20 anni nella Terra di Mezzo grazie a Peter Jackson

Il 19 Dicembre 2001 con La Compagnia dell’Anello arrivò nelle sale il lavoro di riadattamento di uno dei romanzi più importanti della storia, scritto da J.R.R. Tolkien.

Il Signore degli Anelli è stato, fin dalla sua uscita nel 1955, l’ispirazione principale per qualunque opera parlasse di epica fantasy: un racconto separato dal tempo che cercava di riempire quel buco di narrazioni fantastiche che gli inglesi avevano sempre riempito con storie di altri Paesi fin dall’antichità. Fu il primo vero romanzo che inaugurò il fantasy come lo conosciamo e lo intendiamo oggi: una storia separata dal nostro mondo, ambientata in scenari che rievocano i miti del passato.

La compagnia dell’Anello

Il segreto del suo successo sta, però, anche nell’ispirazione prettamente moderna del racconto: i sei mesi passati in trincea, durante la prima Guerra Mondiale, segneranno lo scrittore e saranno la maggiore ispirazione per le infernali macchine dello stregone Saruman, così come per la battaglia del Fosso di Helm e la guerra di logoramento tra le città di Minas Tirith e di Minas Morgul.

La sfida di una trasposizione immensa

Il background storico e culturale dell’opera era quindi immenso e la sfida raccolta dal regista Peter Jackson era creduta inizialmente impossibile da molti produttori.  Lo stesso regista era fermamente convinto che per una trasposizione fosse necessario una “rinarrazione”: il romanzo era intraducibile in pellicola. A questo pensiero era già arrivato tra l’altro il regista Kubrick, quando gli era stato proposto di girare una trasposizione con protagonisti i Beatles.

Ciò nonostante, Jackson proseguì nella produzione, convinto che dopo i miglioramenti della computer grafica – visibili in film come Jurassic Park – fosse possibile portare al cinema un racconto fantasy degno di nota, che potesse finalmente rendere giustizia all’opera di Tolkien. E alla fine vinse proprio l’originale!

Frodo osserva Gran Burrone 

La scelta ripagò, grazie anche all’aiuto di artisti come Alan Lee, illustratore storico dei lavori sulla Terra di Mezzo, nonché al saggio utilizzo di modellini – come quello della città di Minas Tirith – ed effetti visivi realizzati tramite computer.

La trilogia  riesce ancora oggi a stupire per l’impatto visivo di certe scene, nonostante siano passati più di vent’anni dall’uscita nelle sale.

Una storia rimasta nel cuore

Tutto questo lavoro è riuscito a rendere la trilogia cinematografica un successo mondiale ed eterno. Ancora oggi viene considerata da molti un esempio notevole di come girare un vero fantasy al cinema.

La storia di Frodo (Elijah Wood), Sam (Sean Astin) e della Compagnia dell’Anello ha molto da raccontare per tanti motivi: gli eroi non sono grandi uomini, ma hobbit bassi e goffi, capaci però di atti d’eroismo in grado di sconfiggere il male assoluto incarnato in Sauron. Ed accanto a loro protagonisti come Aragorn (Viggo Mortensen), Legolas (Orlando Bloom) , Gimli (John Rhys-Davies) o lo stregone Gandalf ( Ian McKellen) sono ancora oggi personaggi ricordati. Così come sono ricordate le loro azioni: Frodo che getta l’anello nel Monte Fato, Aragorn che affronta l’esercito dei morti, la fuga dalle rovine di Moria o anche l’ interpretazione di Gollum (Andy Serkis), probabilmente una delle parti più memorabili dell’intera trilogia.

Gandalf arriva a Minas Tirith

Cosa riserva il futuro?

L’interesse per le storie della Terra di Mezzo continua quindi ad esistere e Amazon ha deciso recentemente di cavalcare l’onda lanciandosi nella produzione di diverse serie ambientate in quel mondo: il progetto è cominciato nel 2018, con la scelta di recarsi in Nuova Zelanda (luogo dov’è stata girata la trilogia cinematografica) per dare il via alle riprese.

L’immagine teaser della serie Amazon

Le informazioni sono ancora poche, ma già sappiamo che la trama si svolgerà millenni prima delle storie da noi conosciute, con un cast di personaggi totalmente rinnovato e luoghi e situazioni ancora inesplorate. Il tutto sarà tratto dal cosiddetto Legandarium, una serie di appunti scritti da Tolkien durante il corso della propria vita e pubblicati postumi dal figlio Cristopher, che raccontano le nascita e la storia dell’intero mondo di Arda.

Le aspettative sono perciò alte per molti fan dell’universo di Tolkien. Resta solo da attendere l’uscita, prevista per il 2 settembre 2022.

Matteo Mangano

 

Spider-Man: No Way Home, la chiusura del cerchio

Tra grandi crossover e coreografie mozzafiato, Spider-Man No Way Home è un film che tocca nel profondo i fan dell’uomo ragno – Voto UVM: 5/5

 

Dopo quasi 20 anni di filmografia Sony sul “tessiragnatele”, Jon Watts col terzo capitolo della sua trilogia chiude un enorme cerchio narrativo.

Il film riprende esattamente dove si era concluso il precedente (Spider-Man Far From Home), quando grazie ad un trucco, Mysterio riesce a svelare l’identità di Spider-Man facendolo anche passare per l’autore della sua morte e conseguentemente scatenando una ripercussione sull’immagine del ragno.      Peter Parker (Tom Holland) decide così di andare a trovare Doctor Strange (Benedict Cumberbatch) per cercare un incantesimo tramite il quale tutti potessero dimenticare l’identità di Spider-Man.

L’incantesimo viene però alterato da Peter risultando nell’effetto opposto, ossia diversi villain appartenenti ad altri universi che sono a conoscenza che Peter Parker è Spider-Man, vengono teletrasportate nel MCU.  Rivediamo dall’universo narrativo dello Spider-Man di Sam Raimi dei ritorni illustri quali quello di Doc Ock (Alfred Molina), l’Uomo Sabbia (Thomas Haden Church) e Green Goblin (di un William Dafoe assolutamente strepitoso).

Alfred Molina di nuovo nei panni di Dottor Octopus dopo 17 anni

Mentre dall’universo narrativo dell’Amazing Spider-Man di Marc Webb, vediamo il ritorno di Electro (Jamie Foxx) e di Lizard (Rhys Ifans).

Gli eventi narrati nel film proseguono – come già detto – la storia da dove si era interrotta nel precedente capitolo e si sviluppano in modo assolutamente prevedibile nella prima parte della pellicola, con un Peter Parker che cerca di porre rimedio a ciò che Mysterio ha compiuto al termine di Spider-Man Far From Home.

Ma è nella seconda parte che il film diventa dirompente specialmente a livello emotivo.

Spider-Man si ritroverà a combattere nemici per lui sconosciuti, ma che al tempo stesso conoscono bene l’Uomo Ragno ma soprattutto Peter Parker.

