Shin Nosferatu: il vampiro secondo Recchioni

Nosferatu
Shin Nosferatu da un nuovo volto al conte Orlock – Voto UVM: 5/5

Cosa otteniamo quando uniamo un fumettista italiano, uno stile di disegno che si richiama a diversi autori leggendari nell’ambito della nona arte, e una delle creature più iconiche del panorama della narrativa horror? Otteniamo Shin Nosferatu di Roberto Recchioni.

Breve storia di Nosferatu

Uscito per la prima volta nel 1922, Nosferatu di Murnau è uno dei film più famosi del cinema espressionista tedesco, nonché un tassello essenziale della storia del vampiro. Esso nasce come una sorta di plagio del Dracula di Bram Stoker, ma il regista non aveva i diritti del libro, e ha quindi reinventato diversi aspetti della storia, tra cui l’aspetto del vampiro stesso, che da nobile gentiluomo eccentrico com’era nel romanzo, diventava ora un emaciato nobile dall’aspetto malato e cadaverico. Questo “fratellastro” di Dracula è diventato famoso tanto quanto la controparte letteraria, plasmando la figura del vampiro, e venendo reinterpretato in numerose varianti, non ultime il recente Nosferatu di Robert Eggers, uscito pochi mesi fa nelle sale, e appunto la versione di cui parliamo, Shin Nosferatu, volume che si fa erede tanto della tradizione del conte Orlok quanto di una serie di autori leggendari nel panorama della nona arte.

Il nuovo vampiro

Shin” in giapponese può significare sia “vero” che “nuovo”. E probabilmente, lo “shin” di Shin Nosferatu mantiene entrambi questi significati; infatti, Roberto Recchioni, già curatore della storica serie Dylan Dog, preserva tutti quegli elementi di cui la storia del conte Orlok vive, incluse anche alcune scene iconiche del film originale, ma anche li rielabora in una veste particolare, ispirata a vari autori, sia occidentali che giapponesi, come Kentaro Miura (Berserk), Hideaki Anno (Neon Genesis Evangelion, Shin Godzilla), ma soprattutto a Go Nagai (Devilman). Tramite questo mix di tradizione e reinvenzione, il vampiro di Recchioni è sia “vero” che “nuovo” allo stesso tempo.

Il conte Orlock Nosferatu
il Nosferatu di Recchioni in una tavola che omaggia Devilman

Come si manifesta l’orrore

Se nel film di Murnau, ma anche in quello di Eggers, l’orrore nasce per la maggior parte dalla presenza del vampiro, dall’aura che egli emana e che si fa sempre più opprimente man mano che la vicenda prosegue, Recchioni rincara la dose, dando al suo conte Orlok una mimica che solo il fumetto poteva conferire. Infatti, se il Nosferatu di Murnau spaventava col suo aspetto malato e venefico, e quello di Eggers si serve della sua voce dura e imperiosa, quello di Recchioni ha un’espressività che deve molto ad alcune tavole iconiche di Devilman, ma non solo, perché sono presenti anche immagini che si richiamano al film originale, richiami ad altri autori poco sopra nominati, e persino una tavola che richiama direttamente Il bacio di Gustav Kilmt, col vampiro che sovrasta la sventurata Ellen Hutter.

Shin Nosferatu
Recchioni disegna Nosferatu come se fosse “Il bacio” di Klimt

L’atmosfera

A contribuire a rendere spaventoso il Nosferatu di Recchioni sono anche le ambientazioni in cui si svolge la storia: oscure, sempre buie, spesso avvolte dalla tempesta. Ma, cosa forse più importante, silenziose: infatti, una particolarità di questo fumetto è l’assenza di baloons, ossia le nuvolette in cui sono scritti i dialoghi o i pensieri dei personaggi. Shin Nosferatu ne è del tutto privo, e le poche parole che compaiono nel corso del volume sono tratteggiate direttamente sulle tavole, sono parte dei disegni stessi. Il lettore sente così tutto il peso opprimente di un male antico, in un certo senso seducente (la sessualità morbosa è sempre stata un elemento importante per i vampiri, prima ancora di Dracula), che soffoca i protagonisti, il cui numero qui è ridotto solo ai coniugi Hutter, e soprattutto Ellen, che si ritroverà da sola contro questa creatura implacabile.

Un per sempre che non fu

Ellen deve quindi vedersela da sola contro il vampiro che viene per lei. Se in Dracula, e anche nel Nosferatu originale, la giovane Hutter ha al suo fianco il marito e altri personaggi, Recchioni li elimina tutti: Thomas Hutter muore in Transilvania, dove si era recato per concludere l’affare col conte, mentre il professor Van Helsing e gli altri personaggi non sono nemmeno accennati. Thomas aveva lasciato Ellen promettendole un fiabesco “per sempre“, ed è con la medesima promessa che il Nosferatu la raggiunge, e, come da tradizione, cerca di farla sua, ma invano. Il “per sempre” passa dalla fiaba all’orrore, e qui si interrompe bruscamente, e il volume si chiude con un’altra, ultima citazione a uno dei momenti più tragici e famosi del Devilman di Nagai.

Per chi ama la figura del vampiro, o in generale le storie dell’orrore, Shin Nosferatu è un volume assolutamente da recuperare, in grado di sprigionare un vecchio orrore in una nuova forma che non manca di omaggiare numerosi autori, sia di fumetti quanto dell’arte in generale.

Milazzo Film Fest 2025: La Vita Accanto

La Vita Accanto è un film del 2024, co-scritto (insieme a Marco Bellocchio) e diretto da Marco Tullio Giordana. È l’adattamento cinematografico del romanzo di Mariapia Veladiano e vanta un cast composto da Sonia Bergamasco, Valentina Bellè, Paolo Pierobon, Beatrice Barison, Sara Ciocca, Viola Basso e altri.

