A bordo del taxi di Rkomi

Taxi Driver è una coinvolgente corsa dentro sé stessi che non delude mai- Voto UVM: 4/5

Siamo a bordo di un taxi e l’autista ci guarda come per dire: «Dove vuoi che ti porti», ma sembra che le uniche parole che riusciamo a dire abbiano a che fare con la nostra storia, con ciò che sentiamo. Ci lasciamo scivolare tra le auto, gli alberi e i km di una città che nemmeno ci importa. Ed è un po’ come urlare «Presto! Mi faccia salire, insegua quell’auto o i miei sogni!»,  un po’ come una scena di un film americano.

Rkomi ci porta a bordo del suo nuovo album, Taxi Driver, in cui i passeggeri, compreso l’autista, si raccontano nei testi delle canzoni. Dal primo brano, intitolato INTRO:

Faccio questo adesso, guido dal tramonto all’alba, a volte anche quando è festa. È stressante in effetti, ma almeno mi tiene la mente occupata.
Accompagno le persone nei loro pensieri così tante volte durante la settimana… Tanto da farmi coinvolgere, immedesimare.

Rkomi per Rtl – fonte: rtl.it

Qualcosa da combattere

Sembra che Rkomi questa volta voglia richiamare alle nostre menti un ricordo, un progetto, risalente al 1976: Taxi Driver, un film diretto da Martin Scorsese. Questa volta però, al contrario di quella pellicola in cui il giovanissimo Robert De Niro cercava di combattere i suoi demoni e le sue paure post-guerra del Vietnam, all’interno dell’album Mirko riflette sulla difficoltà dei sentimenti e dell’approccio con se stesso facendoli diventare un tutt’uno nei diversi testi.

Uno dei più chiari riferimenti al film che possiamo trovare è dato dal brano, anch’esso intitolato TAXI DRIVER, in cui esordisce con:

Canzoni viaggiano in taxi
per ripulire le strade
vengono fuori la notte gli animali più strani
io che invocavo un diluvio che prese me per ostaggio

Parole simili che troviamo anche nel film di Scorsese, in cui si afferma:

“Vengono fuori gli animali più strani, la notte: puttane, sfruttatori, mendicanti, drogati, spacciatori di droga, ladri, scippatori. Un giorno o l’altro verrà un altro diluvio universale e ripulirà le strade una volta per sempre”

A metà tra l’interpretazione di De Niro e l’introspezione, con una sola differenza: il diluvio di Mirko non ha a che fare con l’intera società ma con il pianeta dei sentimenti più profondi di ogni uomo.

Rkomi per radio città del capo – fonte: radiocittadelcapo.it

Nelle profondità di un sound

Altro giro, altra corsa, nuovi mondi e tante personalità. Taxi Driver prende spunto anche da un album di Ed Sheeran, ovvero No.6 Collaborations Project Cassette: un lavoro che coinvolge tantissimi artisti, creando un album misto.

Un’ottima idea che Rkomi remixa in una produzione ricca, visionaria, con accenni di rock, rap ma anche pop che fanno da cornice a suoni sempre diversi e di grande impatto. Di sicuro, l’amore è il tema che rimane come punto fermo dell’intera produzione 2021, nonostante le diverse sfumature e i molteplici riferimenti a situazioni differenti tra loro.

Nel brano accompagnato da Tommaso Paradiso, ovvero HO SPENTO IL CIELO, sorge un chiaro riferimento alla figura della donna angelo, musa ispiratrice dei grandi poeti del dolce Stilnovo come Dante.
Donna che travolge, accompagna ed eleva gli stati d’animo agendo su un piano totalmente soprannaturale. L’effetto che fa è simile a quello delle parole del testo:

A me non fa paura
averti cosi vicino
a me non fa paura
ma paura da morire

Altri riferimenti a Dante e alla Divina Commedia vengono ritrovati in PARADISO VS INFERNO, altro feat con Roshelle:

Non sono Dante, l′Inferno, il mio inferno è un altro

E continua, qualche battuta successiva, sulla stessa scia:

E persino Dio ha il suo Inferno è l’amore che ha per l′uomo

Rkomi foto originale – fonte: repubblica.it

A farci la guerra

Situazioni intime anche in DIECIMILAVOCI con Ariete, in cui vige un botta e risposta continuo, quasi non volesse finire. Un cerchio che si chiude in un fastidioso pensiero di qualcuno che possa minacciare la coppia, più di quanto già entrambi non lo facciano tra loro. Una guerra, una battaglia aperta in cui le parole bruciano dentro e lasciano le stesse ferite di uno scontro con armi.

Pagine vuote che provo a riempire, ho fatto un casino senza farmi sentire. Non sopporto che ci minaccino

PARTIRE DA TE: chi sarà stavolta il passeggero di questa corsa? Nessuno.
Questo brano viaggia in direzione ostinata e sola ed il conducente prova a destreggiarsi tra i suoi pensieri, facendo scivolare come pioggia ciò che sente. Il pre-ritornello si arrende di fronte ad una domanda:

Lascia che tu sia una mia fantasia prima che riapra gli occhi e ti portino via.
La mente è il nostro hotel, ma tu in che stanza sei?

Per poi lasciare spazio ad immagini, piccole promesse, forti visioni che ritroviamo nella seconda strofa:

E non lascerò mai poggiare la tua testa sul letto senza la mia mano dietro, abbiamo il pomeriggio, la tua pelle è come porcellana
le tue labbra sono chewing gum da masticare, zitti!
E tu sei così bella che a volte fai male

Ma chissà se questa è davvero la verità dei fatti o solo ciò che vorrebbe vedere il cuore.

Annina Monteleone

 

Battiato, il signore della musica e delle parole

Il mondo della musica – e non solo – dà il suo addio a Franco Battiato. Al Maestro – anche se non amava essere definito tale – che della poliedricità ha fatto il suo marchio di fabbrica. Il musicista, cantautore, compositore che, con un’insaziabile e spiccata curiosità, ha abbracciato vari generi: dal pop alla musica leggera, dalla lirica al rock progressivo, passando per la musica etnica. Al poeta e paroliere che, con un’innata raffinatezza e una spiccata intelligenza, ha indagato l’intimità dell’essere umano cogliendone tutte le sfaccettature. A quell’amico che, come hanno sottolineato tutti coloro che lo hanno conosciuto, rimarrà per sempre non solo il “signore della musica e delle parole” ma anche il signore dell’animo (e dall’animo) umano.

Ciao Franco!

La carriera del Maestro ha inizio a Milano nel 1964. Precisamente in un cabaret, il “Club 64”, allora frequentato da alcuni dei futuri rappresentanti della canzone d’autore italiana: Enzo Jannacci, Renato Pozzetto e Bruno Lauzi.

Sarà l’incontro con Giorgio Gaber che segnerà una svolta decisiva nella sua carriera, facendogli firmare un contratto con la casa discografica Jolly che inserirà l’artista in quel filone di “protesta”. All’epoca assai in voga e presente in molte produzioni cantautorali.