Saranno proprio loro a spingere Peter verso una crescita emotiva esponenziale, ma non priva di possibili ricadute che potrebbero trascinare il nostro eroe in un tetro baratro senza possibilità di risalita, crescita messa in mostra dal miglior Tom Holland mai visto nelle vesti del ragno.

Un percorso di crescita che nessun altro film appartenente al MCU è stato in grado di portare in scena, un percorso affrontato anche dai personaggi secondari, tra i quali più di tutti brilla una Zia May (Marisa Tomey) alquanto commovente.

Tom Holland e Zendaya in una scena del film

Le coreografie dei combattimenti sono tra le migliori in assoluto mai viste non solo nel MCU, ma nel mondo dei cinecomics in generale.

Partendo dallo scontro tra Doc Ock e Spider-Man sul ponte fino ad arrivare a quello tra lo stesso e Goblin, quest’ultimo violento e crudo come pochi si sarebbero immaginati.

Non mancano ovviamente i riferimenti fumettistici, soprattutto quelli relativi a Soltanto Un Altro Giorno di Straczynski e Quesada.

 

Spider-Man, One More Day: copertina del fumetto. Fonte: Marvel Comics

 

Parlare di Spider-Man No Way Home è davvero complesso, in quanto ogni parola potrebbe risultare di troppo a chi il film non l’ha ancora visto, e soprattutto perché questa pellicola – più di tutte le altre sul ragno – tocca profondamente il cuore degli appassionati del più grande supereroe.

In conclusione, Spider-Man No Way Home è il film delle origini dell’Uomo Ragno di Tom Holland che ha l’abilità di chiudere molteplici storie, ma soprattutto di dare inizio a qualcosa di nuovo.

Il ragno sarà sempre iconico e quale modo migliore di finire un ciclo se non quello di tornare dove tutto è iniziato?!

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               Giuseppe Catanzaro

“Disumano” di Fedez: un album che promette molto ma trasmette poco

Nonostante la presenza di pezzi molto validi, l’album risulta sconnesso ed è facile perdercisi dentro – Voto UVM: 3/5

Fedez torna in scena e sceglie di farlo in grande: arte, pubblicità che segue un concept ben preciso, donazioni, t-shirt e denuncia sociale. Soprattutto denuncia sociale, secondo quanto sostenuto dal rapper stesso.

L’ultimo album di Fedez, Disumano, è uscito venerdì 26 novembre su Amazon, IBS e Feltrinelli Store. Al momento l’album e il vinile sono disponibili in abbinamento ad un gadget  t-shirt Uniqlo, calzini Pixel Sucks, portachiavi Santoni o freesbee Versace; le card Panini invece risultano terminate.

In pochissimi giorni il disco si è posizionato al primo posto nella classifica FIMI e nel giro di una settimana è stato certificato disco d’oro.

Uno dei poster usati da Fedez per la sua “campagna elettorale”. Fonte: Instagram @fedez

Una macedonia poco riuscita

L’album segue uno stile tipicamente elettropop, con un sound che ricorda gli anni 80 e 90. Alcune canzoni hanno una base trap, altre sono ballad e quasi tutte hanno ritornelli orecchiabili.

Della denuncia sociale tanto pubblicizzata da Fedez stesso c’è poco. L’album segna sicuramente un ritorno alle origini dell’artista ma è un qualcosa di “leggero leggero” (per citare una canzone nell’album) se così si può definire. Andiamo con ordine.

L’album contiene venti canzoni. Per alcuni sono tante, altri hanno apprezzato. Le canzoni si suddividono in quattro parti e, già dalla lettura dei titoli sul retro del disco, si capisce che qualcosa non va: sembrano disposte a casaccio. In ogni parte sono presenti cinque canzoni diverse l’una dall’altra; sarebbe stato meglio forse disporre in ogni parte canzoni con lo stesso tema o comunque simili.

Se il lancio pubblicitario dell’album aveva seguito un filo logico facendo la caricatura di una campagna elettorale, l’album sceglie (spero volutamente) di essere un po’ confusionario. Se si ascoltano le canzoni singolarmente, sono tutte stupende, sia quelle destinate a diventare hit, sia quelle che non lo diventeranno. Ogni singola canzone sembra corrispondere all’esigenza di abbracciare tutti i gusti più disparati dei fan e non di Fedez. Tuttavia è proprio questo il problema dell’album.

“Disumano”: disco e card Panini. Fonte: amazon.it

In molti sostengono che se Disumano avesse avuto meno canzoni, sarebbe stato più coerente e facile da ascoltare, togliendo magari i singoli già usciti come Mille o Bimbi per strada, uno dei singoli usciti nel 2020 e che in molti non si aspettavano di trovare nell’album. Sarò di parte, ma personalmente ho apprezzato molto la presenza del brano in questo album, forse perché è una delle mie canzoni preferite.

  Tematiche importanti

Nonostante la frammentarietà, l’album è ricco di temi che riguardano la vita personale dell’artista, ma anche la sua vita social, quella che si pensa essere “sotto gli occhi di tutti”.

Fedez più volte si è espresso a favore di temi “politicamente corretti” e questo gli ha spesso procurato diversi grattacapi e denunce. Questo non ha fermato il rapper dal continuare ad esporsi e in molti si aspettavano che queste battaglie sarebbero state presenti anche nell’album. Le aspettative sono state un pochino deluse, eppure Disumano può essere definito un album quanto meno valido.

Quali sono i temi presenti nel disco? Proviamo ad analizzarli:

  • Denuncia sociale. Poca ma c’è. Attacchi a vari politici, primo fra tutti Renzi, ma anche Salvini e Meloni. Fedez attacca anche la Chiesa come istituzione politica più che religiosa. Vengono citati anche Federico Aldrovandi e Giulio Regeni, due ragazzi poco meno ventenni morti sotto le botte di chi avrebbe dovuto proteggerli: la polizia. Tutto ciò è contenuto soprattutto nel brano “Un giorno in pretura“, con toni duri e un beat pesante. È il brano più apprezzato dell’album ed effettivamente si capisce il perché. È un pezzo di critica sociale che centra il bersaglio, ma non è sostenuto da altri brani, per cui si perde in mezzo a tutto il resto.
    https://www.youtube.com/watch?v=KtEEYYThAg4
  • Amore, tanto amore. Per la moglie Chiara Ferragni e la figlia Vittoria, alla quale dedica un brano esclusivamente per lei, chiamato appunto Vittoria.
    https://www.youtube.com/watch?v=spPzq-6G3Lk&list=OLAK5uy_l4ZoneqSQfYJCbe8ugU8yN4zI_GVYt_xo
  • Malessere mentale. Fedez non ha paura di descrivere i suoi problemi attraverso la sua musica, anzi la usa per esorcizzarli. Attacca senza pensarci due volte tutti coloro che lo giudicano e che lo hanno tradito, facendo in alcuni casi i nomi ( J-Ax nello specifico). Non si vergogna a parlare di chi lo giudica solo perché condivide molto della sua vita personale e pensa quindi di sapere tutto di lui.
    https://www.youtube.com/watch?v=q_tn97D3Rfs&list=PLjcnaL80xEH4qhHnBho9JUcv0J4UgLpjt&index=20
  • Canzoni trash che non possono essere esattamente definite che avremmo potuto risparmiarci! ( La cassa spinge 2021)
    https://www.youtube.com/watch?v=VicDtBlB0Eg&list=PLjcnaL80xEH4qhHnBho9JUcv0J4UgLpjt&index=16

Tanti featuring

Fedez ha collaborato con molti artisti nella lavorazione del disco, alcuni già conosciuti nel panorama musicale italiano, altri no. Nove canzoni su venti sono featuring con artisti del calibro di Achille Lauro, Miss Keta, Tedua e Francesca Michielin. C’è anche Tananai, giovane esordiente indie uscito da Sanremo Giovani 2021.