Trama

Il film è ambientato tra gli anni Ottanta e il Duemila e racconta di un’influente famiglia vicentina composta da Maria (Valentina Bellè), suo marito Osvaldo (Paolo Pierobon) e la gemella di quest’ultimo, Erminia (Sonia Bergamasco), affermata pianista. La loro vita viene sconvolta da un evento imprevedibile: Maria dà alla luce Rebecca.

La neonata, per il resto normalissima e di straordinaria bellezza, presenta un vistosa macchia purpurea che le segna metà del viso. Quella macchia, che nulla può cancellare e rende i genitori impotenti e infelici, diventa per Maria un’ossessione tale da precipitarla nel rifiuto delle sue responsabilità di madre. L’intera adolescenza di Rebecca sarà segnata dalla vergogna e dal desiderio di nascondersi dagli altri.

Eppure, fin da piccola, Rebecca rivela straordinarie capacità musicali. La zia Erminia riconosce il suo talento: Rebecca diventa sua allieva e il bisogno di cancellare la “macchia” la spingerà ad affermarsi attraverso la musica.

Il tocco elegante di Giordana

Marco Tullio Giordana è un regista italiano affermato, che ha saputo spaziare tra il cinema, televisione e teatro. Ha sempre raccontato le storie con una maestria particolare, senza cadere nel banale, anche quando si è trovato ad adattare sceneggiature non originali.

Spesso, pensando alle pellicole di Giordana, vengono in mente film come La meglio gioventù, I cento passi, Lea e altre opere che, da una prospettiva ben definita, affrontano dinamiche sociali o fatti di cronaca. Questa volta, è stato il romanzo di Mariapia Veladiano a catturare l’attenzione del regista, o forse è stato il libro a scegliere lui, come se il destino avesse voluto che le loro strade si incrociassero. E Giordana, ha usato il tocco giusto.

La Vita Accanto
Fonte: MyMovies.it

La “vita accanto” e la macchia della famiglia

La macchia rossa in questione è quella della piccola Rebecca, la protagonista del film. Una bambina bellissima, nata dall’unione di Maria e Osvaldo, che però, fin dal  momento della  nascita, non viene accolta dalla madre. Questo segna profondamente la bambina, poiché la madre dovrebbe essere la figura più importante della sua vita. Invece, Maria si rivela un personaggio contraddittorio e oscuro con cui, inizialmente, si fa fatica ad entrare in empatia. Utilizza le sue fragilità e la sua depressione come una sorta di scusa per allontanare la figlia e farla sentire inadeguata, colpevolizzandola per via di quella macchia che, secondo lei, avrebbe rovinato quella bambina tanto voluta.

Giordana mirava proprio a questo: entrare in quelle quattro mura e, sfiorando a tratti un tocco teatrale, raccontare una famiglia appartenente all’alta borghesia, spezzandone le ipocrisie e mostrando le loro fragilità e paure. Tutto questo, si incarna figura della madre, venendo fuori quando sprofonda nella depressione post-parto che si fa totalmente schiacciare da essa e dalla paura del giudizio altrui, tanto da voler tenere sua figlia nascosta, come se fosse il Gobbo di Notre Dame.

Dall’altra parte, Rebecca ha quella macchia, ma trova forza nel suo talento musicale, incoraggiata dalla zia Erminia. La musica diventa l’unico modus operandi per esprimere il peso che porta dentro e colmare il senso di vuoto. Man mano che cresce, si fa sempre più forte, mentre la sua evoluzione è in corso, nella madre sta avvenendo l’involuzione, fino a percepirla sempre più distante. Una “vita accanto” che scorre fino a quando un evento drammatico spinge la piccola a prendersi sulle spalle altre colpe.

La Vita Accanto
Fonte: Articolo21.org

Il finale che segna una rinascita

Il film scorre con una regia elegante, spesso in contrasto con un montaggio non sempre fluido, che crea passaggi bruschi tra le diverse fasi della vita della protagonista, talvolta sovrapponendo gli anni e generando qualche disorientamento temporale.

Tuttavia, è il corpo il vero fulcro della narrazione del regista, che si sofferma sull’identità imprescindibile e sull’apparenza sociale. Tutto è reso efficacemente in scena, a tratti statica, anche grazie alla presenza di bravissimi attori.

Tutto questo, sfiorando persino la dimensione della fantasia, conduce a un finale che, in un certo senso, segna la rinascita della protagonista. Quel dialogo con quel fantasma che è rimasto accanto a lei per tutta la vita, sia fisicamente che mentalmente, rappresenta il momento decisivo. La continua ricerca di consapevolezza segna la fine di quel passaggio difficile, e dalle ceneri rinasce una nuova Rebecca, più consapevole e pronta per la “normalizzazione”. Si può dire che la sua vita inizia in quel momento, non perché la macchia sia sparita, ma perché ha raggiunto l’equilibrio interiore e si è, finalmente, liberata di quei pesi. La macchia era il simbolo metaforico del peso di una madre che non è mai stata davvero accanto a lei, ma ora che ha scoperto la verità, Rebecca la guarda da un’altra prospettiva ed è finalmente pronta a vivere davvero, spiccando il volo.

 

Giorgio Maria Aloi

 

Follemente: l’Inside Out italiano di Paolo Genovese

 

L’Inside Out all’italiana. Voto UVM 4/5

Follemente è un film del 2025 diretto da Paolo Genovese (regista di film come “Perfetti Sconosciuti”, “Tutta Colpa Di Freud”, “Supereroi”, “Il Primo Giorno Della Mia Vita”, i due film di “Immaturi”, “I Leoni Di Sicilia” ecc.) e ha un cast corale composto da Edoardo Leo, Pilar Fogliati, Claudio Santamaria, Marco Giallini, Rocco Papaleo, Maurizio Lastrico, Vittoria Puccini, Claudia Pandolfi, Emanuela Fanelli e Maria Chiara Giannetta.