Il primo singolo inciso ufficialmente, La torre, accompagnerà la sua prima apparizione televisiva nel programma Diamoci del tu, condotto dallo stesso Gaber e da Caterina Caselli. Sarà proprio in quell’occasione che l’artista milanese proporrà a Battiato di cambiare il nome da Francesco a Franco, per non confondersi con quello di un altro giovane cantautore che quella sera si sarebbe dovuto esibire: Francesco Guccini.

Da quel giorno in poi tutti mi chiamarono Franco, persino mia madre.

Qualche anno più tardi Battiato decise di abbandonare il genere di protesta per convertirsi inizialmente alla “canzone romantica” per poi arrivare ad identificarsi con una forma d’avanguardia ancora più intellettuale e intimista rispetto al suo esordio. Nel 1973 pubblica Sulle Corde di Aries: un album in cui musica minimale e una musica acustica di tradizione araba, convergono perfettamente, lasciando ampio spazio all’elettronica. Già da allora il cantautore si è spinto a concepire le note come atti di purificazione, qualcosa che ci innalza verso la bellezza.

Un viaggio attraverso le note

L’approccio di Franco alla musica deve essere dunque visto un po’ come un viaggio in cui ogni tappa corrisponde ad un genere diverso. La sua virtù di cantautore è sempre stata quella di saper far combaciare molteplici stili musicali, combinandoli tra loro in un approccio eclettico, originale e sperimentale.

La poesia e la letteratura, come ci ha insegnato il buon Sartre, vivono grazie a chi le legge e chi attribuisce loro un significato. E ognuno interpreta a suo modo un testo, in base a quello che sente, a quello che sa, alla sua esperienza di vita.

Il cantautore siciliano, infatti, oltre ad aver contrassegnato molte delle sue canzoni con un ampio uso di citazioni letterarie che richiamano poeti e scrittori quali Marcel Proust, Giacomo Leopardi, Giovanni Pascoli e Giosuè Carducci, realizza una vera e propria trilogia (Fleurs – Fleurs 3 – Fleurs 2) che raccoglie cover di autori prevalentemente italiani e francesi.

In Fleurs oltre a cover di artisti del calibro di De André, Gino Paoli, Mick Jagger e Keith Richards, Battiato inserisce alcune sue composizioni, tra cui Invito al viaggio. In questa canzone l’autore cita Baudelaire fin dal titolo, parlando dell’omonima poesia che fa parte dei Fiori del male . Il brano, con i testi del filosofo catanese Manlio Sgalambaro e le musiche di Battiato, inneggia al viaggio “in quel paese che ti somiglia tanto”, un viaggio nel quale c’è libertà e rispecchiamento, perché partendo scopriremo il mondo e impareremo a conoscere meglio noi stessi. Un po’ come ha fatto il maestro con le sue canzoni, alleviando le nostre difficoltà con veri e propri balsami per l’anima. Non semplici canzoni ma oasi nelle quali ritrovarsi, momenti nei quali la sua voce come una carezza ci solleva dalle pesantezze e ci rende più leggeri.

 Credo, al contrario di quelli che non hanno capito niente dei miei testi e li giudicano una accozzaglia di parole in libertà, che in essi ci sia sempre qualcosa dietro, qualcosa di più profondo. Quando si intende adattare un testo alla musica si scopre che non è sempre possibile. Finché non si fa ricorso a quel genere di frasi che hanno solo una funzione sonora. Se si prova allora ad ascoltare e non a leggere, perché il testo di una canzone non va mai letto ma ascoltato, diventa chiaro il senso di quella parola, il perché di quella e non di un’altra. Per capire bisogna ascoltare, serve animo sgombro: abbandonarsi, immergersi. E chi pretende di sapere già rimane sordo.

Torneremo ancora…

Nel 2019 esce Torneremo ancora. L’inedito, che dà il titolo all’album, è frutto dell’assemblaggio della voce di Battiato incisa nel 2017 e della musica scritta e suonata dallo stesso. I versi risuonano oggi come un profetico arrivederci:

La vita non finisce, è come il sogno, la nascita è come il risveglio finché non saremo liberi. Torneremo ancora e ancora e ancora

A noi piace pensare che questo è stato il dono d’addio che un uomo d’altri tempi, com’era il nostro Franco, ha voluto donarci prima di vivere un’ultima avventurosa trasformazione.

Franco Battiato è stato un esempio unico e irraggiungibile di metamorfosi verso quella ricerca bramosa di “qualcos’altro”, di cambiamento ed esplorazione che appartiene solo ai veri artisti. E se noi pensiamo a un artista, Battiato è uno di loro. C’è tutta la ricerca di una vita dentro le parole e le opere di Battiato. Parole e opere che, per oltre cinquant’anni, hanno accompagnato l’inizio e la fine delle nostre storie e che, per almeno altri cinquant’anni, rimarranno scolpite dentro ognuno di noi.

E come lo stesso cantava: “perché sei un essere speciale ed io, avrò cura di te”, noi tutti promettiamo di curare il ricordo di quest’uomo, artista dell’arte della vita e non solo dell’arte dello spettacolo.

Ciao, Franco. Ci vedremo al prossimo passaggio.

Domenico Leonello, Angelica Terranova

Nomadland: 3 Oscar per una pellicola “d’autrice”

 

Uno dei migliori film di quest’anno. Il cinema d’autore paga ancora: Hollywood riconosce i meriti di un film diverso dal solito e attuale- Voto UVM: 5/5

Nomadland si presenta da pellicola a basso budget: “soltanto” tra i quattro e i sei milioni di dollari spesi per produrla. Firmata dalla regista cinese Chloè Zhao, la prima asiatica ad ottenere un Oscar per la miglior regia e la seconda donna dopo Kathryn Bigelow (vincitrice con The Hurt Locker), Nomadland si è confermato vincitore di ben altri due premi Oscar, tra cui quello per miglior film; la terza statuetta va invece alla francese Frances McDormand, miglior attrice protagonista.

La pellicola ottiene inoltre l’ambitissimo e prestigioso Leone d’oro della Mostra Internazionale Cinematografica di Venezia, kermesse che si tiene nella Serenissima ogni due anni.

Nomadland: locandina. Fonte: cnn.com

La pellicola si basa  sul libro-inchiesta dall’omonimo titolo della giornalista statunitense Jessica Bruder; l’autrice scrive delle  storie di moderni nomadi Usa: la Bruder ha infatti vissuto per alcuni mesi a bordo di un camper, seguendo i viaggiatori lungo i loro itinerari.  Il periodo storico di riferimento è quello della crisi del 2008, innescata dal crack dei Sub-Prime.

Il film inizia con la ripresa in primissimo piano della protagonista Fern (Frances McDomand), cittadina del centro industriale di Empire, Nevada. Lo stabilimento di cartongesso “US Gypsum”, fulcro dell’economia locale, è costretto a chiudere i battenti a causa della scarsa domanda del prodotto; via via il centro si spopola, i negozi abbassano le serrande e Fern, perso il marito per un tumore, acquista un furgone e decide di abbandonare la città ormai quasi fantasma.