Dargen D’Amico è una presenza costante in tutto l’album: appare in due brani come collaboratore e in moltissimi come produttore. Oltre a lui, l’album è stato prodotto anche da d.whale – già conosciuto nel settore per aver lavorato con Francesco Renga, Paola Turci e Nek fra gli altri.

Dargen D’Amico. Fonte: YouTube

L’impegno sociale

Una parte dei ricavi della vendita di Disumano e di tutto ciò che gli gravita intorno (come le statue che si vedono nella cover), è andata in beneficenza alla Fondazione Tog, un’associazione milanese che si occupa di riabilitazione di bambini affetti da patologie neurologiche complesse e che oggi ha in cura un centinaio di bimbi. Tramite Instagram il rapper ha fatto sapere:

Ho il sogno che la musica possa sostenere la partecipazione attiva delle persone. Voglio che questo disco sia parte di qualcosa che è davvero importante, la costruzione della nuova sede Tog. Grazie a chi ha creduto in questo progetto e a chi ci crederà. Non fermiamoci qui, continuiamo a sostenere questa preziosa realtà”.

Fedez consegna personalmente l’assegno di €200.000 ai bimbi in cura presso la Fondazione Tog. Fonte: Instagram @fedez

Tirando le somme

Fedez in questo disco mostra anche il suo lato “cantante” oltre che quello “rapper” e il risultato sembra piacere agli ascoltatori. Non si cimenta in acuti o in falsetti, ma la sua voce rimane riconoscibile, indice del fatto che almeno sotto questo punto di vista l’artista è in pace con sé stesso.

Personalmente l’album non mi è dispiaciuto. È facile apprezzarlo, ma la mancanza di un filo logico che collega tutto si sente. Rockol avverte in realtà una mancanza più grande e scrive:

“Disumano” arriva in modo frammentato e ripetitivo, a volte venato da ironia spicciola e adolescenziale, con momenti al limite del trash e un’intimità mai davvero profonda. È un po’ più a fuoco del predecessore “Paranoia Airlines”, ha alcune sonorità azzeccate e divertenti, ma vuole contenere troppi elementi con l’esito finale di risultare un album Frankenstein.

 

Sarah Tandurella

Carla: tributo all’indimenticabile étoile

 

 

“Carla” è una sublime combinazione tra danza e cinema, incanto e nostalgia. Una piccola perla del panorama cinematografico italiano – Voto UVM: 5/5

Chi era Carla Fracci?

“La danza è una carriera misteriosa, che rappresenta un mondo imprevedibile ed imprendibile … non basta soltanto il talento, è necessario affiancare alla grande vocazione, la tenacia, la determinazione, la disciplina, la costanza.” –  Carla Fracci

 

Carla Fracci, nome d’arte di Carolina Fracci, nata a Milano il 20 agosto 1936 e deceduta lo scorso 27 maggio, è considerata una delle più grandi ballerine del ventesimo secolo. Nel 1981 il New York Times la definì “prima ballerina assoluta”, colei che scrisse la storia del balletto grazie ai suoi ruoli romantici e drammatici, tra i quali Giselle, forse, il suo ruolo più famoso ed iconico.

Carla è rimasta impressa nell’immaginario comune come “la donna in bianco”, colore della purezza, della pace, della libertà.

Carla Fracci, La Sylphide 1985. Fonte: danzaeffebi.com

Iniziò a studiare danza dal 1946 al Teatro alla Scala dove, da lì a poco, dopo essersi diplomata, divenne danzatrice solista e prima ballerina, prendendo parte anche a numerosi stage a Londra, Parigi e New York.

Regista di alcune delle sue più grandi opere fu il marito, Beppe Menegatti, conosciuto dietro le quinte e allora assistente di Luchino Visconti alla Scala.

“Fra me e Carla è stato così: ammirazione che si è trasformata a poco a poco in sentimento e comunione di intenti.” – Beppe Menegatti

Il tributo della Rai: Carla

Carla è il film tratto dall’autobiografia Passo dopo passo. La mia storia della stessa Carla Fracci.

Il film, una produzione Rai diretta da Emanuele Imbucci, distribuito in anteprima nei cinema dall’8 al 10 novembre 2021 e trasmesso su Rai 1 il 5 dicembre, vede come protagonista la famosa attrice italiana Alessandra Mastronardi, nota per i suoi ruoli di Eva ne I Cesaroni –  grazie alla quale si è fatta conoscere al grande pubblico – e Alice Allevi ne L’Allieva.

Carla Fracci e Alessandra Mastronardi durante le riprese del film. Fonte: fanpage.it

Fin dalle prime immagini si può notare l’incredibile somiglianza tra l’attrice e la ballerina, sarà forse un caso? In realtà fu la stessa Carla Fracci a sceglierla, quando era ancora in vita, dandone consulenza per la realizzazione del film insieme al marito Beppe.

La danza e la semplicità come protagoniste

La storia è ambientata nella Milano dell’immediato dopoguerra.

Carla, figlia di un tranviere dell’ATM e proveniente da una famiglia umile, viene iscritta alla Scuola di Ballo del rinomato Teatro alla Scala ( al cui interno sono girate realmente le scene).

Dopo essere stata scelta come ballerina solista nell’opera Lo spettro della rosa, conosce colui che sarà poi suo marito per il resto della vita, il regista Beppe Visconti, da cui ebbe un figlio. Dopo la maternità, affrontando le critiche sulla decisione di diventare madre – scelta quasi impensabile per una ballerina – ritorna sulle scene con Lo Schiaccianoci.

La vita di Carla viene raccontata egregiamente alternandovi scene reali di opere storiche della stessa Fracci. Un film toccante, completo e accurato, malinconico al punto giusto, e in cui l’arte della danza viene posta al centro, con il dietro quinta in cui viene mostrato il sogno, il desiderio, la passione, la tenacia, il sudore, il dolore e la stanchezza fisica delle ballerine.

“La danza è medicina … La danza aiuta nei momenti tristi e nei momenti felici. Lei c’è sempre.”

