Tante care cose: indie pop ma non solo

Tra indie e musica d’autore: disco piacevole ma di un certo livello – Voto UVM: 4/5

Uscito venerdì 12 marzo su Youtube e Spotify e prodotto da Maciste Dischi, Tante care cose, secondo album di Fulminacci (all’anagrafe Filippo Uttinacci) non può passare inosservato nel circuito musicale contemporaneo.

C’è la vita quotidiana nell’album di questo giovane talentuoso, la vita veramente (titolo del disco precedente) narrata con parole e concetti talvolta ricercati, la vita della nostra generazione, il presente. Ma c’è anche il passato: non solo il passato dei nostri ricordi – quello privato e autobiografico, quello dei “versi-polaroid” dell’indie pop – ma anche quello della musica che ha fatto la storia, dei mostri sacri del cantautorato italiano (partendo da Dalla, Battisti, De Gregori finendo a Silvestri) e delle stelle internazionali (Beatles e tanti altri).

Tormentoni che ti rimangono impressi in testa già al primo ascolto? No. Tante care cose è una miniera di preziose gemme pop in 36 minuti che si svelano assaggio dopo assaggio agli intenditori di buona musica.

Cover dell’album realizzata con l’Intelligenza Artificiale ( lo stesso metodo è stato usato per creare le immagini che accompagnano ogni canzone). Fonte: sentireascoltare.com

Originalità e semplicità si sposano in questo disco. Non vi fate depistare dalle immagini bizzarre della cover perché Tante care cose non è un disco banale, ma nemmeno un prodotto di nicchia pieno di virtuosismi inascoltabili: a partire dal pop molto orecchiabile di Meglio di così, con quel ritornello dal motivetto frizzante perfetto da fischiettare la mattina mentre ci stropicciamo gli occhi davanti alla macchinetta del caffé.

Voglio respirare l’atmosfera
Quando è notte e sembra sera

È vero, anche qui Fulminacci sembra parlare di una sera, ma perché non iniziare la giornata cominciando anche un buon disco?

Ancor meglio di Meglio di così, è però Santa Marinella, capolavoro incompreso sul palco dell’Ariston. Ballata soft dalla melodia per niente scontata (accordi di settima si alternano ad accordi minori in un sound malinconico), Santa Marinella è una perla da ascoltare proprio durante «uno di quei giorni che/ se mi vuoi lasciami stare», magari quando piove e non si può andare in giro a «citofonare e poi scappare».

Un gigantesco Fulminacci passeggia per le vie di una “città-presepe” nel videoclip onirico di Santa Marinella. Fonte: wikipedia.org

Pare che la fonte di ispirazione per Fulminacci sia stata la storia di un amico e non una vicenda autobiografica. Poco importa: in parole come « non cercarmi mai però incontriamoci / prima o poi, senza volerlo» si può ritrovare ognuno di noi.

A svegliarci da questo sogno dolceamaro ci pensano poi i fiati potenti e le melodie più easy di Miss Mondo Africa, hit allegra e travolgente. Io ci sento Battisti (sarò di parte), alcuni Silvestri, altri Jovanotti. Certo è che Fulminacci sa saltare come un agile canguro (allarme spoiler) da un genere all’altro.

Cambio di registro col synth pop de La grande bugia: qui le parole toccano vette metafisiche, ma tutto sommato le note ci avvolgono in una sensazione di leggerezza e relax. «Visti dallo spazio siamo ricordi» è un aforisma da incidere sulla pietra.

Meno leggero e più incalzante è Un fatto tuo personale, una produzione Frenetik & Orange (famosi per aver lavorato con altri artisti della scena romana quali Carl Brave, Franco 126 e Gemello). Non un tormentone melodico, ma sicuramente il testo più schietto, geniale e ribelle dell’intero disco.

E benvenuto nell’era delle parole senza articolo
Di quello piuttosto che quello piuttosto ridicolo

Qui vince chi se ne frega e non paga le tasse

Ma il meglio deve ancora venire e Fulminacci conferma il suo estro versatile nota dopo nota, canzone dopo canzone. Apre le danze del lato B il veloce giro di chitarra alla Doobie Brothers di Tattica, brano superenergico che strizza l’occhio alla vecchia dance: lo balleremo tutti quest’estate (si spera!).

Per gli estimatori del cantante non è poi una sorpresa Canguro, singolo già lanciato il 10 settembre. È sempre un piacere però riascoltare il suo groove “saltellante” che accompagna alla perfezione il significato del testo.

La vera sorpresa è invece Forte la banda, un capolavoro: applausi di sottofondo introducono un sound trionfale da progressive rock; un omaggio alla «musica, quella dei grandi» che riecheggia anche nel piano suonato alla Elton John.

Giovane da un po’, penultimo brano, sarebbe perfetto per un finale col botto; è l’inno bittersweet di chi ha sempre sofferto la nostaglia di una Golden Age mai vissuta: quella dei figli dei fiori, del rock’n’roll, delle lotte studentesche, delle piccole rivoluzioni degli anni ’60.

Io, giovane da un po’
C’ho una specie di senso di vuoto
L’ho riempito coi film e le foto

Giovane da un po’ è “sixties” in tutto, non solo nel testo: a partire da quei coretti di sottofondo finendo con il ritornello che sprizza gioia da tutti i pori. Poteva essere l’ultima traccia (sì, sono di parte) ma Fulminacci rivela la sua vena indie lasciandoci nel fondo del calice il sorso più amaro.

Ed ecco la ciliegina sulla torta: Le biciclette, brano più intimo e acustico con stralci di poesia assoluta, una dolcissima dichiarazione d’amore senza troppi giri di parole:

Vorrei che fossi
Su questo tetto
Su quella spiaggia
Sull’orizzonte di questo letto

Le biciclette, autobiografica al 100 % a detta dell’autore, è una traccia incantevole che ha l’unica pecca di chiudere il disco lasciandoci soli nel silenzio con una sensazione di nodo alla gola.

Le biciclette: cover. Fonte: genius.com

Ma del resto poco importa. Siamo nell’era della musica streaming e della riproduzione shuffle: possiamo benissimo skippare i brani “scomodi” e comporre e ricomporre a nostro piacimento la tracklist di un album.

Eppure un vero peccato: perché Tante care cose è uno di quei gioielli da mettere a crepitare su un giradischi mentre si sta a contemplare un tramonto arancione, comodamente sdraiati a sorseggiare una birretta su un vecchio divano di una casetta in riva al mare – per chi ha la casa al mare. E per chi non l’avesse, bastano queste 10 canzoni a coinvolgerlo in un viaggio divertente e – perché no? – anche nostalgico, capace di aprire dimensioni ed orizzonti ignoti a noi “giovani da un po'”, spiacenti di non aver corso a cento all’ora con la musica dei grandi, ma in ogni caso fortunati. Fortunati di avere talenti che racconteranno di noi proprio come Fulminacci.

