John Lennon: la favola di un working class hero

Diceva una vecchia canzone: “Chiedi chi erano i Beatles” e oggi che è l’ 8 dicembre, a quarant’anni dalla sua morte ci chiediamo invece: Chi era John Lennon?

Una domanda da un milione di risposte perché forse ognuno di noi ha il suo “John Lennon personale”.

John Lennon con uno dei suoi amati gatti. Fonte: tuttozampe.com

Spunteranno all’appello il John leader dei Beatles: chitarra tra le mani e il celebre caschetto, autore insieme al compagno McCartney di melodie inarrivabili per purezza e perfezione; il John delle lotte pacifiste accanto alla musa orientale Yoko Ono; quello del giro di Do di Imagine dietro il famoso “White Piano”; il John dagli occhiali tondi e dall’indole pigra; il cinico ragazzo di Liverpool dalla verve comica e la testa sempre piena di idee fantasiose che riversava spesso in caricature e storie umoristiche e infine quello più maturo e saggio, delle massime concise e profonde che tuttora circolano sul Web facendogli guadagnare a buon diritto il titolo di “filosofo”.

“Dio è un concetto attraverso cui misuriamo il nostro dolore” (“God”, 1970), “Gioca il gioco ESISTENZA fino alla fine… dell’inizio” (“Tomorrow never knows”, 1966), “Vivere è facile ad occhi chiusi” (“Strawberry fields forever”, 1967) o ancora la più famosa “La vita è ciò che ti accade mentre sei impegnato a fare altri progetti” (“Beautiful Boy”, 1980) non è forse filosofia in pillole pop?

John Lennon ritratto in un murales di Camden Town, Londra. © Angelica Rocca

 

Insomma, John Lennon, che non a caso si autodefiniva «un animo da monaco dentro il corpo di una pulce da circo», era un artista dalle molteplici anime, difficili da racchiudere in un unico ritratto. La sua personalità controversa, carismatica, ma anche schietta ci incute soggezione, ci disorienta, ci coglie spaesati quasi fossimo pellegrini a valle di una maestosa vetta con una polaroid in mano. Tutti si mettono a scattare e ognuno coglierà nella sua minuscola istantanea un piccolo pezzo di monte, ma nessuno riuscirà a catturare la montagna per intero proprio perché così immensa. Perché, che piaccia o no, che si ascolti o meno musica rock, nessuno può mettere in discussione la grandezza di John Lennon e la rilevanza che la sua musica ha avuto nel Novecento (e non solo).

AS SOON AS YOU’RE BORN THEY MAKE YOU FEEL SMALL

Dire che Lennon è stato un grande non ci fa certamente dimenticare le umili origini di un working class hero che è stato capace di riscattare la nascita sotto una “cattiva stella”.

John Winston Lennon viene al mondo la notte del 9 ottobre del 1940 in una Liverpool bombardata dai tedeschi e in una famiglia tutt’altro che unita.

John Lennon ad Amburgo. Fonte: beatlesbible.com

Un’ infanzia e un’adolescenza piuttosto difficili, che film come “Nowhere Boy” ( 2009 – regia di Sam Taylor- Johnson) non mancheranno di raccontare; un’esistenza segnata prima dall’abbandono e poi dalla tragica morte della madre Julia nel 1958. A lei sarà dedicata la dolcissima balladJulia” del 1968. Lennon era un ragazzo problematico come tanti figli del dopoguerra, pronto a nascondere le proprie insicurezze dietro il chiodo in pelle e la pettinatura alla Elvis, la ribellione e il rock’n’roll strimpellato sulla prima chitarra: un ragazzo che puntava ad arrivare «più in alto dell’alto» come amava spesso ripetere in compagnia dei suoi amici. E per arrivarci non si fece spaventare dall’infinita gavetta per pochi quattrini nei locali più malfamati  (I Beatles partono in sordina nei club a luci rosse di Amburgo),  dalle tante crisi private, dalle prime porte chiuse delle case discografiche.

THEN THEY EXSPECT YOU TO PICK A CAREER

Azzardando un paragone disneyano, possiamo pensare alla storia dei Beatles come a una favola moderna. C’è la Cenerentola dell’Inghilterra, questo gruppo di ragazzi provenienti dalla working class, che vogliono farsi notare al gran ballo della musica rock, cambiare le carte in tavola, riscrivere le regole. E per un ballo del genere servono nuovi arrangiamenti, un vestito impeccabile per canzoni che fino a quel momento erano solo diamanti grezzi. Qui entra in scena una fata madrina: si tratta di George Martin, il produttore discografico EMI dei grandi successi dei Fab Four, per molti il 5° beatle, il primo ad assicurare nel ‘62 un contratto, il primo a credere in loro ma soprattutto nella voce aspra di Lennon, capace più di quella di Paul McCartney di «dare il composto di fascino e intensità… come il succo di limone sull’olio extra-vergine di oliva».

Un parere innovativo in un industria musicale ancora ossessionata dalle voci vellutate alla Presley o alla Sinatra!

John Lennon coi Beatles nel 1963. Fonte. larepubblica.it

Dopo i primi successi ballabili (tra i tanti Twist and Shout, Can’t buy me love, Please Please me, I feel fine) è chiaro che non si tratta più di semplice rock’n’roll, ma anche quella di soft-rock è un’etichetta troppo ristretta. Il “sottomarino” dei Beatles naviga l’oceano della musica attraversando i più disparati generi ma soprattutto prestando più attenzione alle parole.

Ed è qui che emerge la personalità di Lennon, il più intellettuale dei quattro.

Le sue canzoni si trasformano presto in confessioni aperte: “I’m a loser and I’m not what I appear to be” ( “I’m a loser” ,1964); “When I was younger so much younger than today/ I never needed anybody help me in anyway” ( “Help” ,1965); ma anche in bellissime poesie: “Words are flowing like endless rain into a paper cup” ( Across the universe”,1969) o ancora “My mother was of the sky/ my father was of the earth/ but I’m of the Universe” (“Yer Blues”, 1968).

John Lennon nel video-clip di “All you need is love”, 1967. Fonte: Morrison Hotel Gallery.com

La favola procede tra successi e lati oscuri: conflitti nella band, assunzione di droghe pesanti per reggere ritmi sfrenati, mogli e figli lasciati a casa e carovane di groupies davanti ai camerini. L’onestà di Lennon emerge in una frase pronunciata qualche anno più tardi:

“Per riuscire devi essere un grande bastardo, i Beatles sono stati i più grandi bastardi di tutti i tempi”.

A WORKING CLASS HERO IS SOMETHING TO BE

Ogni mito ha una donna che scatena una guerra, ogni favola ha una strega cattiva e per tutti i fan meno illuminati dei Beatles questa è Yoko Ono: la “colpevole” del loro scioglimento, artista concettuale giapponese che Lennon incontra nel 1966 e che sposerà nel ’69. “I’m in love for the first time” (“Don’t let me down”, 1969) canterà infatti nello stesso anno il nostro, avendo finalmente trovato qualcuno con cui guardare il mondo «dallo stesso albero». Checché se ne dica, Yoko Ono è stata fondamentale per la crescita artistica e personale di John.

Negli anni della guerra in Vietnam, Ono e Lennon, con le marce di protesta e i bed-in, furono il primo esempio di coppia in grado di sfruttare il proprio potere mediatico in direzione politica e sociale.

John e Yoko dietro il “white piano” nel video-clip di Imagine. Fonte: la repubblica.it

Da buon figlio della working class, l’ex Beatle scrive brani politicamente più impegnati come “Give peace a chance” , “Power to the people” e “Imagine”, inno a un mondo senza confini, senza conflitti e che è stata definita di recente come «Una canzone marxista e comunista» da qualche discutibile politico. Ma se le critiche provengono da un partito con tendenza all’oscurantismo, anche stavolta possiamo dire che Lennon ha fatto centro!