Ritratto di Carla Fracci. Fonte: faremusic.it

«L’arma di seduzione più potente per me è la semplicità.» afferma Alessandra Mastronardi. Parole assolutamente vere nel suo caso: bellezza acqua e sapone, dolcezza, compostezza, semplicità e umiltà caratterizzano la personalità dell’attrice che riesce sempre a toccare il cuore del pubblico. Con immensa bravura, il sorriso sempre sul volto, e la capacità costante di mettersi in gioco, riesce anche questa volta a conquistare quasi 4 milioni di telespettatori, secondo i dati auditel Rai.

Donna e attrice eccezionale, sicuramente tra le più amate in Italia, la Mastronardi è quasi sicuramente destinata ad essere ricordata a lungo termine.

Alessandra Mastronardi in un’immagine promozionale del film “Carla”. Fonte: Rai

Film memorabile?

Lo è senza alcun dubbio. Per gli amanti e non dei film biografici, la pellicola racconta con maestria la storia di una delle donne che hanno fatto la storia del nostro Paese.

Carla raffigura l’incontro tra uno stagno e una libellula, che posandosi leggera sulla superficie dell’acqua, rende forte e chiaro il desiderio di volare … In questo caso con delle scarpette da punta, emblema della danza classica.

È così che viene messo un punto alla storia della ballerina più famosa e amata d’Italia.

“A te, étoile per sempre”

Marco Abate

 

 

Pronti, partenza, si ritorna ad Hogwarts

La sentite anche voi questa magia nell’aria? No, non mi riferisco a quella del Natale che si avvicina, ma a quella di Harry Potter, che incanta grandi e piccini ormai da 20 anni.

Saga cult del cinema fantasy, tratta dagli omonimi libri della scrittrice J.K. Rowling, Harry Potter ha fatto il debutto nelle sale cinematografiche americane il  16 novembre 2001, e in quelle italiane il 6 dicembre. Per festeggiare, il primo capitolo, Harry Potter e la pietra filosofale, ritornerà questo mese al cinema, dal 9 al 12.

Approfittando dell’occasione, noi di UniVersoMe abbiamo pensato di tornare un po’ bambini, dedicando questo articolo al maghetto più famoso del mondo!

Tutto iniziò da una cicatrice…

La cicatrice di Harry Potter. Fonte: Warner Bros.

Per chi non conoscesse la sua storia, Harry Potter (interpretato da Daniel Radcliffe) è un ragazzino orfano che vive una vita apparentemente normale con gli zii e il cugino Duddley a Privet Drive, 4: i genitori morirono quando aveva pochi mesi. Compiuti gli 11 anni di età, però, la sua vita cambia completamente: scopre di essere un mago, e non  un mago qualsiasi, ma l’unico che ancora in fasce è riuscito a sconfiggere ,anche se temporaneamente, colui che non deve essere nominato: il potentissimo Lord Voldemort.

La cicatrice sulla fronte è il segno che porta di quella notte, la  stessa notte in cui i suoi genitori morirono per proteggerlo.

Da questo momento inizierà a frequentare la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts e vivrà molte avventure con i suoi amici Ron (Rupert Grint) ed Hermione (Emma Watson), ma Voldemort continuerà ad apparire nella sua vita e a seminare terrore nella comunità magica.

L’universo Potter

Harry Potter store di Londra. Fonte: travel-network.co

La saga di Harry Potter è riuscita a permeare totalmente la cultura occidentale, fino a creare una sorta di fanatismo: attorno a questi film e libri si è venuto a creare un vero e proprio business!

I luoghi simbolo della storia sono diventati attrazioni per migliaia di turisti di tutte le età: ormai chiunque vada a Londra è disposto a fare ore e ore di fila per fare la foto nel binario 9 e ¾ . Nelle grandi città di tutto il mondo ci sono Harry Potter stores, dove è possibile acquistare gadget di tutti i tipi, dal comunissimo portachiavi alla bacchetta del vostro personaggio preferito!

Return to Hogwarts

Locandina del documentario. Fonte: HBO MAX

Il 6 dicembre, a esattamente 20 anni dalla prima nelle sale italiane, è stato presentato il primo teaser trailer del documentario Return to Hogwarts: l’uscita è stata programmata per il 1 gennaio del 2022 su Sky e Now. Già in questi pochi minuti però possiamo vedere che tutti gli attori principali parteciperanno, tra cui il “magico trio”  Radcliffe -Watson – Grint, ma anche Helena Bonham Carter, Ralph Fiennes Gary Oldman e molti altri, insieme al regista dei primi due film della saga Chris Columbus.

Nelle prime immagini di questo speciale retrospettivo vengono mostrati alcuni dei luoghi principali della storia come il binario 9 e ¾ e, ovviamente, Hogwarts.

Per l’occasione Sky creerà un canale dedicato, dal 1 al 16 gennaio: quindi, per chi non avesse ancora avuto l’occasione di vederli – o per chi volesse fare l’ennesimo rewatch – è proprio il momento perfetto!

L’assenza di J.K. Rowling

Un gufo con l’invito per questa reunion sembra essersi perso: proprio quello per la grande scrittrice degli otto libri, J.K Rowling!

Sfortunatamente non sembra essere un caso; inizialmente è stato comunicato che l’autrice della saga non era stata coinvolta nello speciale in quanto si è preferito concentrarsi sulla versione cinematografica piuttosto che sui libri.

La scrittrice J.K. Rowling. Fonte: huffingtonpost.it

Ma in verità è palese che la Rowling sia stata esclusa per via delle affermazioni considerate transfobiche fatte su twitter, poi in parte ritrattate dalla stessa, che ha ribadito il suo rispetto nei confronti delle persone trans e la sua denuncia verso ogni forma di discriminazione. Questo però non ha potuto cancellare del tutto la grande gaffe.

Il mago più famoso tra i “babbani”

Harry Potter non è semplicemente una saga cinematografica o letteraria, ma è diventato un fenomeno globale, ha accompagnato le generazioni di giovani nella crescita per gli ultimi venti anni e continuerà a farlo per molti altri ancora!

Ilaria Denaro 

 

Lina Wertmüller: una donna dietro la cinepresa

«Povera tua moglie se sei minuti sono un’eternità» rispondeva nel film Bohemian Rapsody un provocatorio Freddie Mercury al suo discografico.  Nella pop culture, in cui regna il paradigma del “breve ma intenso”, dei tweet sotto i 280 caratteri, delle ig stories di 24 ore, sfornare hit che durino più di tre minuti o film dal titolo Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici, era ed è a maggior ragione adesso una scelta folle, audace.

E audace è la parola giusta per descrivere il cinema e la personalità di Lina Wertmüller, la più celebre regista italiana, scomparsa ieri all’età di 93 anni.

La regista con la sua stella nella Walk of Fame. Fonte: tuttalativu.it

In un’epoca in cui le donne stavano solo davanti alla cinepresa, dive stupende ma semplice oggetto dello sguardo maschile sul mondo, la Wertmüller divenne la prima italiana a stare dietro la cinepresa. “Dietro” senza nascondersi, ma anzi distinguendosi come solo i grandi del cinema sanno fare, imprimendo il proprio timbro di originalità e ribellione. 