Angelica Rocca

Un bagno nel blues: buon compleanno Pino Daniele

Nessuno muore veramente sulla Terra finché vive nel cuore di chi resta. Si dice così, vero? Nonostante siano passati diversi anni da quella drammatica notizia, la presenza di Pino Daniele continua ancora ad accompagnarci dolcemente lungo quei grandi brani che sono passati alla storia come componimenti che raccontano le diverse anime di Napoli e dell’Italia, ma anche del volgo e dei sentimenti più profondi.

A me me piace ‘o blues e tutt’ ‘e juorne aggia cantà.

Pino Daniele. Fonte: libreriamo.it

Al confine tra poesia e musica leggera

Pino Daniele nasce a Napoli il 19 marzo 1955 in una famiglia molto numerosa. Dopo aver frequentato l’Istituto Armando Diaz di Napoli, impara a suonare la chitarra da autodidatta e successivamente migra in diversi complessi che lo aiutano ad acquisire conoscenza ed esperienza nel campo della musica.

Il 1976 segna importanti cambiamenti, tra cui le prime esperienze professionali come musicista e la maturazione artistica. Da quel momento il cantautore inizia a produrre album e canzoni di un certo spessore: alcune passarono alla storia della musica italiana come dei veri e propri capolavori.

L’omaggio che oggi intendiamo offrire a questo grande cantautore non sarà quello di raccontare la sua storia come se fosse una semplice biografia, ma di ripercorrere insieme alcuni dei brani più importanti. Un modo per sentirci più attivi e vicini al percorso compiuto dal grande Pino Daniele  e per augurare buon compleanno al cantautore e chitarrista blues più innovativo presente nel panorama italiano .

 

Pino Daniele: illustrazione in bianco e nero. Fonte: studio93.it

Napule è

Napule è, una fantastica traccia che apre il suo album di esordio: Terra mia del 1977.

Napule è mille culure, Napule è mille paure, Napule è a voce de’ criature che saglie chianu chianu e tu sai ca’ nun si sulo

Un inno, una poesia d’amore per la propria città, accompagnata  dalla denuncia a un insieme di problematiche quali le difficoltà, le contraddizioni e- sotto alcuni punti di vista- anche la rassegnazione.

Quella che vuole attuare Pino Daniele in questo brano è una rivoluzione, fatta di amare verità e dolci parole che si propongono di raccontare a testa alta e con determinazione le molteplici realtà di un posto così magico, lasciando spazio al sentimento e alla parola del volgo.
Allo stesso tempo, il cantautore non intende descrivere in modo oleografico la città ma vuole riportare alla memoria tutte quelle storie che ricordava o sapeva di aver ascoltato nei bar, nei vicoli, fra le panchine.

Una realtà che si lascia spogliare e raccontare senza mai consumarsi, una fiamma alimentata dall’amore, dalla passione, dall’incontro tra un foglio bianco e sentimenti liberi.

Le strade di Napoli illuminate dalle parole di Pino Daniele. Fonte: tpi.it

Je so’ pazzo

Je so’ pazzo je so’ pazzo, e vogl’essere chi vogl’io ascite fora d’a casa mia, je so’ pazzo je so’ pazzo

Un brano forte e dirompente che risale al 1979: ancora una volta, Pino parla e racconta Napoli, facendo diversi riferimenti testuali, e allo stesso tempo mostra una forte propensione al rock blues.

Il protagonista del testo è un “pazzo” che, in quanto non perseguibile dalla legge, si mostra libero di poter manifestare il proprio dissenso o le proprie idee senza la necessità di essere politicamente corretto. Un brano provocatorio, quasi sfacciato, ribelle.

Pino Daniele in concerto. Fonte: rockit.it

Quando

Tu dimmi quando, quando. Ho bisogno di te, almeno un’ora per dirti che ti odio ancora

Un brano molto conosciuto ed inoltre da inserire nei più grandi successi di Pino Daniele. Spesso viene consideratola canzone simbolo del cantautore. Pubblicato nel 1991, venne pensato come colonna sonora del film di Massimo Troisi, Pensavo fosse amore… invece era un calesse. Le parole di questa bellissima canzone la rendono un classico senza tempo e diversi cantanti si cimentano ancora oggi nella sua esibizione.

Il significato del testo è molto profondo e allo stesso tempo delicato, in quanto descrive l’animo combattuto di un uomo innamorato che si chiede quando vedrà la donna amata per dirle «Ti amo ancora». Nella canzone si chiede «Dove sono i tuoi occhi e la tua bocca»: un chiaro appello all’amore perso. Mentre lei sembra molto lontana, così come cita il brano («forse in Africa che importa»), lui aspetta di rivederla un’ultima volta. Questo è chiaramente l’inno di chi non si arrende ma ama e brama la propria donna, nonostante lei non sia  lì con lui.

 Cover del cofanetto “Quando” (2017). Fonte: musicaintorno.it

Dai balconi alla rete, buon compleanno Pino

A gran voce, dai balconi delle nostre case, dai social alle radio nelle nostre camere, nonostante l’emergenza Coronavirus, siamo tutti abbracciati in un unico pensiero che ci accompagna proprio lì, a stringerci tra le note di Pino Daniele.

Grazie per la tua musica, buon compleanno.

Annina Monteleone

Funerea e luminosa: la figura di Arianna nella mitologia e nel mondo moderno

Il Minotauro, Teseo e Arianna, questi nomi rievocano in noi i ricordi di storie sentite durante l’infanzia. Il Minotauro, il mostro metà uomo e metà toro, è forse la figura più vivida, seguita da quella di Teseo, l’eroe ateniese che entra nel labirinto di Creta per ucciderlo; ma la loro storia è legata indissolubilmente a quella di Arianna, la principessa cretese che aiuta Teseo ad uscire dal labirinto porgendogli un gomitolo di filo. Giorgio Ieranò nel suo libro Arianna: Storia di un mito edito da Carocci editore ripercorre la sua storia attingendo ad un vasto corpus di fonti archeologiche, pittoriche e letterarie.
Lasciata da Teseo sull’isola di Nasso, Arianna diventa emblema di tradimento ed abbandono: questo è il suo aspetto più conosciuto. Ma Ieranò ci dimostra che quella di Arianna è una narrazione millenaria, ricca di varianti; un mondo arcano, nonché una foresta di simboli.

Tra amore e morte, la Signora del labirinto

Una proto-Arianna fa la sua comparsa in una delle tavolette d’argilla d’età micenea ritrovate a Cnosso, su cui figura un’incisione dedicata ad una misteriosa Signora del labirinto tra le divinità a cui portare un’offerta.
Quel labirinto di cui conosce i segreti, coi suoi meandri tortuosi che atterriscono e disorientano, era spesso identificato con l’aldilà. Ciò le conferisce un legame con la sfera degli inferi:

Vi sono aperte parecchie porte, che traggono in errore chi cerca di andare avanti e fanno tornare sempre agli stessi percorsi sbagliati.

