Pronti, partenza, si ritorna ad Hogwarts

La sentite anche voi questa magia nell’aria? No, non mi riferisco a quella del Natale che si avvicina, ma a quella di Harry Potter, che incanta grandi e piccini ormai da 20 anni.

Saga cult del cinema fantasy, tratta dagli omonimi libri della scrittrice J.K. Rowling, Harry Potter ha fatto il debutto nelle sale cinematografiche americane il  16 novembre 2001, e in quelle italiane il 6 dicembre. Per festeggiare, il primo capitolo, Harry Potter e la pietra filosofale, ritornerà questo mese al cinema, dal 9 al 12.

Approfittando dell’occasione, noi di UniVersoMe abbiamo pensato di tornare un po’ bambini, dedicando questo articolo al maghetto più famoso del mondo!

Tutto iniziò da una cicatrice…

La cicatrice di Harry Potter. Fonte: Warner Bros.

Per chi non conoscesse la sua storia, Harry Potter (interpretato da Daniel Radcliffe) è un ragazzino orfano che vive una vita apparentemente normale con gli zii e il cugino Duddley a Privet Drive, 4: i genitori morirono quando aveva pochi mesi. Compiuti gli 11 anni di età, però, la sua vita cambia completamente: scopre di essere un mago, e non  un mago qualsiasi, ma l’unico che ancora in fasce è riuscito a sconfiggere ,anche se temporaneamente, colui che non deve essere nominato: il potentissimo Lord Voldemort.

La cicatrice sulla fronte è il segno che porta di quella notte, la  stessa notte in cui i suoi genitori morirono per proteggerlo.

Da questo momento inizierà a frequentare la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts e vivrà molte avventure con i suoi amici Ron (Rupert Grint) ed Hermione (Emma Watson), ma Voldemort continuerà ad apparire nella sua vita e a seminare terrore nella comunità magica.

L’universo Potter

Harry Potter store di Londra. Fonte: travel-network.co

La saga di Harry Potter è riuscita a permeare totalmente la cultura occidentale, fino a creare una sorta di fanatismo: attorno a questi film e libri si è venuto a creare un vero e proprio business!

I luoghi simbolo della storia sono diventati attrazioni per migliaia di turisti di tutte le età: ormai chiunque vada a Londra è disposto a fare ore e ore di fila per fare la foto nel binario 9 e ¾ . Nelle grandi città di tutto il mondo ci sono Harry Potter stores, dove è possibile acquistare gadget di tutti i tipi, dal comunissimo portachiavi alla bacchetta del vostro personaggio preferito!

Return to Hogwarts

Locandina del documentario. Fonte: HBO MAX

Il 6 dicembre, a esattamente 20 anni dalla prima nelle sale italiane, è stato presentato il primo teaser trailer del documentario Return to Hogwarts: l’uscita è stata programmata per il 1 gennaio del 2022 su Sky e Now. Già in questi pochi minuti però possiamo vedere che tutti gli attori principali parteciperanno, tra cui il “magico trio”  Radcliffe -Watson – Grint, ma anche Helena Bonham Carter, Ralph Fiennes Gary Oldman e molti altri, insieme al regista dei primi due film della saga Chris Columbus.

Nelle prime immagini di questo speciale retrospettivo vengono mostrati alcuni dei luoghi principali della storia come il binario 9 e ¾ e, ovviamente, Hogwarts.

Per l’occasione Sky creerà un canale dedicato, dal 1 al 16 gennaio: quindi, per chi non avesse ancora avuto l’occasione di vederli – o per chi volesse fare l’ennesimo rewatch – è proprio il momento perfetto!

L’assenza di J.K. Rowling

Un gufo con l’invito per questa reunion sembra essersi perso: proprio quello per la grande scrittrice degli otto libri, J.K Rowling!

Sfortunatamente non sembra essere un caso; inizialmente è stato comunicato che l’autrice della saga non era stata coinvolta nello speciale in quanto si è preferito concentrarsi sulla versione cinematografica piuttosto che sui libri.

La scrittrice J.K. Rowling. Fonte: huffingtonpost.it

Ma in verità è palese che la Rowling sia stata esclusa per via delle affermazioni considerate transfobiche fatte su twitter, poi in parte ritrattate dalla stessa, che ha ribadito il suo rispetto nei confronti delle persone trans e la sua denuncia verso ogni forma di discriminazione. Questo però non ha potuto cancellare del tutto la grande gaffe.

Il mago più famoso tra i “babbani”

Harry Potter non è semplicemente una saga cinematografica o letteraria, ma è diventato un fenomeno globale, ha accompagnato le generazioni di giovani nella crescita per gli ultimi venti anni e continuerà a farlo per molti altri ancora!

Ilaria Denaro 

 

Lina Wertmüller: una donna dietro la cinepresa

«Povera tua moglie se sei minuti sono un’eternità» rispondeva nel film Bohemian Rapsody un provocatorio Freddie Mercury al suo discografico.  Nella pop culture, in cui regna il paradigma del “breve ma intenso”, dei tweet sotto i 280 caratteri, delle ig stories di 24 ore, sfornare hit che durino più di tre minuti o film dal titolo Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici, era ed è a maggior ragione adesso una scelta folle, audace.

E audace è la parola giusta per descrivere il cinema e la personalità di Lina Wertmüller, la più celebre regista italiana, scomparsa ieri all’età di 93 anni.

La regista con la sua stella nella Walk of Fame. Fonte: tuttalativu.it

In un’epoca in cui le donne stavano solo davanti alla cinepresa, dive stupende ma semplice oggetto dello sguardo maschile sul mondo, la Wertmüller divenne la prima italiana a stare dietro la cinepresa. “Dietro” senza nascondersi, ma anzi distinguendosi come solo i grandi del cinema sanno fare, imprimendo il proprio timbro di originalità e ribellione. 

Solo una regista della sua statura poteva passare dai musicarelli con una frizzante Rita Pavone a opere commoventi come Io speriamo che me la cavo (1992), passando per le commedie e il cinema d’impegno politico anni ’70.

Difficile percorrere la sua intensa carriera, premiata nel 2020 con un Oscar onorario, in un solo articolo. Ci basterà però parlarvi di tre film significativi, incrociando le dita nella speranza che, finito di leggere, correrete a guardarli!

3 must di Lina Wertmüller 

1) Tutto a posto niente in ordine (1974)

Scritto e diretto interamente dalla nostra regista, la pellicola narra la storia di gente meridionale costretta ad abbandonare la propria terra per cercare fortuna nel settentrione.

Il film è ambientato a Milano, città che “va veloce”: già dai primi fotogrammi notiamo come tutti corrono a lavoro e nessuno si ferma mai, nemmeno negli scontri accidentali.