Solo una regista della sua statura poteva passare dai musicarelli con una frizzante Rita Pavone a opere commoventi come Io speriamo che me la cavo (1992), passando per le commedie e il cinema d’impegno politico anni ’70.

Difficile percorrere la sua intensa carriera, premiata nel 2020 con un Oscar onorario, in un solo articolo. Ci basterà però parlarvi di tre film significativi, incrociando le dita nella speranza che, finito di leggere, correrete a guardarli!

3 must di Lina Wertmüller 

1) Tutto a posto niente in ordine (1974)

Scritto e diretto interamente dalla nostra regista, la pellicola narra la storia di gente meridionale costretta ad abbandonare la propria terra per cercare fortuna nel settentrione.

Il film è ambientato a Milano, città che “va veloce”: già dai primi fotogrammi notiamo come tutti corrono a lavoro e nessuno si ferma mai, nemmeno negli scontri accidentali.

I protagonisti sono Gino (Luigi Diberti) e Carletto (Nino Bignamini); appena mettono piede nel “futuro”, ai due succederà la qualunque, tanto che rimarranno meravigliati di come il Nord sia così diverso dal sud anche negli atteggiamenti dei suoi abitanti che corrono tutti così velocemente.

Operai che protestano in una scena del film. Fonte: Euro International Film

Lina porta in scena la classe operaia di Milano, costituita principalmente da meridionali, e lo sfruttamento del capitalismo nonché le proteste che fa nascere.

Tutto a posto e niente in ordine ci mostra come il più delle volte l’essere umano, anche se animato da buone intenzioni, sia costretto dalle circostanze della vita a sporcarsi le mani e di come l’ingenuità dei protagonisti, stanchi dell’umiliazione e delle etichette imposte dalla società, venga sfruttata dai più forti.

2) Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974)

Osannato e imitato senza successo anche all’estero, il film è una perla di cinema d’autore su cui si potrebbe scrivere un intero trattato.

 La trama sembrerebbe delle più trite e banali: la ricca polentona si innamora del povero terrone come nelle favole la principessa del ranocchio.  Ma Travolti da un insolito destino non ha niente della tenerezza zuccherosa della fiaba o degli stereotipi della commedia leggera: è una storia drammaticamente realista condita da comicità tagliente, sesso e passione travolgente (ecco perché il titolo sebbene chilometrico si addice alla perfezione!).

E’ originale in tutto, partendo dai dialoghi veloci intrisi di critica sociale, finendo alla caratterizzazione dei suoi protagonisti: Gennarino (Giancarlo Giannini), il “troglodita” ma intelligente marinaio siciliano e la signora Raffaella Pavoni Lanzetti (Mariangela Melato), la “pu***na industriale” dall’accento meneghino.

Giancarlo Giannini e Mariangela Melato in una scena del film. Fonte: Medusa Film

I due, finiti su un’isola deserta, si innamoreranno, rompendo le convenzioni della società classista, ma riproponendo – stavolta ribaltata – quella dialettica servo-padrone che vedeva il marinaio sottomesso. Gennarino qui diverrà “signore” e Raffaella sua “schiava per amore”. Sbaglia però chi vede in questo rapporto di sottomissione una scivolata maschilista della regista. La Wertmüller ha infatti sottolineato come il suo intento fosse mettere in scena un’analisi della contrapposizione Nord/Sud e borghesi/operai.

Un’analisi lucida ma anche molto divertente!


3) Pasqualino Settebellezze (1975) 

La pellicola candidata a quattro Premi Oscar nel 1977 ( regia, attore protagonista, film straniero e sceneggiatura originale) ha consacrato la cineasta romana rendendola la prima donna candidata agli Academy Awards come miglior regista e facendola entrare nella storia del cinema.

Il film è ambientato nella Napoli degli anni ’30, la città in cui l’arte scorre nelle vene dei suoi abitanti.

Il protagonista è Pasquale Frafuso (Giancarlo Giannini), da tutti conosciuto come Pasqualino “settebellezze” per essere l’unico maschio in una famiglia di sette donne. E’ un soldato che, dopo essere scappato da un treno diretto al fronte assieme al commilitone Francesco, cerca di sfuggire dalla morte, attraversando la Germania. La fuga viene interrotta dalle SS che deportano i due in un campo di concentramento.

Giancarlo Giannini in una scena del film. Fonte: Medusa Film

Qui ormai abbattuto, Pasqualino ripercorre la sua vita passata. Dai suoi ricordi, sbirciamo come sia stato condannato per varie cause. Tra queste l’aver ucciso, accecato dalla rabbia, l’uomo che aveva indotto la sorella a prostituirsi. Dopo quella vicenda Pasqualino verrà soprannominato “il mostro di Napoli”.

Il film dopo i ricordi ritorna al presente in cui Pasqualino, per salvarsi dalla prigionia del lager, userà l’astuzia andando contro i suoi stessi compagni e la morale.

Lina Wertmüller assieme a Giancarlo Giannini. Fonte: lasinistraquotidiana.it

Pasqualino settebellezze è un film sublime sulle ingiustizie e gli orrori che la popolazione ha dovuto affrontare a quell’epoca. La regista anche qui è geniale perché non sceglie un eroe come protagonista, ma un antieroe, un folle arrogante che vive con il credo dell’ insolenza e per cui nonostante tutto il pubblico prova pena.

Lina Wertmüller è riuscita con grande maestria a interrogare lo spettatore, ponendogli domande che solo il più attento però riesce a cogliere. E’ giusto che Pasqualino viva tutto ciò considerati i suoi gesti abominevoli? O lo perdoniamo perché la sopravvivenza spinge l’essere umano a compiere determinate nefandezze?

L’arte per gli ultimi

I film di Lina Wertmüller sono vere e proprie opere di denuncia sociale, che rappresentano la realtà con eleganza, a volte con ironia, altre con crudezza, puntando spesso il dito verso il patriarcato e le ingiustizie sociali.

Ci mancherà la regista dagli occhiali bianchi, che è riuscita in un mondo maschilista a lottare, usando l’intelletto e la cinepresa, la sua «arma politica preferita».

“Amare è essere impegnati, è lavorare, è avere interessi, è creare.”

 

   Alessia Orsa, Angelica Rocca

Strappare lungo i bordi: un successo Netflix tutto italiano

Alla prima prova con l’animazione, Zero Calcare dimostra ancora la forza delle sue storie e del suo modo di esprimersi – Voto UVM: 4/5

Strappare lungo i bordi è la nuova serie Netflix di punta, scritta e diretta (nonché recitata in buona parte) da Michele Rech, in arte Zero Calcare, fumettista principale del panorama italiano con all’attivo più di un milione di copie vendute dei suoi libri (qui una nostra recensione di un’altra sua opera).