Scrive Plinio il Vecchio a proposito del labirinto egizio sepolcro del faraone Mendes.
Edifici reali chiamati labirinti erano noti in tutto il mondo antico, ma la parola labirinto in sé poteva anche riferirsi ad una condizione metaforica: una transizione.
In una versione della leggenda Arianna, abbandonata da Teseo, si impicca; nell’oltretomba la passione non consumata per un amante impossibile la terrà per sempre sospesa in un limbo tra la dimensione infantile virginale e quella della sessualità adulta.
Durante le Antesterie – celebrazioni che cadevano ad inizio primavera – le giovani ateniesi eseguivano L’Aiora: un rituale nel quale si dondolavano su un’altalena. Il dondolio, simulando l’impiccagione originaria, assumeva significato ambivalente; di morte, in relazione all’adolescenza che dovevano lasciarsi alle spalle; di nuovo inizio, in rapporto all’erotismo al quale avrebbero avuto accesso come spose adulte.
Per il suo legame con gli inferi e con festività di morte e rinascita della natura, si pensa che Arianna fosse in precedenza una dea dei morti e della vegetazione come Persefone, poi declassata ad eroina del mito.

Skyphos raffigurante una donna spinta sull’altalena da un satiro – www.wikiwand.com

Una gioia ultraterrena nella volta celeste

Ma oltre che funerea, Arianna può essere anche luminosa. E’ nipote del dio Sole da parte di madre; sposa del dio Dioniso che, venuto a salvarla dopo l’abbandono a Nasso, immortala il suo amore per la principessa trasformandone la corona in costellazione:

La corona di Arianna che si muove tra le stelle e corre insieme al sole, compagna di viaggio dell’Aurora figlia del mattino.

(Nonno di Panopoli; Le Dionisiache)

Le sue origini celesti, il suo ruolo di sposa di un dio e la sua assunzione in cielo come stella ne favoriscono la popolarità anche nel mondo romano; come dimostrano gli affreschi pompeiani presenti nella celebre Villa dei Misteri, dove l’immagine della coppia formata da Arianna e Dioniso spicca sulle altre.
Nel Rinascimento i due allietano i carnevali fiorentini e la corte ferrarese; diventando, oltre al simbolo del rigoglio della natura, un invito a vivere ogni attimo con gioia ed intensità:

Quest’è Bacco e Arianna,
belli, e l’un dell’altro ardenti:
perché ‘l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.

(Lorenzo de’Medici; Il Trionfo di Bacco e Arianna)

L’affresco di Villa dei Misteri con raffigurati Dioniso ed Arianna – www.indaginiemisteri.it

Arianna ed il mito nella modernità

I miti sono storie senza tempo, concepiti nel passato, ma alimentati dalle suggestioni del presente.
Così Goethe, ispirandosi all’amante Faustina che ancora addormentata poggia la testa sul suo braccio, compone l’elegia XII:

Maestose le forme, nobilmente disposte le membra.
Se così bella era Arianna nel sonno potevi, Teseo, fuggire?
Un solo bacio a queste labbra! O Teseo, allontanati!
Guardala negli occhi, si sveglia! – Ti tiene stretto in eterno.

La narrazione cambia ancora, Teseo, che nella versione canonica l’abbandona a Nasso, è indotto a rimanere; incatenato dai suoi occhi.
Nell’Ottocento e nel Novecento, con l’introduzione della psicanalisi e dell’antropologia, l’identità diventa un concetto sfuggente, ed altrettanto ambigui sono i ruoli ricoperti dai personaggi della mitologia. Le loro vicende subiscono delle riletture anche paradossali, come nel dramma Los Reyes di Julio Cortázar.
Arianna, di solito innamorata di Teseo, parteggia per il Minotauro: ha con lui un rapporto viscerale. D’altro canto il Minotauro non è qui un mostro feroce, ma una creatura triste e buona. Il suo legame con Arianna rappresenta un mondo infantile e primitivo contrapposto a quello cinico ed asservito a logiche di potere dei re Teseo e Minosse.

Ariadne di John William Waterhouse 1898

Signora degli inferi, emblema di gioia sovrumana, voce dei sospiri e delle inquietudini di ieri e di oggi.
Nonostante sia poco più che un’ombra del passato, Arianna ci somiglia. Il suo lamento sulla spiaggia di Nasso rispecchia la paura di scoprirci soli in un luogo ostile, mentre l’arrivo di Dioniso il sogno di una felicità perenne. Finché esisteremo, la sua storia riecheggerà negli anfratti più profondi della nostra anima.

Rita Gaia Asti

Serie TV e flashback, come il passato scandisce il nostro presente

A circa un anno dal lockdown, i social cominciano a mostrarci i ricordi con “ accadeva un anno fa…” allegando foto in pigiama, immagini di pane fatto in casa e videochiamate. Sicuramente la pandemia ci ha reso più nostalgici e vedere le cose che si potevano fare è ormai  parte della routine quotidiana. 

Siamo tutti più avidi di ricordi: riusciamo a trovare sollievo nel passato e questo ci strappa un sorriso; ma ci sono serie tv che hanno fatto di eventi del passato – sotto forma di flashback – i loro punti di forza, usandoli come pretesto per raccontare o dare senso alle vicende o come vera e propria struttura narrativa. Da nuove uscite a grandi classici (come l’intramontabile How I Met Your Mother), il throwback non è solo la tendenza del momento.

Lost, 2005-2010

Quando si parla di flashblack, non possiamo non citare la serie cult per eccellenza. Lost probabilmente è stata la prima serie ad essere diventata un fenomeno di massa: le – fin troppo – complesse vicende che seguono lo schianto dell’aereo di linea 815 della compagnia Oceanic Airlines su un’isola sperduta, si snodano di fatto attraverso le storie precedenti dei naufraghi, con un continuo utilizzo dei flahsback. Il fascino dell’utilizzo di questa tecnica in Lost  è dovuto in gran parte al riflesso che le vicende passate sembrano inesorabilmente avere sulla vita presente dei superstiti toccando la sfera del paranormale.

Cast della serie; in primo piano due dei protagonisti principali: Jack Shepard (Matthew Fox) e Kate Austen (Evangeline Lily) 

Ma se l’isola di normale sembra avere ben poco, fino ad essere considerata un’entità “viva e consapevole”, la trama non può che rispecchiare questo leitmotiv: procedendo attraverso eventi sempre più strani e inspiegabili, lo spettatore si rende presto conto di come tutto sembra non avere – come si suol dire – né capo né coda. A “cominciare” dal finale, molto discusso e oscuro alla maggior parte del pubblico, continuando con una serie di sempre meno credibili colpi di scena, Lost sembra rispecchiare proprio il concetto di flashback: del resto, cos’è la memoria se non uno spazio immaginario, quasi teatrale, onirico, sempre più confuso e distante, dove vanno in scena inevitabilmente sempre gli stessi personaggi?

Mr. Robot, 2015-2019

Altra serie che meriterebbe un intero articolo , apparentemente potrebbe sembrare la più off topic. In realtà, nel capolavoro nato da un’idea di Sam Ismail,  il significato più profondo della vita complicata del protagonista, l’hacker Elliot Alderson (un eccezionale Rami Malek), risiede interamente nei suoi ricordi di infanzia. Mai come prima, una serie tv “moderna”, rivoluzionaria e per certi versi anche inquietante, ha nascosto così bene il suo animo più intimo, facendo di fatto ruotare gran parte delle emozionanti vicende intorno a un tema: i rapporti tra Elliot e i suoi familiari (e i pochissimi amici), ma soprattutto con il padre. 