Quello della protagonista è un personaggio di finzione ma molto simile ai tanti “nuovi nomadi” americani descritti nel libro. Empire è altresì tanto simile a una di quelle città fantasma del West, ormai parte dell’immaginario collettivo di qualsiasi spettatore. Questo film d’autore potrebbe apparire un Western con al posto dei cavalli, furgoni e camper, anziché yankee, pistoleri cittadini che hanno superato la mezza età alla ricerca di un nuovo impiego o alle prese con  viaggi esistenziali.

La precarietà della vita nei camper, spesso fatta di sopravvivenza e sacrifici, è ripagata dai giorni trascorsi nella libertà dalla dipendenza dal denaro e dalle cose materiali, dal giudizio o buonismo di una parte della società borghese, temi che la regista asiatica affronta, senza mai sfociare in un’aperta critica al sistema borghese-capitalistico. A parlare saranno i racconti e le opinioni dei personaggi, fieri nella loro compostezza, sempre orgogliosi seppure provati – chi più chi meno – dalla vita.

A fare da leitmotiv della pellicola la fotografia del film e le riprese in primissimo piano dei personaggi, che andranno via via allargandosi con il dipanarsi della trama.

Uno dei primissimi piani di Fern, firmati Zhao. Bravissima l’attrice nella resa delle emozioni. Fonte: WordPress.com

Da subito emerge il contrasto/complementarietà fra i primissimi piani e le riprese lunghe se non lunghissime di straordinari paesaggi americani. Entrambi i tipi di ripresa faranno sì che chi guarda possa quasi sentirsi dentro la pellicola, quasi a peregrinare con la protagonista per gli States.

Fern trova lavori saltuari, tra i quali il più amato sembra essere l’impiego nella catena di impacchettamento di Amazon. Terminato il contratto sarà costretta a ripartire alla ricerca di nuove precarie occupazioni. La donna si districherà infatti fra lavoretti nell’ambito dell’agricoltura, paninoteche, pulizie, nonostante i 60 anni suonati, per poi far ritorno al colosso di Jeff Bezos.

Anche qui Zhao non vuole strizzare un occhio ai tanti critici di Amazon e del capitalismo, nonché alle lamentele dei lavoratori e l’azienda viene piuttosto mostrata come un gigante buono che offre lavoro dignitoso, dai ritmi umani, che pagherà a Fern persino il campeggio del suo furgone. Diversamente quindi, per citare un caso, dal film Furore (1940), che mostrava la crudezza dello sfruttamento dei lavoratori di inizio ‘900.

Nomadland non è un film di denuncia del capitalismo o il racconto di una società o di singoli personaggi in fuga. La pellicola narra piuttosto di persone ordinarie che vogliono vivere la vita diversamente. Mai appaiono eccentriche o strane, ma anzi serie e compite, fiere anche se provate. Decise ad andare avanti nel loro percorso alternativo.

Qualcuno fra i personaggi parla contro il capitalismo, contro il consumismo. Sarà Bob (Bob Wells), leader e sorta di santone di un campo di “nomadi” a spiegare : «Siamo rifiuti, ci hanno sfruttato e buttato via.» ma ancora con un tono di fiera compostezza, privo di isterismi, volgarità, rabbia eccessiva.

Nomadland è un film da vedere, anzi da gustare con calma e attenzione prendendosi il giusto tempo. Un lungometraggio dal sapore intimista, che riesce a mescolare bene dolce e amaro della vita senza scadere nella banalità di scene già viste e frasi già sentite. Non può certamente che meritare i tre premi Oscar, il Leone d’Oro e i nostri 5 punti.

Un esempio di una ripresa con una maggiore profondità; a fare da sfondo il sorgere o il tramontare del sole. Fonte: cloneweb.net

Marco Prestipino

 

 

 

Il Capa è tornato: habemus Caparezza

Il Capa con il suo ritorno è riuscito a dare una scossa alla musica italiana  4.0 – Voto UVM :4/5

Dopo tre anni ritorna sulle scene musicali Caparezza, con un nuovo album autobiografico, come dichiarato dall’artista. Ci aveva lasciato con Prisoner 709 (2017) e aveva entusiasmato tutti con la sua lingua tagliente e pure Exuvia, uscito il 7 maggio, non è da meno.

L’artista non ha bisogno di presentazioni: che lo si voglia o no, Caparezza è uno degli autori più talentuosi e autentici del panorama della musica italiana. I suoi testi parlano della società circostante, le sue canzoni hanno denunciato la mafia e gli errori della politica, ma hanno parlato anche d’amore e di speranza, per un mondo che ormai vive di immagine e finzione.

Meglio depressi che stronzi del tipo «Me ne fotto», perché non dicono «Io mi interesso»?

Caparezza. Fonte: centralfloridavocalarts.com

Exuvia( 2021)

A mio agio nel caos, ecco la mia Exuvia.

Il nome “exuvia” indica la muta dell’insetto, quindi un cambiamento e una nuova maturità, senza lasciare indietro il proprio passato. Come l’insetto, pure Caparezza con il suo nuovo stile ha voluto regalarci un artista nuovo: con una metamorfosi è riuscito a incoronare il suo percorso rendendolo più maturo e di questo ci parla la traccia Exuvia. Un significato a primo impatto banale per coloro che non accettano cambiamenti e vivono dentro una bolla rivestita da mero egoismo e pregiudizi.

Ogni mio scatto è di prassi bruciato
Non dimentico le radici perché tengo alle mie radici
Ma ci ritornerò quando sarò inumato
I miei dubbi hanno dei modi barbari
Invadenti e sono troppi
Il segreto è fare come gli alberi
Prima cerchi, dopo tronchi
Chi ti spinge dopo quella soglia
Se non è la noia, sarà il tuo dolore
L’occasione buona per andare altrove, tipo fuori

L’album contiene 19 tracce, ed è stato anticipato un mese e mezzo fa con Exuvia e subito dopo La Scelta. Il disco si presenta cupo e percepiamo una sensazione di malinconia nell’ascolto. Come un vero genio incompreso, Caparezza mescola temi della politica e dell’arte, facendoci affrontare un viaggio nell’inafferrabile: solo chi presterà la massima attenzione potrà capire il disco.

Nelle canzoni troviamo le collaborazioni di altri artisti quali Matthew Marcantonio (leader dei Demob Happy) che canta il ritornello della traccia Canthology e Mishel Domenssain, una cantautrice e rapper messicana che accompagna l’artista nella traccia El Sendero.

