograficamente parlando), senza pregiudizi e con un pizzico – o forse più – di fantascienza.

Ma nel contesto dei mille colori della sceneggiatura, spicca Nomi: sensate che mostra sin da subito il suo essere forte e brillante; è una donna transgender che si trova a vivere in un contesto familiare e sociale non pronto a lei e al suo amore.

Fonte: telefilmaddicted.com – Nomi e Amanita

La tenacia del personaggio è così coinvolgente da realizzare una connessione con gli spettatori (di qualsiasi orientamento e ideologia), e questa verrà espressa in dei monologhi che mostrano come combattere la sofferenza e i giudizi altrui : anche se ti reputano come  «qualcosa da evitare, forse anche da compatire, qualcosa che non si deve amare»  non vale la pena pensare che sia la verità, nemmeno per un momento.

È questo che Nomi ci insegna e se quello che vuole sarà un lieto fine, lo avrà.

Ma perché ci siamo innamorati di lei? Perchè l’interprete, la bellissima Jamie Clayton, donna transgender e attivista per i diritti LGBTQ+ mette se stessa nel personaggio.

Sapete qual è la cosa migliore? Che noi siamo li a guardarla vincere.

 

Quella tra il 27 e il 28 giugno è stata la notte del primo pride della storia. E se al giorno d’oggi, ogni mese di giugno, celebriamo il mese dell’orgoglio, lo dobbiamo a quella notte, alla prima rivolta. Come disse il maestro De Andrè:

Storia diversa per gente normale, storia comune per gente speciale

Barbara Granata e Valentina Tripepi

5+1 serie tv per farvi innamorare della (fanta)scienza

Tra le series più ricercate ci sono quelle tecnologiche e fantascientifiche, chissà perché!

Che siano forse troppi i nerd? O che siano forse tante le offerte del settore?

Sin dagli anni ‘60, da quando Star Trek – con Spock sulla navicella USS Enterprise – cominciò ad appassionare milioni di telespettatori e a rendere la sua idea di spazio e di futuro, fino ad arrivare ai giorni nostri, la scienza ha mantenuto un certo appeal. Che siano supereroi, storie vere o possibili realtà future, una cosa è certa: la scienza fa intrattenimento.

Così abbiamo scelto cinque (+ una) delle serie che meglio la rappresentano, in ogni suo aspetto e sfaccettatura.

1)The Big Bang Theory

Leonard, Sheldon, Howard e Raj, nel 2007 ci hanno fatto entrare nelle loro vite (e nel loro appartamento), presentando al mondo i nerd  e reclutando un esercito di ragazzi che – come i protagonisti – adorano i fumetti e indossano magliette dei supereroi,  ottenendo un successo strepitoso.

Fonte: over-blog-kiwi.com – Sheldon cita Star Trek

I quattro, alle prese con la quotidianità da cervelloni, dovranno fare i conti con Penny: una giovane aspirante attrice che, estremamente diversa da loro,  creerà un mix esilarante tra teoria delle stringhe e frivolezze.

È una serie cult ormai, premiata ma finita. Lascia un prequel, Young Sheldon, che racconta il genio del protagonista sin dalle scuole elementari, ma sappiamo che non basta: siamo sicuri, che The Big Bang Theory ci mancherà!

2)Rick and Morty

Ah, che belli i ricordi con i nonni! E questo,  Morty potrebbe dirlo più di tutti.

In un Cartoon, Netflix racconta il particolare rapporto nonno–nipote, riuscendo a condensare i temi più disparati: attualità, credenze mistiche e futuri impensabili.

Fonte: steamuserimages. com – Una tipica passeggiata nonno e nipote

La nonchalance di Rick  e l’insicurezza di Morty si armonizzano perfettamente e si addicono ad ogni avventura, che non sarebbe la stessa se non venisse vissuta con questo mix.

Tra un briciolo di gelida realtà e l’immensa comicità che la contraddistingue, è una serie da guardare e da riguardare, venti minuti di scienza esposta in modo (molto) poco convenzionale.

3) Stranger Things

Con un velo di nostalgia per gli anni 80, ci immergiamo in un atmosfera spielberghiana, in cui, per  quattro ragazzini, cominceranno una serie di eventi molto strani.

In coincidenza di un incidente nucleare, che creerà una breccia tra il nostro mondo e una dimensione non ben conosciuta, si perderà Will ma si conoscerà Undi, una ragazzina molto strana, appena scappata dalle forze governative.

Fonte: media.giphy.com – Will, Mike, Dustin, Lucas alla sala giochi

Nel giro di tre stagioni, vediamo come i nostri protagonisti riusciranno a combattere contro un upside down  misterioso – e spaventoso – e contro forze soprannaturali.

Questa serie ha avuto la capacità di far innamorare chiunque la guardasse, dai più giovani ai più adulti e, in attesa della quarta stagione, non si può far altro che un rewatch.

4) Orphan Black

Cosa fareste se vi ritrovaste davanti una persona identica a voi? E se poi questa si scoprisse essere un clone?

Sarah Manning e le sue sorelle scopriranno di esserlo, e – come se non bastasse – scopriranno di essere la punta dell’iceberg  di un progetto ben più complesso, che ha per obiettivo modificare e riprogrammare l’umanità.

Fonte: mediaite.com – Clone Dance/ Clone Club

In un contesto di scienza usata per un fine estremista, spicca il talento di Tatiana Maslany: già solo per questo varrebbe la pena guardare i quaranta minuti di ogni episodio.

L’estrema bravura di una sola attrice, che riesce ad essere copia di se stessa ma diversa in ogni atteggiamento e battuta.  Un capolavoro, in Italia purtroppo sottovalutato, che ci fa rendere conto di quello che potrebbe succedere quando l’uomo supera i limiti dell’etica e della scienza stessa.

5) Black Mirror

Lo specchio nero dei nostri dispositivi, ora più che mai è la fonte più vicina di scienza che abbiamo.

Quello che Black Mirror fa, e che giustifica il suo enorme successo, è rendere evidenti le crepe del rapporto uomo–macchina e mostrare da ogni punto di vista come l’evoluzione tecnologica stia andando più veloce di quella dell’uomo stesso.

Fonte: monstermovieitalia.com – logo BM originale Netflix

È una serie antologica difficile da classificare: distopica, attuale, horror, fantascientifica.  Non c’è niente di specifico per descriverla; le stagioni sono sconnesse tra loro, nonostante ci sia un sottile filo conduttore e le puntate non hanno un ordine ben preciso.

Quello che ha attratto milioni di telespettatori dunque,  è l’aver denunciato l’uso della tecnologia esasperato e l’aver mostrato come  le conseguenze che si avranno, saranno importantissime e disastrose.

5+1) Futurama

Da sempre , Bender, Fry e la loro ditta di consegne intergalattiche ci hanno tenuti incollati alla tv all’ora di pranzo.

La prima volta che l’uomo, la macchina e la galassia si sono uniti, in una sitcom disegnata dal celebre Matt Groening e che ha letteralmente posto il ventunesimo secolo in uno scenario nuovo: nel futuro anno 3000.