Trama

Conosciamo davvero noi stessi quando prendiamo una decisione? E se dentro di noi esistessero più versioni del nostro io, ognuna con qualcosa da dire?

Follemente è una brillante commedia romantica che va oltre le apparenze, immergendosi nella mente dei due protagonisti, Piero e Lara, svelando i loro pensieri più nascosti e le battaglie interiori che tutti affrontiamo. Dopo essersi conosciuti in un bar, Piero e Lara hanno il loro primo appuntamento a casa di lei. Entrambi hanno voglia di rimettersi in gioco: lei, trentacinquenne, viene dalla relazione con un uomo sposato e cede spesso ad amori senza futuro; lui ha quarant’anni, è fresco di divorzio e di affidamento congiunto della figlia piccola e porta ancora i segni di altre delusioni sentimentali.

I due protagonisti sono guidati dalle rispettive personalità: Piero ascolta le indicazioni del razionale Professore, del romantico Romeo, del passionale Eros e del disincantato Valium; Lara si fa condurre dall’intransigente Alfa, dalla seducente Trilli, dalla sregolata Scheggia e dalla sognatrice Giulietta. La serata, tra imbarazzi, lapsus e contrattempi, parte bene, ma sembra volgere al peggio, anche perché le emozioni di Piero bisticciano tra loro e quelle di Lara non sono da meno. Come andrà a finire? I due riusciranno a mettere da parte il resto e lasciarsi andare? Oppure, complicheranno tutto e l’appuntamento sfumerà?

Il primo appuntamento di Lara e Pietro diventa un teatro di dialoghi irriverenti, teneri, dolci, agitati, e tanto altro ancora. Una folla di gente e di pensieri che turbinano costantemente dentro di noi, a volte in maniera stancante che ci fa desiderare di poter essere “da soli” o di poter spegnere finalmente il cervello.

L’Inside Out all’italiana?

Il paragone tra “Inside Out” e “Follemente” viene spontaneo, ma in realtà Paolo Genovese giura di aver avuto l’idea del film prima che tutti venissero a conoscenza e si innamorassero successivamente dei due successi Disney Pixar incentrati sulle emozioni. La similitudine c’è e forse Genovese ha trovato il modus operandi adatto  per poter parlare della tematica ricorrente nella sua nuova pellicola: gli appuntamenti. Se “Inside Out” parlava delle emozioni e di ciò che accade nella mente umana in linea generica, “Follemente”, invece, mostra ciò che accade nella mente quando si ha un appuntamento al giorno d’oggi.

Mostrando un film alla Inside Out ma concentrandosi solo su un contesto specifico, ha voluto realizzare un film che aveva uno stile teatrale e il montaggio tra le scene dell’appuntamento e delle loro personalità è stato anche ben serrato. Con un tocco così semplice, mostra una chiave di lettura per gli appuntamenti di oggi (i primi) e come sono divenuti difficili e di quanti problemi si creano, quando si vive un appuntamento.

Fonte: comingsoon.it

Follemente, un film dallo stile teatrale

Follemente ha delle similitudini anche con un altro film noto di Paolo Genovese, ossia Perfetti Sconosciuti (film che ha il record di maggior numero di remake realizzati nella storia del cinema). Entrambi i film vogliono essere schietti e sbattere in faccia alcune verità dei rapporti di oggi e come sono cambiati nella società contemporanea. Con la differenza, che uno mira a colpire con una verità dura e cruda e toccando la drammaticità totale; l’altro, invece, vuole divertire senza annoiare e spingere ad un’accurata riflessione.

Altri aspetti in comune sono il fatto che alcuni eventi presenti accadono nella mente e lo stile teatrale adottato per la narrazione, col rischio di risultare leggermente statico. Il film mostra due filoni uniti da un montaggio ben strutturato e ci sono volute ben due sedute di ripresa per realizzare i due filoni. Da una parte, ci sono i due attori protagonisti (Edoardo Leo e Pilar Fogliati) che vivono il loro primo appuntamento e tutta la trama si svolge nell’appartamento di lei. Dall’altra, vengono mostrate le quattro personalità di lui e le quattro personalità di lei nelle loro menti.

Nella prima seduta, i due protagonisti recitavano le loro battute con tanto di suggerimenti delle personalità, provenienti da dietro le quinte, cogliendo opportunamente il momento per dire le loro. Nella seconda, gli interpreti delle loro personalità hanno fatto lo stesso. Ci vuole una certa bravura a cogliere la percezione giusta e su questo sono stati bravi tutti e le loro scene sono unite da un montaggio ben strutturato, che fa il passaggio tra i due filoni in maniera rapida come se stessero giocando a ping pong e senza cascare nella confusione.

 

Fonte: follemente.alcinema.it

Un cast eccezionale

Quando un film riesce, non si può non considerare le interpretazioni e “Follemente” vanta la presenza di un cast italiano composto da attori di un certo livello. Edoardo Leo non ha bisogno di presentazioni, perché ormai è affermatissimo e lascia sempre il segno, in ogni film che fa. Pilar Fogliati si sta affermando sempre di più e in pochi anni, si è dimostrata poliedrica e a suo agio nei ruoli molto vicini ai suoi coetanei.

Ma quelli che non sono da meno sono gli interpreti delle personalità di lui e lei. Nella mente di lui ci sono Claudio Santamaria (il passionale Eros), Marco Giallini (il razionale Professore), Rocco Papaleo (il disincantato Valium), Maurizio Lastrico (il romantico Romeo); mentre, nella mente di lei ci sono Vittoria Puccini (la sognatrice Giulietta), Claudia Pandolfi (l’intransigente Alfa), Emanuela Fanelli (la seducente Trilli) e Maria Chiara Giannetta (la sregolata Scheggia).