I protagonisti sono Gino (Luigi Diberti) e Carletto (Nino Bignamini); appena mettono piede nel “futuro”, ai due succederà la qualunque, tanto che rimarranno meravigliati di come il Nord sia così diverso dal sud anche negli atteggiamenti dei suoi abitanti che corrono tutti così velocemente.

Operai che protestano in una scena del film. Fonte: Euro International Film

Lina porta in scena la classe operaia di Milano, costituita principalmente da meridionali, e lo sfruttamento del capitalismo nonché le proteste che fa nascere.

Tutto a posto e niente in ordine ci mostra come il più delle volte l’essere umano, anche se animato da buone intenzioni, sia costretto dalle circostanze della vita a sporcarsi le mani e di come l’ingenuità dei protagonisti, stanchi dell’umiliazione e delle etichette imposte dalla società, venga sfruttata dai più forti.

2) Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974)

Osannato e imitato senza successo anche all’estero, il film è una perla di cinema d’autore su cui si potrebbe scrivere un intero trattato.

 La trama sembrerebbe delle più trite e banali: la ricca polentona si innamora del povero terrone come nelle favole la principessa del ranocchio.  Ma Travolti da un insolito destino non ha niente della tenerezza zuccherosa della fiaba o degli stereotipi della commedia leggera: è una storia drammaticamente realista condita da comicità tagliente, sesso e passione travolgente (ecco perché il titolo sebbene chilometrico si addice alla perfezione!).

E’ originale in tutto, partendo dai dialoghi veloci intrisi di critica sociale, finendo alla caratterizzazione dei suoi protagonisti: Gennarino (Giancarlo Giannini), il “troglodita” ma intelligente marinaio siciliano e la signora Raffaella Pavoni Lanzetti (Mariangela Melato), la “pu***na industriale” dall’accento meneghino.

Giancarlo Giannini e Mariangela Melato in una scena del film. Fonte: Medusa Film

I due, finiti su un’isola deserta, si innamoreranno, rompendo le convenzioni della società classista, ma riproponendo – stavolta ribaltata – quella dialettica servo-padrone che vedeva il marinaio sottomesso. Gennarino qui diverrà “signore” e Raffaella sua “schiava per amore”. Sbaglia però chi vede in questo rapporto di sottomissione una scivolata maschilista della regista. La Wertmüller ha infatti sottolineato come il suo intento fosse mettere in scena un’analisi della contrapposizione Nord/Sud e borghesi/operai.

Un’analisi lucida ma anche molto divertente!


3) Pasqualino Settebellezze (1975) 

La pellicola candidata a quattro Premi Oscar nel 1977 ( regia, attore protagonista, film straniero e sceneggiatura originale) ha consacrato la cineasta romana rendendola la prima donna candidata agli Academy Awards come miglior regista e facendola entrare nella storia del cinema.

Il film è ambientato nella Napoli degli anni ’30, la città in cui l’arte scorre nelle vene dei suoi abitanti.

Il protagonista è Pasquale Frafuso (Giancarlo Giannini), da tutti conosciuto come Pasqualino “settebellezze” per essere l’unico maschio in una famiglia di sette donne. E’ un soldato che, dopo essere scappato da un treno diretto al fronte assieme al commilitone Francesco, cerca di sfuggire dalla morte, attraversando la Germania. La fuga viene interrotta dalle SS che deportano i due in un campo di concentramento.

Giancarlo Giannini in una scena del film. Fonte: Medusa Film

Qui ormai abbattuto, Pasqualino ripercorre la sua vita passata. Dai suoi ricordi, sbirciamo come sia stato condannato per varie cause. Tra queste l’aver ucciso, accecato dalla rabbia, l’uomo che aveva indotto la sorella a prostituirsi. Dopo quella vicenda Pasqualino verrà soprannominato “il mostro di Napoli”.

Il film dopo i ricordi ritorna al presente in cui Pasqualino, per salvarsi dalla prigionia del lager, userà l’astuzia andando contro i suoi stessi compagni e la morale.

Lina Wertmüller assieme a Giancarlo Giannini. Fonte: lasinistraquotidiana.it

Pasqualino settebellezze è un film sublime sulle ingiustizie e gli orrori che la popolazione ha dovuto affrontare a quell’epoca. La regista anche qui è geniale perché non sceglie un eroe come protagonista, ma un antieroe, un folle arrogante che vive con il credo dell’ insolenza e per cui nonostante tutto il pubblico prova pena.

Lina Wertmüller è riuscita con grande maestria a interrogare lo spettatore, ponendogli domande che solo il più attento però riesce a cogliere. E’ giusto che Pasqualino viva tutto ciò considerati i suoi gesti abominevoli? O lo perdoniamo perché la sopravvivenza spinge l’essere umano a compiere determinate nefandezze?

L’arte per gli ultimi

I film di Lina Wertmüller sono vere e proprie opere di denuncia sociale, che rappresentano la realtà con eleganza, a volte con ironia, altre con crudezza, puntando spesso il dito verso il patriarcato e le ingiustizie sociali.

Ci mancherà la regista dagli occhiali bianchi, che è riuscita in un mondo maschilista a lottare, usando l’intelletto e la cinepresa, la sua «arma politica preferita».

“Amare è essere impegnati, è lavorare, è avere interessi, è creare.”

 

   Alessia Orsa, Angelica Rocca

Strappare lungo i bordi: un successo Netflix tutto italiano

Alla prima prova con l’animazione, Zero Calcare dimostra ancora la forza delle sue storie e del suo modo di esprimersi – Voto UVM: 4/5

Strappare lungo i bordi è la nuova serie Netflix di punta, scritta e diretta (nonché recitata in buona parte) da Michele Rech, in arte Zero Calcare, fumettista principale del panorama italiano con all’attivo più di un milione di copie vendute dei suoi libri (qui una nostra recensione di un’altra sua opera).

Zero è riuscito ad ottenere il suo attuale successo grazie ad una particolare ricetta: drammi di vita vissuta, continui richiami alla cultura pop e soprattutto una grande vicinanza a temi molto cari alla sua generazione nata negli anni ’80. Questi sono gli ingredienti che lo hanno reso famoso e fatto diventare iconico in Italia al pari di fumetti come Dylan Dog e Topolino. La sua arte viene infatti riconosciuta ormai da chiunque ed è diventata tanto rappresentativa da essere usata per opere come il murales di Rebibbia (quartiere dove vive il fumettista).

Ma come si traduce questa formula in serie tv?

E’ riuscito il fumettista a traslare il suo metodo narrativo sul nuovo media?

Uno stile di vita complessato

La serie racconta, alternandole, le vicende dello Zero bambino, adolescente e poi adulto creando una matassa di racconti che, come la vita del protagonista, andrà sbrogliata nel corso del tempo. Gli altri personaggi sono Secco, Sarah e Alice che passeranno la vita assieme tra progetti, corse e cadute.