Un millennio in più, che però non è bastato a modificare le problematiche della società, ma ne ha solo mascherato l’evidenza e cambiato i protagonisti, includendo robot, alieni e mutanti.

Fonte: reactiongifs.us – Bender, Fry, Leela, professor Farnsworth sulla Planet Express

Sempre attuale e futuristica allo stesso tempo. Beh, adesso che è disponibile su Amazon Prime Video, non possiamo far altro che tornare a quel capodanno del 2000 e ibernarci con Fry!

Dunque, vediamo come questo argomento così complesso si mostra invece leggerissimo e fonte di intrattenimento (la cui lista sarebbe chilometrica).

Non è detto che la scienza sia noiosa, anzi tutt’altro, e non è detto che sia solo per cervelloni o per nerd, si presta a chiunque e ad ogni momento delle nostre vite e giornate.

Barbara Granata

100 anni con Alberto Sordi: un italiano dei nostri tempi

Il 15 giugno di cento anni fa nasceva Alberto Sordi, il nostro Albertone, una delle immortali maschere del cinema comico italiano.

Nasceva a Roma, quella Roma che meglio di chiunque altro ha saputo portare sul grande schermo. La Roma della corruzione, del pressappochismo, della rassegnazione, del qualunquismo e del servilismo. Ma anche la Roma degli imperatori, dei Fori e di Cinecittà, la Roma del “chissenefrega”, della gioia di vivere e di far ridere. Se la città eterna ha due facce – proprio come la luna – possiamo dire che Sordi ha saputo indossare a piacimento entrambe le maschere e velare di sorrisi e leggerezza difetti e contraddizioni della sua città … e di tutta l’Italia!

Esordi di un mito

Gli esordi di Albertone parlano da sé: nato in una famiglia in cui si respira aria d’arte (il padre è maestro di musica), non vuole proprio saperne di diventare ragioniere e tenta invece il grande salto nella carriera drammaturgica all’Accademia dei filodrammatici a Milano. Colmo dei colmi, qui verrà espulso per l’ inflessione troppo romanesca, quell’inflessione che darà un’impronta caratteristica e memorabile ai suoi personaggi. Cosa sarebbe l’americano di Steno senza il “mo me te magno!” con cui fa fuori un intero piatto di “maccaroni”?  Il fante Jacovacci senza il suo “Booni”? O il celebre marchese del Grillo senza il suo “Io so’ io e voi non siete un ca**o” simbolo di presunzione aristocratica?

Sordi ne ” Il marchese del grillo” di Monicelli, 1981. Fonte: wikipedia.org

Scartato dall’Accademia, Sordi tenta una scorciatoia per diventare attore: la carriera di doppiatore. Dal 1937 sarà infatti la voce italiana di Oliver Hardy (per intenderci: l’Ollio compagno di Stanlio). La sua caratteristica voce nasale gli darà modo di primeggiare anche a Radio Rai: qui creerà personaggi e macchiette trasposte poi in film di altrettanto successo.

 Albertone al cinema: la maschera dell’italiano medio

Talentuoso doppiatore, attore radiofonico e di teatro, ma anche compositore di memorabili canzoni, Albertone come mito nasce però al cinema e la sua fama è irrimediabilmente legata agli innumerevoli personaggi che ha saputo interpretare con realismo e comicità innata. Se pensiamo al cinema degli anni ’50  e ‘60 ci verranno in mente gli occhi di ghiaccio di Paul Newman, il fascino ribelle di James Dean o- per restare nei confini nazionali- la bellezza composta di un Mastroianni o l’imponenza di Gassman.

Alberto Sordi non era niente di tutto questo! Il faccione largo, il nasone adunco e il sorriso beffardo non rientravano certo nei canoni estetici dell’epoca, ma saranno tratti essenziali di quella maschera dell’italiano medio, signore assoluto della commedia all’italiana. Dopo l’esordio nei film dell’amico Fellini Lo sceicco bianco (1952), poco apprezzato dalla critica e il ben più fortunato I vitelloni  ( qui la nostra recensione in un articolo su Fellini), Albertone, diretto dai più grandi registi italiani, darà corpo e fiato a personaggi che si prendono gioco dei difetti dell’Italia del tempo grazie a una parlata tutta sua: ora piagnucolona e assillante, ora menefreghista e ipocrita nonché a un modo di camminare esemplare (si pensi al celebre saltello con cui entrava in scena anche negli spettacoli televisivi).

La celebre pernacchia ai lavoratori ne “I vitelloni”. Fonte: open. online

Tra i tanti, sarà nullafacente con la passione per l’America  in Un americano a Roma di Steno (1954), scapolo incallito ne Lo scapolo di Antonio Pietrangeli (1955) e poi marito di una tirannica Franca Valeri ne Il vedovo di Risi (1959), medico spregiudicato ne Il medico della mutua (1968) di Luigi Zampa e nel sequel del ’69 diretto da Salce.

Sordi che mangia i maccheroni nella celebre scena di “Un americano a Roma”. Fonte: wikipedia.org

Dalla fine degli anni ’60, affiancherà alla carriera d’attore quella di regista. Sordi regista porterà dietro la macchina da presa quel gusto tutto italiano di far ridere non rinunciando a rappresentare in maniera satirica luci e ombre della realtà sociale. Pellicole come “Fumo di Londra” e “Un italiano in America” (quest’ultima a fianco del grande De Sica) rappresentano realtà estere quali l’Inghilterra e gli States spesso troppo idealizzate dal Bel Paese.

A narrarle lo sguardo di un provinciale come tutti noi: incantato e stordito dalle insegne luminose e dal caos delle cities, scoprirà presto che Londra non è più capitale di gentleman in bombetta e il sogno americano di gloria e ricchezza è in realtà un incubo da cui ti svegli presto, pieno di debiti fino al collo e con gli strozzini alle calcagna.

Un italiano in America, locandina. Fonte: raiplay.it

L’eroe di Monicelli

È però la collaborazione con Mario Monicelli a rappresentare in maniera esemplare la splendente parabola comico-drammatica di Sordi. Soffermiamoci su due film celebri.

In  Un eroe dei nostri tempi  (1955) Alberto Sordi è tutt’altro che un eroe, anzi un classico antieroe proprio come lo è il Paperino dei fumetti. Adulatore dei superiori, infantile e petulante, Alberto Menichetti è un impiegato d’azienda che si dimostra vile in qualsiasi situazione quotidiana: sfugge alle botte dei più forti, non prende mai parte agli scioperi e per di più ha la fobia di rimanere incastrato nei fatti di cronaca più gravi.

Sordi che si dà per malato col proprio capo in “Un eroe dei nostri tempi”. Fonte: cristaldifilm.com

Insomma uno che in guerra se la svignerebbe sempre dalla trincea.

