Omaggio a Sean Connery, 90 anni da James Bond (e non solo)

Ci ha lasciato ieri a 90 anni il James Bond più famoso: Sean Connery. Scozzese doc e fiero indipendentista, l’attore, nato a Edimburgo nel 1930, aveva già dai primi anni 2000 abbandonato il mondo di Hollywood e dintorni, non senza lasciare prima una traccia inconfondibile e personaggi indimenticabili nella storia del cinema.

Il primo amore non si scorda mai: inimitabile 007

Il mio nome è Bond, James Bond

Celebre frase con la quale 007 si presenta per la prima volta

Se chi tardi arriva male alloggia, sicuramente chi arriva per primo si riserva la migliore “fetta di torta”. Forse sarà stata questa la fortuna di Connery: arrivare per primo nel 1962 a ricoprire il ruolo dell’agente segreto più famoso del mondo. O forse sarà stata la sua bravura,  il suo fascino deciso e allo stesso tempo raffinato, il suo essere mascolino senza essere rozzo, ad averlo reso il James Bond per antonomasia.

James Bond (Sean Connery) si presenta per la prima volta nel film “Agente 007 -Licenza di uccidere” – Fonte: wikipedia

Sean Connery ricoprirà questo ruolo in tutti i successivi capitoli della saga dal 1962 al 1967 e il vero e proprio fiasco del suo successore  George Lazenby (Agente 007- Al servizio segreto di sua Maestà, 1969) lo porterà- seppur controvoglia – a tornare ancora una volta, nel 1971, nei panni dell’agente segreto a servizio di sua maestà in Agente 007 – Una cascata di diamanti. Insomma, Connery si sarebbe potuto fermare al ruolo del sex-simbol con licenza da uccidere già dopo Dr. No (titolo originale del primo capitolo della saga), a quella battuta pronunciata con la sigaretta tra i denti e lo sguardo ironico e distaccato ai tavoli del casinò e sarebbe comunque già passato alla storia.

Ma la serietà professionale di Connery lo spinse a vestire altri panni oltre a quelli della spia a bordo dell’Aston Martin.

Tra i tanti, quelli dell’inflessibile poliziotto Jimmy Malone ne Gli intoccabili (1987) di Brian De Palma ( ruolo che gli frutterà il suo unico Oscar in un’immensa carriera), ma anche quelli di personaggi medievali come Robin Hood accanto ad Audrey Hepburn in Robin e Marian (1976), Riccardo cuor di Leone in Robin Hood- Principe dei ladri (1991) al fianco di Kevin Costner e un meno noto re Artù ne Il primo cavaliere (1995).

Un indimenticabile frate intellettuale ne “Il nome della Rosa”

“Addio Guglielmo, sei un pazzo e un arrogante, ma ti voglio bene e non cesserò mai di pregare per te.”

Il saluto di Ubertino da Casale a Guglielmo da Baskerville

Ma il ruolo medievale che forse è rimasto più impresso nei cuori di noi italiani è sicuramente quello di Guglielmo da Baskerville ne Il Nome della Rosa, coproduzione italo-franco-tedesca del 1986, per la regia di Jean-Jacques Annaud.

Il nome della Rosa: locandina. Fonte: amazon.it

Il film è tratto dall’omonimo successo editoriale senza precedenti di Umberto Eco e, pur presentando alcune differenze con la trama del libro, rende con efficacia quell’atmosfera tardo-medievale intrisa di mistero che l’autore ha dipinto nel suo giallo storico. Siamo nel burrascoso inverno del 1327: in un’abbazia benedettina sulle Alpi arrivano il frate francescano Guglielmo da Baskerville e il suo discepolo ancora novizio, Adso da Melk. Tra monaci oscuri e talvolta stravaganti, inquisitori bigotti e personaggi a metà strada “tra il santo e l’eretico”, i nostri protagonisti dovranno sbrogliare la matassa dei delitti che stanno sconvolgendo da qualche tempo la pace del monastero.

Si tratta davvero dell’opera del maligno? Cosa c’entrano queste misteriose morti col filosofo Aristotele? E perché è proibito ridere in questo monastero?

A queste domande cercherà di rispondere Guglielmo da Baskerville con l’aiuto di Adso e di strumenti all’avanguardia – si fa per dire – come un paio di occhiali e la forza dell’intelletto.

Frate Guglielmo da Baskerville con i primi occhiali. Fonte: festivaldelmedioevo.it

In un’età in cui i religiosi preferivano affidarsi al cieco misticismo e mettere a tacere la razionale sete di sapere, Guglielmo da Baskerville è a tutti gli effetti un outsider, un religioso illuminato, un progressista ante-litteram; è lui il vero “visionario”, dalla mente proiettata in avanti rispetto all’oscurantismo dei suoi tempi.

Con il suo freddo charme scozzese – che traspare anche sotto il saio -, i gesti misurati e lo sguardo acuto e intrigante, Sean Connery si rivela perfetto nel dare voce e corpo all’arguto detective francescano partorito dalla penna di Eco: sfido chiunque inizi a leggere oggi il nome della Rosa a non raffigurarsi frate Guglielmo da Baskerville con il volto di Connery.

Il suo è un personaggio affascinante che desta simpatia, ma a volte anche rabbia per l’eccessiva freddezza intellettuale: Guglielmo – come gli rimprovera Adso – «sembra avere pietà più per i libri che per le persone». Tuttavia non possiamo non gioire con lui quando si infiamma davanti alla biblioteca dei benedettini, «un vero tesoro di sapienza e conoscenza».

Adso ( Christian Slater) e Guglielmo nella biblioteca. Fonte: huffingtonpost.it

Pare che l’interpretazione di Guglielmo da Baskerville stesse molto a cuore anche allo stesso Connery, che studiò molto per questo ruolo. Il suo impegno e il suo talento furono infatti premiati con un meritatissimo premio BAFTA.

Versatilità e stile senza pari

Il prof Henry Jones (Sean Connery) che mette in fuga gli uccelli in “Indiana Jones e l’ultima crociata” Fonte: movieworldmap.com

Con Sean Connery se ne va un attore molto versatile, capace di vestire e svestire panni diversi passando dal più classico degli action movies a ruoli da “intellettuale” (si veda anche il simpatico archeologo padre di Harrison Ford in Indiana Jones e l’ultima crociata, 1989), ma anche l’ultimo esempio di virilità forte e allo stesso tempo elegante.

Ha affermato Gina Lollobigida:

“Un uomo semplice, ma elegantissimo, uno stile inconfondibile il suo.”

Uno stile che sicuramente rimpiangeremo.

Angelica Rocca

Roberto Benigni, maestro della risata e della leggerezza

Roberto Benigni, è a lui che dobbiamo alcuni dei ricordi più divertenti ed emozionanti degli ultimi 50 anni del mondo dello spettacolo: Sophia Loren che lo annuncia come vincitore dell’Oscar nel 1999, i suoi racconti strampalati e le sue gag al “David Letterman Show” o al “The Graham Norton Show”, lo scambio di pantaloni con Baudo o l’assalto, con tanto di «Che bella chiappa!», a Raffaella Carrà.