Zero è riuscito ad ottenere il suo attuale successo grazie ad una particolare ricetta: drammi di vita vissuta, continui richiami alla cultura pop e soprattutto una grande vicinanza a temi molto cari alla sua generazione nata negli anni ’80. Questi sono gli ingredienti che lo hanno reso famoso e fatto diventare iconico in Italia al pari di fumetti come Dylan Dog e Topolino. La sua arte viene infatti riconosciuta ormai da chiunque ed è diventata tanto rappresentativa da essere usata per opere come il murales di Rebibbia (quartiere dove vive il fumettista).

Ma come si traduce questa formula in serie tv?

E’ riuscito il fumettista a traslare il suo metodo narrativo sul nuovo media?

Uno stile di vita complessato

La serie racconta, alternandole, le vicende dello Zero bambino, adolescente e poi adulto creando una matassa di racconti che, come la vita del protagonista, andrà sbrogliata nel corso del tempo. Gli altri personaggi sono Secco, Sarah e Alice che passeranno la vita assieme tra progetti, corse e cadute.

Roma è il palcoscenico dell’intera vicenda, vissuta dall’interno col suo dialetto che qui assume quasi un ruolo da protagonista, con il suo parlato marcato e rude che riflette in qualche maniera anche la storia dei personaggi. L’uso del romanesco è utile proprio in tal senso: benché possa risultare in certe situazioni una parlata pesante e difficile da seguire, la vita di Zero va raccontata col suo linguaggio. Una lingua sporca per una storia sporca!

Anche Valerio Mastandrea nel ruolo dellArmadillo fa un ottimo lavoro ed accompagna bene il parlato degli altri personaggi.

Sarah e Zero. Fonte: Netflix

Il continuo flusso di coscienza del protagonista aiuta sicuramente in questo senso, permettendoci di cogliere le continue paturnie di un bambino che ancora non comprende per chi e per quale motivo fa le cose o di un adolescente timido ed in piena crisi ormonale. Crisi che se da un lato vede fermarsi le eruzioni cutanee continua anche in età adulta, quando le vere responsabilità bussano alla porta e magari ci si trova impreparati ad affrontarle: un continuo dilemma che il protagonista si ritrova a fronteggiare assieme ai suoi amici stretti.

Dal fumetto all’animazione 

Quello tecnico è poi un altro importante e cruciale aspetto di cui parlare: sebbene il tratto del fumettista Zero non sia mai stato utilizzato per questo tipo di produzione, è subito chiaro che il lavoro ravvicinato del regista con gli autori delle animazioni abbia aiutato in quel senso. Lo stile dei libri è stato traslato in maniera perfetta: il carattere frenetico ed abbozzato dei fumetti viene perfettamente tradotto in movimento.

Anche la colonna sonora si unisce bene al racconto, con brani tratti dalla discografia di vari artisti pop tra cui Tiziano Ferro, Manu Chao, Ron ed altri. Giancane si è poi occupato di un intero album realizzato unicamente per la serie in cui figura anche la sigla di apertura.

Zero, il protagonista della serie

 

Tirando le somme, Strappare lungo i bordi è un prodotto che parla a molti e molto intimamente, commuovendo ed emozionando con una grande dose d’ironia.

Lascia un retrogusto di malinconia e tristezza ma anche di serenità: perché alla fine, per quanto tutto possa essere difficile, non sempre dobbiamo portare tutto il peso sulle nostre spalle. Ci sarà sempre qualcuno con cui parlare, basta solo cogliere il momento.

Matteo Mangano

Spinning Out: ciò che nasconde un sorriso

  

Serie tv che valorizza l’importanza di certi aspetti e temi sottovalutati, legati alla salute mentale e allo sport. Lavoro eseguito egregiamente – Voto UVM: 4/5

 

Il termine inglese “spinning out” può assumere vari significati, uno dei quali è “impazzire”. Può significare anche “sfuggire (di mano)” o “andare fuori (controllo) ”. Titolo perfettamente rappresentativo, metaforicamente, dell’omonima serie tv.

La serie

Il 1° gennaio 2020, a deliziarci le giornate durante l’inizio di quella che era ancora un’epidemia, viene pubblicata su Netflix la serie televisiva Spinning out, ideata e diretta da Samantha Stratton.

Una serie interamente incentrata sulla vita di Kat Baker (Kaya Scodelario), una ragazza che insegue un sogno … Un sogno che viene interrotto: Kat pratica pattinaggio artistico sul ghiaccio ed è una grande atleta fino al momento dell’incidente sui suoi stessi pattini che la porta ad abbandonare la carriera individuale.

Ma la passione continua a chiamarla, il fuoco dentro di sé arde ancora forte, il suo sogno è lì, su una pista ghiacciata ad attenderla. Decide così di affrontare il suo incidente, le sue paure, e si rimette in carreggiata, ma stavolta non sarà sola. Per la prima volta entra nel mondo del pattinaggio in coppia, con Justin Davis (Evan Roderick), un ragazzo apparentemente pronto a distruggere chiunque pur di pattinare.

Kat Baker (Kaya Scodelario) e Justin Davis (Evan Roderick). Fonte: Netflix

La storia di Kat, però, è costantemente tormentata e instabile e ciò è dovuto al disturbo bipolare trasmesso geneticamente dalla madre, che la porta spesso ad allontanarsi o a far allontanare le persone che ama.

La protagonista non si arrende, continua a combattere, imperterrita, forte e coraggiosa, ma la sua malattia la ostacola in maniera irreversibile, causando problemi non solo alla sua vita sociale, ma influenzando negativamente la sua carriera agonistica e professionale.

Lo stop di Netflix

A distanza di solo un mese dalla premiere di Spinning Out sulla rete globale, la piattaforma streaming a cui appartengono i diritti, Netflix, decise di non rinnovarla per una seconda stagione. La motivazione sarebbe stata quella del mancato raggiungimento del minimo audience sperato durante il primo mese.

Ma Netflix ha tenuto in considerazione i risultati successivi a questo periodo Evidentemente no. Un mese dopo l’uscita, la serie ha iniziato a ingranare con gli ascolti, arrivando nelle case di milioni di persone e intasando i social di foto, video e recensioni positive, seppur contrarie a quelle dei critici.

Kaya Scodelario in un’immagine promozionale della serie tv

A mio modesto parere, questo “insuccesso” iniziale è dovuto al fatto che è stato creato un progetto totalmente diverso dal solito, dai prodotti tagliati su misura per il compiacimento del grande pubblico. Una serie con scarso potenziale commerciale quindi, seppur assolutamente meritevole di una seconda chance.

I fan, alla notizia, hanno reagito in tutta risposta creando petizioni e raccogliendo migliaia di firme, ad oggi purtroppo inutili.

Attori pattinatori o controfigure?

Volete sapere chi tra degli interpeti si è lanciato realmente nell’impresa del pattinaggio artistico?

  • Partendo dai protagonisti Kaya Scodelario ed Evan Roderick, diversi attori hanno fatto ricorso a controfigure per difficoltà quali salti e trottole;
  • C’è chi invece si è messo in gioco. Si parla della sorella di Kat, Serena Baker, interpertata dall’ormai conosciuta da tutti Willow Shields, nota per il suo ruolo di Primrose Everdeen in Hunger Games. Mesi prima delle riprese decise di iniziare ad allenarsi sul ghiaccio come una vera professionista;
  • Infine, tra le comparse, vi sono veri pattinatori e campioni olimpici, tra i quali Johnny Weir ( Gabriel Richardson nella serie, il più grande rivale di Justin).