Sembra su questa linea un altro grande personaggio interpretato da Albertone, il fante romano Oreste Jacovacci ne La grande Guerra (1959). Il conflitto gli permetterà alla fine di sfoggiare doti di buon cuore e coraggio inaspettate che faranno di lui un vero eroe. È per Sordi la svolta: la sua prova d’attore regge anche in un contesto drammatico. Al suo fianco Vittorio Gassman nei panni del fante Giovanni Busacca, milanese anarchico sprezzante dell’amor patrio, degli ideali bellici e dei suoi commilitoni “da Roma in giù”. Insomma due realtà italiane che Monicelli mette a confronto con pregi e difetti senza far sconti a nessuno.

I due commilitoni Sordi e Gassman ne “La grande guerra”. Fonte: pinterest.it

Perché Sordi rappresenta ancora ognuno di noi?

C’è una comicità d’evasione in cui ci rifuggiamo per sfuggire ai conflitti e alle contraddizioni del quotidiano e c’è una comicità- specchio, che questi conflitti li mette in mostra senza paura. Ognuno di noi si riconosce in una sorta di ritratto buffo e satirico davanti al quale può ridere, ma anche prendere coscienza.

E questa è la comicità di Sordi, attuale come non mai.

Si pensi a Guido Tersilli, il medico della mutua, esempio di una sanità sempre più rivolta al lucro che alla salute dei pazienti. Sanità che – intendiamoci – non esiste soltanto nelle città da Roma in giù! Si pensi poi a Il boom, pellicola del 1963 diretta da De Sica, in cui Sordi interpreta un marito sommerso dai debiti  a causa del tenore di vita da alto-borghese.

Il boom, locandina. Fonte: raicultura.it

“Lei venderebbe un occhio?” si sente rivolgere il protagonista allibito. E’ una domanda che dovremmo trovare in tanti copioni odierni che si vantano di trattare temi politici e impegnati con la stessa franchezza e dove la parola “crisi economica” fa da padrone. Ma sono cambiati i tempi: manca quella disinvoltura, quella fantasia, quello sguardo attento al reale privo di buonismo, mancano i grandi registi della commedia all’italiana. Manca una maschera dalla risata amara. Manca un comico come Alberto Sordi!

 

Angelica Rocca

Fellini realista visionario: l’uomo che rubò le scene ai nostri sogni

Su Fellini si è detto e scritto tanto, si è cercato di scandagliare scena per scena i suoi film alla ricerca di significati allegorici, si è tentato anche all’estero di copiarlo – ora con successo, ora con esiti incerti – tentando di ricreare quell’universo grottesco e sublime ricco di simboli meravigliosi, ma anche di donne giunoniche e affascinanti latin lovers che per anni hanno incarnato la dolce vita italiana.

A cent’anni dalla sua nascita e a 60 dalla  Palma d’Oro a La dolce vita, Rai Movie sta trasmettendo dal 20 maggio, ogni mercoledì in prima serata, il ciclo di film e documentari intitolato “Fellini realista visionario”. Un ossimoro sta ad indicare uno dei più celebri registi, una definizione che possiamo spiegare allacciandoci a un altro grande genio italiano: Dante Alighieri.

Il realismo non sta in cosa si racconta, ma in come lo si racconta. Lo sapeva bene il poeta della Divina Commedia quando utilizzò le parole più crude per far parlare le creature dell’Inferno. Lo sapeva Fellini, fumettista prestato al cinema, che faceva dialogare i personaggi dei suoi film ciascuno con il proprio dialetto e insieme al sogno portava in scena vizi e ipocrisie della società italiana del tempo.

Se è abitudine consolidata studiare Dante al liceo, perché allora non far conoscere alle giovani generazioni anche Fellini?

La scelta di Rai Movie  si rivela perciò azzeccata e noi di UniVersoMe non possiamo fare a meno di segnalarvela con i dovuti approfondimenti.

 Ad inaugurare la rassegna è stata La dolce Vita (1960)

Uno dei primi capolavori del grande maestro, la pellicola che l’ha consacrato alla fama internazionale capace di imprimersi con scene celebri, modi di dire (ma anche di vestire) nella memoria collettiva italiana e del mondo intero.

La celebre scena della fontana di Trevi ne La dolce vita. Fonte: turismo.it

La fontana di Trevi con Anita Ekberg, archetipo della donna divina che grida “Marcello come here ” a un avvenente Mastroianni, “Paparazzo”, il fotoreporter che affianca il protagonista e che è diventato per antonomasia il nome di qualsiasi “avvoltoio” che vive di scatti scandalosi delle star, il maglioncino a collo alto indossato dai personaggi chiamato da allora in poi “dolce vita”: sono tutte immagini in miniatura dell’Italia mondana del boom economico.

È l’Italia di Via Veneto, crocevia di stelle del cinema, borghesi, intellettuali, artisti e giornalisti in cerca di scoop. Fellini rappresenta con spiccato realismo questo mondo di luci abbaglianti e flash fotografici attraverso la storia del giornalista Marcello Anselmi (Marcello Mastroianni), provinciale dalle aspirazioni letterarie emigrato a Roma per far fortuna.

Il 27 maggio è stata la volta di 8 ½ (1963)

Vincitore di 2 premi Oscar e ben 6 nastri d’argento, 8 ½  è la trasposizione in cellulosa di ciò che in letteratura hanno fatto geni come Joyce e Pirandello. Abbiamo sempre Marcello Mastroianni nei panni di Guido Anselmi, regista in preda a una crisi creativa ed esistenziale che gli impedisce di portare a termine il suo ultimo film. Memorie, allucinazioni e sogni (celebre la scena in cui il protagonista si alza in volo) si fondono assieme alla realtà in un flusso di coscienza continuo in cui lo spettatore può ammirare la realizzazione di un film in fieri.

Il sogno di Guido con cui si apre il film. Fonte: 180 gradi.org

8 ½ è stato salutato non a caso come l’esempio più brillante di metacinema: arte e vita si mescolano e il protagonista cerca come tutti noi l’ordine e la pulizia nel caos della vita. Guido non sa scegliere: conteso tra l’amore coniugale di Luisa (Anouk Aimée) e la passione  carnale per l’amante Carla (Sandra Milo), vagheggia un harem in cui può far convivere pacificamente tutte le donne della sua vita, coccolato e vezzeggiato come un bimbo, ma desidera essere salvato dalla tipica donna-angelo: qui entra in scena Claudia Cardinale che sembra condannarlo: “un tipo così non fa mica tanta pena”, “non sa voler bene”.

Mastroianni e Cardinale a confronto in uno dei più bei dialoghi del film. Fonte:pinterest.com

Fellini che invece vede in Guido il suo alter ego non condanna, ma racconta come pochi sanno fare!

Stasera alle 21: 10 non perdetevi I Vitelloni (1953).

Ambientazione nella natia Rimini per questo film di stampo neorealista del primo Fellini, in cui il suo stile magico è meno riconoscibile. I Vitelloni è la storia di cinque giovani perdigiorno restii ad assumersi le responsabilità della vita: a fare da sfondo una provincia stagnante e arretrata, in cui l’unico dinamismo è dato dal vento (elemento onnipresente nei film di Fellini) che soffia con forza in diverse scene.