Benigni agli Oscar del 1999 – Fonte: avvenire.it

Per non parlare poi della sua attività di divulgazione culturale tramite la lettura, il commento della Divina Commedia e dei dieci comandamenti (che gli sono valse svariate lauree honoris causa in lettere e filologia). Insomma, l’attore toscano è entrato nei nostri cuori grazie alla sua leggerezza, alla sua ironia e al suo spirito sempre giovane che ci fa ricordare quanto sia bello ridere di gusto.

Proprio oggi, al compimento dei suoi 68 anni, vogliamo omaggiarlo e soprattutto ringraziarlo per alcune delle sue migliori interpretazioni sul grande schermo.

1) Johnny Stecchino (1991)

Se un film in cui recita Benigni è un capolavoro garantito, come può non esserlo ancora di più un film con un “doppio” Benigni? In Johnny Stecchino lo troviamo ad interpretare sia Dante, uno scapestrato autista di scuolabus, sia – appunto – Johnny, boss pentito della mafia di Palermo. A tenere insieme questi due personaggi c’è Maria (Nicoletta Braschi), la moglie del pentito.

Lei, dopo aver incontrato per caso Dante, comincia a ordire un piano per far fuggire il marito da Palermo approfittando dell’incredibile somiglianza tra i due. Il susseguirsi di un equivoco dopo l’altro ci accompagneranno tra le (dis)avventure di Dante a Palermo, ignaro del perché abbia gli occhi di tutti puntati addosso quando cammina per le strade della città.

Benigni è magistrale nel caratterizzare alla perfezione entrambi i personaggi: Dante, così ingenuo e gentile e Johnny, così rude e crudele.

E poi, chi avrebbe immaginato che rubare una banana a Palermo fosse così pericoloso?

Benigni nei panni di Johnny – Fonte: roberto-benigni.com

2) Il mostro (1994)

Benigni interpreta, come spesso accade nei suoi film, un vinto dalla vita. Lo troviamo infatti nei panni di Loris, un quarantenne disoccupato che tira avanti rubacchiando qualcosa qua e là e facendo dei lavoretti saltuari. Nella zona in cui abita Loris sono ormai alcuni anni che un serial killer, definito “il mostro”, perpetra una serie di efferati omicidi che hanno come bersaglio giovani e belle donne.

Per un malinteso nato durante una festa, Loris verrà sospettato di essere il mostro. La polizia comincerà dunque a investigare su di lui e incaricherà la poliziotta Jessica (ancora Nicoletta Braschi) di avvicinarlo per studiare da vicino le sue mosse. Ne nascerà un’esilarante commedia in cui i doppi sensi e le sfortunate coincidenze la fanno da padrone, e noi vi consigliamo di seguirla fino alla fine per conoscere la sorte del povero Loris.

Loris in una scena del film – Fonte: taxidrivers.it

3) La vita è bella (1997)

Senza tanti giri di parole è il capolavoro di Benigni. L’attore veste i panni di Guido, un libraio di origine ebraica sposato con Dora (la solita Nicoletta Braschi). Dal loro amore nasce Giosuè e la loro famiglia vive felice nonostante il periodo delle persecuzioni fasciste. Questo fino al 1944, quando vengono deportati in un lager.

È a questo punto che l’ingegno del padre si mette in moto: per proteggere il figlio dall’orrore dei campi di concentramento fa credere al bambino che siano stati scelti per partecipare a un gioco a punti, in cui il premio finale è un carro armato vero. Vincitore di 3 premi Oscar (miglior attore protagonista, miglior film straniero e miglior colonna sonora), è stato da alcuni criticato per la leggerezza con cui tratta uno dei capitoli più bui della storia. In realtà sta proprio qui la sua forza, far ricordare che ci può essere del buono in ogni situazione e che la purezza di un bambino non dovrebbe mai essere infangata dagli sbagli dei grandi.

Guido e la sua famiglia. Fonte: rbcasting.com

La lista dei suoi capolavori è veramente lunga tra cinema (basti pensare alla collaborazione con Troisi di cui abbiamo parlato in questo articolo), teatro e televisione. Qualsiasi mezzo decida di usare, noi ci auguriamo che continui a entrare nelle nostre vite per portare un po’ di buon umore come solo lui sa fare. In fondo siamo del parere che ancora nessuno sia in grado di raccogliere la sua eredità. Nessun attore infatti, ad oggi, gli somiglia “pe’ niente”.

Davide Attardo

I rap-conti della buonanotte del professor Murubutu

Da oggi si dorme un’ora in più; mettere indietro di 60 minuti l’orologio renderà la notte più lunga e il nostro risveglio con la luce.

Ed è proprio la notte, spaventosa e affascinante che da sempre fa da ispiratrice ai grandi artisti; ai giorni nostri nessuno meglio del Rapper-Prof Alessio Mariani, in arte Murubutu ne capisce l’essenza e ce la sa descrivere.

Il suo disco Tenebra è la notte ed altri racconti di buio e crepuscoli, racchiude con delicatezza e realismo tutto ciò che notte rappresenta. Da solo o con dei featuring d’eccezione, il professore riuscirà a pieno nel suo intento; noi abbiamo scelto solo cinque delle sue canzoni-poesie, il resto sta a voi.

1) Eh, qua è tutto uguale, per questo è perfetto – La notte di San Lorenzo

La notte di San Lorenzo è un brano che racconta una storia d’amore finita; ma, dietro questa apparente banalità, riesce ad incastrare magistralmente i temi del desiderio, della meraviglia e della nostalgia. 

La capacità di meravigliarsi, di provare un sentimento stupore inatteso e straordinario è senza dubbio fondamentale per essere felici.  Questa capacità così importante viene appresa durante l’infanzia; sono proprio le esperienze precoci e l’amore dei genitori a permetterci di diventare adulti capaci di meravigliarsi.

In questa canzone, Murubutu ci fa viaggiare attraverso il cielo stellato di una notte estiva in Sila vista proprio dagli occhi di un bambino. Cosi un « grappolo di case appese sul tirreno» diventa «un mondo intero» dove i protagonisti crescono felici.

Fonte: pagina Facebook Ernesto Anderle – la notte e la spensieratezza

Io sto ancora qui scalzo, felice come in quei giorni
Fra i monti, io ho sempre quella stessa età

con questo verso si conclude l’ultima strofa; e il protagonista – divenuto ormai adulto – guarda il mondo con occhi diversi ma conservando ancora intatta quella capacita così intima di sentire la magia della vita.

2) Uno scrittore accende il lume e inizia la bugia – Occhiali da luna

Occhiali da luna ci trasporta in un’atmosfera cittadina notturna in cui tutti intorno dormono e uno scrittore trova la propria dimensione esistenziale. Così l’artista, libero dalle pressioni e dalle costrizioni che la vita in società impone, si «gode questo limbo in cui non serviranno trucchi».

Di notte riesce ad entrare in contatto con se stesso, con le proprie emozioni ed è cosi che il buio diventa una guida perché «Quando c’è buio vedo tutto più chiaro».

Fonte: pagina Facebook Ernesto Anderle – Lo scrittore durante la notte 

Questo pezzo è quasi un’autobiografia; Murubutu ha affermato di  riuscire a scrivere tra le due e le tre del mattino e tramite questo brano riesce a spiegarci come il suo problema nel prendere sonno viene convertito in arte.