La parte divertente sta nelle personalità presenti nelle loro menti, dove attraverso gag, battute e diatribe tra loro su quale delle personalità deve prendere il sopravvento e su cosa l’interlocutore di turno deve dire in quel momento (venendo spesso ignorati da Piero e Lara).

 

Fonte: comingsoon.it

Follemente, una chiave di lettura degli appuntamenti di oggi, tra risate e riflessioni

Genovese ha voluto realizzare una commedia che vuole divertire ed allo stesso tempo, invitare a scavare dentro di sé e avere uno spunto di riflessione sulla propria persona e di come dovrebbe vivere l’appuntamento. Vuole dire essere più rilassati possibile e far vivere quei momenti con serenità, dimostrando che dovrebbe essere la cosa più naturale di questo mondo e soprattutto mostrarsi per ciò che si è, perché tutte le questioni irrisolte e le proprie insicurezze possono essere un auto-sabotaggio e far scappare un’eventuale persona giusta. Bisogna accettare ciò che è successo prima di quel fatidico incontro, trarre una lezione, godersi il presente ed essere naturali, per poter accogliere un possibile futuro (o qualsiasi altra cosa) migliore. A parole sembra facile, ma la visione di Follemente potrebbe dare un input a provare a lasciarsi andare a nuove opportunità (magari nascoste dietro l’angolo).

Giorgio Maria Aloi

“Goldrake”: un sequel vibrante, un omaggio riuscito

Goldrake torna con un fumetto francese pieno d'amore per la serie
Goldrake torna con un fumetto francese pieno d’amore per la serie. Voto UVM: 4/5

Quando il robot Grendizer, creato dal mangaka Go Nagai, arrivò in Italia col nome di Goldrake conquistò i cuori di una generazione, che ancora oggi lo ricorda con affetto. Eppure, il nostro non fu il solo Paese europeo che si innamorò del gigante d’acciaio e del suo pilota, Duke Fleed: anche in Francia diversi bambini si ritrovavano davanti alla tv e gridavano “Goldrake, avanti!

Un sentito omaggio

Uno di quei bambini francesi era Xavier Dorison, classe 1972, sceneggiatore di fumetti e ideatore del fumetto Goldrake, pubblicato in Italia a fine 2024 dalle case editrici BD Edizioni e J-pop Manga. Nel nostro autore nacque una grande passione per Goldrake, che è durata fino ad oggi, fino a realizzare, insieme ad altri autori e disegnatori, il volume di cui parliamo. A questa passione viene poi unita la conoscenza della serie originale, dei suoi ritmi narrativi, dei suoi personaggi e dei loro caratteri, tutti elementi fedelmente rispettati dagli autori, i quali riescono a confezionare una storia perfettamente coerente con l’originale nagaiano.

Ritorni inattesi

La storia del fumetto si ambienta un numero indefinito di anni dopo la fine della storia originale. Mentre alcuni astronauti esplorano il lato oscuro della luna, si imbattono in un nuovo vecchio nemico: le armate di Vega, guidate dall’ultimo generale veghiano rimasto, Archen. Egli, affiancanto dai suoi secondi in comando KehosArgaia, attaccat il Giappone sfruttando una nuova e terribile arma: il mostro spaziale Hydragon. La loro condizione per cessare con gli attacchi è semplice: tutti i giapponesi dovranno lasciare il Giappone entro una settimana, o saranno spazzati via. Ricevuto l’ultimatum, l’esercito nipponico guidato dal generale Ota si mette alla ricerca della sola possibilità di vittoria per loro e, forse, per l’intera umanità: il super-robot Goldrake.

Goldrake
Il robot Goldrake si risveglia-Goldrake. Fonte: MangaNerd.it

Un eroe spezzato

Nell’ultimo episodio della serie originale, Actarus e sua sorella Maria erano tornati sul loro pianeta, Fleed, che stava ritornando alla vita dopo la devastazione provacata dall’attacco di Vega. Tuttavia, per Duke sembra non esserci tregua, e la guerra torna ciclicamente nella sua vita, imprigionandolo in un vortice sempre più tragico di morte e distruzione: mentre il principe e i pochi altri abitanti di Fleed si prodigano nella rinascita del pianeta, due dischi spaziali, gli ultimi rimasugli del popolo di Vega, attaccano nuovamente, devastando tutto. Maria stessa subirà gravi ferite, e le vittime civili sono numerose da entrambi i lati; Actarus, dopo essersi battute come una furia, abbandonerà nuovamente Fleed, ormai in rovina, e porterà sua sorella sulla Terra, così che possa essere curata. Una volta fatto questo, il principe esule nasconderà il suo robot e, ormai stremato dalle troppe battaglie e dalle loro conseguenze, si consegnerà all’esercito gaipponese.

Goldrake combatte un'ultima volta per Fleed
L’ultima battaglia per Fleed in Goldrake. Fonte: uBc Fumetti

Pace o vendetta?

Sia Actarus che i veghiani sono stremati, stanchi di una guerra che pare interminabile, e desiderano solo la pace. Tuttavia, se da un lato il nobile principe di Fleed e il vecchio generale Archen sono disposti a trattare, dall’altro troviamo Kehos, assetato di vendetta per la sua famiglia, rimasta uccisa nella battaglia su Fleed. Il dissidio che nasce tra i due veghiani è uno scontro tra due modi diversi di intendere la pace e tra priorità: infatti, per Archen la sopravvivenza degli ultimi membri del suo popolo viene prima di ogni cosa, ed è disposto a trattare pur di raggiungere il suo scopo; Kehos, invece, non riesce a concepire una fine della guerra che non implichi la morte dei suoi nemici, e per lui trattare significa arrendersi, divenire ostaggi del proprio nemico. Kehos si mostra più miope di Archen, ed è disposto anche ad attacchi suicidi pur di vincere.

