Femminismo sui social o nella letteratura: la risposta a Jane Austen

Come ogni 8 Marzo che si rispetti, le città e i social si riempiono di mimose.

L’8 Marzo è quella “festa” in cui tutte (e tutti) diventano femministe e si urla a gran voce «viva le donne!», «auguri a tutte noi!» o – per meglio dire – spesso si condivide soltanto una storia o un post ad hoc. Questo può essere definito femminismo? Può realmente creare un movimento per quei diritti che ancora mancano? Ciò che vediamo sui social è femminismo o mero esibizionismo?

Ma un’altra domanda sorge spontanea: è giusto chiamarla “festa”? No. L’8 marzo non è propriamente una festa, ma una ricorrenza per ricordare i diritti per cui le donne hanno combattuto e le lotte che hanno affrontato.

Ultimamente nel web e sui social si è sviluppato un “finto” femminismo che va a schiacciare l’uomo e la donna stessa. Ma che vuol dire essere davvero femministe?  E chi lo è stato in passato? Sono tanti e troppi i nomi, ma una delle femministe più influenti e conosciute è Jane Austen.

Jane Austen: ritratto di una femminista

Non so cosa significhi amare la gente a metà, non è nella mia natura. I miei affetti sono sempre eccessivi.

   Ritratto di Jane Austen. Fonte: Marieclaire

Essere femministe tra ‘700 e ‘800 non era semplice:  essere donna a quei tempi voleva dire essere ” una donna di casa”,  “una donna nata per essere moglie e madre”, ” una donna che deve lavare e cucire”, e tante altre definizioni stereotipate. Essere donna significava essere ciò che vuole e pretende la società.

Cosa rende una  “donna” tale? Non credo che ci sia un’unica risposta, ma molteplici, perché si è ciò che è solo quando si è liberi di sentirsi bene con sé stessi: solo allora si può diventare “qualcuno”.

Ma – tornando a noi – stavamo parlando di Jane Austen, scrittrice femminista vissuta a cavallo tra ‘700 e ‘800. Jane Austen con il suo lavoro è riuscita a rompere la patina delle etichette, trasformando l’impensabile in normalità. Le eroine dei suoi romanzi sono semplici ragazze che vogliono affermare la propria identità in un mondo costruito su misura per il genere maschile, un mondo in cui essere donna equivale a trovare marito, una società in cui solo diventando moglie si diventava “Donna”.

La Austen con la sua impronta è riuscita togliere il velo del finto perbenismo e ne ha tessuto un altro, allungato poi da altre donne con battaglie e piccoli segni di protesta. È riuscita a costruirsi la propria strada senza affiancarsi a un uomo: rifiutò infatti il matrimonio per dedicarsi totalmente alla scrittura. Il suo essere nubile è un segno di protesta che sembra urlare: “non ho bisogno di un uomo che mi mantenga, il mio essere e il mio modo di fare  costruiscono ciò che sono, la mia identità”.

Curioso sapere che la Austen non firmò mai col suo nome i propri libri, ma utilizzo l’appellativo “The Lady”: come mai? Non si conosce la verità: forse la scrittrice non voleva dare troppo nell’occhio o forse voleva semplicemente urlare la propria protesta senza troppi meriti ed elogi.

Orgoglio e pregiudizio (1813)

 L’immaginazione di una donna corre sempre: dall’ammirazione passa all’amore, dall’amore al matrimonio, tutto in un istante.

Copertina del libro. Fonte: libraccio.it              

Orgoglio e pregiudizio è uno dei libri più famosi della scrittrice. I protagonisti sono Elizabeth (pregiudizio) e lo scapolo Mister Darcy (orgoglio), due giovani ragazzi dotati di originalità, giacché ragionano con la propria testa, rinnegando il pensiero tradizionale e seguendo la loro propria identità in un mondo in cui non sei tu a decidere chi devi essere.

Elizabeth fa parte della famiglia Bennet ed è la seconda di cinque figlie, si è sempre sentita fuori luogo perché a differenza delle altre sorelle e della madre la frivolezza non fa parte di lei. Il padre, Mr Bennet, nutre una preferenza verso la nostra eroina, proprio per il suo essere “la pecora nera” della famiglia.

Nei pressi di casa loro, si trasferisce un giovane scapolo, Mr Bingley, accompagnato da Mr Darcy, e la madre di Elizabeth, col suo animo di donna frivola, vede un opportunità per le sue figlie: un marito per “sistemarle”.

La famiglia Bennet farà conoscenza dei nuovi vicini e durante un ballo Elizabeth noterà Mr Darcy, ma quest’ultimo mostrerà indifferenza scatenando sentimenti di antipatia in Elizabeth. Da quel ballo, la vita della protagonista cambierà: scoprirà di nutrire un interesse verso Mr Darcy e nascerà una delle storie d’amore più belle della letteratura mondiale.

Mai aveva sentito così chiaramente di poterlo amare, come ora che tutto l’amore era vano.

Ma cosa ha reso così importante Orgoglio e pregiudizio nel panorama femminista? L’opera è riuscita a scavare nell’animo di un’eroina anticonformista ma non esibizionista, forte e indipendente, che ha saputo imporre sé stessa e il suo modello di vita semplicemente con la razionalità delle proprie scelte, senza per questo rinunciare all’amore. A testimonianza di come il femminismo “reale”- quello di Jane Austen e di tante altre sue colleghe scrittrici – continuerà a gridare dai loro libri fino a quando ogni singola donna non sarà considerata veramente uguale all’uomo.

Alessia Orsa

Malcolm & Marie, un instant movie in bianco e nero


Film drammatico e a tratti romantico con una trama molto semplice. Non adatto ad un grande pubblico – Voto UVM: 4/5

In amore, come in qualsiasi altro rapporto, succede spesso di trovarsi in disaccordo su qualche punto e quando ciò accade diventa necessario non trasformare quella discussione in una lotta di supremazia. La soluzione quasi sempre più razionale risiede nel saper disinnescare e nel volersi sempre confrontare. Ma, come ben sappiamo, non è sempre così semplice ed i problemi sono spesso molteplici nonostante la complicità.

Chi è Malcom? Chi è Marie? Cos’hanno a che fare con la nostra riflessione? Scopriamolo insieme.

Tra euforia e scintille: un gioco al massacro

Nella bellissima pellicola in bianco e nero di Sam Levinson, gli attori che interpretano la giovane coppia di Los Angeles, ovvero Malcolm & Marie, sono Zendaya e John David Washington.
Malcom è un regista afroamericano, Marie un’ex tossicodipendente che ha abbandonato il sogno di diventare attrice.