Roma è il palcoscenico dell’intera vicenda, vissuta dall’interno col suo dialetto che qui assume quasi un ruolo da protagonista, con il suo parlato marcato e rude che riflette in qualche maniera anche la storia dei personaggi. L’uso del romanesco è utile proprio in tal senso: benché possa risultare in certe situazioni una parlata pesante e difficile da seguire, la vita di Zero va raccontata col suo linguaggio. Una lingua sporca per una storia sporca!

Anche Valerio Mastandrea nel ruolo dellArmadillo fa un ottimo lavoro ed accompagna bene il parlato degli altri personaggi.

Sarah e Zero. Fonte: Netflix

Il continuo flusso di coscienza del protagonista aiuta sicuramente in questo senso, permettendoci di cogliere le continue paturnie di un bambino che ancora non comprende per chi e per quale motivo fa le cose o di un adolescente timido ed in piena crisi ormonale. Crisi che se da un lato vede fermarsi le eruzioni cutanee continua anche in età adulta, quando le vere responsabilità bussano alla porta e magari ci si trova impreparati ad affrontarle: un continuo dilemma che il protagonista si ritrova a fronteggiare assieme ai suoi amici stretti.

Dal fumetto all’animazione 

Quello tecnico è poi un altro importante e cruciale aspetto di cui parlare: sebbene il tratto del fumettista Zero non sia mai stato utilizzato per questo tipo di produzione, è subito chiaro che il lavoro ravvicinato del regista con gli autori delle animazioni abbia aiutato in quel senso. Lo stile dei libri è stato traslato in maniera perfetta: il carattere frenetico ed abbozzato dei fumetti viene perfettamente tradotto in movimento.

Anche la colonna sonora si unisce bene al racconto, con brani tratti dalla discografia di vari artisti pop tra cui Tiziano Ferro, Manu Chao, Ron ed altri. Giancane si è poi occupato di un intero album realizzato unicamente per la serie in cui figura anche la sigla di apertura.

Zero, il protagonista della serie

 

Tirando le somme, Strappare lungo i bordi è un prodotto che parla a molti e molto intimamente, commuovendo ed emozionando con una grande dose d’ironia.

Lascia un retrogusto di malinconia e tristezza ma anche di serenità: perché alla fine, per quanto tutto possa essere difficile, non sempre dobbiamo portare tutto il peso sulle nostre spalle. Ci sarà sempre qualcuno con cui parlare, basta solo cogliere il momento.

Matteo Mangano

Spinning Out: ciò che nasconde un sorriso

  

Serie tv che valorizza l’importanza di certi aspetti e temi sottovalutati, legati alla salute mentale e allo sport. Lavoro eseguito egregiamente – Voto UVM: 4/5

 

Il termine inglese “spinning out” può assumere vari significati, uno dei quali è “impazzire”. Può significare anche “sfuggire (di mano)” o “andare fuori (controllo) ”. Titolo perfettamente rappresentativo, metaforicamente, dell’omonima serie tv.

La serie

Il 1° gennaio 2020, a deliziarci le giornate durante l’inizio di quella che era ancora un’epidemia, viene pubblicata su Netflix la serie televisiva Spinning out, ideata e diretta da Samantha Stratton.

Una serie interamente incentrata sulla vita di Kat Baker (Kaya Scodelario), una ragazza che insegue un sogno … Un sogno che viene interrotto: Kat pratica pattinaggio artistico sul ghiaccio ed è una grande atleta fino al momento dell’incidente sui suoi stessi pattini che la porta ad abbandonare la carriera individuale.

Ma la passione continua a chiamarla, il fuoco dentro di sé arde ancora forte, il suo sogno è lì, su una pista ghiacciata ad attenderla. Decide così di affrontare il suo incidente, le sue paure, e si rimette in carreggiata, ma stavolta non sarà sola. Per la prima volta entra nel mondo del pattinaggio in coppia, con Justin Davis (Evan Roderick), un ragazzo apparentemente pronto a distruggere chiunque pur di pattinare.

Kat Baker (Kaya Scodelario) e Justin Davis (Evan Roderick). Fonte: Netflix

La storia di Kat, però, è costantemente tormentata e instabile e ciò è dovuto al disturbo bipolare trasmesso geneticamente dalla madre, che la porta spesso ad allontanarsi o a far allontanare le persone che ama.

La protagonista non si arrende, continua a combattere, imperterrita, forte e coraggiosa, ma la sua malattia la ostacola in maniera irreversibile, causando problemi non solo alla sua vita sociale, ma influenzando negativamente la sua carriera agonistica e professionale.

Lo stop di Netflix

A distanza di solo un mese dalla premiere di Spinning Out sulla rete globale, la piattaforma streaming a cui appartengono i diritti, Netflix, decise di non rinnovarla per una seconda stagione. La motivazione sarebbe stata quella del mancato raggiungimento del minimo audience sperato durante il primo mese.

Ma Netflix ha tenuto in considerazione i risultati successivi a questo periodo Evidentemente no. Un mese dopo l’uscita, la serie ha iniziato a ingranare con gli ascolti, arrivando nelle case di milioni di persone e intasando i social di foto, video e recensioni positive, seppur contrarie a quelle dei critici.

Kaya Scodelario in un’immagine promozionale della serie tv

A mio modesto parere, questo “insuccesso” iniziale è dovuto al fatto che è stato creato un progetto totalmente diverso dal solito, dai prodotti tagliati su misura per il compiacimento del grande pubblico. Una serie con scarso potenziale commerciale quindi, seppur assolutamente meritevole di una seconda chance.

I fan, alla notizia, hanno reagito in tutta risposta creando petizioni e raccogliendo migliaia di firme, ad oggi purtroppo inutili.

Attori pattinatori o controfigure?

Volete sapere chi tra degli interpeti si è lanciato realmente nell’impresa del pattinaggio artistico?

  • Partendo dai protagonisti Kaya Scodelario ed Evan Roderick, diversi attori hanno fatto ricorso a controfigure per difficoltà quali salti e trottole;
  • C’è chi invece si è messo in gioco. Si parla della sorella di Kat, Serena Baker, interpertata dall’ormai conosciuta da tutti Willow Shields, nota per il suo ruolo di Primrose Everdeen in Hunger Games. Mesi prima delle riprese decise di iniziare ad allenarsi sul ghiaccio come una vera professionista;
  • Infine, tra le comparse, vi sono veri pattinatori e campioni olimpici, tra i quali Johnny Weir ( Gabriel Richardson nella serie, il più grande rivale di Justin).

Da guardare ?

A parer mio, il tema del bipolarismo viene affrontato magistralmente dagli attori e, naturalmente, dagli sceneggiatori, che escono dagli schemi delle solite tematiche trattate attualmente e quotidianamente nel mondo e rompono la monotonia per mettere in risalto un argomento oscuro e ignorato dalla maggior parte degli spettatori.