Da guardare ?

A parer mio, il tema del bipolarismo viene affrontato magistralmente dagli attori e, naturalmente, dagli sceneggiatori, che escono dagli schemi delle solite tematiche trattate attualmente e quotidianamente nel mondo e rompono la monotonia per mettere in risalto un argomento oscuro e ignorato dalla maggior parte degli spettatori.

Tutto ciò raccontato attraverso uno sport anch’esso fuori dal comune, esteticamente incantevole, adatto a tener incollati alla tv milioni di persone. Sembra essere il pattinaggio la bocca della verità, ed è attraverso questa forma d’arte che lo spettatore viene indotto a concentrarsi sugli aspetti della sindrome bipolare: il cambio d’umore, e come questo influisce sulla vita di una persona indifferentemente dal tempo e dal luogo. Lavoro ben riuscito che ha coinvolto e colpito persone di ogni fascia d’età!

Scena tratta da “Spinning Out” (Justin Davis e Kat Baker)

Scene di dure realtà si alternano alla vita comune degli adolescenti: il loro rapporto con la famiglia, la loro continua lotta con l’esistenza e la resa dei conti con sé stessi.

È sicuramente una serie da guardare per prendere conoscenza di questa realtà, riflettere sull’importanza della salute fisica e mentale, su valori quali amore e amicizia, su aspetti talvolta dati per banali e scontati, su ipotetiche situazioni difficili da dover fronteggiare. E infine – ma non per importanza – per l’originalità dei creatori di portare sugli schermi uno sport artistico col quale comunicano e da cui traggono ispirazione.

Disturbo bipolare: di cosa si tratta?

Il bipolarismo, definito anche “disturbo bipolare”, è una patologia psichiatrica caratterizzata da instabilità dell’attività psichica. Si verifica una rottura di quello che è l’equilibrio timico, ovvero un’anomalia patologica del tono dell’umore.

Ne esistono diverse varianti, ma nella classica forma di disturbo bipolare tipo I ,si alternano due momenti (o fasi):

  • La fase depressiva, caratterizzata da tono dell’umore molto basso, tanto da portare il soggetto a non provare alcun tipo di piacere (anedonia) fino al ricorrente pensiero del suicidio. Può manifestarsi anche attraverso alterazioni del sonno e dell’appetito, riduzione della memoria e della capacità di concentrazione e sintomi psicosomatici;
  • La fase maniacale, caratterizzata invece da tono dell’umore particolarmente elevato, il cosiddetto eccitamento, che porta il soggetto a compiere atti impulsivi e azioni pericolose, perdendo totalmente la capacità di valutarne rischi e conseguenze. Può inoltre manifestarsi attraverso rabbia e aggressività.

Fonte: ohga.it

La terapia, di pertinenza psichiatrica, è molto complessa. Si basa sull’assunzione di farmaci stabilizzanti dell’umore, ma anche antidepressivi e antipsicotici, a seconda delle fasi prevalenti della malattia, sotto attenta e costante supervisione medico-specialistica.

Marco Abate

Promising Young Woman: chi è il mostro?

Davanti al male nel mondo, ai crimini più efferati della storia, ci si consola facilmente nella convinzione che il colpevole sia un mostro, un pazzo, un individuo atipico affetto da chissà quale disturbo psichico che l’ha portato a perdere il lume della ragione. Possiamo sentirci al sicuro nella folta schiera dei comuni mortali, noi esseri “normali”, noi persone ragionevoli a cui non capiterà mai di diventare i cattivi di una brutta storia.

Lo deduciamo più volte leggendo diversi libri: Hitler era un folle. Ma dov’era un’intera nazione che si è resa complice col silenzio di un genocidio? Lo riscontriamo spesso nelle pagine di cronaca: stupratori e assassini assumono le sembianze di demoni da film horror che raramente ci capiterà di incontrare aprendo la porta di casa. Ma dov’è la società che ha educato quei mostri, la brava gente che si volta dall’altra parte quando un uomo osa aggredire una donna?

Promising Young Woman: immagine promozionale. Fonte: Universal Pictures

Una critica spietata e originale a una società che si adagia sui comodi allori del proprio perbenismo, complice della rape culture, è Promising Young Woman (2021), film della regista esordiente Emerald Fennel, premiato agli Oscar per la miglior sceneggiatura originale e trionfante anche ai BAFTA come miglior film britannico.

Una giovane promettente

Cassandra “Cassie” Thomas (una talentuosissima Carey Mulligan) è una giovane donna alla soglia dei trenta che lavora in una caffetteria e vive ancora con i suoi genitori, ma fino a qualche anno addietro sembrava “promettere bene”. Studentessa modello di medicina, si distingueva per intelligenza tra i suoi mediocri compagni di corso che però adesso sono tutti laureati e pienamente realizzati nella loro vita professionale e relazionale. Il treno che ha fatto deragliare l’esistenza di Cassie è stata la tragedia dell’amica di una vita, Nina, suicidatasi perché stuprata dallo “studente modello” Al Monroe (Chris Lowell) mentre si trovava ubriaca e inerme ad una festa universitaria.

Carey Mulligan in “Promising Young Woman”. Fonte: LuckyChap Entertainment

Da quel momento Cassie ha rinunciato al sogno di diventare medico e si è posta un solo obiettivo: vendicare la propria amica. Una piccola vendetta che mette in atto già ogni sera quando si finge ubriaca nei locali lasciando che qualche uomo gli si avvicini con l’intenzione di approfittarsene, per poi “svegliarsi” e rivelare di essere sobria, terrorizzando il tizio in questione. Ma la vendetta non si fermerà qui e i piani della protagonista riveleranno il suo carattere di donna promettente.

Quei bravi ragazzi

La vendetta di Cassie si articolerà in un crescendo di colpi astuti in cui i personaggi che la circondano si riveleranno a poco a poco complici di un sistema più grande che copre col silenzio il carnefice ed è pronto ad affibbiare la colpa ad una povera ragazza ubriaca.

La sceneggiatura tagliente – firmata dalla stessa Fennel – di questa commedia dalle tinte noir, non risparmia nessuno dalla macchia della responsabilità nel dramma di una donna abusata. Nessuno ne esce pienamente innocente. A partire dai “bravi ragazzi” che si avvicinano ogni sera a Cassie perché la credono incapace di difendersi, passando per Ryan (Bo Burnham), il dolce collega dagli occhi chiari che dopo anni riprende a corteggiare la protagonista, finendo con le donne. Donne omertose, donne complici e sorde alla verità scomoda che preferiscono liquidare con uno stereotipato “se l’è cercata!”.