Nella prima scena, ambientata in una favolosa villa a Malibù, entrambi sono reduci dalla magnifica presentazione del nuovo film di lui. Nonostante la bellissima serata, Marie si sente profondamente offesa con il proprio compagno, il quale ha dimenticato di ringraziarla pubblicamente.  I movimenti di Marie si fanno sempre più meccanici mentre prepara la cena a Malcom. Quella tensione lascia spazio ad una sola idea: il litigio è alle porte.  

Nel mezzo di un’accesa discussione, Malcom si rifiuta di ammettere che la protagonista del film è ispirata a lei. Da questa semplice scintilla, lungo il corso della notte, verranno messe a nudo le problematiche della coppia attraverso un cocktail di smisurata ambizione, egoismo, arroganza e rabbia.

Marie: Sai cosa c’è Malcom? Credo che quando ti senti amato e protetto da qualcuno, ti dimentichi di quella persona. Ti accorgi di lei quando stai per perderla

I due protagonisti Marie ( Zendaya) e Malcom (John David Washington). Fonte: ovicio.com.br

Una storia figlia del presente

Malcolm & Marie è stato ideato e scritto durante l’estate scorsa ed è figlio della delicata situazione che stiamo vivendo: è stato il primo film ad esser completato dopo lo scoppio della pandemia di COVID-19. La storia si consuma in 1 ora e 46 minuti in cui il continuo confronto tra la coppia si riduce in lunghi monologhi urlati, confessioni sussurrate, voci spezzate e continui assalti verbali, il tutto condito da altalenanti ruoli di giudice e imputato, vittima e carnefice che ingannano e nascondo i veri sentimenti.

La pellicola è un romantic drama in cui gli attori giocano molto bene il ruolo che rivestono. La loro passione è senza mezze misure: fatta di baci, desiderio, odio e amore, un continuo respingersi per poi abbracciarsi ancora più forte. Questi aspetti rendono il film magnetico e a tratti criptico anche se la storia si scioglie successivamente nella semplicità della propria trama. Malcom & Marie è stato definito come un esercizio di stile, un prodotto indie furbo che mette in mostra le capacità degli attori: il bianco e nero, infatti, è molto ricercato anche nelle immagini e dietro le scelte stilistiche si nasconde una grande voglia di farsi notare e spiccare.

Certo, non è un film che può soddisfare tutti, ma riesce a brillare solo agli occhi di chi ama quel tipo di cinema intimo, libero e a tratti ribelle.

 Malcom: Sei così spaventata ed egoista da dovermi demolire, criticando tutto ciò che faccio […] Hai bisogno che io abbia bisogno di te, altrimenti cosa diavolo ci faccio con te? Tu vuoi il controllo e non riesci ad immaginare che io voglia stare con te solo perché ti amo. Ti amo e basta, tesoro. Non ho bisogno di te. Ma ti amo. C’è qualcuno in questo mondo che ti ama e basta. Amo come funziona la tua mente, Marie. Amo come osservi il mondo.

Fonte: pedestrian.tv

Cento minuti di dialogo

Gli argomenti che i due affronteranno durante i forti litigi saranno molto delicati e intimi, ed è per questo che non vogliamo rovinare la semplice- ma anche sofisticata- trama raccontando tutto adesso. Il consiglio è quello di prendersi del tempo, mettersi comodi sul divano e assaporare il racconto ricorrendo ad una buona dose di empatia. Lo spettatore dovrà mostrarsi attivo nel captare la storia, senza alcun tipo di giudizio generalizzato.
Nessun significato nascosto, nessuna verità da ricercare, niente di oscuro, tutto si riduce alla semplice e mai banale discussione dei due attori.

Annina Monteleone

Walk the line: musica e amore come medicine

“Walk The Line” è un biopic degno di nota. Racconta una storia di lotta contro se stessi e di quanto possa essere importante la musica, andando ad affrontare anche altre tematiche fondamentali per un artista – Voto UVM: 4/5

Oggi 89 anni fa nasceva una delle più celebri star della musica statunitense: Johnny Cash.

Ha conquistato il pubblico americano tramite canzoni che sono entrate a far parte di prestigiose Hall of Fame di generi diversi a testimonianza della sua poliedricità. Nonostante una vita travagliata, è riuscito a imporsi nel panorama musicale divenendo principalmente un’icona della musica country.

Johnny Cash con la sua chitarra- Fonte: arte.sky.it

Il film  Walk The Line ( Quando l’amore brucia l’anima) diretto da James Mangold ripercorre le tappe fondamentali della sua carriera.

Trama

Johnny (Joaquin Phoenix) è un bambino che vive in una fattoria dell’Arkansas. Un giorno mentre è a pesca, il fratello si ferisce con una sega e muore; di lì in avanti i rapporti tra Johnny ed il padre si incrineranno notevolmente.

Nel 1950 si arruola  nell’aviazione prestando servizio nella Germania dell’Ovest dove comincia a suonare la chitarra per diletto per poi tornare in patria qualche anno dopo dove sposa la sua fidanzata ed inizia a lavorare come venditore porta a porta per vivere. Tuttavia sente che gli manca un qualcosa. Infatti, durante una giornata di lavoro , passa davanti ad uno studio di registrazione e colto dall’ispirazione decide di fondare un gruppo.

Dopo un’audizione Johnny conquista Sam Phillips (Dallas Roberts), produttore musicale e proprietario della Sun Records, il quale gli fa sottoscrivere immediatamente un contratto ed incidere il suo primo disco: Cry! Cry! Cry!

Locandina del film – Fonte: tmdb.it-maku.com

Le canzoni iniziano ad essere tramesse in radio ed il cantante parte per un tour di primaria importanza: infatti alla tournée partecipano grandi artisti emergenti del calibro di Elvis Presley e Jerry Lee Lewis e proprio in questo periodo il nostro protagonista conosce la bellissima cantante June Carter (Reese Whiterspoon) della quale si innamora perdutamente.

Tra alti e bassi, droga e carcere, Johnny non perderà mai il suo amore per la musica (e per June) e nonostante tutte le peripezie diventerà una delle più grandi star americane.

Regia

Il regista James Mangold ha voluto raccontare la storia di Johnny Cash improntandola fortemente sul lato umano.

L’amore è sicuramente uno dei temi principali della pellicola oltre- ovviamente- alla musica. E’ infatti proprio grazie a questo sentimento nei confronti di June che il protagonista trova la forza per reagire a qualsiasi problematica e spingersi oltre raggiungendo altissimi livelli.