IF YOU WANT TO BE HERO, WELL JUST FOLLOW ME

Se ci fermiamo alla capacità tecnica, dobbiamo riconoscere che Freddie Mercury è il più grande cantante di tutti i tempi. Ma quanti imitano il suo bel canto e quanti si ispirano invece alla particolare vocalità di Lennon? Dal britpop degli Oasis al pop-punk dei Green Day (che registreranno la cover di “Working Class Hero”) tanti guardano ancora allo stile musicale ma anche all’outfit di Lennon. Persino in un universo apparentemente lontano quale quello rap, un artista come Salmo incide la sua “Yoko Ono” (2011) campionando “Come together” (1969).

Il mosaico dedicato a Imagine a Central Park, New york. Fonte: 123f.com

L’8 dicembre 1980 John Lennon viene assassinato da un suo fan con sette colpi di pistola che pongono fine alla favola del ragazzo di Liverpool, ma la magia della sua musica rimane nell’aria. Scoppierà forse una guerra atomica, un’invasione aliena potrà porre fine alla nostra civiltà, ma tra le rovine di un mondo post-apocalittico, ci sarà sempre un ragazzo con la chitarra pronto a cantare Imagine.

 

Angelica Rocca

 

Malèna: cronaca di una morte

Malèna (2000), regia di Giuseppe Tornatore, è una pellicola carica di crudezza ed apatia. Un film che grida alla denuncia di una mentalità chiusa e corrotta che, se esisteva nei lontani anni Quaranta del Novecento, non è sicuramente cambiata – almeno in determinati contesti –  ai giorni nostri. Una denuncia, dunque, che risulta più che attuale, specie se proveniente da una donna.

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Monica Bellucci nei panni di Malèna – Fonte: spietati.it

Sinossi

La protagonista è Malèna (Maddalena) Scordia (Monica Bellucci): un nomen loquens, potremmo dire. Co-protagonista e voce narrante è invece il giovane Renato Amoroso (il nostro concittadino Giuseppe Sulfaro), un ragazzino nel pieno della pubertà che inizia a provare una passione struggente per la statuaria Malèna, innamorandosene al primo sguardo.

Tramite le sue parole, ma ancor più i suoi gesti, ci viene raccontata la parabola di una donnada santa a puttan*“:l’ascesa e poi il declino. Guardandola tramite gli occhi languidi del ragazzino, ci accorgiamo che il realismo magico delle scene erotiche non lascia spazio al romanticismo, a tratti inquietando lo spettatore, con l’incredibile effetto di sottoporci continuamente allo stress di quella situazione verosimile.

I personaggi

Seguendo i protagonisti nel loro percorso sentiremo chiaramente ogni sensazione da loro provata (e voluta dal maestro Tornatore): disagio, angoscia, rabbia, rassegnazione. Ed in effetti, la bellissima Maddalena è una donna rassegnata: a non vedere più il volto del marito, ad essere sola nella gabbia dei leoni. Disprezzata e rumoreggiata da tutti, passeggia per le strade della piccola cittadina siciliana quasi senza una meta.

Dopotutto, quale meta dovrebbe avere un personaggio spogliato di ogni dinamismo, cristallizzato nell’essere la valvola di sfogo dell’intero mondo costruitogli attorno?

Se notiamo bene, i personaggi secondari che ci vengono presentati sono della peggiore fattispecie e vili: una popolazione che sconcerta, raccapriccia, ma che descrive con incredibile finezza la mentalità bislacca della Sicilia d’altri tempi; mentalità, peraltro, talvolta ancora radicata nella nostra isola. In mezzo al questa accozzaglia di gente, si elevano le Erinni della donna. Il paragone non è casuale: la giovane viene perseguitata dalle altre signore del suo paese per un motivo semplice quanto banale: l’invidia.

Ma il male è sempre banale.

Fonte: webpage.pace.edu

L’urlo

E allora, dalle prime scene d’innocenti bisbigli, si passa alla scena più dura, intrisa di cattiveria del film: il linciaggio pubblico. Malèna – ormai divenuta la “prostituta del paese” – viene picchiata in pubblica piazza al cospetto di tutti gli uomini. Quegli stessi uomini che le facevano la corte, che facevano a gara per accenderle la sigaretta, che abusavano della sua dignità.

Chiave del film è il momento in cui la donna, malmenata, si rivolge agli omuncoli che erano rimasti a guardarla con ripugnanza. Nessuno di loro si fa avanti per offrire una mano a lei che striscia e cerca aiuto. Anche Renato, profondamente innamorato di lei, rimane a guardare come paralizzato. Ed allora un urlo: tutto il dolore accumulato negli anni, la rabbia, la depressione. Un urlo che mira a risvegliare le coscienze, non solo quelle della folla indisturbata, ma anche degli spettatori.

“Voi che mi avete derisa ed usata per il vostro intrattenimento, vedete come mi avete ridotta? Siete soddisfatti?”: suona così, tradotta in parole, la mia mia interpretazione della scena.

Ed ho capito anche che Tornatore ha svolto un lavoro incredibile nel momento in cui, anche solo per un secondo, mi sono sentita parte di quelle Erinni.

La cruda realtà

Malèna è un film che, nel suo asettico silenzio, parla di una morte spirituale con lucidità e cinismo e ci fa realizzare come siamo tutti aguzzini: lo siamo ogni volta che ignoriamo il grido d’aiuto di una persona bisognosa e lo siamo ancor di più quando giustifichiamo le violenze con la “disinvoltura dei costumi”.

Se da un lato è vero che la donna aveva effettivamente abbracciato la vita che non meritava, dall’altro dobbiamo renderci conto che tale scelta è stata spinta da un climax di sciagure di cui è la vittima inerme, inserita nella scena col solo fine di dimostrare quali livelli paradossali di malvagità si possano raggiungere.  E la strepitosa Bellucci impersona Malèna con preoccupante naturalezza.

Fonte: cineturismo.it

D’altro canto le rimane solo un ragazzino. Un ragazzino un po’ codardo, sì, ma che dal proprio errore (non aver prestato soccorso alla donna che, per due ore di film, ci ha ribadito di amare) ha attraversato un percorso di maturazione, mentre il resto delle grottesche figure tornerà a ricoprire, a fine film, il ruolo che aveva all’inizio, come se la vicenda si svolgesse dentro un carillon destinato a ripartire ogni volta che se ne gira la manovella.

Tutti tornano al loro posto, compresa Malèna (che a quel principio non è poi così estranea), ma non Renato. Lui, sin dal primo momento una voce fuori dal coro, si distinguerà per essere stato l’unico di quel paesello disgraziato ad aver conosciuto gli effetti devastanti della passione amorosa. Una passione che rimarrà impressa a vita, racchiusa in un nome maledetto ed abusato, ma che nei pensieri del ragazzo sarà sempre sinonimo di “amore”: Malèna.

Valeria Bonaccorso

5 grandi viaggi letterari: l’estate a portata di libro

In un mondo diventato così piccolo da sembrare uno di quei souvenir a sfera che giriamo e rigiriamo nel palmo della mano, è sicuramente molto più facile andare in vacanza, anche virtualmente vista l’attuale situazione a livello mondiale. I mezzi di comunicazione hanno da tempo accorciato le distanze, voli low-cost ci permettono di spostarci anche all’estero a basso prezzo e – nell’ipotesi meno fortunata – app come Google Maps ci proiettano negli angoli più nascosti di qualsiasi città del mondo. Come se non bastasse, i social network ci bombardano costantemente di immagini di realtà esotiche: i templi buddisti della Thailandia, i colori del mar dei Caraibi o le insegne luminose di Times Square non sono un mistero nemmeno per chi non li ha mai visti dal vivo.

Fonte:hotmag.me

Ma come viaggiava l’uomo del passato? Quando non esistevano così tante immagini a portata di mano, l’uomo si affidava al potere dell’immaginazione e le pagine di un buon libro diventavano un comodo ticket to ride verso posti remoti nello spazio e nel tempo. Ora che la sessione estiva volge al termine, salutate per qualche settimana i libri universitari, ma non rinunciate alla letteratura tout court.