Celebre scena (prestata in passato a molti meme) nella quale Elliot ( Rami Malek) esulta a Times Square. 

Per questo la serie non è soltanto un must per tutti gli appassionati di spionaggio e informatica, rivoluzionari e amanti dei thriller in senso lato: il racconto di come un gruppo di hacker ha provato a cambiare il mondo è una storia fatta di antieroi, ciascuno con la propria fragilità e il proprio vissuto.

Un passato che lascia ferite ben più profonde di una crisi monetaria globale, ma che, allo stesso tempo, rappresenta una fonte inesauribile di energia (anche se non sempre positiva).

Dark, 2017-2020

Passato, presente e futuro in un cerchio. D’altronde è vero: tutto si ricollega e ritorna al proprio posto, ma cosa succede se l’ inizio è la fine stessa?

Beh, in Dark è possibile vederlo: questa serie – che richiede più attenzione di quanto crediate – si fa strada nel tempo e nello spazio, dimostrando l’importanza dei rapporti umani, delle scelte e il peso delle loro conseguenze. Ogni episodio, a se stante, è come una goccia nel mare o come la goccia che fa traboccare il vaso, quindi è essenziale per capire il quadro generale ma anche per poterlo risolvere.

Presente, futuro, passato. Fonte: lascimmiapensa.com

È sicuramente innovativa, ben fatta, ma molto difficile da capire. Bisogna mettersi lì, a creare alberi genealogici e mappe per poter uscire dal labirinto delle vicende, cercando di comprendere come quello che succede è conseguenza e causa stessa di ciò che è accaduto.

Il flashback, qui, diventa reale. Andare indietro nel tempo e poi tornare di nuovo al presente, per poi arrivare verso il futuro… Che sia questo schema narrativo un monito per noi? Magari questo è il modo giusto di affrontare la vita? A voi la risposta.

Lupin, 2021 – in corso

La storia del ladro gentiluomo prende il volto di Assane (interpretato da Omar Sy): un moderno Lupin immerso nella Parigi del 2020, raccontato da Netflix con estrema leggerezza ma – allo stesso tempo – con una narrativa accattivante.

La storia del protagonista la si conoscerà a poco a poco. Saranno proprio i flashback a permetterci di conoscere il piccolo Assane e vedere come costruisce la sua identità di gentiluomo.

Primo bottino del gentiluomo. Fonte: Netflix

La trama sarà diversa da quella di «Lupin, Lupin, l’incorreggibile» perché dietro si nasconderanno problematiche differenti, attuali ma da sempre presenti: il potere del più forte, il sacrificio dei genitori e la discriminazione. Tuttavia, nonostante le critiche, la serie ha ottenuto un grandissimo successo.

Con lo stampo della – più fruttuosa – Casa De Papel, il protagonista raffigura un genio della truffa e tutto quello che ottiene sarà frutto di uno studio attento della situazione, delle conseguenze delle sue azioni; inoltre non perderà mai di vista l’obiettivo: vendicare il padre.

Ancora una volta, ci costringono ad ammirare il “cattivo” e a metterci dalla sua parte, per cui viene da chiedersi chi sbaglia: il carismatico e creativo ladro o coloro che lo inseguono?

L’estate in cui imparammo a volare (Firefly Lane), 2021 – in corso

La nuovissima serie tv proposta dalla grande N è un capolavoro che, purtroppo, non profuma di successo. 

La storia, riadattata dall’omonimo romanzo, è quella di due amiche che la vita ha reso sorelle e il cui legame indissolubile verrà confermato dagli innumerevoli salti temporali: dagli anni ottanta ai duemila, le vedremo da preadolescenti ad adulte crescere insieme e – nonostante provenienti da ambienti diversi – diventare le donne che sognavano.

 Tully e Kate ’80s. Fonte: rollingstone

Ad interpretare le due ragazze saranno due mostri sacri del piccolo schermo quali Katherine Heigl e Sarah Chalke meglio conosciute come Izzie (di Shondiana memoria) e Elliot di Scrubs; la loro bravura trapelerà in ogni episodio dando consistenza alle storie. La vicenda rende vera quella scritta «amiche per sempre» che non mancava sui diari delle nostre compagne di banco: nel loro caso la promessa viene riconfermata ogni anno che passa.

Il throwback, qui ben strutturato, ci dà la consapevolezza di quanto le protagoniste siano state importanti l’una per l’altra e di come le scelte prese a quindici anni abbiamo un riverbero anche a trentacinque.

L’importanza del passato quindi è inevitabile: il piccolo schermo non fa altro che accattivarci impacchettando le nostre necessità sotto forma di comodi episodi da divorare a nostro piacimento.

Che ci piaccia o no, tutto ciò che accade assume senso alla luce di ciò che lo ha preceduto.

Emanuele Chiara e Barbara Granata 

Femminismo sui social o nella letteratura: la risposta a Jane Austen

Come ogni 8 Marzo che si rispetti, le città e i social si riempiono di mimose.

L’8 Marzo è quella “festa” in cui tutte (e tutti) diventano femministe e si urla a gran voce «viva le donne!», «auguri a tutte noi!» o – per meglio dire – spesso si condivide soltanto una storia o un post ad hoc. Questo può essere definito femminismo? Può realmente creare un movimento per quei diritti che ancora mancano? Ciò che vediamo sui social è femminismo o mero esibizionismo?

Ma un’altra domanda sorge spontanea: è giusto chiamarla “festa”? No. L’8 marzo non è propriamente una festa, ma una ricorrenza per ricordare i diritti per cui le donne hanno combattuto e le lotte che hanno affrontato.

Ultimamente nel web e sui social si è sviluppato un “finto” femminismo che va a schiacciare l’uomo e la donna stessa. Ma che vuol dire essere davvero femministe?  E chi lo è stato in passato? Sono tanti e troppi i nomi, ma una delle femministe più influenti e conosciute è Jane Austen.

Jane Austen: ritratto di una femminista

Non so cosa significhi amare la gente a metà, non è nella mia natura. I miei affetti sono sempre eccessivi.

   Ritratto di Jane Austen. Fonte: Marieclaire

Essere femministe tra ‘700 e ‘800 non era semplice:  essere donna a quei tempi voleva dire essere ” una donna di casa”,  “una donna nata per essere moglie e madre”, ” una donna che deve lavare e cucire”, e tante altre definizioni stereotipate. Essere donna significava essere ciò che vuole e pretende la società.

Cosa rende una  “donna” tale? Non credo che ci sia un’unica risposta, ma molteplici, perché si è ciò che è solo quando si è liberi di sentirsi bene con sé stessi: solo allora si può diventare “qualcuno”.