Ritmi narrativi

Uno degli aspetti migliori del racconto sono i suoi ritmi: la serie originale alternava battaglie frenetiche e tachicardiche con momenti più lenti, “intimi”, come li definisce lo stesso Dorison in una lettera inviata a Nagai. E il fumetto, in questa alternanza perfettamente scandita, non è affatto da meno, e riesce a diventare così una continua giostra di scontri brutali e momenti di breve pace, che servono ai nostri protagonisti per prepararsi alla nuova battaglia, e servono ad Actarus per ritrovare la motivazione a combattere.

Nell’atelier di Goldrake

Uno degli aspetti più belli del fumetto sono le ultime pagine del volume, ricche di retroscena sulla realizzazione dello stesso. Qui possiamo trovare non solo una lettera scritta da Dorison a Nagai in persona, la quale è anche una dichiarazione di intenti, ma sono presenti pure le prime bozze, i primi studi delle varie tavole, sia quelle poi pubblicate, sia anche delle versioni scartate. Insomma, dopo aver letto la storia di Goldrake, possiamo vedere la storia della sua realizzazione, e continuare a immergerci nel suo coinvolgente mondo.

 

Alberto Albanese

 

Milano calibro 9: “E cenere ritorneremo”

Una contorta e malsana fotografia dell’animo umano  – Voto UVM: 5/5

Milano calibro 9, tratto dall’omonima antologia di racconti dello scrittore Giorgio Scerbanenco, è un gangster movie estremamente cupo, con tinte noir ed una componente thriller/giallo che tiene incollati gli spettatori allo schermo durante le convulse vicende del nostro presunto protagonista Ugo Piazza (Gastone Moschin) fino ad un finale magistrale; il tutto in una Milano anni ’70, tetra e costantemente soffocata dal fumo, sia che provenga dalle sigarette, dalle marmitte delle vecchie FIAT, o dalla canna di una pistola.

Scritto e diretto da Fernando di Leoe distribuito dalla Minerva Pictures nel 1972, è attualmente disponibile gratuitamente su RaiPlay.

Ugo Piazza (Gastone Moschin). “Milano Calibro 9” (1972) di Fernando di Leo.

TRAMA

Dopo 3 anni passati in carcere, il malavitoso corriere Ugo Piazza si ritrova tormentato dalla polizia e dagli uomini di un boss della zona, “L’Americano”, entrambi convinti che l’ex-galeotto avesse tenuto per sé i 300.000 dollari che gli furono affidati durante un colpo precedente.

Piazza nega tutte le accuse, ma si vede costretto a lavorare per “L’Americano” che lo vuole tenere sott’occhio: in questa clima di tensione, composto di rapine, sparatorie e  giochi di potere, il nostro protagonista incontra una sua vecchia fiamma, Nelly Bordon (Barbara Bouchet), la quale lavora in un night club.

La passione arde ancora tra i due, i quali decidono di scappare insieme e lasciarsi tutto alle spalle, ma il corriere avrà ancora un’ultima faccenda da sistemare…

LA “TRILOGIA DEL MILIEU”

Gli anni 60-70 del Novecento furono caratterizzati da una massiccia presenza, sia in sala che in libreria, di opere che presentavano (spesso in maniera convincente, molte altre volte in maniera dozzinale) una commistione di generi come il thriller, il giallo, il noir, il poliziesco e l’hard-boiled; gli autori spesso cadevano nella trappola, nel tentativo di umanizzare i propri protagonisti, di romanticizzare figure come criminali assetati di sangue e malavitosi senza scrupoli.

La “Trilogia del Milieu” di Fernando di Leo, composta dai tre film “Milano Calibro 9” (1972), “La mala ordina” (1972) ed “Il Boss” (1973), riesce magistralmente a rappresentare la società criminale senza alcun tipo di ambiguità: ogni singolo personaggio che appare a schermo, che sia un protagonista o un villain, ragiona secondo un intricato sistema di interessi personali, finti valori e passioni sfrenate, dunque non appartiene né ai buoni né ai cattivi.

Il regista non crea un mondo diviso in bianco e nero, ma si sofferma a raccontare la società con crudo cinismo, delineando ogni singolo carattere con infinite sfumature di grigio.

Rocco (Mario Adorf) ed il suo scagnozzo Alfredo (Omero Capanna). “Milano Calibro 9” (1972) di Fernando di Leo.

“CENERE SIAMO…”

Alla calma serafica del protagonista, di Leo contrappone la personalità impulsiva e schietta di Rocco Musco (l’eccezionale Mario Adorf, protagonista del secondo film della trilogia): i due rappresentano una dicotomia costante per tutto il film, due modi completamente antinomici di affrontare la vita, nonostante abbiano in comune più di quello che pensano.

Questa antitesi diventa il “Lietmotiv” della pellicola, che incatena numerose sequenze in cui una coppia di personaggi si scontrano per la loro visione diversa del mondo, come il continuo duello tra il commissario di polizia (nel quale riecheggiano le influenze dei lavori di Elio Petri) ed il suo vice, oppure con il confronto tra la disillusione di Don Vincenzo, e del suo fidato Chino, e l’incomprensibile ottimismo di Piazza.

Il film, come un abile pugile, lavora lo spettatore ai fianchi e lo stordisce imbastendo una narrazione frenetica, che dipinge i personaggi in maniera furba e non lascia tempo per riflettere, per ragionare su cosa stia effettivamente accadendo: il regista delinea una storia intrigante ma piuttosto lineare, nella quale il nostro protagonista si erge a detentore dei valori morali, contrapposti all’avidità dell’Americano, alla follia di Rocco, alla violenza della polizia ed al nichilismo di Don Vincenzo.