Noi di UniVersoMe vi consigliamo 5 libri ideali per queste vacanze estive capaci di farvi conoscere altre realtà.

1) L’amante di Margherite Duras

L’Indocina di una giovane scrittrice

È un’esperienza autobiografica ad alimentare la trama di questo romanzo di Margherite Duras. Pubblicato nel 1984, dallo stile semplice e scorrevole, L’amante rievoca la relazione tra l’autrice francese ancora quindicenne e un cinese ventisettenne di buona famiglia, fonte di scandalo non solo per la differenza d’età, ma anche di classe e di etnia tra i due.

Fonte: Ibs.com

Scritto ora in prima ora in terza persona, il romanzo ci coinvolge quasi come fosse un diario e si trasforma in uno spaccato dell’Indocina francese degli anni ’30: la sua società multietnica ma ancora arretrata, le estati afose e umide sul fiume Mekong, le lampade dalle luci rossastre. Duras dipinge una precisa atmosfera, ma non si dimentica dell’introspezione: il rapporto conflittuale con una madre autoritaria, l’amore viscerale per i suoi fratelli e le prime esperienze sessuali sono confessati con estrema schiettezza.

2) La casa degli spiriti di Isabel Allende

Alla scoperta del Cile

Il romanzo di esordio di Isabel Allende è un misto tra realtà storica e leggenda, fantasia e autobiografia. La casa degli spiriti è la storia di una famiglia dell’America latina che parte dal capostipite, Esteban Trueba self-made man, che dal lavoro in miniera riesce a costruire un vero e proprio latifondo finendo alla nipote Alba, giovane romantica che si ribellerà alla dittatura cilena.

Fonte: feltrinelli.it

I riferimenti alla storia del Cile e soprattutto al regime del generale Pinochet sono evidenti, perciò il romanzo non è solo un viaggio avvincente nell’America Latina, ma anche nella sua storia più recente senza dover riaprire i libri di scuola! Da questo grande classico della letteratura latino-americana è stato tratto l’omonimo film con protagonisti Jeremy Irons, Meryl Streep e Winona Ryder. Un cast stellare, ma una resa troppo piatta del racconto dell’Allende.

3) Le avventure di Gordon Pym di Edgar Allan Poe

Viaggio estremo verso l’Antartide

Fonte: abebooks.it

Il titolo può trarci facilmente in inganno e farci pensare a uno di quei romanzi d’avventura di lupi di mare tipici della letteratura tra Sette e Ottocento. Già l’autore può darci un indizio. Edgar Allan Poe è infatti il maestro del terrore e sebbene la storia di Arthur Gordon Pym che si imbarca clandestino sulla baleniera Grampus non rientri apparentemente nel genere horror, a mano a mano la vicenda prosegue su un crescendo di tensione psicologica e di particolari macabri e assurdi che scioccano il lettore. Un libro per chi non si spaventa dei viaggi estremi della fantasia

4) Sulla strada di Jack Kerouac

Vagabondando attraverso gli States

Siamo davanti a un grande classico della letteratura on the road, il romanzo che ha ispirato e continua a ispirare generazioni di giovani alternativi che, zaino sulle spalle, si mettono per strada senza avere una meta ben precisa, ma alla ricerca di una vita più libera.

Fonte: 900letterario.it

Ispirato ai viaggi dell’autore attraverso gli States , Sulla strada non ha una trama lineare, ma è una raccolta a tratti caotica di episodi vissuti lungo le strade americane. Ciò può disorientare facilmente il lettore che trova però un appiglio nella simpatia dei personaggi modellati su altrettanti “vagabondi” reali della vita di Kerouac, scrittori beat e non.

Come dimenticarsi di Dean Moriarty? Un esuberante che cerca di dimostrare l’esistenza di Dio mentre guida, uno di

 “quei pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non sbadigliano mai e non dicono mai banalità ma bruciano, bruciano, bruciano”.

Non so quanti giorni si impieghino a leggere On the Road, sicuramente molti di meno rispetto a quelli che ci vogliono a guidare realmente dalla east alla west coast. Ma comunque, che sia un mese o una settimana, una volta chiuso il libro, vi mancherà stare accanto a Dean dal lato del passeggero e vi dispiacerà un po’ non averlo come amico.

5) Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino

Un labirinto di storie

Se Sulla strada è quasi un rally spericolato lungo le praterie americane, una corsa mozzafiato da farvi aggrappare con gli artigli ai sedili, il romanzo di Calvino è invece un volo pieno di turbolenze, un libro dalla trama difficilmente definibile. Non esiste un’unica storia dentro Se una notte d’inverno un viaggiatore: si parte dal racconto che dà il titolo al libro, che si interrompe nel punto di massima tensione, proprio quando il lettore è sempre più curioso di scoprire come va a finire.

Fonte. amazon.it

Da qui si dipanano una serie di altri racconti dai generi e dalle ambientazioni più disparate, tutte però incompiute; un labirinto di storie che incastrano il lettore, il quale si ritrova catturato, ansioso com’è, di arrivare al “nocciolo”. In tutto questo non è solo, ma continuamente accompagnato dall’autore che lo chiama in causa già dalla prima pagina:

Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo “Se una notte d’inverno” un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto…

 

Cogliamo perciò l’invito di Calvino ad evadere anche solo per un po’ dalla realtà circostante, a farci condurre sulle vie delle parole in mondi che la nostra immaginazione può sempre creare e ricreare da capo… anche riaprendo lo stesso libro!

Angelica Rocca

Aspettando Tenet: tutte le volte che Nolan ci ha stupiti

Per tutti gli amanti del cinema il periodo del lockdown è stato estremamente triste, vista l’impossibilità di andare in sala a vedere un buon film. A rincuorare molti era la prospettiva che uno dei primi titoli a uscire dopo la riapertura fosse l’attesissimo Tenet di Christopher Nolan. Purtroppo non tutto è andato come previsto: per via dell’alto numero di contagi in America e della situazione ancora parecchio instabile in tutto il mondo, la data d’uscita del film ha subito una lunga serie di rinvii.

Christopher Nolan – Fonte: indiewire.com

Warner Bros si è tuttavia dimostrata molto ferma nell’intenzione di voler far uscire il film, almeno in Europa, entro la fine dell’estate. Ed è proprio di pochissimi giorni fa la decisione di nuove date ufficiali per l’arrivo in sala di Tenet, che debutterà il 26 agosto in Europa e il 3 settembre negli Stati Uniti.

Che fare nell’attesa di poter finalmente gustare Tenet? Ci pensiamo noi di UniVersoMe: vi consigliamo qualche pellicola dalla filmografia di Nolan per tenervi impegnati fino alla sua prossima opera.

1) Memento (2000)

“Ricordati di non dimenticare”

Dopo aver subito un’aggressione, il protagonista Leonard Shelby (Guy Pearce) riporta un danno della memoria a breve termine che non gli consente di immagazzinare nuovi ricordi. Questo complicherà la ricerca dei suoi aggressori, gli stessi che hanno anche violentato e ucciso la moglie. Per ovviare al suo problema, Leonard inizierà ad appuntare ogni informazione utile su polaroid e post-it che porta sempre con sè e persino sulla sua pelle tramite tatuaggi. Il racconto si districa attraverso due linee temporali opposte che andranno in seguito a confluire in un’unica storia. Questo espediente, insieme alla frammentarietà e alla sconnessione di alcune scene, ci catapulta dentro la testa del protagonista e ci fa vivere gli eventi attraverso i suoi occhi.

Guy Pearce in una scena del film – Fonte: nospoiler.it

2) Batman Begins (2005), Il cavaliere oscuro (2008), Il cavaliere oscuro – Il ritorno (2012)

Dietro l’abito da cinecomic si nasconde una trilogia capace di farci riflettere su noi stessi e sulla nostra società. È probabilmente la più famosa e miglior trasposizione su pellicola del supereroe di casa DC Comics. Il merito di ciò è da attribuire a un ottimo Christian Bale che ha vestito per tutti e tre i film i panni di Bruce Wayne/Batman, ma soprattutto alla qualità dei tre villain che si susseguono nella trilogia. 