Cassie si “mette nei guai”

In Promising Young woman non esiste un mostro (al massimo uomini stupidi e volgari), perché mostruosa è l’intera situazione nonostante i toni a volte divertenti. Mostruosa è un’intera società figlia di secoli di cultura maschilista, che va avanti cieca e silenziosa di fronte alla violenza sulle donne.

Al di fuori di questo giro di ipocrisia e perbenismo, che insabbia un reato per innalzare sul trono della scala sociale quello che in realtà è solo un delinquente, si “salva” solo Cassie, decisa ad andare contro tutto e tutti pur di far trionfare il suo ideale di giustizia e di amicizia sincera. Cassie, anche nelle scelte apparentemente più folli, dimostra la dignità e la perseveranza di un’eroina classica, disposta a sacrificarsi ad un tragico destino pur di rimanere voce fuori dal coro che grida una verità che nessuno vuole sentire. Ci piace pensare che la scelta del suo nome non sia un caso: Cassandra nell’Iliade era infatti la profetessa inascoltata dal proprio popolo.

Sguardo di donna

Azzeccate anche le scelte stilistiche della regista a partire dai colori pastello delle scenografie fino a canzoni pop come Toxic rivisitate dai violini, passando per i visi puliti di molti attori che evocano allo spettatore la “banalità del male”. Emblematico a questo proposito Jerry, il primo uomo che rimorchia Cassie ubriaca in un locale. Il personaggio è interpretato da un più maturo e inedito Adam Brody (il Seth Cohen di The O.C.), volto che per ovvie ragioni associamo al bravo ragazzo di buona famiglia.

Adam Brody e Carey Mulligan in una delle prime scene del film

In Promising Young Woman nessun dettaglio è lasciato al caso e ogni piccola inquadratura, ogni primo piano rivela lo sguardo femminile su quello che è “il peggior incubo per ogni donna.” Un incubo in cui non esistono mostri o pazzi furiosi, ma solo un inquietante silenzio in cui tutti rischiamo di cadere. A meno che non decidiamo di svegliarci.

Angelica Rocca

Tess dei d’Urberville: la storia di un’eroina romantica per raccontare la violenza sulle donne

Celebrare oggi  la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne è un ulteriore passo in avanti per riconoscere questa piaga come fenomeno sociale da combattere. Un piccolo passo vogliamo farlo anche noi, in ricordo delle tante vittime, per esprimere a modo nostro la vicinanza a tutte coloro che vivono tali situazioni, nella speranza che questi atti disumani possano cessare.

Proseguiamo perciò nella nostra rassegna di opere che trattano la violenza di genere attraverso la storia di una donna, raccontata dalla sapiente penna di Thomas Hardy nel romanzo Tess dei d’Urberville.

Tess e la sua storia

Nelle campagne dell’Inghilterra vittoriana cresce Tess, giovane pura e di una bellezza incantevole, discendente di una nobile famiglia ormai caduta in disgrazia.

Il lungo viaggio di Tess comincia quando viene mandata dal padre ubriacone a reclamare, in un ridicolo e improbabile tentativo “la parentela” con una ricca e (ig)nobile famiglia, i d’Urberville, dando inizio ad una serie di drammatici eventi che stravolgeranno la vita della giovane.

Purtroppo, né la sua bellezza né l’innocenza, salveranno Tess da un destino di consumanti passioni e di alti ideali contrapposti al degrado a cui la fanciulla andrà incontro.

    “È infrequente che l’uomo da amare coincida con l’ora dell’amore.”

Tess (Gemma Arterton) e Angel Clare (Eddie Redmayne) nell’omonima serie BBC. Fonte: BBC

La vita di Tess verrà segnata dall’incontro con Alec d’Urberville, bello, ricco e potente, il seduttore che cercherà di manipolarla, incantandola e portandola sulla strada sbagliata,un uomo al quale la giovane sembra legata da un vincolo più forte della disperazione e di ogni sentimento.  Sarà l’inizio della fine della giovane vita di Tess che la porterà a crescere troppo in fretta. Dalle continue e maliziose vessazioni si arriverà addirittura allo stupro, tragedia che condannerà il futuro di Tess.

Dall’altra parte l’incontro con Angel Clare, amore di gioventù appena intravisto, a lungo sognato, posseduto, perduto e ritrovato, che sarà un piccolo spiraglio di felicità per la ragazza. Tess, sentiti per la prima volta i sintomi dell’amore, si appoggerà completamente a lui, affidandogli non solo il suo cuore ma il proprio destino, arrivando a fare di tutto pur di non ferirlo e macchiare il suo nome.

Ma proprio quando la protagonista sembrava aver trovato la felicità, ecco trovato un insormontabile ostacolo: la macchia del passato “disonorato” dallo stupro. Il suo amore puro e disinteressato non le permetterà d’ingannare l’amato che, scoperta tale macchia, non riuscirà a perdonare la “colpa” della giovane donna (come se fosse una sua colpa!) e la lascerà in preda allo sconforto più totale.

Tess per tutto il racconto vivrà avvenimenti che la porteranno a logorarsi sempre di più senza avere la forza necessaria per lottare e opporsi bensì si lascerà andare alla mercè degli eventi.

Solo alla fine la giovane troverà la forza per un ultimo gesto violento e disperato per porre fine alle innumerevoli ingiustizie di cui è stata vittima.

Tess (Nastassja Kinski) nella trasposizione cinematografica del 1969, regia di Roman Polanski. Fonte: Claude Berri

Tess in definitiva è l’ultima eroina di fine Ottocento, ancora attualissima per la sua forza d’animo e la sua rettitudine, frutto di una personalità determinata e dolce, fragile e coraggiosa allo stesso tempo. Diventata vittima di un sistema più grande di lei, alla fine, in un modo certo del tutto “singolare”, senza alcuna pateticità, riesce almeno per una volta a prendere in mano la propria sorte, guardandola dritto in faccia, ormai senza paura.

Un romanzo pienamente attuale

Di forte impatto emotivo, Tess dei D’Uberville ha sin dalla sua pubblicazione diviso critica e lettori e allarmato schiere di bigotti e moralisti che inorridivano all’idea di una storia che colpiva al cuore la morale vittoriana. Definito come vile e a tratti pieno di falsità, il romanzo è stato anche esaltato come il più potente degli scritti di Hardy. In Tess il vettore del conflitto attraversa ogni pagina del libro, che affronta, senza alcun falso pudore, temi scabrosi e audaci.

Anche in questo libro Hardy, mette in primo piano le debolezze umane, rendendole protagoniste nei volti dei personaggi, che sperando in una vita migliore si trovano a scontrarsi con un ostile fato.

Tess dei D’Uberville, edizione Fabbri Editori. Fonte: blog la spacciatrice di libri

Un libro che aiuta a riflettere su quanta strada abbiano fatto le donne, quante lotte e quanto vittorie conquistate. La storia mette in risalto – scatenando a tratti un senso di nausea – le disumane condizioni delle donne in epoca vittoriana, ritenute colpevoli anche quando erano vittime innocenti (situazione che viviamo ancora oggi), maltrattate solo perché donne.

Gaetano Aspa