Johnny Cash (Joaquin Phoenix) e June Carter (Reese Witherspoon) – Fonte: pinterest.it

Mangold stesso ha dichiarato di essersi emozionato quando durante uno dei suoi ultimi incontri con il vero Johnny Cash gli chiese quale fosse il suo film preferito, ed il cantante rispose:

Frankenstein. Perché è la storia di un uomo composto da parti marce. Una specie di oscurità. E contro la sua stessa natura… continuò a lottare per essere buono.

Forse un po’ severo con se stesso, ma sostanzialmente questo concetto si avvicina a quel che era Johnny. Il cantante, come riportato nel film, per un periodo è stato fortemente dipendente dalla droga che gli ha causato gravi problemi sia nelle relazioni sia a livello legale (di fatti è stato in carcere). Un uomo che sicuramente ha sbagliato, ma definirlo un mostro risulterebbe esagerato.

Comunque, la definizione di Frankenstein in parte esprime perfettamente la sua natura: anche se Johnny Cash non si riteneva una brava persona, ha cercato comunque di fare del bene come quando nel 1968 tenne un concerto alla prigione di Folsom per i suoi detenuti e inoltre prese in giro il direttore del carcere che li maltrattava (il regista ha deciso di chiudere il film proprio con questa scena meravigliosa sulle note di una delle sue canzoni più belle, Cocaine Blues).

Cast

Joaquin Phoenix nei panni di Johnny Cash è- come al solito- monumentale ( della sua interpretazione in Joker abbiamo già parlato qui). Fortemente calato all’interno del personaggio, l’attore, mediante lo sguardo, esprime un costante stato di preoccupazione ed ansia con cui il protagonista convive a causa della sua vita tormentata.

Scena del film in cui Johnny si esibisce per i detenuti – Fonte: themacguffin.it

Le canzoni sono interpretate da Joaquin stesso, così come quelle di June Carter da Reese Whiterspoon. Incredibile la chimica instauratasi tra i due attori, in particolare quando si esibiscono sul palcoscenico: nella realtà ciò era scontato dato che i cantanti si amavano; nel film i due interpreti sono riusciti perfettamente a rappresentare quella stessa armonia.

A livello di critica la pellicola fu un successo enorme, tanto che riuscì ad aggiudicarsi 3 Golden Globes e ben 5 nomination agli Oscar del 2006 (vincendone solo uno con Reese Whiterspoon per la Miglior Attrice Protagonista).

Un film veramente piacevole da guardare che rende onore ad un grande artista e ci comunica la forza reale dell’amore e della perseveranza, perché senza quest’ultime Johnny non avrebbe mai e poi mai sfondato nella musica.

Vincenzo Barbera

 

 

Mio caro e vecchio amico Faber

 

“E come tutte le più belle cose, vivesti solo un giorno come le rose”

Dimmi Faber, come ti sentivi quel 18 Febbraio del lontano 1940? Come ti sei sentito quando sei venuto al mondo? Eri consapevole del fatto che saresti diventato uno dei più grandi  poeti e cantautori del ‘900? Ancora adesso, la tua musica e le tue parole continuano ad accompagnare  il popolo. Non è forse vero che la tua musica l’hai scritta per tutti noi?

Fabrizio De André in concerto. Fonte: giornalettismo

Fabrizio De André nasce il 18 Febbraio a Genova, città piena di culture diverse e paesaggi che hanno ispirato l’indole musicale del cantastorie, rendendolo uno tra i personaggi più famosi della musica italiana.

“Genova per me è come una madre. E’ dove ho imparato a vivere. Mi ha partorito e allevato fino al trentacinquesimo anno di età: e non è poco, anzi, forse è quasi tutto.”

De André è sempre stato ispirato dalla musica, ma la sua indole ribelle lo allontana per un periodo da questa strada; il punto di incontro arriva con l’ascolto di Georges Brassens (cantautore francese), di cui tradurrà alcune canzoni e le inserirà nel proprio lavoro discografico.  Ma solo nell’Ottobre del ’61 viene pubblicato il suo primo album e nel ’63 avviene il suo approdo nel mondo della televisione nel programma Rendez-Vous. Per il cantautore si aprono le porte del successo, le sue canzoni vengono trasmesse in radio ed è sulla bocca di tutti. De Andrè rivela al popolo il suo talento, ma allo stesso tempo la sua penna e la sua chitarra divengono un nemico per il potere.

Sono tante e sono troppe le canzoni del nostro cantautore, ma non temete ora vedremo assieme due album in cui si intravede un velo della sua anima.

Crêuza de mä (1984)

Crêuza de mä ,pubblicato nel 1984, è l’undicesimo album , realizzato assieme a Mauro Pagani (compositore italiano). È interamente cantato in dialetto genovese. Il disco è considerato come uno degli album più importanti degli anni ottanta, tanto che David Byrne (musicista e cantautore statunitense), ha dichiarato alla rivista Rolling Stone che Crêuza de mä è uno dei dieci album più importanti della musica non solo italiana ma anche internazionale.

L’album è composto da sei canzoni; De Andrè dedicò questo CD ai pescatori, come si evince da  Crêuza de mä che è il primo componimento, ed è stata pure la colonna sonora per l’inaugurazione del nuovo ponte Morandi, quindi una canzone che parla di un nuovo inizio, qualcosa di nuovo.

“Umbre de muri, muri de mainé
Dunde ne vegnì, duve l’è ch’ané
Da ‘n scitu duve a l’ûn-a se mustra nûa
E a nuette a n’à puntou u cutellu ä gua”

Crêuza de mä, è un capolavoro dell’arte e dopo anni rimane ancora uno tra i dischi migliori mai creati.

Crêuza de mä: cover. Fonte: fabriziodeandrè.it

 

Storia di un impiegato (1972)

“La “Storia di un impiegato” l’abbiamo scritta, io, Bentivoglio, Piovani, in un anno e mezzo tormentatissimo e quando è uscita volevo bruciare il disco. Era la prima volta che mi dichiaravo politicamente e so di aver usato un linguaggio troppo oscuro, difficile, so di non essere riuscito a spiegarmi.”

E’ il sesto album del cantautore, ed è composto da nove canzoni: quest’ultime sono legate tutte da un tema ben preciso che è quello della rivolta giovanile. L’album contiene tante storie diverse fra di loro ma tutte con lo stesso ideale.

Uno tra i brani più significativi è “Verranno a chiederti del nostro amore che è l’ottava traccia. Il brano racconta dell’impiegato che all’interno del carcere vede la sua donna intervistata dai mass-media e vedendola ripensa alla loro storia; a dividere i due innamorati è proprio quel muro del carcere ed essa è lontana da lui che spera possa diventare una donna autonoma e forte.