Tutto ciò raccontato attraverso uno sport anch’esso fuori dal comune, esteticamente incantevole, adatto a tener incollati alla tv milioni di persone. Sembra essere il pattinaggio la bocca della verità, ed è attraverso questa forma d’arte che lo spettatore viene indotto a concentrarsi sugli aspetti della sindrome bipolare: il cambio d’umore, e come questo influisce sulla vita di una persona indifferentemente dal tempo e dal luogo. Lavoro ben riuscito che ha coinvolto e colpito persone di ogni fascia d’età!

Scena tratta da “Spinning Out” (Justin Davis e Kat Baker)

Scene di dure realtà si alternano alla vita comune degli adolescenti: il loro rapporto con la famiglia, la loro continua lotta con l’esistenza e la resa dei conti con sé stessi.

È sicuramente una serie da guardare per prendere conoscenza di questa realtà, riflettere sull’importanza della salute fisica e mentale, su valori quali amore e amicizia, su aspetti talvolta dati per banali e scontati, su ipotetiche situazioni difficili da dover fronteggiare. E infine – ma non per importanza – per l’originalità dei creatori di portare sugli schermi uno sport artistico col quale comunicano e da cui traggono ispirazione.

Disturbo bipolare: di cosa si tratta?

Il bipolarismo, definito anche “disturbo bipolare”, è una patologia psichiatrica caratterizzata da instabilità dell’attività psichica. Si verifica una rottura di quello che è l’equilibrio timico, ovvero un’anomalia patologica del tono dell’umore.

Ne esistono diverse varianti, ma nella classica forma di disturbo bipolare tipo I ,si alternano due momenti (o fasi):

  • La fase depressiva, caratterizzata da tono dell’umore molto basso, tanto da portare il soggetto a non provare alcun tipo di piacere (anedonia) fino al ricorrente pensiero del suicidio. Può manifestarsi anche attraverso alterazioni del sonno e dell’appetito, riduzione della memoria e della capacità di concentrazione e sintomi psicosomatici;
  • La fase maniacale, caratterizzata invece da tono dell’umore particolarmente elevato, il cosiddetto eccitamento, che porta il soggetto a compiere atti impulsivi e azioni pericolose, perdendo totalmente la capacità di valutarne rischi e conseguenze. Può inoltre manifestarsi attraverso rabbia e aggressività.

Fonte: ohga.it

La terapia, di pertinenza psichiatrica, è molto complessa. Si basa sull’assunzione di farmaci stabilizzanti dell’umore, ma anche antidepressivi e antipsicotici, a seconda delle fasi prevalenti della malattia, sotto attenta e costante supervisione medico-specialistica.

Marco Abate

Promising Young Woman: chi è il mostro?

Davanti al male nel mondo, ai crimini più efferati della storia, ci si consola facilmente nella convinzione che il colpevole sia un mostro, un pazzo, un individuo atipico affetto da chissà quale disturbo psichico che l’ha portato a perdere il lume della ragione. Possiamo sentirci al sicuro nella folta schiera dei comuni mortali, noi esseri “normali”, noi persone ragionevoli a cui non capiterà mai di diventare i cattivi di una brutta storia.

Lo deduciamo più volte leggendo diversi libri: Hitler era un folle. Ma dov’era un’intera nazione che si è resa complice col silenzio di un genocidio? Lo riscontriamo spesso nelle pagine di cronaca: stupratori e assassini assumono le sembianze di demoni da film horror che raramente ci capiterà di incontrare aprendo la porta di casa. Ma dov’è la società che ha educato quei mostri, la brava gente che si volta dall’altra parte quando un uomo osa aggredire una donna?

Promising Young Woman: immagine promozionale. Fonte: Universal Pictures

Una critica spietata e originale a una società che si adagia sui comodi allori del proprio perbenismo, complice della rape culture, è Promising Young Woman (2021), film della regista esordiente Emerald Fennel, premiato agli Oscar per la miglior sceneggiatura originale e trionfante anche ai BAFTA come miglior film britannico.

Una giovane promettente

Cassandra “Cassie” Thomas (una talentuosissima Carey Mulligan) è una giovane donna alla soglia dei trenta che lavora in una caffetteria e vive ancora con i suoi genitori, ma fino a qualche anno addietro sembrava “promettere bene”. Studentessa modello di medicina, si distingueva per intelligenza tra i suoi mediocri compagni di corso che però adesso sono tutti laureati e pienamente realizzati nella loro vita professionale e relazionale. Il treno che ha fatto deragliare l’esistenza di Cassie è stata la tragedia dell’amica di una vita, Nina, suicidatasi perché stuprata dallo “studente modello” Al Monroe (Chris Lowell) mentre si trovava ubriaca e inerme ad una festa universitaria.

Carey Mulligan in “Promising Young Woman”. Fonte: LuckyChap Entertainment

Da quel momento Cassie ha rinunciato al sogno di diventare medico e si è posta un solo obiettivo: vendicare la propria amica. Una piccola vendetta che mette in atto già ogni sera quando si finge ubriaca nei locali lasciando che qualche uomo gli si avvicini con l’intenzione di approfittarsene, per poi “svegliarsi” e rivelare di essere sobria, terrorizzando il tizio in questione. Ma la vendetta non si fermerà qui e i piani della protagonista riveleranno il suo carattere di donna promettente.

Quei bravi ragazzi

La vendetta di Cassie si articolerà in un crescendo di colpi astuti in cui i personaggi che la circondano si riveleranno a poco a poco complici di un sistema più grande che copre col silenzio il carnefice ed è pronto ad affibbiare la colpa ad una povera ragazza ubriaca.

La sceneggiatura tagliente – firmata dalla stessa Fennel – di questa commedia dalle tinte noir, non risparmia nessuno dalla macchia della responsabilità nel dramma di una donna abusata. Nessuno ne esce pienamente innocente. A partire dai “bravi ragazzi” che si avvicinano ogni sera a Cassie perché la credono incapace di difendersi, passando per Ryan (Bo Burnham), il dolce collega dagli occhi chiari che dopo anni riprende a corteggiare la protagonista, finendo con le donne. Donne omertose, donne complici e sorde alla verità scomoda che preferiscono liquidare con uno stereotipato “se l’è cercata!”.

Cassie si “mette nei guai”

In Promising Young woman non esiste un mostro (al massimo uomini stupidi e volgari), perché mostruosa è l’intera situazione nonostante i toni a volte divertenti. Mostruosa è un’intera società figlia di secoli di cultura maschilista, che va avanti cieca e silenziosa di fronte alla violenza sulle donne.

Al di fuori di questo giro di ipocrisia e perbenismo, che insabbia un reato per innalzare sul trono della scala sociale quello che in realtà è solo un delinquente, si “salva” solo Cassie, decisa ad andare contro tutto e tutti pur di far trionfare il suo ideale di giustizia e di amicizia sincera. Cassie, anche nelle scelte apparentemente più folli, dimostra la dignità e la perseveranza di un’eroina classica, disposta a sacrificarsi ad un tragico destino pur di rimanere voce fuori dal coro che grida una verità che nessuno vuole sentire. Ci piace pensare che la scelta del suo nome non sia un caso: Cassandra nell’Iliade era infatti la profetessa inascoltata dal proprio popolo.