Chino (Philippe Leroy), il sicario amico di Ugo. “Milano Calibro 9” (1972) di Fernando di Leo.

“… E CENERE RITORNEREMO”

L’intuizione geniale  di Fernando di Leo sta nel non far dubitare neanche per un momento lo spettatore della presunta innocenza di Piazza: il pubblico la dà per scontata sin dal primo istante, d’altronde è il protagonista di questa storia.

Eppure, della parabola di Ugo Piazza rimarrà soltanto cenere, sparsa sulle strade di una Milano già stracolma di racconti simili: di Leo ci fa assaporare questa spirale di violenza come una sigaretta, una delle tante; intensa, ma che restituisce sul finale un retrogusto amaro in bocca.

Del resto, di cenere sono fatti gli ideali dei nostri personaggi, pronti a rinnegare tutto non appena intravedono la possibilità di guadagno, trasformando miracolosamente l’odio in rispetto, l’onestà in malizia, la passione in tradimento.

<<Tu, quando vedi uno come Ugo Piazza… il cappello ti devi levare!>>

 

 

 

Aurelio Mittoro

Sanremo 2025: le origini del mito vincono a Sanremo

La 75ª edizione del Festival di Sanremo si è conclusa e ha visto trionfare Olly, con la sua Balorda Nostalgia, seguito da Lucio Corsi, con Volevo essere un duro, e Brunori Sas, con L’albero delle noci.

Questi moderni cantori sembrano incarnare, in chiave moderna, archetipi senza tempo: Olly, come un novello Orfeo, canta la tragedia dell’amore perduto e della dipendenza affettiva; Lucio Corsi, simile a un Ercole contemporaneo, affronta le sfide dell’identità e della fragilità; mentre Brunori Sas, come un saggio Dedalo, esplora le paure e dubbi di un padre di fronte le sfide della vita.

Olly/Orfeo – La “balorda nostalgia” della perdita

Dopo la perdita di Euridice, Orfeo si trova intrappolato in un dolore che non riesce a superare. Incapace di immaginare un futuro senza di lei, il musicista mitologico vede la propria esistenza svuotarsi di senso. Il suo amore si trasforma in un’ossessione che lo spinge oltre ogni limite, trascinandolo in una spirale di disperazione. Quella che avrebbe potuto essere una storia di rinascita si tramuta così in una tragedia senza ritorno.

Scende negli Inferi armato solo della sua musica struggente, capace di commuovere dèi e ombre. Il suo viaggio è un atto di speranza e disperazione, mosso dall’illusione di poter riabbracciare l’amata.

Allo stesso modo, il protagonista della canzone di Olly è avvolto da una nostalgia profonda, come se il ritorno a un passato idealizzato potesse colmare il vuoto lasciato dalla perdita, come se la sua identità fosse inscindibilmente legata a un’altra persona.

Tornare a quando ci bastava ridere, piangere, fare l’amore.

Come Orfeo, anche Olly canta per colmare il vuoto lasciato dall’assenza. L’intero testo è un tentativo di evocare la persona amata, proprio come Orfeo prova a riportare Euridice tra i vivi. Ma c’è un tragico dubbio che incombe:

Magari non sarà nemmeno questa sera la sera giusta per tornare insieme.

Questo verso riecheggia il destino di Orfeo, il cui amore è condizionato da un vincolo insormontabile. La scena in cui il protagonista della canzone continua a cercare tracce dell’amata:

Ti cerco ancora in casa quando mi prude la schiena, e metto ancora un piatto in più quando apparecchio a cena.

Qui non c’è un inferno mitologico, ma una casa che risuona di assenze e abitudini spezzate.

 

 

E infine, la rassegnazione:

Magari è già finita, però ti voglio bene ed è stata tutta vita.

Se Orfeo, devastato dal dolore, rinuncia alla vita e si lascia morire cantando, Olly accetta, seppur con sofferenza, che l’amore possa sopravvivere alla fine di una relazione.

Il parallelismo con Orfeo mette in luce il rischio di smarrire se stessi all’interno di una relazione, quando l’altro diventa l’unico riferimento per la propria esistenza.

La canzone esplora con intensità una sorta di dipendenza affettiva, delineando un desiderio insaziabile e mai del tutto soddisfatto. La ripetizione insistente di “vorrei” diventa il simbolo di un bisogno incessante, mentre l’altro viene idealizzato come unica fonte di appagamento. Ne emerge un’illusione pericolosa: quella di un amore vissuto come unico significato dell’esistenza, in un equilibrio fragile tra passione e smarrimento.

Lucio Corsi/Ercole – L’arte di essere invincibili

Nel brano sanremese, Lucio Corsi mette in scena un profondo conflitto interiore, dando voce a una tensione universale: il desiderio di incarnare un modello di forza imposto dalla società e la consapevolezza della propria vulnerabilità. Il protagonista della canzone aspira a essere un “duro”, un individuo invulnerabile e sicuro di sé, sulla scia degli eroi mitologici e degli stereotipi maschili dominanti. Tuttavia, nel corso del brano, il sogno si scontra con la realtà. Alla fine, il personaggio si arrende all’evidenza: l’immagine idealizzata di sé è irraggiungibile. Con un’ammissione sincera, riconosce la propria autenticità, accettando la fragilità come parte integrante della sua identità:

Non sono altro che Lucio.

Il conflitto tra forza e fragilità trova un interessante riflesso nella figura di Ercole, l’eroe della mitologia greca celebre per la sua forza sovrumana e le leggendarie dodici fatiche. Al di là dell’immagine di invincibilità che lo circonda, la sua storia è segnata da sofferenza, senso di colpa e profonde vulnerabilità, rivelando così il lato più umano di un simbolo di potenza assoluta. Nonostante la sua potenza fisica, Ercole è un eroe tormentato, costretto a espiare le proprie colpe e a confrontarsi con il peso del suo destino.