Fausto (Franco Fabrizi), costretto a sposare la giovane Sandra ( Leonora Ruffo) perché rimasta incinta, rimane ancora un playboy; Riccardo (Riccardo Fellini, fratello del regista) si diletta a fare il tenore; Leopoldo (Leopoldo Trieste), l’intellettuale, tenta di sfondare come commediografo e Alberto (il grande Sordi che vinse il Nastro d’Argento), il più ridanciano, trova il proprio lato più maturo ergendosi a figura morale della sorella, che col suo lavoro in realtà sostiene madre e fratello nullafacente.

In questo spaccato si riscontra il maschilismo dell’epoca cui Fellini accenna senza tanta insistenza. Nel gruppo spicca però Moraldo (Franco Interlenghi), il più taciturno. Sarà lui l’unico capace di quella scelta drastica in grado di far decollare la propria vita.

Come continuerà il ciclo su Fellini

Il ciclo di Rai Movie proseguirà con La città delle donne (mercoledì 10 giugno in prima serata) e poi tutte le mattine alle 10: 30, da domenica 14  a sabato 20 con altri capolavori, tra cui Lo sceicco bianco e Ginger e Fred. Dal 24 si sposterà invece in seconda e terza serata. Scelta piuttosto discutibile: solo i “notturni” potranno assistere a capolavori come La voce della luna (con Benigni e Villaggio) o il meno conosciuto Prova d’Orchestra (1979).

Fonte: mymovies. com

È quest’ultima un’opera minore del maestro, modesta anche nella durata (70 min), che inscena la rivolta di un’orchestra nei confronti del proprio direttore autoritario. Che fosse il tentativo di Fellini di dire la sua sugli anni di Piombo?

Stupisce però in questa rassegna Rai l’assenza di titoli come Amarcord (1970).

 Fonte: amazon.it

Affresco magico della Rimini dell’infanzia in cui hanno trovato posto personaggi esemplari: la tabaccaia (Maria Antonietta Beluzzi), la sensuale Gradisca ( Magali Noel), lo zio matto interpretato da un grande Ciccio Ingrassia, il giovane protagonista Titta (Bruno Zanin) in preda ai primi risvegli sessuali e ai sensi di colpa dettati dalla cultura cattolica e arretrata in cui è immerso e dall’imperante mentalità fascista. Se amate i racconti corali alla Nuovo Cinema Paradiso, i ritratti dei borghi che non esistono più con i loro personaggi bizzarri, rimediate guardando questo degno antecedente.

Perché guardare ancora oggi Fellini?

Sicuramente la fine del lock- down sarà un’ottima scusa per uscire di casa e andare a gustarvi quella dolce vita che Fellini amava “sentire e non capire” e lasciar perdere la rassegna di RaiMovie. Ma quando avete un po’ di tempo, correte a recuperare questi film. Scoprirete forse che Fellini è un ladro: le sue immagini sembrano arraffate dai nostri sogni più stravaganti . Ma forse sta proprio in questo la grandezza di un genio: trovare il modo di dire ciò che ognuno di noi ha dentro di sé e non sa narrare.

L’apparizione di un pavone in mezzo alla neve in Amarcord. Fonte: movietravel.org

 

Angelica Rocca

Da tradito a “Traditore”: ritratto dell’uomo che svelò Cosa nostra a Falcone

Esattamente un anno fa veniva proiettata nelle sale italiane la pellicola “Il traditore” del regista Marco Bellocchio, incentrata sulla figura del boss pentito Tommaso Buscetta. Emblematica la data scelta per l’esordio, il 23 maggio, ricorrenza della strage di Capaci in cui persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. Una provocazione dunque? Decisamente no. È noto a tutti infatti il ruolo che Buscetta giocò nel far conoscere a Falcone personaggi, vita, segreti e comportamenti di Cosa nostra.

 Fonte: Periodico Daily                      

Il traditore non vuole essere il classico biopic che racconta staticamente la vita di un determinato personaggio dalla nascita fino alla morte. Bellocchio tira fuori un ritratto psicologico anziché biografico di Don Masino, non lo assolve del tutto, come molta letteratura ha fatto, e non lo condanna, ma mostra semplicemente l’uomo o – per meglio dire – l’uomo d’onore.

La trama

La trama si concentra sulle vicende più significative che porteranno poi Buscetta a diventare collaboratore di giustizia, passando dai colloqui con Falcone fino a giungere al maxiprocesso. Il film comincia in medias res nel pieno folklore della festa palermitana di Santa Rosalia. Il mafioso Buscetta capisce che i Corleonesi con a capo Totò Riina stanno prendendo il sopravvento su Cosa Nostra e sulle famiglie dei mandamenti palermitani (di cui lui fa parte) e decide di scappare in Brasile: sarà noto alle cronache infatti come “il boss dei due mondi”.

Siamo al tempo della seconda guerra di mafia, Totò Riina fa uccidere molti familiari di Don Masino tra cui i figli. In Brasile Buscetta viene arrestato ed estradato In Italia. Totò Riina e Don Masino entrambi mafiosi ma anche così diversi: Bellocchio quasi gioca nel contrapporli. Riina vuole emergere in Cosa nostra mentre Don Masino preferisce godersi la vita,come una sorta di edonista.

Fonte: Sentieri selvaggi – Buscetta in Brasile

Cosa nostra si è trasformata, gli ideali di Don Masino e della vecchia mafia che non faceva del male a donne e bambini (cliché che tutti conosciamo e più volte rimarcato nella pellicola) non esistono più. Adesso gli affiliati fanno affari con il mercato della droga che uccide i giovani. Don Masino si sente tradito da Cosa nostra e da tradito decide di divenire il Traditore, linfame. Dunque uno degli interrogativi che il film ci lascia potrebbe essere questo: Tommaso Buscetta si sta pentendo della vita da criminale oppure si pente di aver fatto parte di un’organizzazione che non è più quella di quando egli stesso si era affiliato?

Fonte: Linkabile – Incontro tra i due schieramenti

L’incontro con Giovanni Falcone

Giungiamo così alle scene più emotivamente cariche di tutto il film. L’uomo dello Stato e delle istituzioni ha davanti a sé l’uomo dell’Antistato che confessa e svela nomi e segreti di una delle organizzazioni criminali più potenti di sempre. Due figure così diverse, così distanti, due figure che vengono accomunate dai gesti quotidiani, come offrire una sigaretta durante l’interrogatorio. L’uno rispettoso della dignità che l’altro a suo modo ha e viceversa. Insomma Falcone seduto alla scrivania di fronte a Don Masino che “racconta i fatti di Cosa nostra”. E qui si procede con qualche flashback.

Fonte: Dules.it – Falcone interroga Buscetta

                                   

È Fausto Russo Alesi a calarsi nel difficile compito dell’interpretazione del magistrato, il quale ha affermato di non aver scelto la strada dell’imitazione così da cercare di dare una carica quanto più realistica ad un personaggio di tale calibro.