Storia di un impiegato: cover. Fonte: musica-bazaar.com             

 

La musica di Faber non rientra nel concetto di “banalismo”: la sua arte si spostava dalla canzone d’autore al folk, le sue sinfonie erano sempre accompagnate dalla sua vecchia amica a sei corde, diventato un simbolo dello stesso cantastorie. E ora mi rivolgo a voi lettori, quando pensate a De Andrè non lo vedete sempre con una chitarra in mano?

Ma tornando a noi, i testi di De Andrè sono considerati dei veri e propri capolavori non solo della musica italiana ma anche della poesia: i suoi racconti parlano degli ultimi e dei dimenticati, i suoi testi possono essere letti anche prima di andare a dormire o mentre si aspetta l’autobus, perché Faber è tutti noi.

“Se fossi stato al vostro posto… ma al vostro posto non ci so stare.”

 

Alessia Orsa

Io & Annie: storia di una relazione imperfetta

Commedia romantica profonda, ma con un tono umoristico – Voto UVM: 5/5                                           

I grandi film, col passare degli anni, non solo continuano ad essere visti ed apprezzati dal pubblico, ma fanno letteralmente la storia del cinema: diventano cult. Questo è il caso di Io & Annie (Annie Hall).

Il film diretto ed interpretato da Woody Allen, è una delle pellicole insieme a Manhattan che gli valsero maggior successo ed è uscito nelle sale nel 1977.

Fonte: pinterest.com- Alvy nel monologo iniziale

Trama

“Annie e io abbiamo rotto e io ancora non riesco a farmene una ragione. Io… io continuo a studiare i cocci del nostro rapporto nella mia mente e a esaminare la mia vita cercando di capire da dove è partita la crepa, ecco…”

Io & Annie racconta la storia della relazione tra un comico cinico, Alvy Singer, interpretato dallo stesso Woody Allen, e una giovane cantante, Annie Hall, interpretata da Diane Keaton.

Il film strutturalmente non ha una sua unità cronologica: Alvy ripercorre con la mente vari momenti della loro relazione in diversi episodi, alternando flashbacks anche della sua infanzia e del matrimonio con la sua prima moglie, Allison. Ciò che rende questo film speciale e diverso da qualsiasi altra commedia romantica è il modo in cui presenta al pubblico l’intera parabola di una relazione, dalla prima fase dell’innamoramento all’emergere dei primi contrasti e di un diverso modo di vedere le cose, fino alla rottura definitiva.

Durante tutto il film, inoltre, lo spettatore ha un contatto diretto col personaggio: una delle tecniche per cui Allen è maggiormente noto è il dialogo diretto con il pubblico. Alvy stesso presenta durante svariati monologhi il suo punto di vista, alternato sempre ad un sottile umorismo, a tratti velato di cinismo e pessimismo.

Annie Hall e Alvy Singer

Fonte: tumblr.com- Alvy ed Annie che si baciano

Alvy ed Annie hanno delle personalità opposte: Annie è molto esuberante, anche se all’inizio è un po’ insicura, specialmente riguardo al suo talento nel canto.  Proviene da una normale famiglia americana, è molto legata ai genitori e specialmente alla nonna.

Al contrario, Alvy è un personaggio molto cupo sotto vari aspetti: è ebreo e pensa di essere discriminato per questo, va da uno psicologo da quindici anni, non riesce ad avere relazioni stabili con altre donne. Non riesce a distaccarsi da New York, la sua città; è un comico, ma tutte le sue battute sono sempre di stampo umoristico-pessimistico. Durante la sua relazione con Annie tende in parte a soffocarla, facendola diventare un po’ come lui.

I due protagonisti inoltre rispecchiano in parte gli attori: Annie Hall, infatti riprende il vero nome dell’attrice Diane Keaton (Diane Hall), mentre il carattere di Alvy riflette un po’ lo stesso Allen, o comunque molti altri personaggi da lui ideati ed interpretati durante la sua carriera cinematografica come Isaac Davis in Manhattan (1979) o Sid Waterman in Scoop (2006).

Un film da Oscar

Io & Annie viene candidato nel 1978 a ben 5 premi oscar, di cui ne vince 4: miglior film, miglior regia ad Allen, miglior attrice protagonista alla Keaton e miglior sceneggiatura originale. Woody Allen ottenne anche la candidatura per miglior attore protagonista.

Inoltre, per i fan della serie tv How I met your mother, il film preferito di Ted è proprio… Io & Annie!

Fonte: wikipedia.it- Alvy ed Annie seduti nel parco

Per  finire

Credo che Io & Annie non sia solamente l’ennesimo film romantico strappa lacrime, ma che abbia un significato più profondo; in ogni caso, pur affrontando il difficile argomento della relazione di coppia, lo fa con punte di umorismo e nella maniera più leggera possibile.  Questo film non lascia la tristezza nel cuore, anzi: uno strano sorriso sul volto.

Ilaria Denaro

Normal People: storie di vita, di crescita, d’amore

 

5/5. Un adattamento brillante e coinvolgente che ha saputo rendere onore all’opera originale

 

«Ben oltre le idee di giusto e di sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò laggiù.»

Fonte: sentieriselvaggi.it

Così scriveva il poeta mistico Rumi attorno al XIII secolo. Versi eterni, che colgono l’essenza della vita stessa e la condensano in un componimento breve e d’impatto.

A me piace pensare che quel campo di cui parla Rumi sia l’amore. Un amore che trascende le logiche della giustizia per fondarsi come unica certezza e garante della vita eterna; uno spazio incontaminato ove si può finalmente prendere una pausa dalla repentinità dell’esistenza.

A tal proposito, credo che non esista serie tv che riesca a cogliere meglio il carattere così puro dell’amore. Normal People (2020) parla, per l’appunto, di questo: ma lo fa con umiltà, sottovoce, tra le pieghe di un libro (della scrittrice Sally Rooney) divenuto pellicola. Non è una serie che grida ai gesti di romanticismo estremi né t’induce ad idealizzare il sentimento. Al contrario, chi guarderà questa serie odierà un po’ la sensazione di aver amato. Ebbene, l’effetto a mio avviso è azzeccatissimo. Ma entriamo più nel dettaglio.

La trama e i personaggi

La serie, composta da una sola stagione di 12 episodi, disponibile sulla piattaforma streaming Prime Video, tratta le vicende dei protagonisti Connell (Paul Mescal) e Marianne (Daisy Edgar-Jones). I due, conoscendosi sin da ragazzini, inizieranno a stringere un rapporto durante gli ultimi anni del liceo e di lì seguiremo le loro peripezie fino al college.