Ma – tornando a noi – stavamo parlando di Jane Austen, scrittrice femminista vissuta a cavallo tra ‘700 e ‘800. Jane Austen con il suo lavoro è riuscita a rompere la patina delle etichette, trasformando l’impensabile in normalità. Le eroine dei suoi romanzi sono semplici ragazze che vogliono affermare la propria identità in un mondo costruito su misura per il genere maschile, un mondo in cui essere donna equivale a trovare marito, una società in cui solo diventando moglie si diventava “Donna”.

La Austen con la sua impronta è riuscita togliere il velo del finto perbenismo e ne ha tessuto un altro, allungato poi da altre donne con battaglie e piccoli segni di protesta. È riuscita a costruirsi la propria strada senza affiancarsi a un uomo: rifiutò infatti il matrimonio per dedicarsi totalmente alla scrittura. Il suo essere nubile è un segno di protesta che sembra urlare: “non ho bisogno di un uomo che mi mantenga, il mio essere e il mio modo di fare  costruiscono ciò che sono, la mia identità”.

Curioso sapere che la Austen non firmò mai col suo nome i propri libri, ma utilizzo l’appellativo “The Lady”: come mai? Non si conosce la verità: forse la scrittrice non voleva dare troppo nell’occhio o forse voleva semplicemente urlare la propria protesta senza troppi meriti ed elogi.

Orgoglio e pregiudizio (1813)

 L’immaginazione di una donna corre sempre: dall’ammirazione passa all’amore, dall’amore al matrimonio, tutto in un istante.

Copertina del libro. Fonte: libraccio.it              

Orgoglio e pregiudizio è uno dei libri più famosi della scrittrice. I protagonisti sono Elizabeth (pregiudizio) e lo scapolo Mister Darcy (orgoglio), due giovani ragazzi dotati di originalità, giacché ragionano con la propria testa, rinnegando il pensiero tradizionale e seguendo la loro propria identità in un mondo in cui non sei tu a decidere chi devi essere.

Elizabeth fa parte della famiglia Bennet ed è la seconda di cinque figlie, si è sempre sentita fuori luogo perché a differenza delle altre sorelle e della madre la frivolezza non fa parte di lei. Il padre, Mr Bennet, nutre una preferenza verso la nostra eroina, proprio per il suo essere “la pecora nera” della famiglia.

Nei pressi di casa loro, si trasferisce un giovane scapolo, Mr Bingley, accompagnato da Mr Darcy, e la madre di Elizabeth, col suo animo di donna frivola, vede un opportunità per le sue figlie: un marito per “sistemarle”.

La famiglia Bennet farà conoscenza dei nuovi vicini e durante un ballo Elizabeth noterà Mr Darcy, ma quest’ultimo mostrerà indifferenza scatenando sentimenti di antipatia in Elizabeth. Da quel ballo, la vita della protagonista cambierà: scoprirà di nutrire un interesse verso Mr Darcy e nascerà una delle storie d’amore più belle della letteratura mondiale.

Mai aveva sentito così chiaramente di poterlo amare, come ora che tutto l’amore era vano.

Ma cosa ha reso così importante Orgoglio e pregiudizio nel panorama femminista? L’opera è riuscita a scavare nell’animo di un’eroina anticonformista ma non esibizionista, forte e indipendente, che ha saputo imporre sé stessa e il suo modello di vita semplicemente con la razionalità delle proprie scelte, senza per questo rinunciare all’amore. A testimonianza di come il femminismo “reale”- quello di Jane Austen e di tante altre sue colleghe scrittrici – continuerà a gridare dai loro libri fino a quando ogni singola donna non sarà considerata veramente uguale all’uomo.

Alessia Orsa

Malcolm & Marie, un instant movie in bianco e nero


Film drammatico e a tratti romantico con una trama molto semplice. Non adatto ad un grande pubblico – Voto UVM: 4/5

In amore, come in qualsiasi altro rapporto, succede spesso di trovarsi in disaccordo su qualche punto e quando ciò accade diventa necessario non trasformare quella discussione in una lotta di supremazia. La soluzione quasi sempre più razionale risiede nel saper disinnescare e nel volersi sempre confrontare. Ma, come ben sappiamo, non è sempre così semplice ed i problemi sono spesso molteplici nonostante la complicità.

Chi è Malcom? Chi è Marie? Cos’hanno a che fare con la nostra riflessione? Scopriamolo insieme.

Tra euforia e scintille: un gioco al massacro

Nella bellissima pellicola in bianco e nero di Sam Levinson, gli attori che interpretano la giovane coppia di Los Angeles, ovvero Malcolm & Marie, sono Zendaya e John David Washington.
Malcom è un regista afroamericano, Marie un’ex tossicodipendente che ha abbandonato il sogno di diventare attrice.

Nella prima scena, ambientata in una favolosa villa a Malibù, entrambi sono reduci dalla magnifica presentazione del nuovo film di lui. Nonostante la bellissima serata, Marie si sente profondamente offesa con il proprio compagno, il quale ha dimenticato di ringraziarla pubblicamente.  I movimenti di Marie si fanno sempre più meccanici mentre prepara la cena a Malcom. Quella tensione lascia spazio ad una sola idea: il litigio è alle porte.  

Nel mezzo di un’accesa discussione, Malcom si rifiuta di ammettere che la protagonista del film è ispirata a lei. Da questa semplice scintilla, lungo il corso della notte, verranno messe a nudo le problematiche della coppia attraverso un cocktail di smisurata ambizione, egoismo, arroganza e rabbia.

Marie: Sai cosa c’è Malcom? Credo che quando ti senti amato e protetto da qualcuno, ti dimentichi di quella persona. Ti accorgi di lei quando stai per perderla

I due protagonisti Marie ( Zendaya) e Malcom (John David Washington). Fonte: ovicio.com.br

Una storia figlia del presente

Malcolm & Marie è stato ideato e scritto durante l’estate scorsa ed è figlio della delicata situazione che stiamo vivendo: è stato il primo film ad esser completato dopo lo scoppio della pandemia di COVID-19. La storia si consuma in 1 ora e 46 minuti in cui il continuo confronto tra la coppia si riduce in lunghi monologhi urlati, confessioni sussurrate, voci spezzate e continui assalti verbali, il tutto condito da altalenanti ruoli di giudice e imputato, vittima e carnefice che ingannano e nascondo i veri sentimenti.

La pellicola è un romantic drama in cui gli attori giocano molto bene il ruolo che rivestono. La loro passione è senza mezze misure: fatta di baci, desiderio, odio e amore, un continuo respingersi per poi abbracciarsi ancora più forte. Questi aspetti rendono il film magnetico e a tratti criptico anche se la storia si scioglie successivamente nella semplicità della propria trama. Malcom & Marie è stato definito come un esercizio di stile, un prodotto indie furbo che mette in mostra le capacità degli attori: il bianco e nero, infatti, è molto ricercato anche nelle immagini e dietro le scelte stilistiche si nasconde una grande voglia di farsi notare e spiccare.

Certo, non è un film che può soddisfare tutti, ma riesce a brillare solo agli occhi di chi ama quel tipo di cinema intimo, libero e a tratti ribelle.