Nonostante il desiderio di apparire forte, il protagonista della canzone ammette:

Però non sono nessuno / Non sono nato con la faccia da duro / Ho anche paura del buio.

Questa confessione mette in luce la discrepanza tra l’immagine desiderata e la realtà personale. Tuttavia, si rende conto che questi modelli non gli appartengono.

Nel momento in cui smette di inseguire un ideale di mascolinità imposto e accetta la propria identità con tutte le sue sfumature, al di là delle aspettative esterne, emerge qui la sua vera forza, evidenziando come essa risiede nell’abbracciare la propria autenticità.

 

           

Brunori Sas/Dedalo – La responsabilità di essere padre

La canzone di Brunori Sas, L’albero delle noci, affronta temi come la paternità, il passare del tempo e le paure legate alla genitorialità. Questi elementi trovano un interessante parallelo nel mito di Dedalo e Icaro, che esplora il rapporto padre-figlio, l’aspirazione e le conseguenze delle proprie scelte.

Nel mito, Dedalo è un abile inventore e artigiano che costruisce ali di cera e piume per sé e per suo figlio Icaro, con l’obiettivo di fuggire dal labirinto in cui sono imprigionati. Questo atto rappresenta il desiderio di un padre di proteggere e guidare il proprio figlio, fornendogli gli strumenti per affrontare il mondo.

Allo stesso modo, Brunori riflette sulla sua esperienza della paternità, esprimendo sia l’amore profondo, che le preoccupazioni legate al crescere un figlio:

Sono passati veloci questi anni feroci / E nel mio cuore di padre il desiderio adesso è chiuso a chiave.

Dedalo avverte Icaro di non volare troppo vicino al sole per evitare che il calore sciolga la cera delle ali, ma Icaro, preso dall’entusiasmo del volo, ignora il consiglio paterno e cade nel mare.

Questo episodio simboleggia le preoccupazioni di un genitore riguardo alle scelte e ai rischi che il proprio figlio potrebbe affrontare. Brunori Sas esprime un sentimento simile quando canta:

Vorrei cantarti l’amore, amore / Il buio che arriva nel giorno che muore / Senza cadere / Nella paura di farti male

Qui, il cantautore desidera proteggere la figlia dalle oscurità della vita, ma riconosce anche la necessità di permettergli di fare le proprie esperienze, senza lasciarsi paralizzare dalla paura.

 

 

Il mito di Dedalo e Icaro evidenzia come le esperienze condivise tra padre e figlio possano portare a una profonda trasformazione personale.

Dopo la perdita di Icaro, Dedalo è costretto a confrontarsi con il dolore e le conseguenze delle proprie azioni. Analogamente, Brunori Sas riflette su come la paternità abbia cambiato la sua percezione della vita e del mondo:

E tutta questa felicità forse la posso sostenere / Perché hai cambiato l’architettura e le proporzioni del mio cuore.

 

Gaetano Aspa

 

Fonte: Post Facebook di Nicole Teghini in data 16/02/2025

 

Sanremo 2025: Giorgia e Annalisa vincono la serata delle cover

Si è conclusa anche la quarta serata del Festival di Sanremo, quella dedicata a duetti e riproposizioni di grandi successi italiani e internazionali. Carlo conti, affiancato da Mahmood e Geppi Cucciari, ha presentato tutti i 29 cantanti in gara in coppia con tanti ospiti: Il Volo, Alessandra Amoroso, Annalisa, Frah Quintale e perfino Topo Gigio. 

Super ospite Roberto Benigni, in apertura con un intervento in cui – prima di annunciare il suo nuovo spettacolo su Rai 1, Il Sogno –  ha scherzato con Conti su Elon Musk, Trump e Giorgia Meloni. Eppure, Carlo Conti aveva dichiarato: “Quest’anno a Sanremo lasceremo spazio alla musica” ossia, che non ci sarebbe stato spazio per la politica”. Era stato chiaro fin da subito l’intento di allontanare temi di attualità, denunce sociali e messaggi politici dal festival e ne abbiamo avuto conferma nelle prime tre serate.

Altri grandi ospiti di questa quarta serata del Festival di Sanremo sono Benji e Fede e Paolo Kessisoglu insieme alla figlia.

Sanremo
Fonte: Elle

Sanremo 2025: I duetti della quarta serata

Aprono le danze Rose Villain e Chiello con  Fiori rosa, fiori di pesco (Lucio Battisti), seguiti dai Modà con Francesco Renga, insieme sulle note di Angelo (Francesco Renga). Segue Clara insieme ai ragazzi de Il Volo che ci hanno presentato The sound of silence (Simon & Garfunkel) .

Attesissimi Tony Effe e Noemi con Tutto il resto è noia (Franco Califano) e Francesca Michielin con Rkomi in La nuova stella di Broadway (Cesare Cremonini), che – insieme a Achille Lauro ed Elodie, sono le tre coppie di concorrenti che hanno scelto di allearsi per l’occasione. 

Il duetto più insolito, che ha scatenato la curiosità dei più, ha visto Lucio Corsi in un tenero duetto insieme a Topo Gigio su Nel blu dipinto di blu (Domenico Modugno), che gli ha garantito il secondo posto in classifica

Continuano Serena Brancale con Alessandra Amoroso con la celebre If I ain’t got you (Alicia Keys) e ancora Irama con Arisa insieme per Say something (A Great Big World, Christina Aguilera).