Sguardo di donna

Azzeccate anche le scelte stilistiche della regista a partire dai colori pastello delle scenografie fino a canzoni pop come Toxic rivisitate dai violini, passando per i visi puliti di molti attori che evocano allo spettatore la “banalità del male”. Emblematico a questo proposito Jerry, il primo uomo che rimorchia Cassie ubriaca in un locale. Il personaggio è interpretato da un più maturo e inedito Adam Brody (il Seth Cohen di The O.C.), volto che per ovvie ragioni associamo al bravo ragazzo di buona famiglia.

Adam Brody e Carey Mulligan in una delle prime scene del film

In Promising Young Woman nessun dettaglio è lasciato al caso e ogni piccola inquadratura, ogni primo piano rivela lo sguardo femminile su quello che è “il peggior incubo per ogni donna.” Un incubo in cui non esistono mostri o pazzi furiosi, ma solo un inquietante silenzio in cui tutti rischiamo di cadere. A meno che non decidiamo di svegliarci.

Angelica Rocca

Tess dei d’Urberville: la storia di un’eroina romantica per raccontare la violenza sulle donne

Celebrare oggi  la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne è un ulteriore passo in avanti per riconoscere questa piaga come fenomeno sociale da combattere. Un piccolo passo vogliamo farlo anche noi, in ricordo delle tante vittime, per esprimere a modo nostro la vicinanza a tutte coloro che vivono tali situazioni, nella speranza che questi atti disumani possano cessare.

Proseguiamo perciò nella nostra rassegna di opere che trattano la violenza di genere attraverso la storia di una donna, raccontata dalla sapiente penna di Thomas Hardy nel romanzo Tess dei d’Urberville.

Tess e la sua storia

Nelle campagne dell’Inghilterra vittoriana cresce Tess, giovane pura e di una bellezza incantevole, discendente di una nobile famiglia ormai caduta in disgrazia.

Il lungo viaggio di Tess comincia quando viene mandata dal padre ubriacone a reclamare, in un ridicolo e improbabile tentativo “la parentela” con una ricca e (ig)nobile famiglia, i d’Urberville, dando inizio ad una serie di drammatici eventi che stravolgeranno la vita della giovane.

Purtroppo, né la sua bellezza né l’innocenza, salveranno Tess da un destino di consumanti passioni e di alti ideali contrapposti al degrado a cui la fanciulla andrà incontro.

    “È infrequente che l’uomo da amare coincida con l’ora dell’amore.”

Tess (Gemma Arterton) e Angel Clare (Eddie Redmayne) nell’omonima serie BBC. Fonte: BBC

La vita di Tess verrà segnata dall’incontro con Alec d’Urberville, bello, ricco e potente, il seduttore che cercherà di manipolarla, incantandola e portandola sulla strada sbagliata,un uomo al quale la giovane sembra legata da un vincolo più forte della disperazione e di ogni sentimento.  Sarà l’inizio della fine della giovane vita di Tess che la porterà a crescere troppo in fretta. Dalle continue e maliziose vessazioni si arriverà addirittura allo stupro, tragedia che condannerà il futuro di Tess.

Dall’altra parte l’incontro con Angel Clare, amore di gioventù appena intravisto, a lungo sognato, posseduto, perduto e ritrovato, che sarà un piccolo spiraglio di felicità per la ragazza. Tess, sentiti per la prima volta i sintomi dell’amore, si appoggerà completamente a lui, affidandogli non solo il suo cuore ma il proprio destino, arrivando a fare di tutto pur di non ferirlo e macchiare il suo nome.

Ma proprio quando la protagonista sembrava aver trovato la felicità, ecco trovato un insormontabile ostacolo: la macchia del passato “disonorato” dallo stupro. Il suo amore puro e disinteressato non le permetterà d’ingannare l’amato che, scoperta tale macchia, non riuscirà a perdonare la “colpa” della giovane donna (come se fosse una sua colpa!) e la lascerà in preda allo sconforto più totale.

Tess per tutto il racconto vivrà avvenimenti che la porteranno a logorarsi sempre di più senza avere la forza necessaria per lottare e opporsi bensì si lascerà andare alla mercè degli eventi.

Solo alla fine la giovane troverà la forza per un ultimo gesto violento e disperato per porre fine alle innumerevoli ingiustizie di cui è stata vittima.

Tess (Nastassja Kinski) nella trasposizione cinematografica del 1969, regia di Roman Polanski. Fonte: Claude Berri

Tess in definitiva è l’ultima eroina di fine Ottocento, ancora attualissima per la sua forza d’animo e la sua rettitudine, frutto di una personalità determinata e dolce, fragile e coraggiosa allo stesso tempo. Diventata vittima di un sistema più grande di lei, alla fine, in un modo certo del tutto “singolare”, senza alcuna pateticità, riesce almeno per una volta a prendere in mano la propria sorte, guardandola dritto in faccia, ormai senza paura.

Un romanzo pienamente attuale

Di forte impatto emotivo, Tess dei D’Uberville ha sin dalla sua pubblicazione diviso critica e lettori e allarmato schiere di bigotti e moralisti che inorridivano all’idea di una storia che colpiva al cuore la morale vittoriana. Definito come vile e a tratti pieno di falsità, il romanzo è stato anche esaltato come il più potente degli scritti di Hardy. In Tess il vettore del conflitto attraversa ogni pagina del libro, che affronta, senza alcun falso pudore, temi scabrosi e audaci.

Anche in questo libro Hardy, mette in primo piano le debolezze umane, rendendole protagoniste nei volti dei personaggi, che sperando in una vita migliore si trovano a scontrarsi con un ostile fato.

Tess dei D’Uberville, edizione Fabbri Editori. Fonte: blog la spacciatrice di libri

Un libro che aiuta a riflettere su quanta strada abbiano fatto le donne, quante lotte e quanto vittorie conquistate. La storia mette in risalto – scatenando a tratti un senso di nausea – le disumane condizioni delle donne in epoca vittoriana, ritenute colpevoli anche quando erano vittime innocenti (situazione che viviamo ancora oggi), maltrattate solo perché donne.

Gaetano Aspa

Til It Happenes to You: una denuncia trasformata in arte

Domani 25 Novembre ricorre la giornata contro la violenza sulle donne e noi di Universome abbiamo deciso di parlarvene in diversi modi: attraverso la musica, il cinema e tanto altro.

La rubrica di recensioni oggi ve ne parlerà con una canzone: Til It Happenes to You dell’artista Lady Gaga. Per chi non lo sapesse, il brano è stato candidato agli Oscar 2016 come migliore canzone originale.