Nel primo film Ra’s al Ghul (Liam Neeson), dapprima mentore di uno smarrito Bruce Wayne, si scopre essere a capo di una setta dagli oscuri propositi. Un gas tossico che si diffonde per le vie, il caos che dilaga nella città. Sarà Batman a dover riportare l’ordine a Gotham.

“Ti sembro davvero il tipo da fare piani? Lo sai cosa sono? Sono un cane che insegue le macchine. Non saprei che farmene se le prendessi!”.

Nel secondo capitolo il compianto Heath Ledger da vita a uno dei più iconici Joker del cinema e sono queste le parole con cui l’agente del caos si descrive. Il pipistrello si troverà dunque a dover combattere contro la follia umana nella sua massima espressione.

Nell’ultimo film troviamo Tom Hardy che interpreta Bane, un terrorista rivoluzionario che attenta alla pace costruita a Gotham. Bruce dovrà quindi indossare nuovamente il mantello per salvare ciò che ha costruito col proprio sacrificio. Gli ideali dell’eroe saranno più forti di quelli di Bane?

Batman ne “Il cavaliere oscuro”. Fonte: movieplayer.it

3) Interstellar (2014)

La Terra sta diventando sempre più inospitale e il genere umano sembra destinato all’estinzione. Joseph Cooper (Matthew McConaughey) è un ex ingegnere e pilota della NASA che un giorno si imbatte, insieme alla figlia, in una base segreta dell’agenzia spaziale. Qui viene a conoscenza dell’esistenza di un wormhole vicino Saturno e della preparazione di alcune missioni spaziali per cercare un pianeta ospitale dove trasferire l’umanità. Deciderà quindi di prendere parte alle missioni nella speranza di poter salvare la sua famiglia e tutto il genere umano. Vivremo la straziante separazione di Joseph dalla figlia e le difficoltà di un viaggio che mette a dura prova i corpi e le menti dei nostri astronauti. Il tutto accompagnato da un’esperienza visiva unica e spettacolare come solo Nolan sa offrirci. Il risultato è un film così emozionante da perdonargli qualche inesattezza scientifica qua e là.

Cooper e la figlia Murph – Fonte: medium.com

Insomma, il materiale lasciatoci da Nolan è di altissima qualità e in sua compagnia di certo non ci si annoia mai. Proprio per questo siamo certi che qualsiasi attesa sarà giustificata da un risultato strabiliante. Non ci resta che aspettare fine agosto, nella speranza che la situazione sanitaria rimanga sotto controllo.

 

Davide Attardo

La Dea Fortuna: il film che conferma in pieno lo stile del regista Ferzan Ozpetek

Fonte: MyMovies

Proiettato nelle sale a fine 2019 e con diverse nomination ai “Nastri d’argento”, La dea fortuna rappresenta l’ultima fatica cinematografica del regista Italo turco Ferzan Ozpetek.

La trama

Protagonisti della storia, ambientata a Roma, sono Alessandro (Edoardo Leo) e Arturo (Stefano Accorsi). Entrambi hanno una relazione stabile e convivono da molti anni. Arturo, l’intellettuale della coppia, in attesa di un miglior impiego si occupa di traduzioni di opere letterarie, mentre Alessandro è un idraulico. La normale routine della coppia, che oscilla tra i piccoli problemi della quotidianità e i ritrovi con gli amici di quartiere, viene quasi sconvolta dall’arrivo di Annamaria (Jasmine Trinca), una vecchia amica di Alessandro, con i suoi due figli. Annamaria si fermerà a Roma e affiderà temporaneamente i figli alla coppia.

Fonte: Artwave

Tematiche affrontate dal regista

Come in molti altri film di Ozpetek, anche ne “La dea fortuna” la sceneggiatura si concentra su una relazione omosessuale quale quella di Alessandro e Arturo. Chi conosce bene il regista sa che questo è stato molte volte un trend topic di molti suoi film di successo e apprezzati dalla critica.

I due protagonisti è come se quasi improvvisamente diventassero genitori. Forse in modo indiretto o forse invece in modo del tutto evidente, l’intento del regista stavolta non è stato quello di concentrarsi sulle problematiche  comuni ad ogni relazione sentimentale sia essa etero o gay, bensì affrontare un tema molto discusso quale quello dell’omogenitorialitá, e ancora di più riuscire ad affrontarlo in modo del tutto naturale. Infatti, nessuno guardando “La dea fortuna” si sentirebbe in grado di dire cosa sia giusto o sbagliato, insomma di prendere posizione. Tutto ciò passa in secondo piano grazie all’abilità di Ozpetek di incastrare le vicende della maggior parte dei suoi personaggi e di rappresentare i loro stati d’animo in una maniera tale da non lasciare spazio al pregiudizio.

Fonte: MyMovies

 

Analogie con i precedenti lavori

Conoscendo i precedenti lavori del regista non si può fare a meno di notare parecchie analogie soprattutto con uno dei suoi film, “Le fate ignoranti” (2001). Similitudini nel cast ma anche nell’ambientazione di molte scene significative.  Dall’appartamento dei protagonisti in cui si ritrovano con i loro “singolari” amici, che abitano nello stesso quartiere o addirittura nello stesso palazzo, alla terrazza in cui si organizzano eventi o si improvvisa qualche festa la sera con un po’ di musica turca per smorzare la tensione della giornata. Stesso spirito di solidarietà e di condivisione.

I figli di Annamaria diventano un po’ figli di tutti, i problemi di Alessandro e Arturo accomunano tutti.

Fonte: Radio Musik

In “La dea fortuna” come ne “Le fate in ignoranti” troviamo pure come protagonista Stefano Accorsi. Presenti in entrambi i lavori anche Serra Yilmaz, nota attrice turca e conosciuta in Italia grazie ai film di Ozpetek, e Filippo Nigro nel ruolo di amici della coppia.

 

Candidature Nastri d’Argento

La pellicola ottiene ben otto nomination alla nota manifestazione cinematografica riuscendo a portare a casa tre Nastri D’Argento, nella categoria miglior attrice protagonista a Jasmine Trinca, miglior cameo dell’anno a Barbara Alberti e migliore colonna sonora a Pasquale Catalano.

 

Sicuramente La dea Fortuna rispetta le aspettative degne di un film di un regista quale Ferzan Ozpetek: infatti, il suo stile non solo non si smentisce, ma ne esce maggiormente rafforzato.

 Ilenia Rocca

 

Il ritratto di Francesco Guccini: un artista fuori dagli schemi

Francesco Guccini   mostro sacro del cantautorato italiano – da oltre quattro generazioni ci regala musica e testi incredibili; in occasione del traguardo dei suoi 80 anni, noi di UniVersoMe non potevamo fare a meno di “ritrarlo” attraverso cinque dei suoi brani più significativi.

Guccini emergerà nel panorama della musica italiana intorno agli anni ’70: anni di contestazione studentesca, di lotta sociale e di rivoluzioni; con il solo utilizzo di chitarra e voce, con arrangiamenti semplici e riferimenti a tematiche di spicco civile e sociale, il primo album Folk Beat N. 1 (1967) fa annoverare il giovane Francesco nella schiera dei cantautori italiani. Inoltre, l’inizio della sua carriera artistica sarà anche segnato dall’album Radici (1972), pieno di riferimenti alle sue origini e alla sua terra natìa.