Come già citato sopra, l’artista ha rilasciato più di un mese fa le tracce Exuvia e La Scelta. Di cosa parla La scelta? La scelta rappresenta la solitudine, un “limbo“- come dichiara l’artista- in cui si è soli e non si hanno aiuti e solo tu decidi che strada intraprendere e quella scelta, che a volte è un concetto banalizzato, è ciò che condiziona la tua vita: quindi bisogna essere prudenti e ponderare prima di agire. Caparezza in merito a questa canzone ha dichiarato:

Uno degli elementi ricorrenti del nuovo album è la stasi, il limbo, il “non luogo” senza via d’uscita. Come si viene fuori da questa impasse? Esiste un solo modo: fare una scelta, prendere una decisione. Ho immaginato di trovarmi davanti ad un bivio, due sentieri che si diramano dal bosco.

Fino a qualche mese fa nessuno si aspettava un nuovo disco di Capa: difatti l’artista non aveva rilasciato dichiarazioni o tracce sul suo profilo Instagram, ma il 31 marzo, ha sganciato all’improvviso come una bomba l’uscita della sua nuova opera e pagine social e giornali inneggiavano al ritorno di Caparezza. Diciamocelo: l’artista pugliese ha giocato bene le sue carte, cogliendoci tutti di sorpresa!  

Fonte: Copertina ufficiale Exuvia-Juloo.it

Nelle nuovi canzoni, non troviamo più il vecchio Caparezza, anche la sua voce nasale è scomparsa, ma il suo essere diretto è sempre presente (in fondo è il suo marchio di fabbrica).

Non è un’artista amato da tutti, forse per il suo modo d’essere troppo schietto o forse perché è poco attivo sui social e non rilascia mai interviste o non segue la linea commerciale che richiede la nostra società; nonostante tutto il suo nome viene ancora ricordato e rimane uno degli artisti più amati della nostra terra, è la prova vivente che non bisogna amalgamarsi alla massa per creare arte.

Non me ne frega un cazzo dell’opinione di un giornalista, non mi interessa cosa possa pensare lui della mia band!… Certo, a chi non fa piacere una cazzo di recensione positiva, però non si può dipendere dalle opinioni altrui. E la maggioranza dei giornalisti che scrivono di musica sono dei poveracci.

Fonte: fm-world.it

                                                                                                                                Alessia Orsa

 

 

Motta e la semplicità del presente

Un disco che segna la maturità artistica di Motta. In cui anche le più grandi fragilità vengono trasformate in punti di forza.  – Voto UVM: 5/5

Dopo tre anni dall’ultimo album Vivere o Morire e la partecipazione al Festival di Sanremo con Dov’è l’Italia, Francesco Motta torna sulla scena musicale con un nuovo album pubblicato con la Sugar Music il 30 aprile. Non ha più paura di invecchiare, e si interroga sul suo passato e sulla stranezza dell’uomo che non riesce a rendersi conto che i problemi dei vent’anni sono davvero molto più semplici di quanto si pensi.

Il suo nuovo album, Semplice, anticipato dal singolo E poi finisco per amarti, è completamente nudo, elettrificato, reale e soprattutto vivo. Ti trasmette quell’emozione che a volte solamente un live è capace di dare. Magari dentro una grande stanza illuminata con neon a luci rosse e blu, a metà tra una fabbrica e una chiesa, col rumore delle pennate sulle corde di una Stratocaster. Un viaggio nel mondo, o meglio: nella semplicità del presente. Il cantautore pisano ammette di aver fatto pace col proprio passato, tutt’altro che semplice, per concepire quest’album:

Ho scoperto che non sono Peter Pan

afferma in un’intervista, e lasciandosi alle spalle tutti i tormenti e le paure, ci regala dieci tracce di una nostalgica quotidianità in cui tutti noi possiamo ritrovarci, tra ricordi e calzini, sampietrini e caffè.

La ricerca dell’essenziale

Qualcosa di normale, la quarta traccia è, infatti, una richiesta d’aiuto; cantata con un filo di voce insieme alla sorella Alice (unico feat. dell’album), per provare a conquistare non tanto la normalità, ma il sogno di una normalità. Del resto è un pezzo nato prima di una pandemia, fra le campagne di Sacrofano e che vanta i consigli di De Gregori.

E alla fine non ho più paura di stare a guardare qualcosa di normale

È un disco con gli archi, molto arrangiato e soprattutto diverso dai capitoli precedenti: nudo e fragile. Motta sceglie di giocare con la scaletta:

Il forte dopo il forte resta forte, ma il forte dopo il piano diventa fortissimo

Un disco per nulla minimale, con arrangiamenti ricchi, non barocchi ma corposi. In cui al centro c’è la continua ricerca dell’essenziale: come dice Italo Calvino nelle Lezioni americane, c’è il pensiero di una leggerezza che non è quella di una piuma che cade ma di un uccellino che continua faticosamente a volare.

Motta in un gioco di luci

La stessa nostalgia la ritroviamo in Quello che non so di te, che per l’autore altro non è che un ritorno al passato, soprattutto musicale. Per un attimo vengono abbandonati gli strumenti protagonisti: il violoncello lascia spazio al rock, e il pezzo si sporca di new wave sfiorando le ombre dei Cure.

Anche in Regole del gioco sembrerebbe che Motta stia cercando di tornare nella sua comfort zone, un po’ come se fosse il seguito di Chissà dove sarai (Vivere o Morire). Ma continuando l’ascolto ci accorgiamo di avere davanti un autore più maturo, più attento ai dettagli e che in fin dei conti ci piace. Come dice nella canzone:

Sai che c’è? C’è che alla fine qui va tutto bene

Ma questo non è un viaggio di sola nostalgia. A te, la prima traccia dell’album, è un’aperta dichiarazione d’amore, verso gli altri e verso se stessi. Un brano in cui chitarre acide e melodie oniriche si scontrano, riportando alla mente i Velvet Underground. E mentre Via dalla luce è un notturno che si aggrappa al pianoforte, Semplice tiene echi africani in sottofondo, per concentrarsi sul flusso di coscienza.

Tutti hanno paura…

Avete presente quando provate un paio di jeans e vi sta stretto? Beh, a Motta invece quel barlume di esistenzialismo è sempre caduto alla perfezione, e in quest’album è ancora più evidente.

L’estate d’autunno e Dall’altra parte del tempo (ottava e nona traccia) ci trasportano in un universo parallelo in cui tempo e spazio vanno quasi ad annullarsi completamente, lasciandoci un pizzico di cupa e autentica disperazione.

Il cantautore di “Dov’è l’Italia”. Fonte: ilsussidiario.net

Ma Semplice è anche paura: paura di perdersi, paura del futuro. Quando guardiamo una rosa, scritta a quattro mani col cantautore calabrese Dario Brunori (in arte Brunori Sas), è una vera e propria conversazione non amorosa di sette minuti. Un dialogo tra due persone provenienti da tempi diversi, che mettono la paura al centro delle loro vite. La giusta conclusione che, inaspettatamente, dà vita ad una coda strumentale perfetta.

Parlami della paura di vivere insieme una vita sola

Semplice è un gioco di equilibri precari e per questo affascinanti. Un mondo in cui passato e futuro si intrecciano, dando vita a quella semplicità, quasi essenziale, del presente. Un disco che non si limita a raccontare storie ma che ci parla, dritto al cuore. Anche a detta dell’autore, è da ascoltare per intero perché «Il concetto di album è ancora importante». Solo così si potrà ottenere l’assoluta comprensione del semplice e dell’essenziale. 