Immagine promozionale del brano. Fonte: facebook

Til It Happenes to You è un brano scritto da Lady Gaga assieme a Diana Warrren (compositrice), per il documentario The Hunting Ground (2015), che mostra le testimonianze in prima persona di studentesse universitarie vittime di violenze e molestie sessuali, nei campus statunitensi. Ragazze che hanno avuto il coraggio di denunciare gli orrori commessi sulla loro pelle e sulla loro psiche, riuscendo a far tacere quella vocina che diceva : “è tutta colpa mia”.

“Finchè non accade a te, non sai come ci si sente”

Ma torniamo a noi: la canzone non è solo una denuncia ma anche un inno a tutte quelle donne che hanno subito violenza.  E’ una ballata pop accompagnata da archi; la voce di Lady Gaga all’inizio è dolce, come se avesse timore a parlare dell’abuso, ma andando avanti diventa più grintosa e allo stesso tempo delicata col suo timbro indimenticabile e ci trasporta in un viaggio difficile da comprendere.

Solo chi ha subito un simile dramma può comprendere al 100% quel dolore che non ti lascia e rimane con te.

Dentro la violenza in bianco e nero

Il video musicale, disponibile su Youtube, è stato girato interamente in bianco e nero.

Nell’incipit compare la scritta in inglese: «Il seguente video contiene contenuti grafici che possono essere emotivamente inquietanti ma riflettono la realtà di ciò che accade quotidianamente nei campus universitari.»

Il videoclip è molto forte, mostra al telespettatore delle violenze sessuali e come vengono superate. Vediamo le storie di quattro ragazze in sequenza alternata: la prima è una studentessa che parla con un suo collega, quest’ultimo a poco a poco le si avvicina e la violenta. La seconda è una ragazza trans-gender, che va in bagno e dalla porta sbuca un ragazzo che l’afferra e la violenta; abbiamo altre due protagoniste dirette a una festa, che vengono drogate e intontite prima che i loro carnefici si fiondano su di loro, come fossero carne da macello pronta per essere venduta.

Scena tratta dal vidoclip del brano.

Il video non mostra solo questi atti codardi, ma ci presenta il coraggio di queste quattro giovani studentesse: infatti le ragazze esprimono le loro emozioni scrivendo parole positive sulla loro stessa pelle e chiedendo una mano ai propri amici: il primo passo per uscire dal tunnel. 

A fine video compare un’altra scritta in inglese :”Una donna universitaria su cinque sarà aggredita sessualmente quest’anno a meno che non cambi qualcosa”

L’urlo di Lady Gaga

Lady Gaga ha voluto urlare non solo il dolore di tante donne ma anche il suo! L’artista, infatti, a 19 anni, per vari mesi, è stata molestata verbalmente e fisicamente e infine è stata violentata; da questa violenza è rimasta incinta e per ovvie ragioni ha deciso di abortire.

Dopo la violenza subita, la cantante è stata abbandonata per strada da sola, inerme e incapace di reagire.  Il mostro è stato proprio il suo produttore, che l’aveva minacciata, dicendole : “Togliti i vestiti!”.

L’episodio di Lady Gaga non è il primo e per nostra sfortuna non sarà nemmeno l’ultimo: noi donne nel mondo del lavoro il più delle volte veniamo minacciate e molestate, come se il nostro corpo appartenesse agli altri e fosse lì a loro disposizione, secondo il loro credo. Proprio come quando a un colloquio chiedono: “Lei ha intenzione di avere figli?”

 Lady Gaga tuttavia dopo un po’ di tempo è riuscita a confessare il suo dolore e di come si sentisse sporca in seguito a quell’atto compiuto da un piccolo omuncolo. L’artista ha inoltre dichiarato di essere diventa autolesionista e di essersi chiusa in sé stessa dopo la violenza subita.

Lady Gaga alla trasmissione “Che tempo che fa”. Fonte: cinematographe.it

Ma la nostra cantate, proprio lei che con la sua umiltà e dolcezza ci ha emozionato a Che tempo che Fa, è riuscita ad andare avanti e tendere una mano verso quelle ragazze che hanno vissuto il suo stesso incubo. 

“Credo che la gentilezza sia davvero il sistema perfetto. Va in tutte le direzioni. Si muove tra me e te, ma non si muove in cerchio. Collega tutti.”

                                                                                               Alessia Orsa

 

Cowboy Bebop: rispolveriamo la serie originale

L’opera magna di Watanabe, capace di divertire ed appassionare, si conferma una tappa imprescindibile per gli appassionati di animazione giapponese – Voto UVM: 5/5

Da oggi è disponibile su Netflix il live action di una delle serie cult dell’animazione giapponese degli anni ’90: Cowboy Bebop. In attesa di poter vedere questa nuova versione è sempre importante ricordare la serie originale.

L’anime sci-fi prodotto da Sunrise e diretto da Shin’ichirō Watanabe è disponibile già da tempo sulla stessa piattaforma streaming con tutti e 26 gli episodi che lo compongono. Si tratta senza dubbio di un must watch per gli appassionati di animazione nipponica.

Le vicende dei protagonisti Spike Spiegel, Jet Black e Faye Valentine hanno fatto appassionare tantissimi fan, regalando, attraverso una narrazione verticale, puntate sempre avvincenti in cui molto viene lasciato all’intuito dello spettatore.

Honky Tonk Women (1×03)

La serie futuristica con un occhio al presente e l’altro al passato

Il paradosso creato da Watanabe è il vero fulcro dell’intera serie: i tre protagonisti principali, pur essendo uomini del futuro, dipendono dal loro passato.

Spike è un cacciatore di taglie con un conto in sospeso che ne condiziona il presente: egli (per sua stessa ammissione) non riesce a vedere il futuro. Jet è la sua spalla ed ha un passato altrettanto travagliato: sono tanti i traumi che lo hanno portato a perdere la fiducia in un futuro migliore e a vivere dunque il presente con distacco. Faye invece un passato non lo possiede neanche (a causa delle perdita della memoria dopo un misterioso incidente): non ha amici ed è sommersa di debiti; questo la obbliga a vivere alla giornata. Si sente sola in un tempo che non le appartiene: il suo presente è dedicato a recuperare il suo passato, di conseguenza anche il suo futuro è altrettanto nebuloso.

Tutti e tre hanno un conto in sospeso con il tempo, tutti e tre sembrano esistere solo nell’immediato.

L’ambientazione ed il melting pot di generi

La storia è ambientata nel 2071, un futuro in cui i viaggi spaziali sono all’ordine del giorno e Marte è diventato il centro della civiltà umana. Quello che impressiona fin da subito è lo stile che Watanabe ha dato al proprio prodotto mischiando elementi tipici del genere sci-fi all’animazione giapponese mainstream delle arti marziali, condendole con altre influenze, dal poliziesco noir al western.