Fonte: Nonciclopedia- Guccini durante un’esibizione

Canzone delle osterie di fuori porta – 1974

Inserita nell’album Stanze di Vita quotidiana (1974), album che non fu accolto bene dalla critica dell’epoca forse per via di un cambio di stile o per l’utilizzo di arrangiamenti complessiCanzone delle osterie di fuori porta presenta toni quasi nostalgici. In questo brano – molto probabilmente ambientato nelle osterie bolognesi, a Guccini tanto care in quanto amante del buon vino – allegro cinismo e disillusione si mescolano e il cantautore, seppur ancora giovanissimo sembra già tirare le somme della sua esistenza.

non dico più d’esser poeta, non ho utopie da realizzare, stare a letto il giorno dopo è forse l’unica mia meta…

Fonte: Testi Canzoni

 

Dio è morto – 1988

Portata al successo dai Nomadi – con i quali il cantautore collaborerà spesso – Dio è morto è un brano che i benpensanti dell’epoca accusarono di blasfemia, tanto da essere censurato in Rai ma paradossalmente trasmesso da Radio Vaticana.

Il titolo naturalmente rievoca una celebre frase del filosofo Nietzsche, e questo è un esempio di come l’autore spesso arricchisca le sue canzoni con riferimenti ad opere letterarie e a varie correnti filosofiche, ma con questo brano non ha nessuna pretesa di rappresentarne il pensiero, soprattutto in poco più di due minuti.

Guccini mette in evidenza, più che altro, una società che sta andando sempre più alla deriva.

… il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto…”

Fonte: Quotidiano.net- Guccini canta Dio è morto

Vedi Cara – 1970

Spesso confiniamo la poetica di Guccini in temi come la critica sociale, ma forse i brani che amiamo di più  sono quelli carichi di una versione intimista: Vedi Cara è proprio uno di questi. Probabilmente dedicata alla prima moglie, il testo è un’armonia di figure retoriche che già bastano ad imprimere una certa musicalità.

“… non capisci quando cerco in una sera, un mistero d’atmosfera, che è difficile afferrare…”

Fonte: music.fanpage.it – Guccini canta Vedi Cara

Cyrano – 1996

Brano tratto dal famosissimo album D’amore, di morte e di altre sciocchezze (1996), in cui il nostro artista ha da dire su tutti: politici rampanti, preti che «promettono il lusso di un’altra vita», ruffiani, gente vuota, società di dogmi e pregiudizi. Il cantautore prendendo spunto dall’opera teatrale di Rostand, immagina una sorta di dialogo tra Cyrano e la sua amata Rossana.

“… le verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali…”

Fonte: bluemax.it – Guccini interpreta Cyrano

Quattro stracci – 1996

Il brano, tratto anch’esso dall’album D’amore, di morte e di altre sciocchezze (1996), è una delle perle di Guccini, anche se non molto conosciuto. Rappresenta a tutto tondo il disagio di un artista – che sia un cantautore o uno scrittore –  facendoci capire come si possa sentire qualcuno che ha a che fare con la fantasia e che all’interno di una relazione non si sente accettato per quello che è e quello che fa.

Allo stesso modo viene messo in evidenza il disagio della persona che si trova vicino ad  «uno perso dietro alle nuvole e la poesia»impacciato nella quotidianità, «che coi motori non ci sa fare e non sa neanche guidare». Insomma entrambi non si comprendono, ma meglio la sicurezza quotidiana che la vita in una perenne utopia.

“… ora scommetto che vorrai provare quel che con me non volevi fare, fare l’amore tirare tardi e la fantasia…”

Fonte: Amazon.it

Attraverso le sue canzoni, abbiamo visto quanto Guccini sia un cantautore impegnativo ma non noioso come molti pensano, soprattutto non etichettabile per l’orientamento politico – più volte apertamente manifestato –  e la critica sociale, espressi tramite molte, ma non tutte, le sue canzoni.

Guccini è tanta roba. Speriamo che il nostro ritratto possa essere all’altezza di questo grande artista!

                                                                                                                                                                         Ilenia Rocca

 

 

Amor Vincit Omnia: 51 anni di bandiere arcobaleno

Quando si pensa al mondo LGBTQ+, si pensa subito alle bandiere arcobaleno e alle proteste ma, dai Moti di Stonewall del 1969 all’attuale genitore 1 – genitore 2 , ne è passato di tempo.

Oggi come allora, si festeggia il Pride Month: evento affascinante ma ricco di valori che, con le sue parate in giro per il mondo, vernicia di mille colori le critiche e i pregiudizi rispettando la regola del “ridere di ogni problema, mentre chi odia trema”.

Fonte: Wired

Ed è a modo nostro che vogliamo ricordare e celebrare questo giorno e per farlo abbiamo selezionato tre tra documentari, serie tv e film più significativi – in una marea di possibilità –  e fidatevi, ce n’è per tutti i gusti!

The Death and Life of Marsha P. Johnson

Marsha P. Johnson è stata un’attivista per i diritti LGBTQ+ la cui storia è parte fondamentale dello sviluppo della comunità, a tal punto da essere vista come un’icona dei Moti di Stonewall.

Ci verrà raccontata in un documentario, diretto da David France e disponibile su Netflix.

Fonte: serial-escape.com – locandina ufficiale

La sua storia è esposta in modo originale, raccontata tramite la figura dell’investigatrice Victoria Cruz, un’ attivista transgender che ha dedicato tutta la sua vita alla comunità LGBTQ+, applicandosi alla prevenzione della violenza. Nel documentario, Victoria, ormai prossima alla pensione si propone di risolvere un ultimo caso: l’enigmatica morte di Marsha il cui corpo venne trovato nel fiume Hudson nel 1992.

La stessa Cruz, la definì come «la Rosa Parks della nostra comunità» volendo sottolinearne la forza e l’importanza delle sue azioni per il mondo LGBTQ+. In un’ora e quarantacinque minuti pieni di storia e di realtà, non potevano mancare la denuncia alla violenza e ai soprusi nei confronti delle persone di colore e dei “diversi” in generale, condizioni molto in voga nell’America degli anni sessanta (e di adesso).

Con l’obiettivo di mantenere viva la memoria di Marsha, France ci propone uno spunto di riflessione e al contempo una forma di intrattenimento diversa dal solito.

Pride, Matthew Warchus (2014)

Il film Pride, diretto da Matthew Warchus (e disponibile su Amazon Prime Video) è basato su un’ incredibile storia vera.

Fonte: cinema.everyeye.it – rivolta

Ambientato nel 1984, racconta di un gruppo di giovani attivisti londinesi, capitanati da Mark Ashton, che decidono di impegnarsi a raccogliere fondi per sostenere uno sciopero indetto dai minatori Gallesi. Questi, infatti, si stavano ribellando al governo di Margaret Tatcher, che aveva imposto la chiusura dei loro posti di lavoro.

Sebbene – apparentemente la causa dei minatori non trovi punti di incontro con la comunità LGBTQ+, ben presto risulterà evidente come la battaglia dei due gruppi fosse una rivolta all’intolleranza della società di quegli anni.

Questo film mostra come possa nascere un inaspettato rapporto di amicizia e di stima reciproca anche tra persone che hanno idee diverse e che sembrano combattere per obiettivi diametralmente opposti ai nostri;  ci pone davanti a delle tematiche importanti: dai diritti civili alla paura dell’AIDS, fino alla ricerca della rivoluzione.

È così ricco di momenti suggestivi e di significati che stenterete a credere che sia una storia vera!

Sense8

Sense8, uno dei gioielli della grande N, è una serie tv che ha riscosso un successo clamoroso e che nei suoi ventiquattro episodi (più un extra) esaspera il concetto di empatia, introducendo i sensate. Gli otto protagonisti infatti, avranno la possibilità di una connessione interumana e vivranno esperienze ed emozioni oltre i confini (anche geograficamente parlando), senza pregiudizi e con un pizzico – o forse più – di fantascienza.

Ma nel contesto dei mille colori della sceneggiatura, spicca Nomi: sensate che mostra sin da subito il suo essere forte e brillante; è una donna transgender che si trova a vivere in un contesto familiare e sociale non pronto a lei e al suo amore.