Ciò che lega Connell e Marianne, inizialmente, è la loro solitudine: il primo è il classico ragazzo popolare che si cela dietro una maschera perché sa che altrimenti non sarebbe apprezzato dagli altri; la seconda è un personaggio schivo, a tratti passivo-aggressivo, che dalla vita ha sempre ricevuto poche gioie e certezze.

Per via di questa complicità diverranno amanti. Ma non cantate vittoria, perché il mondo li metterà davanti a molte sfide. Ed allora li vedremo arrancare per riuscire nel – non così scontato – compito di capirsi. Questo perché, per quanto il sentimento che lega due persone possa essere forte, ha sempre bisogno di fondamenta: fondamenta che si trovano nell’amicizia, in quel contatto d’anime che rende unici agli occhi dell’altro.

È il dramma dell’incomunicabilità: ci viene presentato attraverso il personaggio di Connell, a cui dovremmo fare ben attenzione prima d’incappare in giudizi affrettati. Egli è infatti estremamente complesso, con sfumature che vanno ad incupirsi man mano che si procede nella visione.

«Tu sei sempre consapevole di ciò che pensi. Per me non è così», dice a Marianne in confidenza. Se esiste una persona con cui può essere sé stesso, con cui ha il diritto di avere un’opinione, quella è proprio Marianne.

Focalizzandoci su questo punto, è importante tener conto dell’apporto positivo che i due si offrono: scambiandosi idee, parlando del più e del meno, ma soprattutto facendo sentire reciprocamente le voci che, al di fuori del loro rapporto, nessuno è interessato ad ascoltare. E questo li aiuta a maturare caratterialmente, ad acquistare sicurezza sul valore delle proprie opinioni – soprattutto per Connell.

D’altro canto, Marianne è una persona molto insicura perché – come dicevamo – non ha mai avuto molte certezze nella vita. A dirla tutta, la sua unica certezza sarà quella di comprendere la profondità del legame con Connell ed essere cosciente della dipendenza che la lega a lui.

Fonte: ok.co.uk

«Potrei sdraiarmi qui e tu potresti farmi ciò che ti pare». Parole affilate come una lama, fendenti che trafiggono sia l’interlocutore che lo spettatore. Sono le armi di chi non ha paura di rivelare ciò che prova e che urlano alla codardia dell’altro.

Ma perché? Perché Connell, nella sua timidezza, mirerà sempre a cercare la normalità. Rapporti normali, amicizie normali, tutto ciò che insomma Marianne non è. Né lo è il rapporto che li lega. E più tenterà di ricercare la normalità, più sarà privato della serenità.

Ecco perché Normal People, oltre ad essere una storia d’amore, è un percorso di crescita. Una storia che ci scuote per dirci che amare non è una passeggiata.

Ecco, mettiamola così.

Un consiglio per la visione

Ricollegandoci al nostro leitmotiv di giusto e di sbagliato: se volete guardare questa serie, siate certi di esservi prima spogliati dei pregiudizi che affliggono la comune percezione delle relazioni interpersonali. Pensare all’interno dei nostri schemi mentali ci blocca inevitabilmente, non permettendoci di cogliere quelli che sono i messaggi profondi offerti da questa serie. Primo tra tutti: ognuno ha il proprio “campo”. Ognuno può trovarlo, ma per farlo deve trascendere la propria individualità ed accettare la proficua dipendenza (assolutamente non quella tossica) che deriva dal sentimento.

Fonte: cinematographe.it

In secondo luogo, che non si nasce perfetti l’uno per l’altro/a. Così Marianne afferma, ad un certo punto: «Non trovo ovvio ciò che vuoi», come a dire che non è semplice comunicare né comprendersi e non bisogna mai darlo per scontato.

È importante tenere a mente la sensazione di angoscia che ci si trascina durante la visione di questo show. Ma è giusta anche quella, perché alla fine se ne uscirà arricchiti.

«Staremo bene», dice Marianne a Connell durante una scena della serie. Perché l’amore è questo: perdersi per ritrovarsi, laggiù, dove c’è quel campo.

 

Valeria Bonaccorso

Buon compleanno alla voce dei Negramaro, Giuliano Sangiorgi

Giuliano Sangiorgi nasce il 24 Gennaio del 1979 a Nardò da mamma Carmelina e papà Gianfranco. Trascorre per un paio di anni la sua vita a Copertino e subito dopo il diploma nel 2000 fonda i Negramaro. Si tuffa immediatamente nel mondo della musica e nel 2005 decide con l’intero gruppo di partecipare al Festival di Sanremo. Da quel momento in poi la band riuscirà a segnare la propria storia all’interno della musica italiana, insieme a grandi successi.

In occasione del suo compleanno, ripercorreremo insieme le canzoni più belle della band salentina.
A voi lettori, buona immersione!

Giuliano Sangiorgi insieme ai Negramaro, fonte: fanpage.it

Mentre tutto scorre (2005)

Grazie a questo brano “senza tempo” i Negramaro inaugurano il proprio successo al Festival di Sanremo nel 2005, facendosi conoscere e amare dal grande pubblico. Nonostante siano stati eliminati già alla terza serata riuscirono ad ottenere il disco di platino per le oltre 50.000 copie vendute. Inoltre, la canzone si fa spazio anche nel film comico La Febbre (2005) di Alessandro D’Alatri.

“tanto poi tu lo sai riuscirei sempre a convincermi che tutto scorre”

 

Mentre tutto scorre: cover. Fonte: youtube.com

Estate (2005)

Quello dei Negramaro, in questo caso, somiglia ad un vero e proprio inno alla libertà dei sentimenti e delle emozioni. Pubblicata nell’estate del 2005, precisamente il 30 giugno, vuole raccontare quei momenti di vita interiore spesso contrastanti che caratterizzano la stagione estiva, quel momento dell’anno che tutti vorremmo non finisse mai. La canzone si è aggiudicata per due mesi il primo posto in classifica, oltre al riconoscimento di rivelazione italiana al Festivalbar.

“in bilico tra tutti i miei vorrei non sento più quell’insensata voglia di equilibrio”

In bilico tra quella voglia di equilibrio e la voglia di lasciarsi andare. Il cantautore si sente intrappolato tra due opposti che non gli permettono di esprimersi e di uscire dalla propria zona comfort. Ma successivamente, lungo il brano, decide di liberarsi e di non mascherare più l’allegria per paura di perderla. Rinuncerà a qualsiasi tipo di insicurezza per lasciarsi andare ad un’estate senza rimpianti, permettendosi di vivere emozioni e sentimenti che prima reprimeva.