Domenico Leonello

Multisala, il nuovo album di Franco126

Dopo il grande successo di Stanza Singola, Franco126 presenta: Multisala.
Un album scritto come da copione di un film in cui le scene camminano a rallentatore e sono capaci di rievocare immagini vivide. Alessandro D’Avenia, scrittore italiano, in uno dei suoi libri scrive:

A volte nella musica si trovano le risposte che cerchi, quasi senza cercarle. E anche se non le trovi, almeno trovi quegli stessi sentimenti che stai provando. Qualcun altro li ha provati. Non ti senti solo

Franco126 fonte:rollingstone.it

Come in un film

Si chiama Multisala, contiene dieci tracce ed è la nuova creatura di Franco126 in uscita il 23 aprile 2021.
Immagini a rallentatore che sembrano fermare il tempo e che danno vita ad un album “cinematografico”.
Lo stile rimane sempre lo stesso: a metà tra la malinconia e la nostalgia, ma con grande capacità di rievocare immagini potenti. È proprio questo uno dei casi in cui possiamo chiudere gli occhi, indossare le cuffiette e sentirci non solo spettatori ma anche protagonisti della stessa penna dell’autore.

Dolceamaro tra le righe

La prima traccia dell’album è Che senso ha: intima, con diversi punti di domanda e dall’umore spezzato di chi sembra combattuto da un amore che sembra andato perso.

E me ne vado con la giacca sulla spalla
Lascio indietro dubbi e punti di domanda
E ci sta un silenzio che
Sembra che parli per te

A metà tra scrollarsi dai gomiti sul bancone e riflettere sui consigli dati.
L’immagine che segue è quella di un mix di stagioni: l’inverno dentro, l’estate fuori. Mentre fuori, in un attimo è già l’alba.

Franco126 a Rock in Roma 2019. fonte: romatoday.it

La seconda traccia è Blue Jeans, questa volta si tratta di un feat con Calcutta. La canzone ci introduce in una dimensione in cui l’amore finito è ancora il protagonista della sua penna.

Vorrei essere in un altro tempo
In cui se sbagli, riparti da capo
Ma il futuro che io avevo in mente
Sembra già far parte del passato

Segue Maledetto tempo, in cui viene descritta la paura di diventare grandi con tutti i dubbi e le insicurezze del futuro. La traccia sembra un proseguo della precedente descritta, con tutti gli equivoci che ci allontanano dal terreno sicuro.

Ma chi lo sa
Se è solo un altro scherzo del destino
Che poi, che è tutto quanto già deciso
Chi l’ha deciso?

Frammenti di tempo

Lieto fine, mette in scena diverse domande esistenziali di chi si chiede cosa succede quando il pubblico si appresta ad uscire. Pensiero molto comune anche nella letteratura, con lo stesso Pirandello che riflette sul tema della maschera che ognuno di noi indossa per adattarsi ai diversi contesti. Ma cosa succede quando ci si leva la maschera? Cosa succede quando il pubblico si defila?

E restiamo da soli, senza controfigure
Senza più i riflettori, senza più le battute da dire

Franco126 in Stanza Singola. fonte: rapologia.it

A tutti è capitato di ritrovarsi senza risposte alle proprie domande, Nessun perché è la sintesi di cosa succede nella mente di chi perde o non trova approdo in momenti, parole, situazioni e finisce con il dire che la strada che ci appare più semplice si rivela piena di intoppi:

Perchè la strada più dritta va a zig zag che ci vuoi fare

Miopia è l’emblema del sarcasmo dentro un testo malinconico.

Può darsi che c’ho visto lungo
Ma magari è solo miopia
Cosa vuoi chе sia?

Il brano può essere interpretato come la descrizione di chi perde tra la gente ciò che teneva sott’occhio nonostante la situazione fosse chiara, o quasi. Forse era solo una causa di un’anomalia refrattiva.

Dulcis in fundo, o forse

Simone, sembra essere l’accurata descrizione che tutti potremmo fare di un nostro amico. Il solito testardo che non ascolta nessuno e «si regala un nuovo grattacapo» mentre continua a bere birra e a spendere i suoi soldi.

Simone, mille sbagli

Il brano seguente ci fa ritornare al solito (amato) mood di una ragazza con il Vestito a fiori che ha sogni troppo grandi. E sono sicura che siamo un po’ tutti come quella bambina che continua a sbagliare rincorrendo il suo palloncino.

Lo sai pensavo
Che a voltе è facile sentirsi smarriti
E darla vinta alle ombre con cui convivi

Come una sorta di filo invisibile, segue Ladri di sogni. Ancora una volta ci ritroviamo in un cinema, con in testa le solite domande mentre scendono i titoli di coda e…

Saltano in aria i piani come tappi di champagne“

Franco126 e Carl Brave. Fonte: giornaledellamusica.it

Accidenti a te, un titolo che sembra dirla lunga su un probabile litigio in cui non mancano le complicazioni e le porte chiuse in faccia. O forse solo socchiuse?

No, non ci credo più
Però un po’ ancora ci spero
E qui lo dico e qui lo nego

L’incoerenza di chi sa di aver urlato tanti insulti, un addio insicuro, mentre tra i denti masticava l’unico pasto della giornata: una sigaretta.

Ti ho detto addio, sì, ma solo in teoria

Fiato sospeso

Lasciandoci tutti a fiato sospeso, Franco126 ha prodotto un gran bel lavoro, regalandoci nuove canzoni su cui perderci le notti e sprecare le nostre domande.

Annina Monteleone

Nudes: “Non ho calcolato le conseguenze”

“Nudes” descrive con grazia una delle insidie dell’adolescenza 4.0 – Voto UVM: 4/5

Vuoi fare un brutto scherzo a un’amica? Questo è l’invito che un gruppo Telegram, nato a fine ottobre e arrivato in poco tempo a più di 10mila membri, rivolge ai suoi utenti affinché condividano materiale pornografico e dati di contatto di loro conoscenti.

Questo è il revenge porn: la divulgazione d’immagini e/o video sessualmente espliciti senza il consenso del soggetto ritratto. Indipendentemente dalle motivazioni – che possono andare dalla vendetta verso l’ex partner al ricatto- si tratta di una violenza fisica a tutti gli effetti, amplificata dall’umiliazione pubblica che ne consegue. Ad oggi, sebbene la costante e allarmante crescita, solo alcuni Paesi (tra cui l’Italia) hanno introdotto una specifica normativa per la repressione del reato.