Fonte: telefilmaddicted.com – Nomi e Amanita

La tenacia del personaggio è così coinvolgente da realizzare una connessione con gli spettatori (di qualsiasi orientamento e ideologia), e questa verrà espressa in dei monologhi che mostrano come combattere la sofferenza e i giudizi altrui : anche se ti reputano come  «qualcosa da evitare, forse anche da compatire, qualcosa che non si deve amare»  non vale la pena pensare che sia la verità, nemmeno per un momento.

È questo che Nomi ci insegna e se quello che vuole sarà un lieto fine, lo avrà.

Ma perché ci siamo innamorati di lei? Perchè l’interprete, la bellissima Jamie Clayton, donna transgender e attivista per i diritti LGBTQ+ mette se stessa nel personaggio.

Sapete qual è la cosa migliore? Che noi siamo li a guardarla vincere.

 

Quella tra il 27 e il 28 giugno è stata la notte del primo pride della storia. E se al giorno d’oggi, ogni mese di giugno, celebriamo il mese dell’orgoglio, lo dobbiamo a quella notte, alla prima rivolta. Come disse il maestro De Andrè:

Storia diversa per gente normale, storia comune per gente speciale

Barbara Granata e Valentina Tripepi

5+1 serie tv per farvi innamorare della (fanta)scienza

Tra le series più ricercate ci sono quelle tecnologiche e fantascientifiche, chissà perché!

Che siano forse troppi i nerd? O che siano forse tante le offerte del settore?

Sin dagli anni ‘60, da quando Star Trek – con Spock sulla navicella USS Enterprise – cominciò ad appassionare milioni di telespettatori e a rendere la sua idea di spazio e di futuro, fino ad arrivare ai giorni nostri, la scienza ha mantenuto un certo appeal. Che siano supereroi, storie vere o possibili realtà future, una cosa è certa: la scienza fa intrattenimento.

Così abbiamo scelto cinque (+ una) delle serie che meglio la rappresentano, in ogni suo aspetto e sfaccettatura.

1)The Big Bang Theory

Leonard, Sheldon, Howard e Raj, nel 2007 ci hanno fatto entrare nelle loro vite (e nel loro appartamento), presentando al mondo i nerd  e reclutando un esercito di ragazzi che – come i protagonisti – adorano i fumetti e indossano magliette dei supereroi,  ottenendo un successo strepitoso.

Fonte: over-blog-kiwi.com – Sheldon cita Star Trek

I quattro, alle prese con la quotidianità da cervelloni, dovranno fare i conti con Penny: una giovane aspirante attrice che, estremamente diversa da loro,  creerà un mix esilarante tra teoria delle stringhe e frivolezze.

È una serie cult ormai, premiata ma finita. Lascia un prequel, Young Sheldon, che racconta il genio del protagonista sin dalle scuole elementari, ma sappiamo che non basta: siamo sicuri, che The Big Bang Theory ci mancherà!

2)Rick and Morty

Ah, che belli i ricordi con i nonni! E questo,  Morty potrebbe dirlo più di tutti.

In un Cartoon, Netflix racconta il particolare rapporto nonno–nipote, riuscendo a condensare i temi più disparati: attualità, credenze mistiche e futuri impensabili.

Fonte: steamuserimages. com – Una tipica passeggiata nonno e nipote

La nonchalance di Rick  e l’insicurezza di Morty si armonizzano perfettamente e si addicono ad ogni avventura, che non sarebbe la stessa se non venisse vissuta con questo mix.

Tra un briciolo di gelida realtà e l’immensa comicità che la contraddistingue, è una serie da guardare e da riguardare, venti minuti di scienza esposta in modo (molto) poco convenzionale.

3) Stranger Things

Con un velo di nostalgia per gli anni 80, ci immergiamo in un atmosfera spielberghiana, in cui, per  quattro ragazzini, cominceranno una serie di eventi molto strani.

In coincidenza di un incidente nucleare, che creerà una breccia tra il nostro mondo e una dimensione non ben conosciuta, si perderà Will ma si conoscerà Undi, una ragazzina molto strana, appena scappata dalle forze governative.

Fonte: media.giphy.com – Will, Mike, Dustin, Lucas alla sala giochi

Nel giro di tre stagioni, vediamo come i nostri protagonisti riusciranno a combattere contro un upside down  misterioso – e spaventoso – e contro forze soprannaturali.

Questa serie ha avuto la capacità di far innamorare chiunque la guardasse, dai più giovani ai più adulti e, in attesa della quarta stagione, non si può far altro che un rewatch.

4) Orphan Black

Cosa fareste se vi ritrovaste davanti una persona identica a voi? E se poi questa si scoprisse essere un clone?

Sarah Manning e le sue sorelle scopriranno di esserlo, e – come se non bastasse – scopriranno di essere la punta dell’iceberg  di un progetto ben più complesso, che ha per obiettivo modificare e riprogrammare l’umanità.

Fonte: mediaite.com – Clone Dance/ Clone Club

In un contesto di scienza usata per un fine estremista, spicca il talento di Tatiana Maslany: già solo per questo varrebbe la pena guardare i quaranta minuti di ogni episodio.

L’estrema bravura di una sola attrice, che riesce ad essere copia di se stessa ma diversa in ogni atteggiamento e battuta.  Un capolavoro, in Italia purtroppo sottovalutato, che ci fa rendere conto di quello che potrebbe succedere quando l’uomo supera i limiti dell’etica e della scienza stessa.

5) Black Mirror

Lo specchio nero dei nostri dispositivi, ora più che mai è la fonte più vicina di scienza che abbiamo.

Quello che Black Mirror fa, e che giustifica il suo enorme successo, è rendere evidenti le crepe del rapporto uomo–macchina e mostrare da ogni punto di vista come l’evoluzione tecnologica stia andando più veloce di quella dell’uomo stesso.

Fonte: monstermovieitalia.com – logo BM originale Netflix

È una serie antologica difficile da classificare: distopica, attuale, horror, fantascientifica.  Non c’è niente di specifico per descriverla; le stagioni sono sconnesse tra loro, nonostante ci sia un sottile filo conduttore e le puntate non hanno un ordine ben preciso.

Quello che ha attratto milioni di telespettatori dunque,  è l’aver denunciato l’uso della tecnologia esasperato e l’aver mostrato come  le conseguenze che si avranno, saranno importantissime e disastrose.

5+1) Futurama

Da sempre , Bender, Fry e la loro ditta di consegne intergalattiche ci hanno tenuti incollati alla tv all’ora di pranzo.

La prima volta che l’uomo, la macchina e la galassia si sono uniti, in una sitcom disegnata dal celebre Matt Groening e che ha letteralmente posto il ventunesimo secolo in uno scenario nuovo: nel futuro anno 3000.

Un millennio in più, che però non è bastato a modificare le problematiche della società, ma ne ha solo mascherato l’evidenza e cambiato i protagonisti, includendo robot, alieni e mutanti.

Fonte: reactiongifs.us – Bender, Fry, Leela, professor Farnsworth sulla Planet Express

Sempre attuale e futuristica allo stesso tempo. Beh, adesso che è disponibile su Amazon Prime Video, non possiamo far altro che tornare a quel capodanno del 2000 e ibernarci con Fry!

Dunque, vediamo come questo argomento così complesso si mostra invece leggerissimo e fonte di intrattenimento (la cui lista sarebbe chilometrica).

Non è detto che la scienza sia noiosa, anzi tutt’altro, e non è detto che sia solo per cervelloni o per nerd, si presta a chiunque e ad ogni momento delle nostre vite e giornate.

Barbara Granata

100 anni con Alberto Sordi: un italiano dei nostri tempi

Il 15 giugno di cento anni fa nasceva Alberto Sordi, il nostro Albertone, una delle immortali maschere del cinema comico italiano.