3) Per sentirla vicina, occorre averne un poco dentro – Wordsworth

Wordsworth è una poesia dedicata alla luna. Lei «regina del firmamento», che con la sua luce ha illuminato le notti dell’umanità ben prima dell’invenzione delle lampadine o della scoperta del fuoco, diventa musa di Murubutu e di Caparezza.

Il titolo del pezzo fa riferimento a William Wordsworth, poeta ottocentesco inglese che ha dedicato diverse poesie alla luna (tra cui la famosa Paesaggio Lunare). In realtà non si rifà semplicemente all’autore ma all’intero periodo romantico, richiamandone diverse tematiche trattate anche da altri scrittori come Leopardi o Foscolo ma anche da pittori come Friederich o dai filosofi Schelling e Fichte, tutti citati nella canzone.

Fonte: pagina Facebook Ernesto Anderle – vari autori del passato e del presente (tra i quali Caparezza a destra)

I temi chiave del brano sono: la meraviglia davanti all’infinito, la sensazione di piccolezza nei confronti della grandezza della natura, la contrapposizione tra io finito e natura, non solo come opposti ma come parti dello stesso infinito. La canzone si dirama tra citazioni passate ed immagini nuove, in un brano che diventa un ottimo connubio tra sonorità moderne e temi letterari intramontabili.

4) Il sole non c’è, là fuori è notte e il buio impera – La vita dopo la notte

In La vita dopo la notte, Murubutu racconta una storia d’amore senza tempo e senza fine.

Con la sua capacità di storytelling ci porta ad immaginare una giovane coppia che dopo la grande guerra si innamora e prova a costruire – in modo molto tradizionale – la propria vita: «lui con le sue mani, ne eresse le basi poi i piani, le travi» per la sua «sposa vestita a festa; radiosa, pudica e fresca».

Fonte: pagina Facebook Ernesto Anderle – Vittorio e Donata in via Pascal

La loro vita diventerà poesia, di cui il professore riuscirà a cogliere i dettagli più belli così come quelli più cupi e in soli quattro minuti ci farà rivivere l’amore dei nonni, il calore del loro abbraccio e il freddo del loro abbandono.

Sai non temo anche se tremo
Sai che credo che staremo sempre insieme senza avere età

5) Maremoto sensoriale – Le notti bianche

Citando Dostoevskij e rappando con Claver Gold, il Prof riesce ad esprimere la superiorità del sogno rispetto alla realtà.

Le notti bianche – così come il celebre e omonimo libro russo – racchiude l’ebrezza del sogno e sottolinea come questo sia il motore delle nostre emozioni e delle nostre azioni durante il giorno.

Racconta la storia di un incontro; il desiderio si veste da donna e il sognatore non è altro che un uomo che la cerca e se ne innamora senza mai averla vista. Lui, come tutti noi,  ha il pensiero fisso di conoscere ciò che c’è di più nascosto e sconosciuto.

Con la consapevolezza che «sarebbe rimasto d’incanto dopo tanta ricerca», l’uomo sceglie la luce della luna per cercarla e «dopo averla cercata tutte le notti, dopo quel giorno» si accorge che «non esiste realtà che resti all’altezza del sogno».

Tutto d’un tratto le sensazioni vengono interrotte
Più che svanite direi lenite o del tutto ridotte

 

Quindi, qualunque sia il nostro modo di vivere la notte, Murubutu riesce a descriverlo e lo rende poesia. Storie in versi che ci sembra di aver vissuto o di aver immaginato almeno una volta e, per quanto possa fare paura, un’ora in più del 2020 non sarà tanto brutta; soprattutto se trascorsa ad ascoltare questo disco.

Che dire Prof, ci ha insegnato la realtà e lo ha fatto con grande stile.

Barbara Granata e Lorenzo La Scala

#OttobreRosa: Allacciate le cinture, una commedia drammatica al femminile

In queste settimane dedicate alla campagna di sensibilizzazione per la prevenzione e la cura del cancro al seno, noi di UniVersoMe ne stiamo trattando ogni aspetto; nell’ambito della rubrica Recensioni abbiamo scelto il film Allacciate le cinture, pellicola proiettata nel 2014 nelle sale italiane e diretta dal regista italo-turco Ferzan Ozpetek.

Trama

Questa commedia drammatica – genere tipico del regista – racconta la storia di Elena (Kasia Smutniak), una giovane barista leccese che a cavallo tra gli anni ’90 e i primi del 2000 ha una relazione con Antonio (Francesco Arca), il fidanzato della sua migliore amica Silvia.

Antonio ed Elena sono dei personaggi un po’ stereotipati ma allo stesso tempo molto diversi tra loro: rozzo, razzista e omofobo lui; indipendente, acculturata e progressista lei.

Fonte: la Repubblica – Elena e Antonio 

L’azione cinematografica subisce un’evoluzione repentina. Dai primi passi della loro relazione, vi è poi uno stacco temporale e le scene giungono subito ad un prossimo futuro in cui vediamo i due personaggi sposati con figli (precisamente un bambino e una bambina). Elena adesso è socia del suo migliore amico Fabio e i due gestiscono un bar.

Le vicende di Elena

Tralasciando le tecniche cinematografiche tanto care ad Ozpetek, come ad esempio l’intersecazione di differenti piani temporali presente anche in questa pellicola, ciò che andremo ad analizzare è la vicenda che coinvolge la protagonista più o meno a metà film.

Elena casualmente si sottopone ad uno screening mammografico e le viene diagnosticato il cancro al seno.

Il regista dedica metà del suo lavoro al racconto della malattia della protagonista e del modo in cui lei la affronterà.

Elena non si abbatte subito, cerca di condurre una vita normale e di trattenere a morsi la sua quotidianità. Fa finta di niente, non mostra un minimo tentennamento neanche quando si dovrà aprire davanti alla sua famiglia raccontando cosa le sta succedendo e le terapie alle quali si dovrà sottoporre.

Ben presto però gli effetti della chemio si scagliano su di lei, ed Elena a questo punto non può più far finta che tutto sia normale (come faceva quando non era ancora a conoscenza di quel mostro si era depositato nel suo seno). Neanche Antonio può continuare a rimanere chiuso in sé stesso e nel suo dolore.

Fonte: La Gazzetta dello Sport – Elena (Kasia Smutniak)

La loro figlia comincia a capire che la madre sta male e che forse potrebbe non vederla crescere; le fa quindi delle foto. Vuole imprigionarvi il ricordo del viso.

Ozpetek – che è un maestro nel racconto sul grande schermo delle vicende umane – stavolta si concentra sul cancro e su come esso si ripercuote anche tra gli affetti e nella quotidianità della persona che ne soffre. Tutto cambia, le piccole attività non sono più le stesse, anche andare dal parrucchiere è differente; quando Maricla “un’ amica” di Antonio si offre di «farle i capelli», Elena rifiuta:  non ha più bisogno di pieghe, tinte e tagli, sa benissimo che molto presto diventerà calva e avrà – piuttosto – bisogno di una parrucca.

Fonte: La Gazzetta dello Sport, Maricla la parrucchiera (Luisa Ranieri) ed Elena

La giovane donna non viene lasciata da sola nel suo percorso contro la malattia. Forse il messaggio che cerca di veicolare il regista è proprio questo: l’importanza del contatto umano e delle relazioni in un momento così delicato.