Tutti questi generi convivono in maniera pacifica e strabiliante all’interno della stessa ambientazione. Si passa così da puntate che si risolvono con la più classica delle sparatorie ad episodi che presentano scontri spaziali tra navicelle. Il mondo di Cowboy Bebop si presta a qualsiasi soluzione narrativa in un futuro lontano in cui nessun riferimento sembra essere fuori posto.

Ballad of Fallen Angels (1 x 05)

La narrazione verticale come valore aggiunto

Le singole puntate delle serie sono perfettamente in grado di reggersi da sole: sono veramente pochi i casi in cui una singola storia è spezzata in due episodi (solo due per la precisione).

Una delle argomentazioni più inflazionate dei detrattori della serie attacca proprio questo aspetto, poiché, a onor del vero questa narrazione lascia poco spazio alla curiosità dello spettatore che vorrebbe sapere tutto e subito. La scelta rende però gli episodi molto godibili anche se presi singolarmente.

Watanabe è stato capace di far rientrare nei 20 minuti di ogni puntata delle ottime storie circolari in grado di intrattenere e divertire lo spettatore.

Un’altra delle critiche più sentite riguarda invece gli episodi stessi ritenuti troppo ripetitivi nello sviluppo delle trame. La serie di certo non si presenta come il prodotto più adatto per gli amanti dell’adrenalina e dei colpi di scena. Quello di Cowboy Bebop è il racconto della frenetica quotidianità di un gruppo di cacciatori di taglie spaziali: la trama di conseguenza è parecchio lineare.

Hard Luck Woman (1 x 24)

 

Ma è sbagliato vedere nella quotidianità raccontata da Cowboy Bebop l’anticamera della monotonia. Le emozioni forti invece sono dietro l’angolo, pronte ad esplodere quando questa routine viene stravolta, lasciando allo spettatore la sensazione che il mondo gli stia cadendo addosso.

Un plauso finale meritano le musiche, in prevalenza jazz, che accompagnano magistralmente ogni singola puntata e che permettono di vivere in maniera ancora più coinvolta le vicende di Spike e del resto del gruppo.

Antonio Ardizzone

Maid: dall’annullamento alla riconquista di sé, un inno alla maternità firmato Netflix

Una serie veramente incredibile e ben fatta, che nulla dà per scontato e si rivela capace di emozionare – Voto UVM: 5/5

 

Tra le innumerevoli opzioni che il catalogo di Netflix ci offre, non troppo raramente capita d’incappare in vere e proprie perle d’autore: la miniserie drammatica del 2021 Maid (ideata da Molly Smith Metzler e prodotta da Margot Robbie!) è una di quelle. E vi diremo anche perché!

La serie, ispirata dal bestseller Maid: Hard Work, Low Pay and a Mother’s Will to Survive dell’autrice Stephanie Land, racconta la storia di Alex (un’incredibile Margaret Qualley, che forse ricorderete accanto a Brad Pitt in C’era Una Volta ad Hollywood), una ragazza madre nel pieno dei suoi vent’anni alle prese col duro lavoro di domestica e con tutti gli ostacoli che dovrà superare per riuscire a dare un’infanzia serena alla sua piccola Maddy (Rylea Nevaeh Whittet), avuta col compagno Sean Boyd (Nick Robinson).

Fin qui le premesse sono abbastanza generiche: ci saranno migliaia di opere che affrontano lo stesso tema, dunque cos’ha Maid di tanto speciale?

L’elemento particolare di questa produzione è l’estremo realismo con cui i tragici avvenimenti della protagonista vengono narrati. La commistione di più temi centrali, quali quello della povertà, quello degli abusi domestici ed, infine, quello della maternità viene realizzata nel quadro di una dura critica sociale alla borghesia medio-alta con un occhio aperto sulle difficoltà, per chi parte dal basso, di riscattarsi per ottenere una posizione sociale migliore.

Povertà

Alex Russell è, sostanzialmente, povera. Non che in precedenza fosse ricca (anche per via dell’eccentricismo della madre Paula, interpretata dalla vera madre della QualleyAndie MacDowell), ma una scelta che andrà a compiere la porterà – di fronte alla crudele realtà – a trovarsi sprovvista di ogni mezzo ed incapace di adattarsi velocemente alle esigenze del mercato del lavoro.

Alex intenta ad annotare alcuni pensieri durante un turno di lavoro

All’inizio della serie, la protagonista viene presentata come un personaggio privo di talenti, il cui unico obiettivo sembra essere quello della sopravvivenza. L’effetto – laddove non fosse voluto, ma lo dubitiamo – è di rendere lo spettatore leggermente disinteressato per i primi tre o quattro episodi.

Effettivamente in molti hanno avvertito lentezza nello svolgersi degli eventi nelle prime puntate, ma semplicemente perché il mondo interiore di Alex non ci era stato ancora mostrato. Esso si rivelerà lentamente, tramite la riscoperta della sua passione per la scrittura creativa.

Fondamentale in questo passaggio è il rapporto con la ricca ma infelice Regina (interpretata da Anika Noni Rose), di cui sarà domestica. Tra le due all’inizio vi sarà diffidenza reciproca, ma poi si instaurerà un’amicizia leale e duratura.

La povertà è il punto di partenza per la rinascita della protagonista, ma questa viene tenacemente osteggiata da un secondo ostacolo.

Abusi domestici

In Maid non aspettatevi di vedere una trattazione in bianco e nero di questo tema così delicato. Forse è questo l’elemento che ci ha catturato di più: la delicatezza con cui lo spettatore viene posto in ascolto delle vittime di violenza.

In particolare, quella subìta da Alex è violenza emotiva, una forma più subdola e meno evidente di abuso che tuttavia la vincola al compagno.

Alex (Margaret Qualley), Sean (Nick Robinson) e Maddy (Rylea Nevaeh Whittet) in una scena della serie

Sean Boyd, padre di Maddy, è un personaggio complesso (dicevamo prima che il tema non viene presentato in bianco e nero). Ebbene, anch’egli vittima durante l’infanzia di violenze da parte della madre, finirà per sfogare le proprie frustrazioni sulla compagna e nell’alcool. Benché, di base, la sua indole non sia cattiva, egli si renderà autore di numerosi abusi emotivi su Alex: tra questi, la priverà dei supporti economici esterni, accentrando la ricchezza del nucleo familiare nelle proprie mani.

Ecco perché la scelta di Alex di addentrarsi nel mondo senza neanche uno spicciolo in tasca, sarà il punto di partenza per la sua rinascita. Una scelta sofferta, certo, perché significa mettere a rischio anche ciò a cui tiene più al mondo: sua figlia.

Maternità

Prima ancora che una critica sociale, una serie targata Netflix o un bestseller, Maid è un inno alla maternità, allo sforzo ed ai sacrifici di una madre che compie la scelta di dedicare tutta sé stessa a sua figlia.