Nasceva a Roma, quella Roma che meglio di chiunque altro ha saputo portare sul grande schermo. La Roma della corruzione, del pressappochismo, della rassegnazione, del qualunquismo e del servilismo. Ma anche la Roma degli imperatori, dei Fori e di Cinecittà, la Roma del “chissenefrega”, della gioia di vivere e di far ridere. Se la città eterna ha due facce – proprio come la luna – possiamo dire che Sordi ha saputo indossare a piacimento entrambe le maschere e velare di sorrisi e leggerezza difetti e contraddizioni della sua città … e di tutta l’Italia!

Esordi di un mito

Gli esordi di Albertone parlano da sé: nato in una famiglia in cui si respira aria d’arte (il padre è maestro di musica), non vuole proprio saperne di diventare ragioniere e tenta invece il grande salto nella carriera drammaturgica all’Accademia dei filodrammatici a Milano. Colmo dei colmi, qui verrà espulso per l’ inflessione troppo romanesca, quell’inflessione che darà un’impronta caratteristica e memorabile ai suoi personaggi. Cosa sarebbe l’americano di Steno senza il “mo me te magno!” con cui fa fuori un intero piatto di “maccaroni”?  Il fante Jacovacci senza il suo “Booni”? O il celebre marchese del Grillo senza il suo “Io so’ io e voi non siete un ca**o” simbolo di presunzione aristocratica?

Sordi ne ” Il marchese del grillo” di Monicelli, 1981. Fonte: wikipedia.org

Scartato dall’Accademia, Sordi tenta una scorciatoia per diventare attore: la carriera di doppiatore. Dal 1937 sarà infatti la voce italiana di Oliver Hardy (per intenderci: l’Ollio compagno di Stanlio). La sua caratteristica voce nasale gli darà modo di primeggiare anche a Radio Rai: qui creerà personaggi e macchiette trasposte poi in film di altrettanto successo.

 Albertone al cinema: la maschera dell’italiano medio

Talentuoso doppiatore, attore radiofonico e di teatro, ma anche compositore di memorabili canzoni, Albertone come mito nasce però al cinema e la sua fama è irrimediabilmente legata agli innumerevoli personaggi che ha saputo interpretare con realismo e comicità innata. Se pensiamo al cinema degli anni ’50  e ‘60 ci verranno in mente gli occhi di ghiaccio di Paul Newman, il fascino ribelle di James Dean o- per restare nei confini nazionali- la bellezza composta di un Mastroianni o l’imponenza di Gassman.

Alberto Sordi non era niente di tutto questo! Il faccione largo, il nasone adunco e il sorriso beffardo non rientravano certo nei canoni estetici dell’epoca, ma saranno tratti essenziali di quella maschera dell’italiano medio, signore assoluto della commedia all’italiana. Dopo l’esordio nei film dell’amico Fellini Lo sceicco bianco (1952), poco apprezzato dalla critica e il ben più fortunato I vitelloni  ( qui la nostra recensione in un articolo su Fellini), Albertone, diretto dai più grandi registi italiani, darà corpo e fiato a personaggi che si prendono gioco dei difetti dell’Italia del tempo grazie a una parlata tutta sua: ora piagnucolona e assillante, ora menefreghista e ipocrita nonché a un modo di camminare esemplare (si pensi al celebre saltello con cui entrava in scena anche negli spettacoli televisivi).

La celebre pernacchia ai lavoratori ne “I vitelloni”. Fonte: open. online

Tra i tanti, sarà nullafacente con la passione per l’America  in Un americano a Roma di Steno (1954), scapolo incallito ne Lo scapolo di Antonio Pietrangeli (1955) e poi marito di una tirannica Franca Valeri ne Il vedovo di Risi (1959), medico spregiudicato ne Il medico della mutua (1968) di Luigi Zampa e nel sequel del ’69 diretto da Salce.

Sordi che mangia i maccheroni nella celebre scena di “Un americano a Roma”. Fonte: wikipedia.org

Dalla fine degli anni ’60, affiancherà alla carriera d’attore quella di regista. Sordi regista porterà dietro la macchina da presa quel gusto tutto italiano di far ridere non rinunciando a rappresentare in maniera satirica luci e ombre della realtà sociale. Pellicole come “Fumo di Londra” e “Un italiano in America” (quest’ultima a fianco del grande De Sica) rappresentano realtà estere quali l’Inghilterra e gli States spesso troppo idealizzate dal Bel Paese.

A narrarle lo sguardo di un provinciale come tutti noi: incantato e stordito dalle insegne luminose e dal caos delle cities, scoprirà presto che Londra non è più capitale di gentleman in bombetta e il sogno americano di gloria e ricchezza è in realtà un incubo da cui ti svegli presto, pieno di debiti fino al collo e con gli strozzini alle calcagna.

Un italiano in America, locandina. Fonte: raiplay.it

L’eroe di Monicelli

È però la collaborazione con Mario Monicelli a rappresentare in maniera esemplare la splendente parabola comico-drammatica di Sordi. Soffermiamoci su due film celebri.

In  Un eroe dei nostri tempi  (1955) Alberto Sordi è tutt’altro che un eroe, anzi un classico antieroe proprio come lo è il Paperino dei fumetti. Adulatore dei superiori, infantile e petulante, Alberto Menichetti è un impiegato d’azienda che si dimostra vile in qualsiasi situazione quotidiana: sfugge alle botte dei più forti, non prende mai parte agli scioperi e per di più ha la fobia di rimanere incastrato nei fatti di cronaca più gravi.

Sordi che si dà per malato col proprio capo in “Un eroe dei nostri tempi”. Fonte: cristaldifilm.com

Insomma uno che in guerra se la svignerebbe sempre dalla trincea.

Sembra su questa linea un altro grande personaggio interpretato da Albertone, il fante romano Oreste Jacovacci ne La grande Guerra (1959). Il conflitto gli permetterà alla fine di sfoggiare doti di buon cuore e coraggio inaspettate che faranno di lui un vero eroe. È per Sordi la svolta: la sua prova d’attore regge anche in un contesto drammatico. Al suo fianco Vittorio Gassman nei panni del fante Giovanni Busacca, milanese anarchico sprezzante dell’amor patrio, degli ideali bellici e dei suoi commilitoni “da Roma in giù”. Insomma due realtà italiane che Monicelli mette a confronto con pregi e difetti senza far sconti a nessuno.

I due commilitoni Sordi e Gassman ne “La grande guerra”. Fonte: pinterest.it

Perché Sordi rappresenta ancora ognuno di noi?

C’è una comicità d’evasione in cui ci rifuggiamo per sfuggire ai conflitti e alle contraddizioni del quotidiano e c’è una comicità- specchio, che questi conflitti li mette in mostra senza paura. Ognuno di noi si riconosce in una sorta di ritratto buffo e satirico davanti al quale può ridere, ma anche prendere coscienza.

E questa è la comicità di Sordi, attuale come non mai.

Si pensi a Guido Tersilli, il medico della mutua, esempio di una sanità sempre più rivolta al lucro che alla salute dei pazienti. Sanità che – intendiamoci – non esiste soltanto nelle città da Roma in giù! Si pensi poi a Il boom, pellicola del 1963 diretta da De Sica, in cui Sordi interpreta un marito sommerso dai debiti  a causa del tenore di vita da alto-borghese.

Il boom, locandina. Fonte: raicultura.it

“Lei venderebbe un occhio?” si sente rivolgere il protagonista allibito. E’ una domanda che dovremmo trovare in tanti copioni odierni che si vantano di trattare temi politici e impegnati con la stessa franchezza e dove la parola “crisi economica” fa da padrone. Ma sono cambiati i tempi: manca quella disinvoltura, quella fantasia, quello sguardo attento al reale privo di buonismo, mancano i grandi registi della commedia all’italiana. Manca una maschera dalla risata amara. Manca un comico come Alberto Sordi!

 

Angelica Rocca

Fellini realista visionario: l’uomo che rubò le scene ai nostri sogni

Su Fellini si è detto e scritto tanto, si è cercato di scandagliare scena per scena i suoi film alla ricerca di significati allegorici, si è tentato anche all’estero di copiarlo – ora con successo, ora con esiti incerti – tentando di ricreare quell’universo grottesco e sublime ricco di simboli meravigliosi, ma anche di donne giunoniche e affascinanti latin lovers che per anni hanno incarnato la dolce vita italiana.