Ognuno, nel piccolo mondo di Elena, a proprio modo le è vicino: dall’eccentrica zia all’apparente cinica madre, dall’amorevole amico Fabio alla singolare compagna di letto d’ospedale Egle che condivide la sua stessa sofferenza. Infine c’è Antonio: il loro rapporto oscilla tra alti e bassi, ma forse è l’unico che riesce a trasmettere ad Elena quella tenerezza e quell’ affetto di cui lei ha bisogno, che riesce a farla sentire desiderata nonostante le trasformazioni che il suo corpo sta subendo a causa delle cure.

 

Una storia, quella raccontata in Allacciate le cinture, che mostra purtroppo un dramma che colpisce l’universo femminile; un genere del tutto particolare, la commedia drammatica – come già sottolineato – in cui i tratti di ironia non sono affatto marginali, a differenza di quanto si potrebbe pensare, nemmeno nelle scene in cui si manifesta tutto il dolore di Elena.

Ilenia Rocca

 

John Lennon: la favola di un working class hero

Diceva una vecchia canzone: “Chiedi chi erano i Beatles” e oggi che è l’ 8 dicembre, a quarant’anni dalla sua morte ci chiediamo invece: Chi era John Lennon?

Una domanda da un milione di risposte perché forse ognuno di noi ha il suo “John Lennon personale”.

John Lennon con uno dei suoi amati gatti. Fonte: tuttozampe.com

Spunteranno all’appello il John leader dei Beatles: chitarra tra le mani e il celebre caschetto, autore insieme al compagno McCartney di melodie inarrivabili per purezza e perfezione; il John delle lotte pacifiste accanto alla musa orientale Yoko Ono; quello del giro di Do di Imagine dietro il famoso “White Piano”; il John dagli occhiali tondi e dall’indole pigra; il cinico ragazzo di Liverpool dalla verve comica e la testa sempre piena di idee fantasiose che riversava spesso in caricature e storie umoristiche e infine quello più maturo e saggio, delle massime concise e profonde che tuttora circolano sul Web facendogli guadagnare a buon diritto il titolo di “filosofo”.

“Dio è un concetto attraverso cui misuriamo il nostro dolore” (“God”, 1970), “Gioca il gioco ESISTENZA fino alla fine… dell’inizio” (“Tomorrow never knows”, 1966), “Vivere è facile ad occhi chiusi” (“Strawberry fields forever”, 1967) o ancora la più famosa “La vita è ciò che ti accade mentre sei impegnato a fare altri progetti” (“Beautiful Boy”, 1980) non è forse filosofia in pillole pop?

John Lennon ritratto in un murales di Camden Town, Londra. © Angelica Rocca

 

Insomma, John Lennon, che non a caso si autodefiniva «un animo da monaco dentro il corpo di una pulce da circo», era un artista dalle molteplici anime, difficili da racchiudere in un unico ritratto. La sua personalità controversa, carismatica, ma anche schietta ci incute soggezione, ci disorienta, ci coglie spaesati quasi fossimo pellegrini a valle di una maestosa vetta con una polaroid in mano. Tutti si mettono a scattare e ognuno coglierà nella sua minuscola istantanea un piccolo pezzo di monte, ma nessuno riuscirà a catturare la montagna per intero proprio perché così immensa. Perché, che piaccia o no, che si ascolti o meno musica rock, nessuno può mettere in discussione la grandezza di John Lennon e la rilevanza che la sua musica ha avuto nel Novecento (e non solo).

AS SOON AS YOU’RE BORN THEY MAKE YOU FEEL SMALL

Dire che Lennon è stato un grande non ci fa certamente dimenticare le umili origini di un working class hero che è stato capace di riscattare la nascita sotto una “cattiva stella”.

John Winston Lennon viene al mondo la notte del 9 ottobre del 1940 in una Liverpool bombardata dai tedeschi e in una famiglia tutt’altro che unita.

John Lennon ad Amburgo. Fonte: beatlesbible.com

Un’ infanzia e un’adolescenza piuttosto difficili, che film come “Nowhere Boy” ( 2009 – regia di Sam Taylor- Johnson) non mancheranno di raccontare; un’esistenza segnata prima dall’abbandono e poi dalla tragica morte della madre Julia nel 1958. A lei sarà dedicata la dolcissima balladJulia” del 1968. Lennon era un ragazzo problematico come tanti figli del dopoguerra, pronto a nascondere le proprie insicurezze dietro il chiodo in pelle e la pettinatura alla Elvis, la ribellione e il rock’n’roll strimpellato sulla prima chitarra: un ragazzo che puntava ad arrivare «più in alto dell’alto» come amava spesso ripetere in compagnia dei suoi amici. E per arrivarci non si fece spaventare dall’infinita gavetta per pochi quattrini nei locali più malfamati  (I Beatles partono in sordina nei club a luci rosse di Amburgo),  dalle tante crisi private, dalle prime porte chiuse delle case discografiche.

THEN THEY EXSPECT YOU TO PICK A CAREER

Azzardando un paragone disneyano, possiamo pensare alla storia dei Beatles come a una favola moderna. C’è la Cenerentola dell’Inghilterra, questo gruppo di ragazzi provenienti dalla working class, che vogliono farsi notare al gran ballo della musica rock, cambiare le carte in tavola, riscrivere le regole. E per un ballo del genere servono nuovi arrangiamenti, un vestito impeccabile per canzoni che fino a quel momento erano solo diamanti grezzi. Qui entra in scena una fata madrina: si tratta di George Martin, il produttore discografico EMI dei grandi successi dei Fab Four, per molti il 5° beatle, il primo ad assicurare nel ‘62 un contratto, il primo a credere in loro ma soprattutto nella voce aspra di Lennon, capace più di quella di Paul McCartney di «dare il composto di fascino e intensità… come il succo di limone sull’olio extra-vergine di oliva».

Un parere innovativo in un industria musicale ancora ossessionata dalle voci vellutate alla Presley o alla Sinatra!

John Lennon coi Beatles nel 1963. Fonte. larepubblica.it

Dopo i primi successi ballabili (tra i tanti Twist and Shout, Can’t buy me love, Please Please me, I feel fine) è chiaro che non si tratta più di semplice rock’n’roll, ma anche quella di soft-rock è un’etichetta troppo ristretta. Il “sottomarino” dei Beatles naviga l’oceano della musica attraversando i più disparati generi ma soprattutto prestando più attenzione alle parole.

Ed è qui che emerge la personalità di Lennon, il più intellettuale dei quattro.

Le sue canzoni si trasformano presto in confessioni aperte: “I’m a loser and I’m not what I appear to be” ( “I’m a loser” ,1964); “When I was younger so much younger than today/ I never needed anybody help me in anyway” ( “Help” ,1965); ma anche in bellissime poesie: “Words are flowing like endless rain into a paper cup” ( Across the universe”,1969) o ancora “My mother was of the sky/ my father was of the earth/ but I’m of the Universe” (“Yer Blues”, 1968).

John Lennon nel video-clip di “All you need is love”, 1967. Fonte: Morrison Hotel Gallery.com

La favola procede tra successi e lati oscuri: conflitti nella band, assunzione di droghe pesanti per reggere ritmi sfrenati, mogli e figli lasciati a casa e carovane di groupies davanti ai camerini. L’onestà di Lennon emerge in una frase pronunciata qualche anno più tardi:

“Per riuscire devi essere un grande bastardo, i Beatles sono stati i più grandi bastardi di tutti i tempi”.