I Negramaro. Fonte: newsic.it

Parlami d’amore (2007)

Nata nell’anno 2007 e contenuta nell’album La finestra, alla canzone in riferimento viene attribuita la vittoria del Festivalbar nello stesso anno di pubblicazione diventando anche uno dei tormentoni estivi. Il quarto disco in generale contiene 14 tracce importanti, passate alla storia della musica italiana come dei veri capolavori.

“Fra tutte, quale alternativa sei? Amore…”

La finestra:cover. Fonte: youtube.com

Sei (2012)

L’enigmatica canzone è contenuta nell’album Storia semplice. Il disco ha ottenuto ben tre dischi di platino e oltre 180,000 copie vendute. Misteriosa ed affascinante perché si adatta a diversi contesti e scenari. Alcune volte sembra raccontare una bella storia d’amore, altre volte una relazione che inciampa e non riesce ad andare avanti ed altre ancora la storia di un amore clandestino tra due amici che si innamorano e dopo tanto tempo non si riconoscono più.

Seppur comunque sia difficile decifrare il suo significato a pieno, è altrettanto semplice assaporare il lieto fine delle ultime battute.

“E ho capito che se mi rifletto guardandomi il viso non mi riconosco ma poi un bel sorriso mi taglia la faccia e mi dico sono identico a te. Ehi vuoi cambiarmi…”

Una storia semplice:cover. Fonte: youtube.com

Attenta (2015)

La canzone proviene direttamente dall’album La rivoluzione sta arrivando, in cui i Negramaro mostrano la propria evoluzione e la propria voglia di attuare ogni giorno quella sorta di rivoluzione interna che spinge tutti a reagire nei momenti bui e a mettere la vita al centro di ogni cosa.
Quello che viene raccontato è un bacio che lega i due amanti ad attimi in cui non potranno più ritornare indietro. Un leggero sfiorarsi le labbra in cui l’attrazione e la chimica padroneggia.

Giuliano riprende quindi uno dei momenti più intensi che si possa vivere in una storia d’amore rivelata o segretamente accudita, con una poetica raffinata e continue note vibranti che indagano segrete emozioni.

“Ricordati degli angoli di bocca son l’ultimo regalo in cui ti ho persa, stai attenta, stai attenta almeno a te”

Giuliano Sangiorgi nel videoclip di “Attenta”. Fonte: soundsblog.it

Per uno come me (2018)

Tratto dall’album Amore che torni, il brano racconta la storia di due naufraghi che desiderano far capo alla promessa più bella che si possa fare alla persona amata: invecchiare insieme.

È un atto di fede, un testo molto delicato che tende al futuro e mostra una romantica dichiarazione d’amore.

“Amami, anche se non mi conosci, ti prego amami, anche se siamo nascosti. Amami senza dovermi cercare senza sapere da che parte stare”

Amore che torni:cover. Fonte: youtube.com

Avremmo potuto proseguire raccontando ogni singolo brano, continuando anche ad emozionarci e a varcare ancora di più il confine. Avremmo potuto cantare ancora insieme e tingere di rock questa pagina di giornale, continuando ad apprezzare i testi e la voce di Giuliano Sangiorgi, insieme alla musica di tutta la band.

Ma non ci resta che dire Buon compleanno e buona musica Giuliano!

Annina Monteleone

Little Miss Sunshine: viaggio tra uno dei più recenti road movie

 

Little Miss Sunshine: una commedia drammatica senza troppe pretese – Voto UVM: 3/5

 

Quante di noi hanno desiderato da piccole di essere incoronate reginette di bellezza? Così come lo ha sognato la nostra Olive Hoover (Abigail Breslin), protagonista del film Little Miss Sunshine, scelto dall’associazione universitaria Aegee per la maratona del cineforum #methalhealth e di cui noi di Universome vi proponiamo una recensione.

Trama

La piccola Olive Hoover vive ad Albuquerque, città del New Mexico, con la sua famiglia composta dalla madre Sheryl (Toni Collette), il padre Richard (Greg Kinnear), il fratello Dwayne (Paul Dano), il nonno cocainomane Edwin (Alan Arkin) e a cui presto si aggiungerà lo zio Frank (Steve Carell). Quest’ultimo apparirà come un uomo frustrato sia dal punto di vista sentimentale – in seguito ad una relazione con un collega finita male – che dal punto di vista lavorativo: è stato “sbattuto fuori” dall’università in cui svolgeva il ruolo di ricercatore; egli stesso si definirà nel corso del film «lo studioso numero uno di Proust di tutta l’America».

Fonte: Prime Video – la famiglia Hoover

L’elemento centrale della pellicola è la partecipazione della piccola Olive al concorso di bellezza per bambine Little Miss California per il quale la bimba preparerà un numero con l’aiuto dell’eccentrico nonno, ma l’unico mezzo a disposizione per raggiungere l’albergo – in cui si terrà lo show – è un pullmino vintage giallo della Volkswagen e così tutta la famiglia partirà alla volta di Little Miss California.

Ne viene fuori un road movie, senza troppe pretese di esserlo, con tanto di peripezie e di intoppi lungo la via, che più volte tenteranno di far desistere i protagonisti dal continuare il loro viaggio verso la California.

Fonte: Cinematographe.it – gli Hoover durante il viaggio

Caratterizzazione o stereotipizzazione

I protagonisti sono dei personaggi ben caratterizzati se non quasi stereotipati.

Abbiamo l’ossessivo compulsivo Richard Hoover, al limite della sopportazione dello spettatore, che tiene corsi motivazionali per raggiungere il successo ed è anche il motore propulsore delle sane ambizioni della famiglia. Richard divide il mondo tra vincenti e perdenti; a lui sono sconosciute entità quali la fortuna, vista come un alibi per chi “non ce la fa” e il sarcasmo che viene interpretato come un espediente utilizzato dal perdente per demoralizzare il vincente. Poi dalla saggia e realistica moglie Sheryl si passa al cinico ed eccentrico nonno Edwin al quale la piccola Olive è molto legata. Non potevano di certo mancare i “casi umani” all’interno dell’albero genealogico degli Hoover: Dwayne, classico adolescente problematico che odia tutti e che ha fatto il voto del silenzio e infine lo zio Frank da poco uscito da una clinica psichiatrica.

Fonte: The Take – zio Frank e Dwayne

Ma chi è la piccola Olive? Una ragazzina che dall’aspetto esteriore non sembrerebbe avere le sembianze (canoniche e richieste) di una reginetta di bellezza. Porta occhialoni con delle lenti spesse e possiede delle  movenze proprie delle bambine della sua etá, come è giusto che sia, e non di una baby top model; insomma sarà diversa rispetto alle mini Naomi Campbell o Claudia Schiffer che si vedranno nel film.