La serie tv Nudes

Dal 20 aprile, in esclusiva su RaiPlay, è disponibile la prima serie tv italiana che affronta il tema del revenge porn. Adattamento dell’omonimo teen drama norvegese, Nudes (prodotta da Bim Produzione e Rai Fiction) racconta le vite di tre adolescenti diversi sconvolte dalla diffusione online di immagini e video della loro intimità e del conseguente tentativo di riprendere in mano la situazione. I dieci episodi, diretti da Laura Luchetti, sono ambientati nell’hinterland bolognese ma mancano di chiari riferimenti alla città emiliana, quasi a voler sottolineare come il fenomeno abbia portata globale.

Gazzelle e copertina dell’album “OK”.

Perfetta, perché tanto discreta quanto incisiva, è poi la colonna sonora Un po’ come noi. Undicesima traccia dell’album intitolato OK di Gazzelle, conferma la capacità del cantautore di coniugare le sonorità melodiche a temi mai banali, come l’amore e i patemi quotidiani.  

Nuda come una foglia in un giorno di pioggia
Mentre scende la sera o mentre mangi una mela
E pensi “questa vita è una galera”

La trama e i personaggi

Che cosa succederebbe se vedessi la ragazza che ti piace appartarsi con un altro dopo aver rifiutato proprio uno come te? E se vedessi la tua migliore amica preferire la compagnia di un ragazzo alla tua? E se un ragazzo, più volte, ti chiedesse di fargli vedere quanto sei bella?

I protagonisti:Sofia (Fotinì Peluso),  Ada (Anna Agio) e Vittorio (Nicolas Maupas)

Vittorio (Nicolas Maupas) ha diciotto anni e tutte le carte in tavola per essere un “vincente”: dall’aspetto carismatico al supporto dei fedeli amici e della fidanzata Costanza (Giulia Sangiorgi). La sua vita perfetta però cambia quando è invitato a comparire in questura perché, durante una festa, avrebbe postato online un video pornografico ritraente l’allora minorenne Marta (Geneme Tonini).

Sofia (Fotinì Peluso) ha sedici anni e, incoraggiata da nuove amicizie, si allontana dalla sua comfort-zone e dalla storica compagna di arrampicata Emilia (Anna Signoroldi). Durante una festa, realizza il sogno di fare l’amore per la prima volta con Tommi (Giovanni Maini), il ragazzo per il quale ha una cotta. Il sogno si trasforma in un incubo quando, la mattina seguente, scopre che qualcuno li ha filmati e ha diffuso in rete il video.

Ada (Anna Agio) ha quattrodici anni e, a differenza delle coetanee e della migliore amica Claudia (Alice Lazzarato), non è ancora pronta a diventare una donna. Per gioco e per sentirsi meno sola, s’iscrive a un sito d’incontri, dove attira subito l’attenzione di Mirko che le chiede di inviargli delle foto intime. Poco tempo dopo, uno sconosciuto la informa che le sue foto circolano nel Web e si offre di risolvere la questione senza coinvolgere i suoi genitori.

Un “grillo parlante” ma non giudicante

Nudes racconta quel momento di passaggio, dall’infanzia all’età adulta, in cui tutto cambia e in cui una scelta apparentemente banale può avere delle conseguenze imprevedibili. Descrive abilmente quel limbo tra bene e male, tra vendetta, curiosità e purezza, tra scatti d’ira e pianti sotto la doccia che tutti gli adolescenti, di ogni dove e tempo, vivono.

I protagonisti di Nudes

Entra con delicatezza, seppur spesso in modo troppo repentino e semplificatorio, nelle vite dei ragazzi della Generazione Z, costretti a crescere in una società brutale e irruenta com’è quella odierna. Mostra l’emotività dei nostri ragazzi che, per quanto facciano il possibile per sembrare già “grandi”, rimangono esseri ancora fragili in perenne equilibrio tra ciò che dovrebbero (a detta degli adulti) e ciò che vorrebbero fare.

Tuttavia non c’è paternalismo perché mostra senza mai giudicare. La serie, infatti, esplora la realtà moderna con l’obiettivo non tanto di demonizzare le nuove tecnologie o la società ricca d’insidie bensì di aprire gli occhi, a ragazzi e adulti, sui rischi connessi a un’adolescenza vissuta in simbiosi con uno smartphone in una realtà in cui il pericolo è dietro l’angolo, ma ove basta veramente poco per “dormire sereni”. Lascia intravedere, inoltre, l’esistenza di strumenti legislativi di tutela per le vittime, anche se nella serie (purtroppo) non si arriva mai a fare giustizia se non per il pentimento spontaneo dei protagonisti.

Condividete le emozioni, non le foto

La frase «Non ho calcolato le conseguenze», che uno dei protagonisti pronuncia in Nudes, non è una giustificazione. Lo sappiamo tutti, dai tempi della scuola: a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.  Nel caso del revenge porn, le conseguenze possono essere davvero drammatiche…

Lotta al revenge porn

Come ti sentiresti se il tuo migliore amico raccontasse a tutti un tuo segreto? Tradito? Umiliato? Ingenuo? Adesso immagina che il tuo “amico” lo racconti su un social network o ai tuoi familiari… Ecco, adesso, come ti senti? La regola è semplice: se crei o ricevi del materiale intimo o sessualmente esplicito, non sei autorizzato a condividerlo con altri. Mai. Condividete le emozioni, non le foto!

Angelica Terranova

Questo piccolo grande amore: la storia che non ti aspetti

Parlare d’amore non è semplice, non esiste una definizione universale che possa racchiudere l’enorme ed enigmatico significato di questo termine. Ognuno di noi ha vissuto almeno una storia che l’ha cambiato per sempre.
C’è chi dice che l’amore abbia la capacità di toglierci il respiro e chi come me che invece pensa che l’amore ti dia fiato.

I due protagonisti Andrea e Giulia. Fonte: pinterest.com

Una produzione tutta made in Italy

Questo piccolo grande amore è un classico senza tempo che racconta la storia d’amore tra Andrea e Giulia, nata nel 1972 in un bar durante una manifestazione studentesca. La pellicola viene prodotta in Italia nell’anno 2009 dal regista Riccardo Donna.

L’incontro tra i due protagonisti, inconsapevolmente, segnerà le loro vite per sempre: Andrea (Emanuele Bosi) sente di essersi legato alla bellissima Giulia (Mary Petruolo) sin dal primo istante e si lascerà ammaliare dal suo sguardo e dal suo fascino. Anche Giulia però da quel momento in poi, tra mille paure e incertezze, inizierà a pensare all’incontro fatto in precedenza. Andrea e Giulia provengono da due mondi diversi: amici, idee, percorsi differenti. Lui è al primo anno di architettura mentre lei è all’ultimo anno di liceo classico.

La loro storia d’amore conoscerà diverse fasi che verranno accompagnate da svariati brani del famosissimo cantante Claudio Baglioni. Il film in questione non nasce solo come esempio di genere romantico e sentimentale ma anche e soprattutto musicale. Il titolo, infatti, prende il nome da uno dei brani più famosi dello stesso Baglioni.

Una tenerissima pellicola che non ha paura di mettere il piede sull’acceleratore dei sentimenti per raccontare la prima vera storia d’amore, fatta di corse contro il tempo, risate, incoscienza, tenerezza, paura.