A WORKING CLASS HERO IS SOMETHING TO BE

Ogni mito ha una donna che scatena una guerra, ogni favola ha una strega cattiva e per tutti i fan meno illuminati dei Beatles questa è Yoko Ono: la “colpevole” del loro scioglimento, artista concettuale giapponese che Lennon incontra nel 1966 e che sposerà nel ’69. “I’m in love for the first time” (“Don’t let me down”, 1969) canterà infatti nello stesso anno il nostro, avendo finalmente trovato qualcuno con cui guardare il mondo «dallo stesso albero». Checché se ne dica, Yoko Ono è stata fondamentale per la crescita artistica e personale di John.

Negli anni della guerra in Vietnam, Ono e Lennon, con le marce di protesta e i bed-in, furono il primo esempio di coppia in grado di sfruttare il proprio potere mediatico in direzione politica e sociale.

John e Yoko dietro il “white piano” nel video-clip di Imagine. Fonte: la repubblica.it

Da buon figlio della working class, l’ex Beatle scrive brani politicamente più impegnati come “Give peace a chance” , “Power to the people” e “Imagine”, inno a un mondo senza confini, senza conflitti e che è stata definita di recente come «Una canzone marxista e comunista» da qualche discutibile politico. Ma se le critiche provengono da un partito con tendenza all’oscurantismo, anche stavolta possiamo dire che Lennon ha fatto centro!

IF YOU WANT TO BE HERO, WELL JUST FOLLOW ME

Se ci fermiamo alla capacità tecnica, dobbiamo riconoscere che Freddie Mercury è il più grande cantante di tutti i tempi. Ma quanti imitano il suo bel canto e quanti si ispirano invece alla particolare vocalità di Lennon? Dal britpop degli Oasis al pop-punk dei Green Day (che registreranno la cover di “Working Class Hero”) tanti guardano ancora allo stile musicale ma anche all’outfit di Lennon. Persino in un universo apparentemente lontano quale quello rap, un artista come Salmo incide la sua “Yoko Ono” (2011) campionando “Come together” (1969).

Il mosaico dedicato a Imagine a Central Park, New york. Fonte: 123f.com

L’8 dicembre 1980 John Lennon viene assassinato da un suo fan con sette colpi di pistola che pongono fine alla favola del ragazzo di Liverpool, ma la magia della sua musica rimane nell’aria. Scoppierà forse una guerra atomica, un’invasione aliena potrà porre fine alla nostra civiltà, ma tra le rovine di un mondo post-apocalittico, ci sarà sempre un ragazzo con la chitarra pronto a cantare Imagine.

 

Angelica Rocca

 

Malèna: cronaca di una morte

Malèna (2000), regia di Giuseppe Tornatore, è una pellicola carica di crudezza ed apatia. Un film che grida alla denuncia di una mentalità chiusa e corrotta che, se esisteva nei lontani anni Quaranta del Novecento, non è sicuramente cambiata – almeno in determinati contesti –  ai giorni nostri. Una denuncia, dunque, che risulta più che attuale, specie se proveniente da una donna.

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Monica Bellucci nei panni di Malèna – Fonte: spietati.it

Sinossi

La protagonista è Malèna (Maddalena) Scordia (Monica Bellucci): un nomen loquens, potremmo dire. Co-protagonista e voce narrante è invece il giovane Renato Amoroso (il nostro concittadino Giuseppe Sulfaro), un ragazzino nel pieno della pubertà che inizia a provare una passione struggente per la statuaria Malèna, innamorandosene al primo sguardo.

Tramite le sue parole, ma ancor più i suoi gesti, ci viene raccontata la parabola di una donnada santa a puttan*“:l’ascesa e poi il declino. Guardandola tramite gli occhi languidi del ragazzino, ci accorgiamo che il realismo magico delle scene erotiche non lascia spazio al romanticismo, a tratti inquietando lo spettatore, con l’incredibile effetto di sottoporci continuamente allo stress di quella situazione verosimile.

I personaggi

Seguendo i protagonisti nel loro percorso sentiremo chiaramente ogni sensazione da loro provata (e voluta dal maestro Tornatore): disagio, angoscia, rabbia, rassegnazione. Ed in effetti, la bellissima Maddalena è una donna rassegnata: a non vedere più il volto del marito, ad essere sola nella gabbia dei leoni. Disprezzata e rumoreggiata da tutti, passeggia per le strade della piccola cittadina siciliana quasi senza una meta.

Dopotutto, quale meta dovrebbe avere un personaggio spogliato di ogni dinamismo, cristallizzato nell’essere la valvola di sfogo dell’intero mondo costruitogli attorno?

Se notiamo bene, i personaggi secondari che ci vengono presentati sono della peggiore fattispecie e vili: una popolazione che sconcerta, raccapriccia, ma che descrive con incredibile finezza la mentalità bislacca della Sicilia d’altri tempi; mentalità, peraltro, talvolta ancora radicata nella nostra isola. In mezzo al questa accozzaglia di gente, si elevano le Erinni della donna. Il paragone non è casuale: la giovane viene perseguitata dalle altre signore del suo paese per un motivo semplice quanto banale: l’invidia.

Ma il male è sempre banale.

Fonte: webpage.pace.edu

L’urlo

E allora, dalle prime scene d’innocenti bisbigli, si passa alla scena più dura, intrisa di cattiveria del film: il linciaggio pubblico. Malèna – ormai divenuta la “prostituta del paese” – viene picchiata in pubblica piazza al cospetto di tutti gli uomini. Quegli stessi uomini che le facevano la corte, che facevano a gara per accenderle la sigaretta, che abusavano della sua dignità.

Chiave del film è il momento in cui la donna, malmenata, si rivolge agli omuncoli che erano rimasti a guardarla con ripugnanza. Nessuno di loro si fa avanti per offrire una mano a lei che striscia e cerca aiuto. Anche Renato, profondamente innamorato di lei, rimane a guardare come paralizzato. Ed allora un urlo: tutto il dolore accumulato negli anni, la rabbia, la depressione. Un urlo che mira a risvegliare le coscienze, non solo quelle della folla indisturbata, ma anche degli spettatori.

“Voi che mi avete derisa ed usata per il vostro intrattenimento, vedete come mi avete ridotta? Siete soddisfatti?”: suona così, tradotta in parole, la mia mia interpretazione della scena.

Ed ho capito anche che Tornatore ha svolto un lavoro incredibile nel momento in cui, anche solo per un secondo, mi sono sentita parte di quelle Erinni.

La cruda realtà

Malèna è un film che, nel suo asettico silenzio, parla di una morte spirituale con lucidità e cinismo e ci fa realizzare come siamo tutti aguzzini: lo siamo ogni volta che ignoriamo il grido d’aiuto di una persona bisognosa e lo siamo ancor di più quando giustifichiamo le violenze con la “disinvoltura dei costumi”.

Se da un lato è vero che la donna aveva effettivamente abbracciato la vita che non meritava, dall’altro dobbiamo renderci conto che tale scelta è stata spinta da un climax di sciagure di cui è la vittima inerme, inserita nella scena col solo fine di dimostrare quali livelli paradossali di malvagità si possano raggiungere.  E la strepitosa Bellucci impersona Malèna con preoccupante naturalezza.