 Malcom: Sei così spaventata ed egoista da dovermi demolire, criticando tutto ciò che faccio […] Hai bisogno che io abbia bisogno di te, altrimenti cosa diavolo ci faccio con te? Tu vuoi il controllo e non riesci ad immaginare che io voglia stare con te solo perché ti amo. Ti amo e basta, tesoro. Non ho bisogno di te. Ma ti amo. C’è qualcuno in questo mondo che ti ama e basta. Amo come funziona la tua mente, Marie. Amo come osservi il mondo.

Fonte: pedestrian.tv

Cento minuti di dialogo

Gli argomenti che i due affronteranno durante i forti litigi saranno molto delicati e intimi, ed è per questo che non vogliamo rovinare la semplice- ma anche sofisticata- trama raccontando tutto adesso. Il consiglio è quello di prendersi del tempo, mettersi comodi sul divano e assaporare il racconto ricorrendo ad una buona dose di empatia. Lo spettatore dovrà mostrarsi attivo nel captare la storia, senza alcun tipo di giudizio generalizzato.
Nessun significato nascosto, nessuna verità da ricercare, niente di oscuro, tutto si riduce alla semplice e mai banale discussione dei due attori.

Annina Monteleone

Walk the line: musica e amore come medicine

“Walk The Line” è un biopic degno di nota. Racconta una storia di lotta contro se stessi e di quanto possa essere importante la musica, andando ad affrontare anche altre tematiche fondamentali per un artista – Voto UVM: 4/5

Oggi 89 anni fa nasceva una delle più celebri star della musica statunitense: Johnny Cash.

Ha conquistato il pubblico americano tramite canzoni che sono entrate a far parte di prestigiose Hall of Fame di generi diversi a testimonianza della sua poliedricità. Nonostante una vita travagliata, è riuscito a imporsi nel panorama musicale divenendo principalmente un’icona della musica country.

Johnny Cash con la sua chitarra- Fonte: arte.sky.it

Il film  Walk The Line ( Quando l’amore brucia l’anima) diretto da James Mangold ripercorre le tappe fondamentali della sua carriera.

Trama

Johnny (Joaquin Phoenix) è un bambino che vive in una fattoria dell’Arkansas. Un giorno mentre è a pesca, il fratello si ferisce con una sega e muore; di lì in avanti i rapporti tra Johnny ed il padre si incrineranno notevolmente.

Nel 1950 si arruola  nell’aviazione prestando servizio nella Germania dell’Ovest dove comincia a suonare la chitarra per diletto per poi tornare in patria qualche anno dopo dove sposa la sua fidanzata ed inizia a lavorare come venditore porta a porta per vivere. Tuttavia sente che gli manca un qualcosa. Infatti, durante una giornata di lavoro , passa davanti ad uno studio di registrazione e colto dall’ispirazione decide di fondare un gruppo.

Dopo un’audizione Johnny conquista Sam Phillips (Dallas Roberts), produttore musicale e proprietario della Sun Records, il quale gli fa sottoscrivere immediatamente un contratto ed incidere il suo primo disco: Cry! Cry! Cry!

Locandina del film – Fonte: tmdb.it-maku.com

Le canzoni iniziano ad essere tramesse in radio ed il cantante parte per un tour di primaria importanza: infatti alla tournée partecipano grandi artisti emergenti del calibro di Elvis Presley e Jerry Lee Lewis e proprio in questo periodo il nostro protagonista conosce la bellissima cantante June Carter (Reese Whiterspoon) della quale si innamora perdutamente.

Tra alti e bassi, droga e carcere, Johnny non perderà mai il suo amore per la musica (e per June) e nonostante tutte le peripezie diventerà una delle più grandi star americane.

Regia

Il regista James Mangold ha voluto raccontare la storia di Johnny Cash improntandola fortemente sul lato umano.

L’amore è sicuramente uno dei temi principali della pellicola oltre- ovviamente- alla musica. E’ infatti proprio grazie a questo sentimento nei confronti di June che il protagonista trova la forza per reagire a qualsiasi problematica e spingersi oltre raggiungendo altissimi livelli.

Johnny Cash (Joaquin Phoenix) e June Carter (Reese Witherspoon) – Fonte: pinterest.it

Mangold stesso ha dichiarato di essersi emozionato quando durante uno dei suoi ultimi incontri con il vero Johnny Cash gli chiese quale fosse il suo film preferito, ed il cantante rispose:

Frankenstein. Perché è la storia di un uomo composto da parti marce. Una specie di oscurità. E contro la sua stessa natura… continuò a lottare per essere buono.

Forse un po’ severo con se stesso, ma sostanzialmente questo concetto si avvicina a quel che era Johnny. Il cantante, come riportato nel film, per un periodo è stato fortemente dipendente dalla droga che gli ha causato gravi problemi sia nelle relazioni sia a livello legale (di fatti è stato in carcere). Un uomo che sicuramente ha sbagliato, ma definirlo un mostro risulterebbe esagerato.

Comunque, la definizione di Frankenstein in parte esprime perfettamente la sua natura: anche se Johnny Cash non si riteneva una brava persona, ha cercato comunque di fare del bene come quando nel 1968 tenne un concerto alla prigione di Folsom per i suoi detenuti e inoltre prese in giro il direttore del carcere che li maltrattava (il regista ha deciso di chiudere il film proprio con questa scena meravigliosa sulle note di una delle sue canzoni più belle, Cocaine Blues).

Cast

Joaquin Phoenix nei panni di Johnny Cash è- come al solito- monumentale ( della sua interpretazione in Joker abbiamo già parlato qui). Fortemente calato all’interno del personaggio, l’attore, mediante lo sguardo, esprime un costante stato di preoccupazione ed ansia con cui il protagonista convive a causa della sua vita tormentata.

Scena del film in cui Johnny si esibisce per i detenuti – Fonte: themacguffin.it

Le canzoni sono interpretate da Joaquin stesso, così come quelle di June Carter da Reese Whiterspoon. Incredibile la chimica instauratasi tra i due attori, in particolare quando si esibiscono sul palcoscenico: nella realtà ciò era scontato dato che i cantanti si amavano; nel film i due interpreti sono riusciti perfettamente a rappresentare quella stessa armonia.

A livello di critica la pellicola fu un successo enorme, tanto che riuscì ad aggiudicarsi 3 Golden Globes e ben 5 nomination agli Oscar del 2006 (vincendone solo uno con Reese Whiterspoon per la Miglior Attrice Protagonista).

Un film veramente piacevole da guardare che rende onore ad un grande artista e ci comunica la forza reale dell’amore e della perseveranza, perché senza quest’ultime Johnny non avrebbe mai e poi mai sfondato nella musica.

Vincenzo Barbera

 

 

Mio caro e vecchio amico Faber

 

“E come tutte le più belle cose, vivesti solo un giorno come le rose”

Dimmi Faber, come ti sentivi quel 18 Febbraio del lontano 1940? Come ti sei sentito quando sei venuto al mondo? Eri consapevole del fatto che saresti diventato uno dei più grandi  poeti e cantautori del ‘900? Ancora adesso, la tua musica e le tue parole continuano ad accompagnare  il popolo. Non è forse vero che la tua musica l’hai scritta per tutti noi?