Andrea: Vieni andiamo giù.

Giulia: Ma già ci sono stata.

Andrea: Si, ma non con me!

Andrea e Giulia mano nella mano. Fonte: pensieriparole.it

Il film che non ti aspetti

Il film non vuole assolutamente mostrarsi come un trattato storico sulla generazione degli anni ’70. Seppur sia ambientato in quel periodo, l’intento è quello di raccontarci un amore giovane che si scontra con le difficoltà degli adulti.
Assisteremo alla partenza di Andrea, l’allontanamento di Giulia, i primi litigi e i primi distacchi. Sotto questo punto di vista, la pellicola funziona abbastanza bene.

Giulia: Ma perché innamorarsi in inglese si dice “fall in love”, cadere in amore?

– Maestra Di Inglese: Perché me lo chiedi?

– G: Perché innamorarsi dovrebbe significare un’altra cosa, essere liberi, volare in alto, scalare una montagna. Ma non cadere in basso.

– M: Ma non è cadere in basso, è cadere e basta. Nel senso di abbandonarsi, non avere freni, lasciarsi andare.

– G: No… no invece vuol dire precipitare. Andare giù.

Seguiranno diversi sentimenti contrastanti, tipici delle prime relazioni. Si percepisce molto bene ogni stato d’animo dei due ragazzi, dalla rabbia al desiderio di ritrovarsi, a quella idea illogica di non vedersi mai più.

Andrea e Giulia in una scena del film. Fonte: movieplayer.it

Questo piccolo grande amore, la canzone

Questo piccolo grande amore è riconosciuto come il brano più importante, oltre che conosciuto, di tutto il percorso artistico di Claudio Baglioni, nonché anche un classico della musica pop italiana. Secondo alcune statistiche il brano risulta essere il più venduto in Italia ed inoltre diversi artisti si sono cimentati nella cover di questa canzone: tra questi Mina, Fiorello, Mino Reitano.

Come tutti, ascoltandolo, ricorderemo diverse cose vissute. Attimi di vita condivisi con persone importanti. Attimi che riemergono e vivono nella sfera del nostro universo, del nostro mondo interiore. Esistono libri, film, canzoni che ci riportano proprio lì, in quel sogno che perennemente continuiamo a mandare avanti nella nostra mente, spesso aggiungendoci tasselli in più, campati in aria sul nostro volere, sulla nostra fantasia. Sono sicura che almeno una volta in tutta la nostra vita, ci siamo abbandonati all’ascolto (per caso o per volere) di Questo piccolo piccolo amore, ricordando quell’esatto frammento temporale, quel messaggio con su scritto «Scendi, sono sotto il tuo portone», quegli occhi in cui avremmo affogato volentieri, quel piccolo grande amore.

Lei mi guardava con sospetto
Poi mi sorrideva e mi teneva stretto stretto
Ed io
Io non ho mai capito niente
Visto che oramai non me lo levo dalla mente
Che lei, lei era
Un piccolo grande amore
Solo un piccolo grande amore

I soliti, o quasi, romantici

Ed anche se noi non saremo sempre i soliti – o quasi – romantici, sono sicura che ci sono cose che ci accomunano: siamo amanti dell’amore e delle belle sensazioni. Oggi voglio celebrare la dolcezza dei ricordi, anche di quelli più amari.

Dicono che la nostra generazione non sappia amare come una volta, io penso piuttosto che non ci sia una vera e propria bilancia che possa pesare i due contesti o i molteplici tipi di amore. Però penso che Questo piccolo grande amore, il film, riesca a celebrare molto bene la delicatezza di un inizio e le pillole amare di una qualsiasi storia d’amore.

Annina Monteleone

Oscar 2021: i film che ci legano agli altri

Quest’anno agli Oscar domina l’introspezione.  Due film candidati come miglior pellicola narrano entrambi la storia di uomini con grandi ambizioni per loro stessi così come per la propria famiglia. Le storie di Sound of Metal e Minari raccontano di rivalsa sociale così come di accettazione: temi che, se narrati bene, parlano ad ognuno di noi.

 I due protagonisti delle pellicole, Jacob e Ruben. Fonte Goldderby.co

Sound of metal

La pellicola di Darius Marder ci racconta la storia di Ruben (Riz Ahmed), batterista del duo metal composto da lui e dalla sua ragazza. Il punto di svolta della vicenda arriva con la lenta ma inesorabile perdita dell’udito da parte del protagonista: sarà qui che Ruben dovrà cominciare ad affrontare una sfida che lo porterà a dover riconsiderare le proprie prospettive di vita da musicista.

Accolto in una piccola comunità di non udenti, dovrà piano piano affrontare ciò che altri come lui hanno dovuto imparare ad accettare: la sordità. Sarà Joe (Paul Raci), gestore del rifugio, ad insegnare questa lezione al protagonista diventando per lui una figura paterna capace di guidarlo in questo suo nuovo cammino. Cammino che, non senza gravi inciampi, porterà Ruben ad accettare questa sua nuova vita e a riscoprirsi nel rapporto con la comunità e con i suoi membri più giovani, con cui instaurerà un rapporto stretto.

Ruben insegna ai bambini del rifugio il ritmo. Fonte: lwlies.com 

Le scelte di Ruben testimoniano come alla fine l’accettazione di sé stessi e dei propri difetti (in questo caso veri e propri handicap), sia fondamentale per saper vivere e trovare una propria via serena. La sua scelta finale sta proprio a testimonianza di ciò, perché – come ci viene mostrato dal regista – il protagonista riesce negli ultimi momenti a trovare una pace interiore che solo a sprazzi si era vista nel resto del film.

Minari

Il secondo film ci porta invece sulla costa occidentale degli Stati uniti, durante gli anni Ottanta, per raccontarci la storia di David (Alan Kim), un bambino nato in America da genitori coreani, e della sua famiglia.

Lee Isaac Chung, autore del racconto, ci mostra quindi la vicenda di due coniugi, Jacob (Steven Yeun) e Monica (Han Ye-ri), emigrati dalla Corea in cerca di una vita migliore in America. Miglioramento che però stenta ad arrivare: dopo un decennio passato ai margini della società pieni di insoddisfazione, Jacob prenderà una decisione chiave per l’intera famiglia: cercare fortuna avviando un’impresa agricola.

Quello che è evidentemente un salto nel buio da parte dell’uomo metterà più volte in serio pericolo l’incolumità della sua famiglia, nonché il rapporto con la moglie, mai davvero convinta del suo progetto e preoccupata dalla decisione di mettere il proprio successo al di sopra di lei e dei suoi figli. Jacob difatti non farà mai la scelta più giusta per le persone attorno, ma preferirà sempre circondarsi di scuse poco credibili a cui la moglie darà retta solo per l’amore che la lega al compagno. Anche la salute stessa dei figli viene spesso messa in bilico dal protagonista: la malattia cardiaca di David è infatti tenuta sempre in conto da Monica, ma altrettanto non sembra fare Jacob.