L’interpretazione di Pier Francesco Favino

L’attore romano supera sé stesso. Diviene Don Masino e ora deve esprimersi in siciliano, ora in portoghese sino a giungere ad uno stentato italiano durante l’interrogatorio con Falcone e nel corso del maxiprocesso; il tutto avviene con una tale naturalezza da non sembrare neanche che Favino stia recitando.

Si passa poi ad una accurata mimica facciale e gestualità che imprimono quasi un certo elegante carisma ad un personaggio per sua natura rozzo. Grazie a questa sublime prova attoriale Favino ha conquistato un sacco di riconoscimenti tra cui il David di Donatello al miglior attore protagonista.

Fonte: Anonima Cinefili – Favino interpreta Buscetta nella scena del maxiprocesso

                    

Innumerevoli sono state le nomination e i premi cinematografici nazionali e internazionali per Il Traditore: ai David di Donatello riesce a portare a casa ben sei statuette tra cui miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista, miglior attore non protagonista a Luigi Lo Cascio, miglior montaggio e miglior sceneggiatura originale.

 

Perché proprio in questa ricorrenza parliamo de “Il traditore” e di una figura come quella di Buscetta? Sicuramente per l’apporto che diede alle indagini di Falcone, ma non solo: conoscere il fenomeno mafioso è il primo passo per scardinarne le basi, nel ricordo di chi – nel farlo – ha dato tutta la sua vita.

                                                                                                                                                                                      Ilenia Rocca

 

Tyler Rake, l’arte dell’action movie

Dopo l’esperienza particolarmente fruttuosa ed efficace con il Marvel Cinematic Universe, i fratelli Russo e Chris Hemsworth tornano a collaborare per un action-thriller prodotto e distribuito dal colosso Netflix, che pare sia l’unico movie- brand a non aver subito le conseguenze economiche del coronavirus.

Fonte: www.allstreamingmovie.com

Chris Hemsworth, per i profani “Thor”, interpreta Tyler Rake un mercenario spietato, schivo e solitario impegnato in una difficile e pericolosa missione.

Tyler Rake (Extraction) rappresenta l’esordio registico di Steve Hargrave, che  aveva già lavorato con i fratelli Russo come direttore degli stuntman in Captain America: Civil War e Avengers: Endgame.

Anthony e Joe Russo compaiono invece in veste di produttori e direttori creativi della pellicola tratta da Ciudad, una graphic novel concepita proprio dalla creatività dei due fratelli.

Plus narrativo dello sceneggiatura del film è il racconto del passato di Tyler Rake segnato da una tragedia che lo ha portato all’elaborazione della solitudine come meccanismo di difesa.

Tyler viene incaricato di salvare Ovi, figlio del più grande signore della droga dell’India, rapito da Amir Asif boss del narcotraffico del Bangladesh.

Fonte: www.cinemasession.com

La complessità della missione costringerà il soldato Rake ad attingere tutte le abilità belliche e di combattimento dalla sua faretra di mercenario.

Dacca è controllata dai soldati di Asif, che controlla persino le autorità locali; ad avviluppare ulteriormente la vicenda action  è il mercenario incaricato (David Harbour, celebre per la serie tv mondiale Stranger Things) dal padre di Ovi di controllare Rake.

La costruzione delle scene in cui il protagonista, assieme al suo protetto, corre, fugge, guida in strade caotiche, spara, uccide e lotta incessantemente, è realizzata in modo da trasmettere una costante scarica di adrenalina che tiene col fiato sospeso lo spettatore, immerso negli inseguimenti e nelle sequenze d’azione.

Le rare occasioni di pausa e di rallentamento dall’azione incalzante e spasmodica, sono meccanismo narrativo che permette di approfondire il focus introspettivo del film sul rapporto tra il taciturno Rake ed il ragazzino, che stimola la coscienza del mercenario che si vede dunque costretto  a rivalutare quanto è accaduto sin qui nella sua vita.

www.homemovies.com

Chris Hemsworth è un protagonista azzeccato, credibile drammaticamente e fisicamente, che riesce ad aderire perfettamente al ritmo registico imposto dalle scene d’azione pregne di primi piani ed inquadrature a mezzo busto, che trasportano lo spettatore dentro le dinamiche con la sensazione di diventare protagonisti dell’esperienza visiva.

Acrobatismo muscolare e combattimenti dinamici fanno scorrere Tyler Rake con un ritmo battente, che esplode nella lunga scena di undici minuti realizzata come unico piano sequenza.

Dacca, viva, caotica e pulsante fa da sfondo sonoro e visivo alla velocità tipica dell’action movie.

Definire Tyler Rake un film sarebbe riduttivo; è piuttosto un prodotto d’intrattenimento eccitante ed appagante, confezionato come un giocattolo cinematografico che vuole squisitamente divertire e trascinare il fruitore, senza annoiarlo con fronzoli narrativi che esulerebbero dalla tipicità del genere.

Fonte: www.moviedescription.com

Tyler Rake è un lavoro energico che soddisferà i gusti degli action lovers, dando comunque modo anche al pubblico più eterogeneo d’esser coinvolto in un film che funziona nel contesto dell’entertainment.

Armi, lotta, sangue, inseguimenti e tanto altro a portata di telecomando.

Pronti per una serata scoppiettante?

Antonio Mulone

After Life, il ritratto comico del dolore e della solitudine

Il dolore e la solitudine sono i claim emotivi di After Life, lo show Netflix magistralmente scritto, diretto e interpretato da Ricky Gervais.

Tony Johnson è un giornalista, che più cinico non si può, del Tambury Gazette un piccolo quotidiano di provincia.

Dopo la morte della moglie Lisa (interpretata da Kerry Godliman), Tony scivola nel baratro di una profonda depressione, e gravita in un triste vuoto esistenziale, tentando invano di metabolizzare il distacco traumatico dalla compagna di vita.

Fonte: www.upcomingseries.it

Il tentato suicidio, sventato con tenerezza dal cane Brandy, è il punto più basso ed il turning point della serie.

Tony trasla la malinconia in una adrenalinica fame di vita e di riscatto da questa: le conseguenze non contano.
Dodici episodi che rappresentano uno slancio verso la vita, e che ci consentono di osservare l’alterità con sarcasmo da una prospettiva completamente inedita.

Un uomo che cerca di reagire come può a un dolore che sembra insuperabile.

Guardare i video della moglie lo fa ancora soffrire tantissimo, ma quasi senza accorgersene, Tony si apre sempre di più al mondo.

Prova a stare dietro al cognato Matt sull’orlo di una crisi di nervi, si occupa del padre Ray (David Bradley) affetto da demenza e assistito in una casa di cura.

Sempre più sensibile ai sentimenti degli altri, inizia ad elaborare il lutto spostando il focus egoistico dal proprio dolore a quello altrui.

Fonte: www.bestshows.com

«Non si tratta solo di noi, ma anche delle altre persone, alla fine, no?» diceva, a ragione, il personaggio di Penelope Wilton nella prima stagione.

Ricky Gervais è tenero e vero nell’incarnare Tony che riscopre l’importanza del contatto umano e trova un nuovo equilibrio nella bilancia della propria vita.