Fonte: Exibart – la piccola Olive al concorso

Casi umani ma non troppo

Abbiamo parlato di “casi umani” riferendoci ad alcuni di questi personaggi, ma in fondo tutti i protagonisti di Little Miss Sunshine lo sono. In realtà lo siamo un po’ tutti noi con le nostre miserie così come l’intera famiglia Hoover. Nel corso del viaggio e fino alla meta verranno fuori le debolezze di ognuno e salteranno via le corazze di tutti, persino quella del presunto vincente Richard. Non ci sono corsi motivazionali, strategie o schemi mentali che tengano.

La vita, così come il viaggio degli Hoover, è fatta di circostanze e imprevisti. Inutile il dualismo tra vincenti e perdenti. Forse è proprio questo che Little Miss Sunshine vuole insegnarci, nato dall’idea dello sceneggiatore Micheal Arndt di sfatare la logica del perdente.

Ilenia Rocca

Ma che razza di isola è? Alla scoperta del nuovo film di Sibilia

Voto UVM 4/5: Una delle migliori commedie degli ultimi tempi. Diverte e fa riflettere senza annoiare

Sbarcato da più di un mese su Netflix, L’incredibile storia dell’isola delle rose ha raccolto parecchie lodi, ma anche diverse critiche. Noi di UniVersoMe non potevamo perdere l’occasione di svelarvi i segreti del suo successo e dirvi cosa ne pensiamo dell’ultimo film di Sidney Sibilia.

Tra realtà e finzione: l’incredibile trama

Bologna, anni ’60. L’ingegner Giorgio Rosa (Elio Germano), appena laureatosi è un ragazzo inventivo e stravagante che sembra vivere in un mondo a parte e ai limiti della legalità. Proprio perché incapace ad adattarsi, decide di fondare una nazione tutta sua servendosi di un’idea geniale: costruire una piattaforma a 12 km dalla costa di Rimini, fuori dalle acque territoriali italiane. Il suo progetto incontrerà le ire del presidente del consiglio Giovanni Leone (Luca Zingaretti) e del ministro degli interni Franco Restivo (Fabrizio Bentivoglio).

L’incredibile storia dell’isola delle Rose: locandina. Fonte: eHabitat.it

Il film di Sibilia prende spunto da una storia vera: quella della Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose, micronazione durata meno di un anno (dal maggio ’68 al febbraio ’69), dotata di propria bandiera, valuta e governo, fondata dall’ingegner Rosa.

Tuttavia anziché dare una ricostruzione fedele dei fatti, il regista preferisce ispirarsi al romanzo di Walter Veltroni: L’isola e le rose;  infatti ritrae la piattaforma di Rosa come una piccola Woodstock dell’Adriatico  laddove nella realtà storica l’ingegnere, sebbene ostacolato dallo Stato, era mosso più da fini commerciali che politici e il suo intento non era quello di dar vita a una sorta di esperimento utopico. Chi si aspetta una lezione di storia degna di un docu-film rimarrà perciò deluso. Resta invece piacevolmente colpito chi vuole ridere, ma anche riflettere su un’avventura breve ma ancora oggi suggestiva.

La vera Isola delle Rose in una foto d’epoca. Fonte: living.corriere.it

Il film pone diversi interrogativi allo spettatore: perchè le autorità sono state così poco tolleranti nei confronti di questa impresa? Era forse il periodo storico particolarmente caldo a giustificare la bocciatura di ogni iniziativa che inneggiasse alla libertà? 

In effetti la pellicola lascia lo spettatore un po’ con l’amaro in bocca e il rimpianto di non aver passato – neanche un giorno – su quella piattaforma che è ignorata da tanti libri di storia. Discoteca balneare o paradiso utopico, non si doveva star poi così male sull’Isola delle Rose. 

Perché ci piace così tanto l’Isola delle Rose?

Nessun uomo è un’isola, ma ognuno di noi in cuor suo lo desidera. In un mondo sempre più globalizzato e interconnesso, in cui il più piccolo errore di un individuo ricade inevitabilmente su tutti gli altri – in una sorta di catena infinita da fiera dell’est – quale rifugio migliore di un’isola-Stato costruita a misura dei nostri desideri? Tanto più adesso che una malattia contagiosa quale il Covid-19 ci mostra come la società umana sia una grande rete che protegge anche se a volte finisce per soffocare.

L’isola colma di turisti in festa. Fonte: agi.it

Ecco perché simpatizziamo con il protagonista, una sorta di moderno Peter Pan pronto a costruirsi da sé la mitica isola che non c’è. Ancora di più si immedesimano tutti quelli più volte riportati sulla retta via perché troppo eccentrici e sbadati e perciò accusati di “vivere in un mondo tutto loro”. Insomma nel protagonista si ritrovano tutti coloro che sono come strumenti incapaci di andare a tempo col ritmo dell’intera orchestra, a cui non resta che la fuga felice – o peggio – il naufragio.

Perché convince il film di Sibilia?

Resta a galla, a differenza del progetto di Rosa, la commedia scritta e diretta da Sibilia: un mix perfetto di realtà storica romanzata, comicità e riflessione politica solo accennata e quel goccio di nostalgia che non manca mai in un film ambientato nei mitici anni ’60. La colonna sonora accompagna degnamente quel vento di libertà che il film fa respirare: il nostro protagonista ha l’illuminazione di costruire una piattaforma sul ruggente sottofondo di Hey Joe di Jimi Hendrix.

Cast del film. Fonte: viaggicorriere.it

Convince anche il cast: su tutti Elio Germano si rivela ancora una volta perfetto nei panni del diverso, dell’ingenuo visionario; anche qui sarà un giovane favoloso che sa credere alle proprie aspirazioni pur di cambiare il mondo o «almeno di provarci». La sua performance vanta poi un bolognese impeccabile. A questo proposito anche la scelta di enfatizzare i dialetti rende lo script ancora più divertente.

Forse possiamo storcere il naso (ma anche ridere) davanti al siciliano – per alcuni caricaturale – del bravissimo Fabrizio Bentivoglio: in alcune scene più gangster che uomo di stato. Ma in ogni caso le diverse parlate dei protagonisti creano un mosaico ancor più vivace e variegato.

Nella squadra dello stravagante ingegnere, desta meno simpatia l’amico Orlandini (Leonardo Lidi), viziato figlio di papà che ruba dalle casse dell’azienda di famiglia e fa ricadere la colpa sugli operai calabresi; qui saranno complici i pregiudizi dell’epoca. Tuttavia anche dietro questo personaggio moralmente discutibile si intravede il tocco di Sibilia (già evidente nella trilogia Smetto quando voglio) che ritrae con pregi e difetti personalità a tutto tondo, allontanandosi dal riduttivo schema buoni vs cattivi da happy-ending comedy.