Fonte: cineturismo.it

D’altro canto le rimane solo un ragazzino. Un ragazzino un po’ codardo, sì, ma che dal proprio errore (non aver prestato soccorso alla donna che, per due ore di film, ci ha ribadito di amare) ha attraversato un percorso di maturazione, mentre il resto delle grottesche figure tornerà a ricoprire, a fine film, il ruolo che aveva all’inizio, come se la vicenda si svolgesse dentro un carillon destinato a ripartire ogni volta che se ne gira la manovella.

Tutti tornano al loro posto, compresa Malèna (che a quel principio non è poi così estranea), ma non Renato. Lui, sin dal primo momento una voce fuori dal coro, si distinguerà per essere stato l’unico di quel paesello disgraziato ad aver conosciuto gli effetti devastanti della passione amorosa. Una passione che rimarrà impressa a vita, racchiusa in un nome maledetto ed abusato, ma che nei pensieri del ragazzo sarà sempre sinonimo di “amore”: Malèna.

Valeria Bonaccorso

5 grandi viaggi letterari: l’estate a portata di libro

In un mondo diventato così piccolo da sembrare uno di quei souvenir a sfera che giriamo e rigiriamo nel palmo della mano, è sicuramente molto più facile andare in vacanza, anche virtualmente vista l’attuale situazione a livello mondiale. I mezzi di comunicazione hanno da tempo accorciato le distanze, voli low-cost ci permettono di spostarci anche all’estero a basso prezzo e – nell’ipotesi meno fortunata – app come Google Maps ci proiettano negli angoli più nascosti di qualsiasi città del mondo. Come se non bastasse, i social network ci bombardano costantemente di immagini di realtà esotiche: i templi buddisti della Thailandia, i colori del mar dei Caraibi o le insegne luminose di Times Square non sono un mistero nemmeno per chi non li ha mai visti dal vivo.

Fonte:hotmag.me

Ma come viaggiava l’uomo del passato? Quando non esistevano così tante immagini a portata di mano, l’uomo si affidava al potere dell’immaginazione e le pagine di un buon libro diventavano un comodo ticket to ride verso posti remoti nello spazio e nel tempo. Ora che la sessione estiva volge al termine, salutate per qualche settimana i libri universitari, ma non rinunciate alla letteratura tout court.

Noi di UniVersoMe vi consigliamo 5 libri ideali per queste vacanze estive capaci di farvi conoscere altre realtà.

1) L’amante di Margherite Duras

L’Indocina di una giovane scrittrice

È un’esperienza autobiografica ad alimentare la trama di questo romanzo di Margherite Duras. Pubblicato nel 1984, dallo stile semplice e scorrevole, L’amante rievoca la relazione tra l’autrice francese ancora quindicenne e un cinese ventisettenne di buona famiglia, fonte di scandalo non solo per la differenza d’età, ma anche di classe e di etnia tra i due.

Fonte: Ibs.com

Scritto ora in prima ora in terza persona, il romanzo ci coinvolge quasi come fosse un diario e si trasforma in uno spaccato dell’Indocina francese degli anni ’30: la sua società multietnica ma ancora arretrata, le estati afose e umide sul fiume Mekong, le lampade dalle luci rossastre. Duras dipinge una precisa atmosfera, ma non si dimentica dell’introspezione: il rapporto conflittuale con una madre autoritaria, l’amore viscerale per i suoi fratelli e le prime esperienze sessuali sono confessati con estrema schiettezza.

2) La casa degli spiriti di Isabel Allende

Alla scoperta del Cile

Il romanzo di esordio di Isabel Allende è un misto tra realtà storica e leggenda, fantasia e autobiografia. La casa degli spiriti è la storia di una famiglia dell’America latina che parte dal capostipite, Esteban Trueba self-made man, che dal lavoro in miniera riesce a costruire un vero e proprio latifondo finendo alla nipote Alba, giovane romantica che si ribellerà alla dittatura cilena.

Fonte: feltrinelli.it

I riferimenti alla storia del Cile e soprattutto al regime del generale Pinochet sono evidenti, perciò il romanzo non è solo un viaggio avvincente nell’America Latina, ma anche nella sua storia più recente senza dover riaprire i libri di scuola! Da questo grande classico della letteratura latino-americana è stato tratto l’omonimo film con protagonisti Jeremy Irons, Meryl Streep e Winona Ryder. Un cast stellare, ma una resa troppo piatta del racconto dell’Allende.

3) Le avventure di Gordon Pym di Edgar Allan Poe

Viaggio estremo verso l’Antartide

Fonte: abebooks.it

Il titolo può trarci facilmente in inganno e farci pensare a uno di quei romanzi d’avventura di lupi di mare tipici della letteratura tra Sette e Ottocento. Già l’autore può darci un indizio. Edgar Allan Poe è infatti il maestro del terrore e sebbene la storia di Arthur Gordon Pym che si imbarca clandestino sulla baleniera Grampus non rientri apparentemente nel genere horror, a mano a mano la vicenda prosegue su un crescendo di tensione psicologica e di particolari macabri e assurdi che scioccano il lettore. Un libro per chi non si spaventa dei viaggi estremi della fantasia

4) Sulla strada di Jack Kerouac

Vagabondando attraverso gli States

Siamo davanti a un grande classico della letteratura on the road, il romanzo che ha ispirato e continua a ispirare generazioni di giovani alternativi che, zaino sulle spalle, si mettono per strada senza avere una meta ben precisa, ma alla ricerca di una vita più libera.

Fonte: 900letterario.it

Ispirato ai viaggi dell’autore attraverso gli States , Sulla strada non ha una trama lineare, ma è una raccolta a tratti caotica di episodi vissuti lungo le strade americane. Ciò può disorientare facilmente il lettore che trova però un appiglio nella simpatia dei personaggi modellati su altrettanti “vagabondi” reali della vita di Kerouac, scrittori beat e non.

Come dimenticarsi di Dean Moriarty? Un esuberante che cerca di dimostrare l’esistenza di Dio mentre guida, uno di

 “quei pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non sbadigliano mai e non dicono mai banalità ma bruciano, bruciano, bruciano”.

Non so quanti giorni si impieghino a leggere On the Road, sicuramente molti di meno rispetto a quelli che ci vogliono a guidare realmente dalla east alla west coast. Ma comunque, che sia un mese o una settimana, una volta chiuso il libro, vi mancherà stare accanto a Dean dal lato del passeggero e vi dispiacerà un po’ non averlo come amico.

5) Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino

Un labirinto di storie

Se Sulla strada è quasi un rally spericolato lungo le praterie americane, una corsa mozzafiato da farvi aggrappare con gli artigli ai sedili, il romanzo di Calvino è invece un volo pieno di turbolenze, un libro dalla trama difficilmente definibile. Non esiste un’unica storia dentro Se una notte d’inverno un viaggiatore: si parte dal racconto che dà il titolo al libro, che si interrompe nel punto di massima tensione, proprio quando il lettore è sempre più curioso di scoprire come va a finire.