After Life custodisce la propria potenza narrativa nel racconto intimo, sebbene apparentemente comune, della perdita di una persona cara.

Fonte: www.netflixshow.com

Non ci si può abbandonare all’oblio dell’eccesso, non ci si può discostare dalla realtà sebbene triste e troppo vera.

Quando chi ami di più se ne va, il mondo ti cade addosso. Eppure, allo stesso tempo il mondo va avanti e Gervais lo racconta con una semplicità brutale.

Tony imparerà, a fatica, le  piccole grandi sfide quotidiane, che sono il carburante che ci permette di andare avanti nella vita, anche quando pensiamo non abbia più valore.

La linearità narrativa della serie permette di cogliere quel dolore che sembra abbia strappato via un pezzo di noi, ma del quale il mondo che ci circonda non sa nulla.

Fonte: www.tvzipmedia.com

Ricky Gervais è riuscito a dare nuova linfa ad un prodotto che sembrava concluso, senza snaturarlo. La seconda stagione approfondisce il finale della prima e completa la chiusura circolare del percorso di Tony, attraverso dialoghi originali e brillanti, interpretazioni snelle e credibili, ed una trama scorrevole e coerente.

Il pungente black humour di Gervais smaschera le ipocrisie e le falsità dell’essere umano.

Il ritratto del lutto di Tony è di una forza emotiva straordinaria, alcuni monologhi sono strazianti, spaccati introspettivi di una persona che ha perso il centro di gravità della sua vita.

Se volete piangere dalle risate, e subito dopo fare lo stesso per la tristezza e lo sconforto, After Life fa per voi.

Antonio Mulone

 

 

I 5 drive-in più cult della storia del cinema

La pandemia da COVID-19 ha costretto a chiudere molte attività, tra le quali inevitabilmente anche i cinema. Il coronavirus ci ha sottratto la nostra quotidianità,  ma ci ha anche fatto ritornare al passato, almeno in qualche caso.

Parlando di cinema, infatti, è tornata di moda l’idea del drive-in. Questa appare oggi una soluzione ideale: un locale all’aperto in cui si può assistere alla proiezione di film rimanendo nella propria macchina, mantenendo le distanze e senza creare assembramenti.

Il primo ristorante drive-in aprì a Dallas nel 1921: veniva servito cibo da fast-food  ed era frequentato prevalentemente da giovani. Un luogo che permetteva di distaccare la mente dalla realtà e immergerla nell’arte cinematografica.

Sono molti i film nei quali sono presenti riferimenti espliciti al drive-in, ma oggi noi ve ne presentiamo cinque.

Partiremo dagli anni ’50 per arrivare ai giorni nostri, quindi mettetevi comodi e lasciatevi trasportare in questo viaggio nel tempo!

1)Grease di Ranald Kleiser (1978)

Sì, questo è il mio nome ma non lo sciupare.

Chi non conosce Grease-Brillantina? Chi non ha mai sognato di uscire con Danny Zuko (interpretato da John Travolta) o avere la giacca delle Pink Ladies?

Grease è ambientato negli anni ’50 negli Stati-Uniti ed è considerato come uno dei più grandi musical di sempre.

I protagonisti sono Sanndy (Oliva Newton John) e Danny Zuko, due giovani innamorati che si sono conosciuti un giorno d’estate ma costretti a separarsi per via della fine delle vacanze, il classico “amore estivo”. Ci sarà una sorpresa per il nostro bad-boy: infatti, la dolce e ingenua Sandy si traferirà nella città di Danny e anche nella sua stessa scuola: ma per giungere al “vissero per sempre felici e contenti”, i due dovranno affrontare varie difficoltà legate non solo all’arroganza del protagonista ma anche ai loro amici.

In questo film c’è una famosa scena ambientata in un drive-in, nella quale Danny invita Sandy per riconquistarla, ma per via della sua frettolosità la ragazza scappa via piangendo. Così Danny, disperato e dispiaciuto, comincia a vagare per il drive-in cantando la canzone “Sandy”, dimostrando che è realmente innamorato.

Abbandonato al drive-in, definito un idiota, cosa diranno lunedì a scuola? Sandy, non lo vedi, sono in miseria. Avevamo iniziato, ora siamo divisi, non è rimasto niente per me.

Fonte: pinterest

2)The Founder di John Lee Hancock (2017)

So che cosa vi chiedete. Come fa uno di 52 anni, attempato, che vende frullatori per milkshake, a diventare il fondatore di un impero del fast food con 1600 ristoranti e un fatturato di 700 milioni di dollari? Una sola parola: perseveranza.

The Founder è un film che racconta la vera storia dell’imprenditore Ray Kroc (interpretato da Micheal Keaton) e di come sia riuscito a impossessarsi il marchio McDonald’s dai due fratelli McDonald. Il film si apre proprio con una scena ambienta in un drive-in, nella quale vediamo il nostro protagonista intento di vendere al proprietario un frullatore per il suo locale: ma gli affari per Kroc non vanno come sperato ed è costretto a girare con la sua macchina finché non si imbatte in un chiosco gestito dai i due fratelli. È proprio qui che Ray Kroc elabora il suo piano per rendere quel semplice fast-food il McDonald che tutti noi conosciamo.

Fonte: Comingsoon

3) American Graffiti di George Lucas ( 1973)

Siamo sempre in America, ma non un’America qualsiasi… È quella favolosa dell’ american dream, delle rock’n’roll hits, l’America ingenua e spavalda delle corse in auto alla James Dean, quella dove basta abbassare il finestrino di una splendida auto laccata per gustare hamburger e patatine fritte. È l’America di Grease, ma non proprio.

American Graffiti: poster. Fonte: posteritati.com

Cult diretto da George Lucas,  prodotto niente meno che da Francis Ford Coppola e interpretato da stelle come Harrison Ford (Bob Falfa) e Ron Howard (Steve Bolander), American Graffiti racconta l’ultima notte da liceali di quattro ragazzi pronti a spiccare il volo verso il college e l’età adulta.

Tra dilemmi adolescenziali e note strategie di rimorchio, Lucas affronta un periodo di passaggio fondamentale alle soglie di una nuova epoca. È il 1962 e come dice John Milner (Paul Le Mat), il più scapestrato dei quattro, «il rock’n’roll, dopo la morte di Buddy Holly non è più lo stesso».

Ma presto neppure l’America sarà più la stessa: l’assassinio di Kennedy, la guerra in Vietnam, le contestazioni giovanili porranno fine a quel sogno americano che il film coglie al suo tramonto.

Il Mel’s drive in. Fonte: wereporter.com

Non è un caso se il Mel’s drive-in – con la sua attraente insegna al neon –  è solo un locale sullo sfondo delle prime scena. I ragazzi, a differenza di Grease, non assisteranno a nessuna proiezione: ordineranno qualcosa da sgranocchiare per poi sfrecciare per le strade della città in cerca di qualcosa che forse è solo un’illusione.

4) La leggenda di Al, John e Jack di Massimo Venier (2002)

Non è la prima volta che in un film del trio assistiamo alla magia del cinema dentro il cinema (vedi Così è la vita del 1997).