A cent’anni dalla sua nascita e a 60 dalla  Palma d’Oro a La dolce vita, Rai Movie sta trasmettendo dal 20 maggio, ogni mercoledì in prima serata, il ciclo di film e documentari intitolato “Fellini realista visionario”. Un ossimoro sta ad indicare uno dei più celebri registi, una definizione che possiamo spiegare allacciandoci a un altro grande genio italiano: Dante Alighieri.

Il realismo non sta in cosa si racconta, ma in come lo si racconta. Lo sapeva bene il poeta della Divina Commedia quando utilizzò le parole più crude per far parlare le creature dell’Inferno. Lo sapeva Fellini, fumettista prestato al cinema, che faceva dialogare i personaggi dei suoi film ciascuno con il proprio dialetto e insieme al sogno portava in scena vizi e ipocrisie della società italiana del tempo.

Se è abitudine consolidata studiare Dante al liceo, perché allora non far conoscere alle giovani generazioni anche Fellini?

La scelta di Rai Movie  si rivela perciò azzeccata e noi di UniVersoMe non possiamo fare a meno di segnalarvela con i dovuti approfondimenti.

 Ad inaugurare la rassegna è stata La dolce Vita (1960)

Uno dei primi capolavori del grande maestro, la pellicola che l’ha consacrato alla fama internazionale capace di imprimersi con scene celebri, modi di dire (ma anche di vestire) nella memoria collettiva italiana e del mondo intero.

La celebre scena della fontana di Trevi ne La dolce vita. Fonte: turismo.it

La fontana di Trevi con Anita Ekberg, archetipo della donna divina che grida “Marcello come here ” a un avvenente Mastroianni, “Paparazzo”, il fotoreporter che affianca il protagonista e che è diventato per antonomasia il nome di qualsiasi “avvoltoio” che vive di scatti scandalosi delle star, il maglioncino a collo alto indossato dai personaggi chiamato da allora in poi “dolce vita”: sono tutte immagini in miniatura dell’Italia mondana del boom economico.

È l’Italia di Via Veneto, crocevia di stelle del cinema, borghesi, intellettuali, artisti e giornalisti in cerca di scoop. Fellini rappresenta con spiccato realismo questo mondo di luci abbaglianti e flash fotografici attraverso la storia del giornalista Marcello Anselmi (Marcello Mastroianni), provinciale dalle aspirazioni letterarie emigrato a Roma per far fortuna.

Il 27 maggio è stata la volta di 8 ½ (1963)

Vincitore di 2 premi Oscar e ben 6 nastri d’argento, 8 ½  è la trasposizione in cellulosa di ciò che in letteratura hanno fatto geni come Joyce e Pirandello. Abbiamo sempre Marcello Mastroianni nei panni di Guido Anselmi, regista in preda a una crisi creativa ed esistenziale che gli impedisce di portare a termine il suo ultimo film. Memorie, allucinazioni e sogni (celebre la scena in cui il protagonista si alza in volo) si fondono assieme alla realtà in un flusso di coscienza continuo in cui lo spettatore può ammirare la realizzazione di un film in fieri.

Il sogno di Guido con cui si apre il film. Fonte: 180 gradi.org

8 ½ è stato salutato non a caso come l’esempio più brillante di metacinema: arte e vita si mescolano e il protagonista cerca come tutti noi l’ordine e la pulizia nel caos della vita. Guido non sa scegliere: conteso tra l’amore coniugale di Luisa (Anouk Aimée) e la passione  carnale per l’amante Carla (Sandra Milo), vagheggia un harem in cui può far convivere pacificamente tutte le donne della sua vita, coccolato e vezzeggiato come un bimbo, ma desidera essere salvato dalla tipica donna-angelo: qui entra in scena Claudia Cardinale che sembra condannarlo: “un tipo così non fa mica tanta pena”, “non sa voler bene”.

Mastroianni e Cardinale a confronto in uno dei più bei dialoghi del film. Fonte:pinterest.com

Fellini che invece vede in Guido il suo alter ego non condanna, ma racconta come pochi sanno fare!

Stasera alle 21: 10 non perdetevi I Vitelloni (1953).

Ambientazione nella natia Rimini per questo film di stampo neorealista del primo Fellini, in cui il suo stile magico è meno riconoscibile. I Vitelloni è la storia di cinque giovani perdigiorno restii ad assumersi le responsabilità della vita: a fare da sfondo una provincia stagnante e arretrata, in cui l’unico dinamismo è dato dal vento (elemento onnipresente nei film di Fellini) che soffia con forza in diverse scene.

Fausto (Franco Fabrizi), costretto a sposare la giovane Sandra ( Leonora Ruffo) perché rimasta incinta, rimane ancora un playboy; Riccardo (Riccardo Fellini, fratello del regista) si diletta a fare il tenore; Leopoldo (Leopoldo Trieste), l’intellettuale, tenta di sfondare come commediografo e Alberto (il grande Sordi che vinse il Nastro d’Argento), il più ridanciano, trova il proprio lato più maturo ergendosi a figura morale della sorella, che col suo lavoro in realtà sostiene madre e fratello nullafacente.

In questo spaccato si riscontra il maschilismo dell’epoca cui Fellini accenna senza tanta insistenza. Nel gruppo spicca però Moraldo (Franco Interlenghi), il più taciturno. Sarà lui l’unico capace di quella scelta drastica in grado di far decollare la propria vita.

Come continuerà il ciclo su Fellini

Il ciclo di Rai Movie proseguirà con La città delle donne (mercoledì 10 giugno in prima serata) e poi tutte le mattine alle 10: 30, da domenica 14  a sabato 20 con altri capolavori, tra cui Lo sceicco bianco e Ginger e Fred. Dal 24 si sposterà invece in seconda e terza serata. Scelta piuttosto discutibile: solo i “notturni” potranno assistere a capolavori come La voce della luna (con Benigni e Villaggio) o il meno conosciuto Prova d’Orchestra (1979).

Fonte: mymovies. com

È quest’ultima un’opera minore del maestro, modesta anche nella durata (70 min), che inscena la rivolta di un’orchestra nei confronti del proprio direttore autoritario. Che fosse il tentativo di Fellini di dire la sua sugli anni di Piombo?

Stupisce però in questa rassegna Rai l’assenza di titoli come Amarcord (1970).

 Fonte: amazon.it

Affresco magico della Rimini dell’infanzia in cui hanno trovato posto personaggi esemplari: la tabaccaia (Maria Antonietta Beluzzi), la sensuale Gradisca ( Magali Noel), lo zio matto interpretato da un grande Ciccio Ingrassia, il giovane protagonista Titta (Bruno Zanin) in preda ai primi risvegli sessuali e ai sensi di colpa dettati dalla cultura cattolica e arretrata in cui è immerso e dall’imperante mentalità fascista. Se amate i racconti corali alla Nuovo Cinema Paradiso, i ritratti dei borghi che non esistono più con i loro personaggi bizzarri, rimediate guardando questo degno antecedente.

Perché guardare ancora oggi Fellini?

Sicuramente la fine del lock- down sarà un’ottima scusa per uscire di casa e andare a gustarvi quella dolce vita che Fellini amava “sentire e non capire” e lasciar perdere la rassegna di RaiMovie. Ma quando avete un po’ di tempo, correte a recuperare questi film. Scoprirete forse che Fellini è un ladro: le sue immagini sembrano arraffate dai nostri sogni più stravaganti . Ma forse sta proprio in questo la grandezza di un genio: trovare il modo di dire ciò che ognuno di noi ha dentro di sé e non sa narrare.

L’apparizione di un pavone in mezzo alla neve in Amarcord. Fonte: movietravel.org

 

Angelica Rocca