Fabrizio De André in concerto. Fonte: giornalettismo

Fabrizio De André nasce il 18 Febbraio a Genova, città piena di culture diverse e paesaggi che hanno ispirato l’indole musicale del cantastorie, rendendolo uno tra i personaggi più famosi della musica italiana.

“Genova per me è come una madre. E’ dove ho imparato a vivere. Mi ha partorito e allevato fino al trentacinquesimo anno di età: e non è poco, anzi, forse è quasi tutto.”

De André è sempre stato ispirato dalla musica, ma la sua indole ribelle lo allontana per un periodo da questa strada; il punto di incontro arriva con l’ascolto di Georges Brassens (cantautore francese), di cui tradurrà alcune canzoni e le inserirà nel proprio lavoro discografico.  Ma solo nell’Ottobre del ’61 viene pubblicato il suo primo album e nel ’63 avviene il suo approdo nel mondo della televisione nel programma Rendez-Vous. Per il cantautore si aprono le porte del successo, le sue canzoni vengono trasmesse in radio ed è sulla bocca di tutti. De Andrè rivela al popolo il suo talento, ma allo stesso tempo la sua penna e la sua chitarra divengono un nemico per il potere.

Sono tante e sono troppe le canzoni del nostro cantautore, ma non temete ora vedremo assieme due album in cui si intravede un velo della sua anima.

Crêuza de mä (1984)

Crêuza de mä ,pubblicato nel 1984, è l’undicesimo album , realizzato assieme a Mauro Pagani (compositore italiano). È interamente cantato in dialetto genovese. Il disco è considerato come uno degli album più importanti degli anni ottanta, tanto che David Byrne (musicista e cantautore statunitense), ha dichiarato alla rivista Rolling Stone che Crêuza de mä è uno dei dieci album più importanti della musica non solo italiana ma anche internazionale.

L’album è composto da sei canzoni; De Andrè dedicò questo CD ai pescatori, come si evince da  Crêuza de mä che è il primo componimento, ed è stata pure la colonna sonora per l’inaugurazione del nuovo ponte Morandi, quindi una canzone che parla di un nuovo inizio, qualcosa di nuovo.

“Umbre de muri, muri de mainé
Dunde ne vegnì, duve l’è ch’ané
Da ‘n scitu duve a l’ûn-a se mustra nûa
E a nuette a n’à puntou u cutellu ä gua”

Crêuza de mä, è un capolavoro dell’arte e dopo anni rimane ancora uno tra i dischi migliori mai creati.

Crêuza de mä: cover. Fonte: fabriziodeandrè.it

 

Storia di un impiegato (1972)

“La “Storia di un impiegato” l’abbiamo scritta, io, Bentivoglio, Piovani, in un anno e mezzo tormentatissimo e quando è uscita volevo bruciare il disco. Era la prima volta che mi dichiaravo politicamente e so di aver usato un linguaggio troppo oscuro, difficile, so di non essere riuscito a spiegarmi.”

E’ il sesto album del cantautore, ed è composto da nove canzoni: quest’ultime sono legate tutte da un tema ben preciso che è quello della rivolta giovanile. L’album contiene tante storie diverse fra di loro ma tutte con lo stesso ideale.

Uno tra i brani più significativi è “Verranno a chiederti del nostro amore che è l’ottava traccia. Il brano racconta dell’impiegato che all’interno del carcere vede la sua donna intervistata dai mass-media e vedendola ripensa alla loro storia; a dividere i due innamorati è proprio quel muro del carcere ed essa è lontana da lui che spera possa diventare una donna autonoma e forte.

Storia di un impiegato: cover. Fonte: musica-bazaar.com             

 

La musica di Faber non rientra nel concetto di “banalismo”: la sua arte si spostava dalla canzone d’autore al folk, le sue sinfonie erano sempre accompagnate dalla sua vecchia amica a sei corde, diventato un simbolo dello stesso cantastorie. E ora mi rivolgo a voi lettori, quando pensate a De Andrè non lo vedete sempre con una chitarra in mano?

Ma tornando a noi, i testi di De Andrè sono considerati dei veri e propri capolavori non solo della musica italiana ma anche della poesia: i suoi racconti parlano degli ultimi e dei dimenticati, i suoi testi possono essere letti anche prima di andare a dormire o mentre si aspetta l’autobus, perché Faber è tutti noi.

“Se fossi stato al vostro posto… ma al vostro posto non ci so stare.”

 

Alessia Orsa

Io & Annie: storia di una relazione imperfetta

Commedia romantica profonda, ma con un tono umoristico – Voto UVM: 5/5                                           

I grandi film, col passare degli anni, non solo continuano ad essere visti ed apprezzati dal pubblico, ma fanno letteralmente la storia del cinema: diventano cult. Questo è il caso di Io & Annie (Annie Hall).

Il film diretto ed interpretato da Woody Allen, è una delle pellicole insieme a Manhattan che gli valsero maggior successo ed è uscito nelle sale nel 1977.

Fonte: pinterest.com- Alvy nel monologo iniziale

Trama

“Annie e io abbiamo rotto e io ancora non riesco a farmene una ragione. Io… io continuo a studiare i cocci del nostro rapporto nella mia mente e a esaminare la mia vita cercando di capire da dove è partita la crepa, ecco…”

Io & Annie racconta la storia della relazione tra un comico cinico, Alvy Singer, interpretato dallo stesso Woody Allen, e una giovane cantante, Annie Hall, interpretata da Diane Keaton.

Il film strutturalmente non ha una sua unità cronologica: Alvy ripercorre con la mente vari momenti della loro relazione in diversi episodi, alternando flashbacks anche della sua infanzia e del matrimonio con la sua prima moglie, Allison. Ciò che rende questo film speciale e diverso da qualsiasi altra commedia romantica è il modo in cui presenta al pubblico l’intera parabola di una relazione, dalla prima fase dell’innamoramento all’emergere dei primi contrasti e di un diverso modo di vedere le cose, fino alla rottura definitiva.

Durante tutto il film, inoltre, lo spettatore ha un contatto diretto col personaggio: una delle tecniche per cui Allen è maggiormente noto è il dialogo diretto con il pubblico. Alvy stesso presenta durante svariati monologhi il suo punto di vista, alternato sempre ad un sottile umorismo, a tratti velato di cinismo e pessimismo.

Annie Hall e Alvy Singer

Fonte: tumblr.com- Alvy ed Annie che si baciano

Alvy ed Annie hanno delle personalità opposte: Annie è molto esuberante, anche se all’inizio è un po’ insicura, specialmente riguardo al suo talento nel canto.  Proviene da una normale famiglia americana, è molto legata ai genitori e specialmente alla nonna.

Al contrario, Alvy è un personaggio molto cupo sotto vari aspetti: è ebreo e pensa di essere discriminato per questo, va da uno psicologo da quindici anni, non riesce ad avere relazioni stabili con altre donne. Non riesce a distaccarsi da New York, la sua città; è un comico, ma tutte le sue battute sono sempre di stampo umoristico-pessimistico. Durante la sua relazione con Annie tende in parte a soffocarla, facendola diventare un po’ come lui.