Fonte. amazon.it

Da qui si dipanano una serie di altri racconti dai generi e dalle ambientazioni più disparate, tutte però incompiute; un labirinto di storie che incastrano il lettore, il quale si ritrova catturato, ansioso com’è, di arrivare al “nocciolo”. In tutto questo non è solo, ma continuamente accompagnato dall’autore che lo chiama in causa già dalla prima pagina:

Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo “Se una notte d’inverno” un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto…

 

Cogliamo perciò l’invito di Calvino ad evadere anche solo per un po’ dalla realtà circostante, a farci condurre sulle vie delle parole in mondi che la nostra immaginazione può sempre creare e ricreare da capo… anche riaprendo lo stesso libro!

Angelica Rocca

Aspettando Tenet: tutte le volte che Nolan ci ha stupiti

Per tutti gli amanti del cinema il periodo del lockdown è stato estremamente triste, vista l’impossibilità di andare in sala a vedere un buon film. A rincuorare molti era la prospettiva che uno dei primi titoli a uscire dopo la riapertura fosse l’attesissimo Tenet di Christopher Nolan. Purtroppo non tutto è andato come previsto: per via dell’alto numero di contagi in America e della situazione ancora parecchio instabile in tutto il mondo, la data d’uscita del film ha subito una lunga serie di rinvii.

Christopher Nolan – Fonte: indiewire.com

Warner Bros si è tuttavia dimostrata molto ferma nell’intenzione di voler far uscire il film, almeno in Europa, entro la fine dell’estate. Ed è proprio di pochissimi giorni fa la decisione di nuove date ufficiali per l’arrivo in sala di Tenet, che debutterà il 26 agosto in Europa e il 3 settembre negli Stati Uniti.

Che fare nell’attesa di poter finalmente gustare Tenet? Ci pensiamo noi di UniVersoMe: vi consigliamo qualche pellicola dalla filmografia di Nolan per tenervi impegnati fino alla sua prossima opera.

1) Memento (2000)

“Ricordati di non dimenticare”

Dopo aver subito un’aggressione, il protagonista Leonard Shelby (Guy Pearce) riporta un danno della memoria a breve termine che non gli consente di immagazzinare nuovi ricordi. Questo complicherà la ricerca dei suoi aggressori, gli stessi che hanno anche violentato e ucciso la moglie. Per ovviare al suo problema, Leonard inizierà ad appuntare ogni informazione utile su polaroid e post-it che porta sempre con sè e persino sulla sua pelle tramite tatuaggi. Il racconto si districa attraverso due linee temporali opposte che andranno in seguito a confluire in un’unica storia. Questo espediente, insieme alla frammentarietà e alla sconnessione di alcune scene, ci catapulta dentro la testa del protagonista e ci fa vivere gli eventi attraverso i suoi occhi.

Guy Pearce in una scena del film – Fonte: nospoiler.it

2) Batman Begins (2005), Il cavaliere oscuro (2008), Il cavaliere oscuro – Il ritorno (2012)

Dietro l’abito da cinecomic si nasconde una trilogia capace di farci riflettere su noi stessi e sulla nostra società. È probabilmente la più famosa e miglior trasposizione su pellicola del supereroe di casa DC Comics. Il merito di ciò è da attribuire a un ottimo Christian Bale che ha vestito per tutti e tre i film i panni di Bruce Wayne/Batman, ma soprattutto alla qualità dei tre villain che si susseguono nella trilogia. 

Nel primo film Ra’s al Ghul (Liam Neeson), dapprima mentore di uno smarrito Bruce Wayne, si scopre essere a capo di una setta dagli oscuri propositi. Un gas tossico che si diffonde per le vie, il caos che dilaga nella città. Sarà Batman a dover riportare l’ordine a Gotham.

“Ti sembro davvero il tipo da fare piani? Lo sai cosa sono? Sono un cane che insegue le macchine. Non saprei che farmene se le prendessi!”.

Nel secondo capitolo il compianto Heath Ledger da vita a uno dei più iconici Joker del cinema e sono queste le parole con cui l’agente del caos si descrive. Il pipistrello si troverà dunque a dover combattere contro la follia umana nella sua massima espressione.

Nell’ultimo film troviamo Tom Hardy che interpreta Bane, un terrorista rivoluzionario che attenta alla pace costruita a Gotham. Bruce dovrà quindi indossare nuovamente il mantello per salvare ciò che ha costruito col proprio sacrificio. Gli ideali dell’eroe saranno più forti di quelli di Bane?

Batman ne “Il cavaliere oscuro”. Fonte: movieplayer.it

3) Interstellar (2014)

La Terra sta diventando sempre più inospitale e il genere umano sembra destinato all’estinzione. Joseph Cooper (Matthew McConaughey) è un ex ingegnere e pilota della NASA che un giorno si imbatte, insieme alla figlia, in una base segreta dell’agenzia spaziale. Qui viene a conoscenza dell’esistenza di un wormhole vicino Saturno e della preparazione di alcune missioni spaziali per cercare un pianeta ospitale dove trasferire l’umanità. Deciderà quindi di prendere parte alle missioni nella speranza di poter salvare la sua famiglia e tutto il genere umano. Vivremo la straziante separazione di Joseph dalla figlia e le difficoltà di un viaggio che mette a dura prova i corpi e le menti dei nostri astronauti. Il tutto accompagnato da un’esperienza visiva unica e spettacolare come solo Nolan sa offrirci. Il risultato è un film così emozionante da perdonargli qualche inesattezza scientifica qua e là.

Cooper e la figlia Murph – Fonte: medium.com

Insomma, il materiale lasciatoci da Nolan è di altissima qualità e in sua compagnia di certo non ci si annoia mai. Proprio per questo siamo certi che qualsiasi attesa sarà giustificata da un risultato strabiliante. Non ci resta che aspettare fine agosto, nella speranza che la situazione sanitaria rimanga sotto controllo.

 

Davide Attardo

La Dea Fortuna: il film che conferma in pieno lo stile del regista Ferzan Ozpetek

Fonte: MyMovies

Proiettato nelle sale a fine 2019 e con diverse nomination ai “Nastri d’argento”, La dea fortuna rappresenta l’ultima fatica cinematografica del regista Italo turco Ferzan Ozpetek.

La trama

Protagonisti della storia, ambientata a Roma, sono Alessandro (Edoardo Leo) e Arturo (Stefano Accorsi). Entrambi hanno una relazione stabile e convivono da molti anni. Arturo, l’intellettuale della coppia, in attesa di un miglior impiego si occupa di traduzioni di opere letterarie, mentre Alessandro è un idraulico. La normale routine della coppia, che oscilla tra i piccoli problemi della quotidianità e i ritrovi con gli amici di quartiere, viene quasi sconvolta dall’arrivo di Annamaria (Jasmine Trinca), una vecchia amica di Alessandro, con i suoi due figli. Annamaria si fermerà a Roma e affiderà temporaneamente i figli alla coppia.

Fonte: Artwave

Tematiche affrontate dal regista

Come in molti altri film di Ozpetek, anche ne “La dea fortuna” la sceneggiatura si concentra su una relazione omosessuale quale quella di Alessandro e Arturo. Chi conosce bene il regista sa che questo è stato molte volte un trend topic di molti suoi film di successo e apprezzati dalla critica.