La famiglia di Jacob al completo. Fonte: theartsdesk.com 

Il messaggio che vuole lascarci la storia è quindi quello di rimanere legati alla propria famiglia: metafora espressa dalla pianta aromatica che dà il nome anche alla pellicola, essendo di fatto ciò che – come una buona famiglia – cresce e prospera da sola.

Il confronto

Come si può facilmente notare, entrambe le pellicole candidate narrano una storia simile, che verte sull’accettazione delle difficoltà della vita e ci fa capire come spesso queste ultime possano essere affrontate semplicemente accettando sé stessi o instaurando un rapporto migliore con ciò che ci sta attorno, e – in molti casi – rassegnandosi all’assenza di quello che può essere un desiderio o una passione bruciante, nel nome di qualcosa di più grande che ci sta vicino.

Si prospetta quindi una lotta dal finale incerto per la vittoria della statuetta di miglior film, come anche per quella di miglior attore protagonista a cui entrambi gli interpreti delle due pellicole sono candidati.

           Matteo Mangano

Achille Lauro: Io sono la mia arte

In Lauro ,”ultimo” disco di Achille, si sente la mancanza di Boss Doms, ma non viene meno lo stile provocatorio – Voto UVM: 4/5

C’era una volta in Italia un ragazzo eccentrico; i suoi modi e la sua arte provocavano la repulsione di alcuni, ma la maggior parte provava ammirazione verso questo artista dallo stile mai banale. Le sue performance creavano scalpore e indignazione: c’era chi si sentiva offeso e chi muoveva meri insulti verso un cantante che esprimeva la sua arte in modo stravagante, cosa piuttosto insolita in Italia. Ma non eravamo forse nell’era del politically correct?  In un mondo in cui nessuno può essere attaccato? O questa era soltanto una semplice moda?

Questo ragazzo, dal nome d’arte Achille Lauro, ha dato un nuovo volto non solo alla musica italiana, ma all’Italia stessa. Forse proprio per questo è stato attaccato? O per il suo modo d’essere provocatorio?

 Achille Lauro durante un servizio fotografico. Fonte: rai.it                                        

Achille e il Sanremo del 2021

Quest’anno, alla settantunesima edizione di Sanremo, Achille Lauro è stato il vero protagonista con i suoi eccentrici vestiti e i suoi “quadri” che hanno incantato ma anche indignato. L’artista ha presentato cinque opere tutte diverse l’una dall’altra, accompagnate da un monologo in cui “il pittore” afferma la libertà di essere, non solo la propria, ma quella di tutti noi.

Esistere è essere. Essere è diritto di ognuno, Dio benedica chi è.

Achille Lauro e i suoi cinque quadri a Sanremo 2021. Fonte: imperiapost.it                    

 Non sono mancate le critiche al cantante. Non parliamo di semplici messaggi d’odio che siamo ormai abituati a vedere sotto qualsiasi post, ma vere e proprie proteste e grida di disapprovazione si sono levate dalla Chiesa fino ad arrivare alle forze armate. Lauro è stato addirittura denunciato per “vilipendio alla bandiera”: difatti alla quarta serata sanremese, il cantante ha fatto il suo ingresso dalle famose scale con il tricolore in mano mentre una chitarra elettrica tuonava l’inno di Mameli. 

Vi starete chiedendo «cosa avrà mai fatto Achille?». La risposta è: assolutamente niente! Lauro ha semplicemente posato la bandiera per terra e ha iniziato a esibirsi nella medley Me ne frego/Rolls Royce. Perché così tanta indignazione? Forse qualcuno avrà interpretato male il messaggio: diversi esponenti delle forze armate hanno infatti dichiarato: «E’ irrispettoso, abbiamo giurato fedeltà davanti al tricolore

Ma io mi rivolgo a voi, cari lettori: cosa ne pensate della vicenda? Achille Lauro ha seriamente commesso vilipendio o semplicemente ha svolto il suo lavoro senza mancare di rispetto a nessuno?

Lauro (2021)

 Ieri 16 aprile è uscito il nuovo disco di Achille Lauro, un album per tutti coloro che non si sentono “giusti” e vengono criticati per il loro modo di essere e di fare. Un disco per tutti quindi. Lo stesso Lauro, quando ha annunciato il nuovo album su Instagram, ha lasciato questo messaggio:

Per chi  ha scelto di essere e di goderne. Per chi se ne frega. Per chi ha conosciuto la fine e della fine ha fatto il suo nuovo inizio. Per tutti gli incompresi, come lo siamo noi.

Un mese fa, inoltre, sono comparsi degli indizi sul profilo Instagram ufficiale del cantante. Lauro si è divertito a giocare all’impiccato con i suoi follower: ogni giorno rivelava una lettera fino a quando, l’8 marzo, i fan videro comparire la parola  Lauro, titolo del nuovo album. Sulla copertina del CD infatti è disegnato il famoso gioco, un piacevole ritorno ai banchi di scuola durante le ore “buca”.

 
Copertina ufficiale del CD audio. Fonte: instagram.com

Già dalle prime note si sente la mancanza del collega e amico Boss Doms, ma nonostante tutto l’album ha entusiasmato i fan, entrando in classifica a poche ore dalla mezzanotte. Traccia dopo traccia l’album non delude nessuno: rock, pop, blues, jazz e anche un po’ di elettronica accompagnano l’ascoltatore mentre il nostro giullare con le sue parole ci racconta il mondo degli incompresi e il suo passato. Ovviamente non manca la provocazione, il marchio di fabbrica del nostro cantante romano, marchio che lo ha fatto amare e odiare.

Le mie canzoni nascono in maniera spontanea. Sono stati d’animo. Fotografie.

L’album contiene 13 tracce, Solo noiMarilù sono state lanciate come singoli qualche mese fa.

Marilù ha riscosso subito successo; oltre ad essere una canzone, è anche un manifesto femminista. Il testo racconta la storia di tutti noi narrata dagli occhi di una ragazza chiamata Marilù che sta cercando di vivere la propria vita senza farsi intrappolare da un mondo troppo rigido e da vili luoghi comuni. Marilù, quando esce dal nido familiare, lontana dagli occhi del padre, si tira la gonna «un po’ più su», un piccolo atto di ribellione con cui esprime tutta la sua libertà, il suo modo di essere e non quello imposto da qualcuno o qualcosa.

Ma sei così
Sì, così libera
Sogno l’America
Si ma tu sei così
Così lunatica
Che vuoi chi non merita
Non merita
Ma sei così
Un’attrice comica
La bomba atomica
Si ma tu sei così
In fiamme sei Notre Dame

Achille Lauro ha comunicato che questo – forse – sarà il suo ultimo album: speriamo sia solo uno scherzo dal cantante dai mille volti che con questo nuovo disco ci ha lasciato la storia e le cicatrici che lo hanno portato ad essere “Achille Lauro”.

Dopo questo album voglio vivere da Signor Nessuno

                                                                                                                                                          Alessia Orsa