Questo film del 2002, parodia mai scadente del genere gangster, si apre proprio in un drive-in. Siamo a New York, nel 1958 e sullo schermo viene proiettato Vertigo (meglio conosciuto in Italia come La donna che visse due volte).

Al,John e Jack al drive-in. Fonte: justwatch.com

Alla tensione della pellicola hitchcockiana fa da contraltare quella più comica dei tre impacciati malavitosi Al Caruso (Aldo Baglio) Johnny Gresko (Giovanni Storti) e Jack Amoruso (Giacomo Poretti), accorsi alla proiezione per cogliere il boss Sam Genovese (Aldo Maccione) in flagrante di reato e venderlo all’FBI.

L’espediente sarà un vecchio registratore a cassette che comporterà non pochi problemi, dando risvolti divertenti alla vicenda.

Insomma, se in un vicino futuro l’ipotesi drive-in diventerà concreta realtà, speriamo di non rimanere invischiati in simili intrighi criminali. Anzi, speriamo di trovare a fianco della nostra auto tre spioni così simpatici come Aldo, Giovanni e Giacomo.

5) Nuovo cinema paradiso di Giuseppe Tornatore (1988)

Chi non conosce Nuovo Cinema Paradiso?

L’amore per il cinema raccontato dal cinema stesso, attraverso la storia del piccolo Salvatore detto Totò (Salvatore Cascio) che troverà nel proiezionista Alfredo (Philippe Noiret) il proprio mentore e padre in un paesino siciliano del dopoguerra.

A partire da una vita che “è più difficile di quella vista al cinematografo“, ma che trova il proprio riscatto proprio grazie a quest’ultimo, Nuovo Cinema Paradiso rivela la propria potenza non solo nel messaggio ricco di profondità, ma nelle immagini iconiche e attuali… fino alla profezia! Pensate alla celebre scena in cui Alfredo proietta la pellicola I pompieri di Viggiù (1949) sul palazzo di fronte davanti alla folla sbalordita.

Nuova Cinema Paradiso: la proiezione sul palazzo.Fonte: farodiroma.it

Oppure a quella in cui il pubblico di Giancaldo, per sfuggire all’afa estiva, si trova ad assistere all’aperto all’Ulisse del ‘54 con Kirk Douglas e accorrono i pescatori dal mare sulle proprie barche, pronti anche loro a farsi suggestionare dalla magia del cinema.

Le barche che si accostano per guardare il film in Nuovo Cinema Paradiso. Fonte: El heraldo.hn

In tempi di pandemia qualcuno sembra aver fatto tesoro dei suggerimenti geniali di Tornatore.

Film cult come Pulp Fiction, Tempi moderni o Forrest Gump sono già stati proiettati sulle palazzine di città quali Roma, Bologna, Firenze e Bari nel mese di marzo, in piena quarantena.

Il “cinema da casa” a Roma. Fonte: donnemagazine.it

E chissà se, passati alla fase 2 e con le dovute distanze di sicurezza, un boat-in come quello che si vede in Nuovo Cinema Paradiso non potrà essere una soluzione tutta italiana di far ripartire l’industria cinematografica e il turismo sulle nostre belle coste!

Un’idea forse poco pratica, ma sicuramente originale.

Angelica Rocca, Alessia Orsa

 

Jova “trip” party: una pedalata alla volta

 Fonte:  Instagram @lorenzojova

Ancora una volta Jovanotti crea qualcosa di unico: questo docutrip è l’ennesima conferma della sua arte e del suo amore per la vita e per la libertà.

È davvero un ragazzo fortunato, ma il suo sogno lo condivide con noi.

Sulla piattaforma Rai Play è disponibile in esclusiva : “Non voglio cambiare pianeta, Dagli Appennini alle Ande, 4000 km fa”,  16 puntate girate on the road, tra orizzonti sconfinati e alberghi improvvisati che in quindici minuti ci portano dall’altra parte del mondo a chiacchierare con Jovanotti… di cosa? Beh, un po’ di tutto.

Ma come si potrebbe descrivere la novità di un grande artista, se non attraverso i titoli delle sue stesse canzoni?

SI PARTE, SI PARTE, IL DITO SULLE CARTE

L’idea di un viaggio in solitaria che nasce dalla confusione: il nostro caro Lorenzo, comincia a progettarlo dietro le quinte del Jova Beach Party, con l’aiuto dell’amico Augusto (con cui farà una tappa del viaggio).

Sembrerebbe strano ma lui dice: “Dopo ogni cosa importante ho voglia di fare un viaggio per stare da solo e farmela risuonare dentro”, l’emozione di un grande evento che l’ha impegnato per tutta l’estate pare poter essere elaborata solo in 4000 km tra Cile e Argentina, lungo la panamericana e le Ande.

Fonte: @lorenzojova

SEI COME LA MIA MOTO, SEI PROPRIO COME LEI

La sua moto stavolta sarà una bici, amica fedele e silenziosa.

Da montare e smontare, da caricare con una tenda , la “telecamerina”, cibo e bandierine: italiana, cilena e argentina. Compagna di viaggio e di camera, rispettosa dell’ambiente ma super attrezzata. Certo che di km ne hanno fatti, ore ed ore; la co-protagnonista di questo viaggio.

“Ma lo sai che c’hai una bella moto?” 

Fonte: @lorenzojova

La stanchezza e la fatica si sono fatte sentire e certamente la pioggia o il sole battente non lo hanno fermato: lui, la bici e inaspettatamente noi.

IL PIU’ GRANDE SPETTACOLO DOPO IL BIG BANG

Luoghi di un altro mondo, albe gratuite e tramonti mozzafiato. Jova, che: “saluti dallo spazio, le fragole maturano anche qua”, sembra aver capito di non voler cambiare pianeta. Ringrazia il sole di sorgere e saluta gli animali come se fossero suoi fratelli: lui stesso si descrive come un tale, riscoprendosi come una parte del tutto.

Fonte: @lorenzojova

Lama, lumache giganti, terra dei cactus, verde psichedelico e tropico del capricorno: perché qualcuno vorrebbe cambiare o maltrattare la nostra terra, soprattutto senza conoscere tutto quello che ci propone?

“Voglio stare qui, perché questo pianeta è un dono, è un miracolo in questo sistema solare”.

E IO SONO PROPRIO NEL MEZZO, NELLA TERRA DEGLI UOMINI

Nel suo percorso non sarà proprio solo; oltre la natura che lo abbraccia e lo rende parte di sé, incontrerà qualcuno, come Ilse: donna olandese di 70 anni che pedala da mesi e che in solitaria ci ha passato gran parte della sua vita; nelle persone del nuovo mondo rivede il viso “del mio babbo” e si presenta come Lorenzo, non come Jovanotti, svestendosi della fama e ritrovando la semplicità di andare al supermercato  o di comprare un piccolo lama da appendere alla bici, fa il turista e fa anche da guida.

Fonte: @lorenzojova

PAROLA MAGICA, METTILA IN PRATICA

Quello di Jova è un inno alla continua ricerca dell’arte e alla sua scoperta in tutte le forme.