I due protagonisti è come se quasi improvvisamente diventassero genitori. Forse in modo indiretto o forse invece in modo del tutto evidente, l’intento del regista stavolta non è stato quello di concentrarsi sulle problematiche  comuni ad ogni relazione sentimentale sia essa etero o gay, bensì affrontare un tema molto discusso quale quello dell’omogenitorialitá, e ancora di più riuscire ad affrontarlo in modo del tutto naturale. Infatti, nessuno guardando “La dea fortuna” si sentirebbe in grado di dire cosa sia giusto o sbagliato, insomma di prendere posizione. Tutto ciò passa in secondo piano grazie all’abilità di Ozpetek di incastrare le vicende della maggior parte dei suoi personaggi e di rappresentare i loro stati d’animo in una maniera tale da non lasciare spazio al pregiudizio.

Fonte: MyMovies

 

Analogie con i precedenti lavori

Conoscendo i precedenti lavori del regista non si può fare a meno di notare parecchie analogie soprattutto con uno dei suoi film, “Le fate ignoranti” (2001). Similitudini nel cast ma anche nell’ambientazione di molte scene significative.  Dall’appartamento dei protagonisti in cui si ritrovano con i loro “singolari” amici, che abitano nello stesso quartiere o addirittura nello stesso palazzo, alla terrazza in cui si organizzano eventi o si improvvisa qualche festa la sera con un po’ di musica turca per smorzare la tensione della giornata. Stesso spirito di solidarietà e di condivisione.

I figli di Annamaria diventano un po’ figli di tutti, i problemi di Alessandro e Arturo accomunano tutti.

Fonte: Radio Musik

In “La dea fortuna” come ne “Le fate in ignoranti” troviamo pure come protagonista Stefano Accorsi. Presenti in entrambi i lavori anche Serra Yilmaz, nota attrice turca e conosciuta in Italia grazie ai film di Ozpetek, e Filippo Nigro nel ruolo di amici della coppia.

 

Candidature Nastri d’Argento

La pellicola ottiene ben otto nomination alla nota manifestazione cinematografica riuscendo a portare a casa tre Nastri D’Argento, nella categoria miglior attrice protagonista a Jasmine Trinca, miglior cameo dell’anno a Barbara Alberti e migliore colonna sonora a Pasquale Catalano.

 

Sicuramente La dea Fortuna rispetta le aspettative degne di un film di un regista quale Ferzan Ozpetek: infatti, il suo stile non solo non si smentisce, ma ne esce maggiormente rafforzato.

 Ilenia Rocca

 

Il ritratto di Francesco Guccini: un artista fuori dagli schemi

Francesco Guccini   mostro sacro del cantautorato italiano – da oltre quattro generazioni ci regala musica e testi incredibili; in occasione del traguardo dei suoi 80 anni, noi di UniVersoMe non potevamo fare a meno di “ritrarlo” attraverso cinque dei suoi brani più significativi.

Guccini emergerà nel panorama della musica italiana intorno agli anni ’70: anni di contestazione studentesca, di lotta sociale e di rivoluzioni; con il solo utilizzo di chitarra e voce, con arrangiamenti semplici e riferimenti a tematiche di spicco civile e sociale, il primo album Folk Beat N. 1 (1967) fa annoverare il giovane Francesco nella schiera dei cantautori italiani. Inoltre, l’inizio della sua carriera artistica sarà anche segnato dall’album Radici (1972), pieno di riferimenti alle sue origini e alla sua terra natìa.

Fonte: Nonciclopedia- Guccini durante un’esibizione

Canzone delle osterie di fuori porta – 1974

Inserita nell’album Stanze di Vita quotidiana (1974), album che non fu accolto bene dalla critica dell’epoca forse per via di un cambio di stile o per l’utilizzo di arrangiamenti complessiCanzone delle osterie di fuori porta presenta toni quasi nostalgici. In questo brano – molto probabilmente ambientato nelle osterie bolognesi, a Guccini tanto care in quanto amante del buon vino – allegro cinismo e disillusione si mescolano e il cantautore, seppur ancora giovanissimo sembra già tirare le somme della sua esistenza.

non dico più d’esser poeta, non ho utopie da realizzare, stare a letto il giorno dopo è forse l’unica mia meta…

Fonte: Testi Canzoni

 

Dio è morto – 1988

Portata al successo dai Nomadi – con i quali il cantautore collaborerà spesso – Dio è morto è un brano che i benpensanti dell’epoca accusarono di blasfemia, tanto da essere censurato in Rai ma paradossalmente trasmesso da Radio Vaticana.

Il titolo naturalmente rievoca una celebre frase del filosofo Nietzsche, e questo è un esempio di come l’autore spesso arricchisca le sue canzoni con riferimenti ad opere letterarie e a varie correnti filosofiche, ma con questo brano non ha nessuna pretesa di rappresentarne il pensiero, soprattutto in poco più di due minuti.

Guccini mette in evidenza, più che altro, una società che sta andando sempre più alla deriva.

… il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto…”

Fonte: Quotidiano.net- Guccini canta Dio è morto

Vedi Cara – 1970

Spesso confiniamo la poetica di Guccini in temi come la critica sociale, ma forse i brani che amiamo di più  sono quelli carichi di una versione intimista: Vedi Cara è proprio uno di questi. Probabilmente dedicata alla prima moglie, il testo è un’armonia di figure retoriche che già bastano ad imprimere una certa musicalità.

“… non capisci quando cerco in una sera, un mistero d’atmosfera, che è difficile afferrare…”

Fonte: music.fanpage.it – Guccini canta Vedi Cara

Cyrano – 1996

Brano tratto dal famosissimo album D’amore, di morte e di altre sciocchezze (1996), in cui il nostro artista ha da dire su tutti: politici rampanti, preti che «promettono il lusso di un’altra vita», ruffiani, gente vuota, società di dogmi e pregiudizi. Il cantautore prendendo spunto dall’opera teatrale di Rostand, immagina una sorta di dialogo tra Cyrano e la sua amata Rossana.

“… le verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali…”

Fonte: bluemax.it – Guccini interpreta Cyrano

Quattro stracci – 1996

Il brano, tratto anch’esso dall’album D’amore, di morte e di altre sciocchezze (1996), è una delle perle di Guccini, anche se non molto conosciuto. Rappresenta a tutto tondo il disagio di un artista – che sia un cantautore o uno scrittore –  facendoci capire come si possa sentire qualcuno che ha a che fare con la fantasia e che all’interno di una relazione non si sente accettato per quello che è e quello che fa.

Allo stesso modo viene messo in evidenza il disagio della persona che si trova vicino ad  «uno perso dietro alle nuvole e la poesia»impacciato nella quotidianità, «che coi motori non ci sa fare e non sa neanche guidare». Insomma entrambi non si comprendono, ma meglio la sicurezza quotidiana che la vita in una perenne utopia.

“… ora scommetto che vorrai provare quel che con me non volevi fare, fare l’amore tirare tardi e la fantasia…”

Fonte: Amazon.it

Attraverso le sue canzoni, abbiamo visto quanto Guccini sia un cantautore impegnativo ma non noioso come molti pensano, soprattutto non etichettabile per l’orientamento politico – più volte apertamente manifestato –  e la critica sociale, espressi tramite molte, ma non tutte, le sue canzoni.

Guccini è tanta roba. Speriamo che il nostro ritratto possa essere all’altezza di questo grande artista!

                                                                                                                                                                         Ilenia Rocca