I due protagonisti inoltre rispecchiano in parte gli attori: Annie Hall, infatti riprende il vero nome dell’attrice Diane Keaton (Diane Hall), mentre il carattere di Alvy riflette un po’ lo stesso Allen, o comunque molti altri personaggi da lui ideati ed interpretati durante la sua carriera cinematografica come Isaac Davis in Manhattan (1979) o Sid Waterman in Scoop (2006).

Un film da Oscar

Io & Annie viene candidato nel 1978 a ben 5 premi oscar, di cui ne vince 4: miglior film, miglior regia ad Allen, miglior attrice protagonista alla Keaton e miglior sceneggiatura originale. Woody Allen ottenne anche la candidatura per miglior attore protagonista.

Inoltre, per i fan della serie tv How I met your mother, il film preferito di Ted è proprio… Io & Annie!

Fonte: wikipedia.it- Alvy ed Annie seduti nel parco

Per  finire

Credo che Io & Annie non sia solamente l’ennesimo film romantico strappa lacrime, ma che abbia un significato più profondo; in ogni caso, pur affrontando il difficile argomento della relazione di coppia, lo fa con punte di umorismo e nella maniera più leggera possibile.  Questo film non lascia la tristezza nel cuore, anzi: uno strano sorriso sul volto.

Ilaria Denaro

Normal People: storie di vita, di crescita, d’amore

 

5/5. Un adattamento brillante e coinvolgente che ha saputo rendere onore all’opera originale

 

«Ben oltre le idee di giusto e di sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò laggiù.»

Fonte: sentieriselvaggi.it

Così scriveva il poeta mistico Rumi attorno al XIII secolo. Versi eterni, che colgono l’essenza della vita stessa e la condensano in un componimento breve e d’impatto.

A me piace pensare che quel campo di cui parla Rumi sia l’amore. Un amore che trascende le logiche della giustizia per fondarsi come unica certezza e garante della vita eterna; uno spazio incontaminato ove si può finalmente prendere una pausa dalla repentinità dell’esistenza.

A tal proposito, credo che non esista serie tv che riesca a cogliere meglio il carattere così puro dell’amore. Normal People (2020) parla, per l’appunto, di questo: ma lo fa con umiltà, sottovoce, tra le pieghe di un libro (della scrittrice Sally Rooney) divenuto pellicola. Non è una serie che grida ai gesti di romanticismo estremi né t’induce ad idealizzare il sentimento. Al contrario, chi guarderà questa serie odierà un po’ la sensazione di aver amato. Ebbene, l’effetto a mio avviso è azzeccatissimo. Ma entriamo più nel dettaglio.

La trama e i personaggi

La serie, composta da una sola stagione di 12 episodi, disponibile sulla piattaforma streaming Prime Video, tratta le vicende dei protagonisti Connell (Paul Mescal) e Marianne (Daisy Edgar-Jones). I due, conoscendosi sin da ragazzini, inizieranno a stringere un rapporto durante gli ultimi anni del liceo e di lì seguiremo le loro peripezie fino al college.

Ciò che lega Connell e Marianne, inizialmente, è la loro solitudine: il primo è il classico ragazzo popolare che si cela dietro una maschera perché sa che altrimenti non sarebbe apprezzato dagli altri; la seconda è un personaggio schivo, a tratti passivo-aggressivo, che dalla vita ha sempre ricevuto poche gioie e certezze.

Per via di questa complicità diverranno amanti. Ma non cantate vittoria, perché il mondo li metterà davanti a molte sfide. Ed allora li vedremo arrancare per riuscire nel – non così scontato – compito di capirsi. Questo perché, per quanto il sentimento che lega due persone possa essere forte, ha sempre bisogno di fondamenta: fondamenta che si trovano nell’amicizia, in quel contatto d’anime che rende unici agli occhi dell’altro.

È il dramma dell’incomunicabilità: ci viene presentato attraverso il personaggio di Connell, a cui dovremmo fare ben attenzione prima d’incappare in giudizi affrettati. Egli è infatti estremamente complesso, con sfumature che vanno ad incupirsi man mano che si procede nella visione.

«Tu sei sempre consapevole di ciò che pensi. Per me non è così», dice a Marianne in confidenza. Se esiste una persona con cui può essere sé stesso, con cui ha il diritto di avere un’opinione, quella è proprio Marianne.

Focalizzandoci su questo punto, è importante tener conto dell’apporto positivo che i due si offrono: scambiandosi idee, parlando del più e del meno, ma soprattutto facendo sentire reciprocamente le voci che, al di fuori del loro rapporto, nessuno è interessato ad ascoltare. E questo li aiuta a maturare caratterialmente, ad acquistare sicurezza sul valore delle proprie opinioni – soprattutto per Connell.

D’altro canto, Marianne è una persona molto insicura perché – come dicevamo – non ha mai avuto molte certezze nella vita. A dirla tutta, la sua unica certezza sarà quella di comprendere la profondità del legame con Connell ed essere cosciente della dipendenza che la lega a lui.

Fonte: ok.co.uk

«Potrei sdraiarmi qui e tu potresti farmi ciò che ti pare». Parole affilate come una lama, fendenti che trafiggono sia l’interlocutore che lo spettatore. Sono le armi di chi non ha paura di rivelare ciò che prova e che urlano alla codardia dell’altro.

Ma perché? Perché Connell, nella sua timidezza, mirerà sempre a cercare la normalità. Rapporti normali, amicizie normali, tutto ciò che insomma Marianne non è. Né lo è il rapporto che li lega. E più tenterà di ricercare la normalità, più sarà privato della serenità.

Ecco perché Normal People, oltre ad essere una storia d’amore, è un percorso di crescita. Una storia che ci scuote per dirci che amare non è una passeggiata.

Ecco, mettiamola così.

Un consiglio per la visione

Ricollegandoci al nostro leitmotiv di giusto e di sbagliato: se volete guardare questa serie, siate certi di esservi prima spogliati dei pregiudizi che affliggono la comune percezione delle relazioni interpersonali. Pensare all’interno dei nostri schemi mentali ci blocca inevitabilmente, non permettendoci di cogliere quelli che sono i messaggi profondi offerti da questa serie. Primo tra tutti: ognuno ha il proprio “campo”. Ognuno può trovarlo, ma per farlo deve trascendere la propria individualità ed accettare la proficua dipendenza (assolutamente non quella tossica) che deriva dal sentimento.

Fonte: cinematographe.it

In secondo luogo, che non si nasce perfetti l’uno per l’altro/a. Così Marianne afferma, ad un certo punto: «Non trovo ovvio ciò che vuoi», come a dire che non è semplice comunicare né comprendersi e non bisogna mai darlo per scontato.

È importante tenere a mente la sensazione di angoscia che ci si trascina durante la visione di questo show. Ma è giusta anche quella, perché alla fine se ne uscirà arricchiti.

«Staremo bene», dice Marianne a Connell durante una scena della serie. Perché l’amore è questo: perdersi per ritrovarsi, laggiù, dove c’è quel campo.

 

Valeria Bonaccorso