E fondamentale è il rapporto tra genitori e figli: di Alex con sua figlia, di Sean con sua figlia, di Sean con sua madre, ma soprattutto di Alex con la madre Paula: quest’ultima, afflitta da un disturbo di personalità borderline e profondamente segnata da esperienze passate, sarà il personaggio che più di tutti metterà alla prova la sua forza mentale.

Potremmo definirla come il punto debole della protagonista: Paula è estremamente complessa e fragile e, benché ami Alex, non riesce semplicemente a renderle le attenzioni che meriterebbe. Tuttavia, è anche in lei che la giovane troverà la forza di andare avanti nel suo percorso.

Paula (Andie MacDowell) in una scena della serie

 

In ultima analisi, Maid è una miniserie che ben si presta all’istruire su circostanze di vita delicate e lo fa senza troppe ambizioni – forse è proprio questo il suo punto di forza. Si mastica facilmente, ma va consumata con lentezza e parsimonia. In sostanza, va metabolizzata. Il lavoro del cast è stato incredibile sotto questo punto di vista e la chimica tra i personaggi è ben visibile.

Valeria Bonaccorso

Martin Scorsese: il maestro dei maestri

Ogni forma d’arte, disciplina o sport presenta una o più figure di spicco che ormai nell’immaginario collettivo costituiscono dei veri e propri simboli.

Basti pensare a Michelangelo, Albert Einstein, Maradona: quando ci viene in mente uno di questi personaggi, ci si immedesima totalmente e con amore nel loro mondo grazie alle scoperte, ai capolavori e alle emozioni che ci hanno donato.

Tutto ciò accade anche quando viene pronunciato il nome di Martin Scorsese per quanto riguarda il cinema. Proprio per questo noi di UniVersoMe, in occasione del suo 79esimo compleanno, vogliamo rendergli omaggio andando ad analizzare tre dei suoi più grandi film.

Martin Scorsese – Fonte: cheatsheet.com

1) Taxi Driver (1976)

E’ la pellicola che segna l’ascesa del regista e di Robert De Niro. Come è noto, i due si conoscevano fin dai tempi dell’adolescenza essendo cresciuti per le strade di Little Italy a New York. Precedentemente avevano già lavorato insieme, ma è con Taxi Driver che entrambi sono riusciti ad esprimersi al massimo delle proprie potenzialità, grazie soprattutto alla fiducia reciproca. Potrebbe apparire come un concetto banale, quasi una frase fatta, ma la fiducia è in realtà il motivo principale in base al quale questo film è divenuto una pietra miliare della settima arte.

Facciamo degli esempi: l’iconica scena in cui il protagonista Travis (Robert De Niro) parla allo specchio, è stata improvvisata integralmente dall’attore stesso e ciò fu possibile in quanto Martin gli disse di recitare liberamente senza alcuna direttiva. Venne fuori la migliore interpretazione attoriale di De Niro dal 1985 a oggi.

Robert De Niro e Martin Scorsese sul set di Taxi Driver – Fonte: galerieprints.com

Nella scena in cui il tassista porta in macchina l’uomo gelosissimo della moglie, l’attore che avrebbe dovuto ricoprire il ruolo all’ultimo momento non riuscì a prendere parte alle riprese. Scorsese decise quindi di interpretarlo in prima persona basandosi solo ed esclusivamente su alcuni consigli di De Niro.

La fiducia che sta alla base di questo rapporto professionale ovviamente non è l’unico elemento distintivo di Taxi Driver: le innovative tecniche di ripresa introdotte dal regista, la celeberrima interpretazione di De Niro e l’impeccabile sceneggiatura la rendono una delle pellicole più belle della storia del cinema.

L’elemento clou di tutto il film si racchiude poi semplicemente nello sguardo finale del protagonista. (allarme spoiler!)

Dopo tutte le vicissitudini, i risvolti di trama e le lotti interiori di Travis, nella scena finale il tassista lancia una gelida occhiata che viene riflessa dallo specchietto retrovisore dell’auto.

Con quell’espressione De Niro non ci fa capire più nulla: non è chiaro infatti se Travis sia guarito o se dentro di sé nasconda ancora tutta quella violenza e che quindi sarà pronto nuovamente a compiere una carneficina (esattamente come in Shutter Island qualche anno più tardi).

2) Quei bravi ragazzi (1990)

Siamo davanti ad uno dei più grandi capolavori dei gangster-movies. Scorsese ha dato vita ad un’opera con la quale rappresenta gli aspetti più violenti della criminalità come se fossero momenti di vita quotidiana di un comune cittadino medio. Durante i vari crimini, infatti, è possibile notare come i protagonisti parlino del più e del meno, scherzino tra loro, cenino insieme alla propria madre mentre magari hanno un cadavere nascosto nel bagagliaio.

Vi sono diverse scene del film in cui il regista, con una serie magistrale di inquadrature e delle musiche ad hoc, riesce ad incantare lo spettatore facendolo immergere totalmente in ciò che sta accadendo nella pellicola (per esempio quando vengono presentati i bravi ragazzi).

Joe Pesci, Ray Liotta e Robert De Niro in una scena del film – Fonte: Warner Bros.

Scorsese esalta in maniera esponenziale anche i dettagli, un po’ alla Sergio Leone. Memorabile è a questo proposito la scena del taglio dell’aglio in carcere, che ormai è divenuta un tratto peculiare del film.

Il cast infine trasuda qualità da ogni poro grazie alle interpretazioni di Ray Liotta, Robert De Niro e Joe Pesci, quest’ultimo premiato con l’Oscar nel 1991 come migliore attore non protagonista.

3) The Wolf of Wall Street (2013)

Una delle pellicole hollywoodiane più spinte ed amate di sempre. La lussuria ed il capitalismo sono gli elementi portanti della trama.

Il regista tuttavia non si lascia intimorire dai temi che dovrà affrontare e parlerà per 3 ore di fila esclusivamente di droghe, sesso e soldi senza mai deviare il tiro, ma anzi decidendo di rincarare la dose.

Con un ritmo frenetico ed una serie di inquadrature alla Scorsese, è impossibile annoiarsi durante la visione.

Leonardo Di Caprio nei panni di Jordan Belfort – Fonte: 01 Distribution

L’interpretazione di Leonardo Di Caprio nei panni di Jordan Belfort è impeccabile: immedesimatosi completamente nel personaggio, l’attore dà vita in maniera elegante ad un uomo ossessionato dai soldi e dalle droghe, ma con un senso dell’umorismo molto forte che lo rende profondamente carismatico.  Insomma, un uomo che, anche se sostanzialmente truffatore, riesce a conquistarsi la simpatia del pubblico.

 

Fonte: nonsolofilm.it

Martin Scorsese è l’incarnazione del Cinema.

Non esistono aggettivi in grado di rendergli giustizia per definire quello che è riuscito a creare nel corso della sua carriera. Possiamo solamente dire: «Grazie Martin, a nome di tutti!»

Vincenzo Barbera