Sicuramente più simpatico e sui generis invece Rudy Neumann (Tom Wlaschiha): apolide rigettato dalla Germania, perché disertore durante la Seconda Guerra Mondiale, sarà accolto a braccia aperte sull’Isola . Di personaggi tedeschi abbondano le commedie di tutti i tempi, ma raramente si esce dallo stereotipo del rigido intellettuale o del generale super severo pronto a impartire ordini di nazista memoria.

Rudy Neumann (Tom Wlaschiha) anima le feste dell’Isola. Fonte: avgmagazine.it

Chi si aspetterebbe invece un PR ante-litteram, un animatore che grida con accento germanico «Benvenuti sull’isola delle rose!»? Neumann è proprio questo e perciò incarna alla perfezione lo spirito di una commedia che non pretende di essere un film storico o ideologico, ma rimane comunque un inno a tutti i diversi, ai senza patria, ai fuori posto, a coloro al di là di tutte le convenzioni e aspettative altrui.

  Angelica Rocca

L’amore proibito che diede origine al mito di Wonder Woman

(La locandina del film – themarysue.com)

Ultimo appuntamento per il cineforum #socialequity in collaborazione con AEGEE-Messina: film della serata sarà Professor Marston and the Wonder Women; pellicola del 2017 diretta da Angela Robinson e basata su una storia vera.

In tema di diritti civili, questo film drammatico-biografico si colloca come “punto di arrivo” di un percorso iniziato settimane fa, ed abbraccia alcuni degli argomenti più dibattuti degli ultimi anni. Inoltre, tratta con estrema delicatezza questioni che – ad oggi – rappresentano motivo di scandalo per la società occidentale.

Voto UVM: 4/5 – film interessante e scorrevole, ma pecca in alcuni punti

La sinossi e i temi trattati

Dominanza, seduzione, sottomissione e condiscendenza. Queste sono le quattro parole che riassumono l’intera carriera – se non la vita – del dottore in psicologia William Moulton Marston (Luke Evans), studioso della teoria DISC, seguace della neo-corrente del femminismo liberale ed intento a creare la prima macchina della verità. È il 1928 quando quest’ultimo, assieme alla moglie e ricercatrice Elizabeth Marston (Rebecca Hall), inizia una relazione poliamorosa con una studentessa che frequenta il suo corso d’insegnamento ad Harvard, Olive Byrne (Bella Heathcote).

Tale rapporto, connotato da un amore vero e sincero, lo avvicinerà presto al mondo del bondage, al punto che ne approfondirà gli aspetti psicologici trasponendoli al contempo all’interno del proprio fumetto: nascerà così la celebre eroina Wonder Woman e la sua immensa eredità.

Le complessità di questo dramma sono molte: innanzitutto vi è il sentimento poliamoroso, perno dell’intero lungometraggio; poi abbiamo l’interesse alla pratica bondage. Accanto ai temi appena citati si pone infine quello della discriminazione subita dai protagonisti e dai figli, i quali tuttavia vivevano quella realtà con normalità e felicità. Dalla paura, dalla vergogna, dal tormento subìto per via di tali persecuzioni, nascerà l’intento del protagonista di creare qualcosa che dia un nuovo vigore alla figura della donna e che inviti ciascuna a lottare per i propri diritti: l’opera di Marston si pone così all’interno di un’ottica femminista che ben si conforma agli ideali del creatore.

Due argomenti che meritano di essere trattati con delicatezza, senza toni scandalistici o paternalistici: in tal senso, la Robinson è riuscita a non sfociare nella banalità, mostrando un affetto puro e degno da parte di tutti e tre i personaggi. Un affetto che, dopotutto, si condenserà nel personaggio di Wonder Woman, che rappresenta una fusione delle due donne amate da Marston.

(C’è da notare come il professore nutrisse un profondo rispetto per il mondo femminile, essendo vicino agli ideali di femminismo, nota assolutamente progressista per i tempi in cui la vicenda è ambientata).

(In una scena del film, il professore illustra lo studio della DISC ai propri studenti – newswise.com)

La nascita di Wonder Woman e il rapporto tra i personaggi

Wonder Woman è effettivamente ispirata alla forza d’animo di Elizabeth ed Olive, due caratteri agli antipodi ma che si temperano ed attraggono a vicenda. Da un lato la signora Marston, incarnazione della donna in carriera anni ’20; dall’altro Olive, dolce, ingenua ma determinata. A fare “da ponte” tra le due vi è sicuramente il mite ed ambizioso Bill. Il personaggio risulta abilmente lavorato: dall’interpretazione di Luke Evans si nota la smania di grandezza, la voglia di “strafare” sempre e costantemente tenuta a freno dalla disillusione della moglie.

È proprio quest’ultima a mostrarsi inizialmente indecisa verso il rapporto che si andava creando, nutrendo una gelosia nei confronti del marito che tuttavia non passerà mai. E sarà sempre lei a non volersi “cedere” psicologicamente fino all’ultimo, fin quando non si sarà fatta palese la necessità di stabilità nella loro vita: una stabilità che solo Olive è capace di offrirgli.

Inutile però voler negare l’azzardo della regista nel trattare così tanti temi in soli 90 minuti di film: un approfondimento della loro intesa (soprattutto del momento della nascita di essa) avrebbe garantito una maggiore comprensione dei meccanismi del loro amore, anche ai più restii. Rimane invece in dubbio, osservando il complesso, se fosse vero amore o semplice necessità; necessità di alimentare il fuoco di un matrimonio che andava a spegnersi, forse.

Tuttavia, il pathos delle ultime battute del film lascia intendere che durante gli anni il rapporto sia andato fortemente consolidandosi; questo prospetta effettivamente la possibilità che la relazione fosse quanto più che sincera.

La passione e l’affetto che animano i Marston-Byrne si basano sulle quattro parole sopracitate, così come anche lo stesso personaggio di Wonder Woman. Infatti, sin dai primi capitoli del fumetto, l’eroina è ritratta a dominare, sedurre, sottomettere i propri nemici con sfumature erotiche che suscitarono un enorme scandalo.

(I protagonisti in una scena del film – theguardian.com)

Conclusioni

In ultima analisi, il film rimane intrigante sotto molti punti di vista e senza dubbio è piacevole; tuttavia fallisce in alcuni punti, come se la forte drammaticità non riuscisse a trasmettere l’intensità del sentimento provato dai tre. Da guardare se si cerca qualcosa di scorrevole e se ci si vuole avvicinare a tematiche diverse dal solito.

Valeria Bonaccorso