Dal titolo della mini serie stesso: Dagli Appennini alle Ande, che è ripreso dal libro cuore ( che ci confessa essere uno dei suoi preferiti); al titolo di ogni puntata: nome di una grande opera inerente a quella tappa e al suo viaggio.

Da poeti italiani come Primo Levi: di cui sceglie Lunedì, per il KM 0;  a poeti sud americani come Pablo Neruda: da cui prenderà in prestito un verso de il Pigro, per intitolare il suo “filmino”, fino a concludere con un: “vola solo chi osa farlo” del cileno Luis Sepulveda, in piena attualità e in pieno stile Jova, come a voler onorare e ringraziare la terra su cui sta pedalando.

fonte: ivoltidipas.it

IN QUESTI GIORNI IMPAZZITI DI POLVERE E DI GLORIA

Tra gennaio e febbraio, sono tanti giorni e tante “salitone e discesine”, Jovanotti pedala per tutti noi e ci rende partecipi di cosa vuol dire: la fatica, stare lontano dalle sue ragazze e di come è bella la vita se si “fa una pedalata alla volta”.

Ma oltre la filosofia, c’è la realtà di un uomo che non ha mai smesso di credere nella fantasia e nell’arte e ancora una volta ci stupisce, stupendosi egli stesso della bellezza del nostro mondo.

Barbara Granata 

Cinema rompicapo: 5 film che metteranno a dura prova la vostra mente

Spesso un buon film è un’ottima occasione per evadere un po’ dai pensieri della nostra routine che ci schiaccia. A questo scopo, quale film migliore se non uno che ci arrovella così tanto il cervello da costringerci a spremere ogni nostro neurone per venire a capo di enigmi e controverse meccaniche presenti nella storia che stiamo guardando?

Eccovi dunque cinque film la cui visione potrebbe tenervi svegli tutta la notte nel tentativo di capire cosa abbiate appena visto.

1) Fight Club (David Fincher, 1999)

Tratto dall’omonimo romanzo di Chuck Palahniuk, il film si pone come una forte critica alla società contemporanea volta al consumismo più sfrenato.

Il protagonista è un impiegato in una società di assicurazioni interpretato da Edward Norton che, durante un viaggio di lavoro, incontra Tyler Durden (Brad Pitt) il quale conduce uno stile di vita diametralmente opposto al suo e rappresenta tutto ciò che l’impiegato vorrebbe essere. I due fondano un club dove gli uomini danno sfogo ai loro istinti violenti in combattimenti clandestini a mani nude, che ben presto comincia a mutare diventando un’organizzazione dalle proporzioni più grandi volta alla messa in atto di veri e propri attacchi terroristici contro le principali sedi del potere economico della città, sfuggendo al controllo del protagonista.

La nostra mente però può giocarci brutti scherzi e a volte la realtà che vediamo può rivelarsi ingannevole.

Edward Norton e Brad Pitt in una scena del film. Fonte: movieplayer.it

2) Donnie Darko (Richard Kelly, 2001)

Film che non ha bisogno di presentazioni in cui un giovanissimo Jake Gyllenhaal, ancora agli albori della sua carriera attoriale, interpreta Donnie, un liceale che sembra essere affetto da schizofrenia, poiché è l’unico a poter vedere Frank: quest’ultimo è un uomo con un vestito da coniglio che lo invoglia a compiere azioni sempre più drammatiche, senza che Donnie riesca ad opporsi al suo volere.

Tutto ha inizio con un incidente aereo che distrugge la camera del protagonista, il quale miracolosamente si salva per un attacco di sonnambulismo a causa del quale si sveglia nel bel mezzo di un campo da golf. La storia si snoda quindi tra paradossi temporali e wormhole fino ad arrivare a un finale che tuttora divide gli spettatori offrendo varie interpretazioni.

Donnie, la sua fidanzata Gretchen e Frank al cinema. Fonte: thevision.com

3) Mr. Nobody (Jaco Van Dormael, 2009)

All’interno di questa surreale pellicola veniamo catapultati in un futuro in cui l’uomo ha scoperto un trattamento che permette di vivere per sempre. Ma Nemo Nobody, interpretato da Jared Leto, ha 118 anni ed è l’ultimo uomo a non essersi sottoposto al suddetto trattamento e – di conseguenza – sarà l’ultimo uomo sulla Terra a morire.

Giunto quasi alla fine dei suoi giorni viene intervistato da un giornalista che gli chiede di raccontargli la sua vita. Inizia così un viaggio a ritroso nelle memorie dell’anziano che analizza tutte le scelte che l’hanno condotto fino a quel momento, ripercorrendo tre età fondamentali della sua vita. Si scoprirà che non sempre l’inizio e la fine del concetto che chiamiamo “tempo” sono come ce li aspettavamo.

Nemo Nobody (Jared Leto) a visita dal suo medico. Fonte: filmpost.it

4) Inception (Christopher Nolan, 2010)

Vincitore di 4 premi Oscar vanta anche un cast di tutto rispetto tra cui Leonardo Di Caprio e l’inseparabile coppia Tom Hardy/Cillian Murphy.

Cosa accadrebbe se un estraneo prendesse il controllo dei nostri sogni? Questo è possibile in Inception grazie a un macchinario che permette di entrare nei sogni delle persone e impiantare delle idee nella mente dei sognatori. Questa pratica è, tuttavia, molto pericolosa: stare troppo dentro un sogno ed entrare sempre più a fondo nella mente di qualcun altro può far perdere il contatto con la realtà. Una continua alternanza di sequenze tra sogno e realtà che conduce a un finale ricco di incertezze e che spinge ogni spettatore a chiedersi se il protagonista stia ancora sognando o sia sveglio.

Il totem di Dom Cobb (Leonardo Di Caprio). Fonte: auralcrave.com

5) Madre! (Darren Aronofsky, 2017)

Madre! rappresenta probabilmente la più grande sfida che il regista ha lanciato alla critica cinematografica, essendo il film un concentrato di metafore e simbolismi spinti spesso anche all’eccesso.

Il film è avvolto da un alone di mistero, complice anche la mancanza di nomi dei personaggi: ad esempio, i due protagonisti, interpretati da Jennifer Lawrence e Javier Bardem, sono chiamati semplicemente “madre” o “Lui”. All’inizio della storia veniamo introdotti alla tranquilla vita della giovane coppia che vive in una bella casa isolata dal resto del mondo, anche se non lo rimarrà a lungo: assisteremo infatti all’arrivo di uno straniero che si è perso e viene invitato dal padrone di casa a fermarsi per la notte. Da questo momento la coppia verrà travolta da una serie di eventi che porteranno alla distruzione della loro realtà.

Jennifer Lawrence in una scena nella casa. Fonte: movieplayer.it

Viene da chiedersi come questi registi possano partorire delle storie così intricate, ma in fondo sono pur sempre degli artisti e si sa che per esserlo bisogna essere un po’ strani. Anche se, come ci insegna Donnie Darko, “strano” può essere anche un complimento.

Davide Attardo