Ancora Gaia con Toquinho con La voglia, la pazzia (Toquinho, Ornella Vanoni, Vinicius de Moraes), i The Kolors con Sal Da Vinci con Rossetto e caffè (Sal Da Vinci) poi

Marcella Bella con Twin Violins (Gemelli Lucia) sulle note di L’emozione non ha voce (Adriano Celentano) e Rocco Hunt con Clementino in Yes, I know my way (Pino Daniele)

Si prosegue con Francesco Gabbani con Tricarico su Io sono Francesco (Tricarico) precedono le vincitrici: Giorgia e Annalisa su Skyfall (Adele) 

Continuano Simone Cristicchi con Amara su La cura (Franco Battiato), Sarah Toscano insieme agli Ofenbach con Overdrive (Ofenbach), i Coma_Cose con Johnson Righeira su L’estate sta finendo (Righeira), Joan Thiele accompagnata da Frah Quintale con Che cosa c’è (Gino Paoli), Olly con Goran Bregovic e la Wedding & Funeral Band insieme per Il pescatore (Fabrizio De André).

Sanremo
fonte: Vanity Fair

Due animali da palcoscenico Achille Lauro ed Elodie con Un tributo a Roma: A mano a mano di Riccardo Cocciante e Folle città di Loredana Bertè, che hanno fatto molto parlare di sè.

E ancora Massimo Ranieri con Neri per caso su Quando (Pino Daniele), Willie Peyote con Federico Zampaglione e Ditonellapiaga su Un tempo piccolo (Franco Califano), Brunori Sas con Riccardo Sinigallia e Dimartino su L’anno che verrà (Lucio Dalla).

Chiacchieratissimo Fedez con Marco Masini, con Bella stronza (Marco Masini). Ha portato sul palco anche un pizzico di vita privata, che gli è valsa la terza posizione.

Shablo feat. Guè, Joshua e Tormento insieme a Neffa con Amor de mi vida (Sottotono) e Aspettando il sole (Neffa). Hanno riportato un pò di hip hop di qualità sul palco dell’Ariston.

Concludono Bresh con Cristiano De André nella loro terza performance della serata, dovuta a problemi tecnici nelle prime due.  Ma nonostante tutto, hanno strappato un sorriso agli spettatori. Hanno cantato Crêuza de mä (Fabrizio De André) 

 

Carla Fiorentino

Il Laureato: La rivoluzione come unica via di fuga

L’alienazione di un uomo comune. Voto UVM: 5/5

Il laureato (the graduate) è un film diretto dal grande Mike Nichols nel 1967. Il maestro Nichols si basò sull’omonimo romanzo di Charles Webb del 1963. Il film viene tutt’ora considerato tra i più rivoluzionari degli anni 60 e presenta un cast tanto sperimentale quanto potente e innovativo con Anne Bancroft, Katharine Ross ed un giovanissimo e strabiliante Dustin Hoffman. In oltre come co-protagoniste troviamo le iconiche colonne sonore di Simon & Garfunkel con i brani “The Sound of Silence”, “Mrs. Robinson” e “Scarborough Fair”.

LA TRAMA

Il laureato racconta la vita di Benjamin Braddock (Dustin Hoffman) un neolaureato che, una volta ritornato a casa a Los Angeles dopo il college, si rende conto di non saper cosa fare della sua vita. Egli inizierà ad avvicinarsi a Mrs Robinson (Anne Bancrof) la moglie del socio di suo padre. Inizialmente Benjamin si auto convincerà di star proseguendo la strada corretta ma con il passare del tempo e l’arrivo di Elaine (Katharine Ross), la figlia di Mrs. Robinson, il giovane laureato si sveglierà dal suo limbo e tenterà di prendere in mano la propria vita.

L’ALIENAZIONE INARRESTABILE

Il giovane Benjamin, nonostante sia riuscito a completare il suo percorso di laurea con soddisfazioni e successo, si trova a fare necessariamente i conti con una realtà che, grazie a tutti gli impegni della sua vita, era riuscito a chiudere in un cassetto. La pressione di Benjamin, che lo porterà ad alienarsi con la realtà, non si consuma solo all’interno dei suoi dubbi. La sua pressione si fortifica con la presenza dei suoi genitori e della società, che come delle sanguisughe vogliono succhiare via da lui tutto ciò che non riguarda la fantomatica carriera che dovrebbe perseguire.

I DUE MONDI DI BENJAMIN

Benjamin è costretto a vivere con una maschera pirandelliana con tutte le persone con cui si relaziona, vediamo che lui riesce a mettersi a nudo soltanto tramite la sua piscina, immerso in quella vita blu lui riesce ad alienarsi completamente dal mondo; vediamo esplicitamente come l’acqua riesce a separare i due mondi dove vive Benjamin, e che ogni adolescente è costretto a vivere per poter trovare la propria stabilità ovvero quello sociale, dove è costretto a vivere con le persone con cui si sente a disagio, e quello intimo dove lui può vivere solo senza dover dare conto e ragione a qualcuno.

Dustin Hoffman in piscina durante le riprese de Il laureato
Dustin Hoffman in piscina durante le riprese. “Il laureato” (1967) di Mike Nichols. Produzione: Embassy Pictures

MRS ROBINSON: LA PRESUNTA CURA

Come abbiamo già detto, anche se la piscina permette al nostro ragazzo di crearsi una propria vita dove esiste lui e nient’altro che lui, egli stesso si rende conto di non poter vivere in eterno sopra un materassino; ed è qui che entra in gioco la nostra Mrs. Robinson una donna complessa ed intrigante che, per via dell’infelicità del suo matrimonio, riesce ad intrappolare Benjamin all’interno del suo nido di ragno. Inizialmente forse vedeva quel giovane come un passatempo, ma iniziando a vedersi sempre più spesso e confessandosi reciprocamente le proprie frustrazioni, entrambi riescono a trovare nel rispettivo amante la soluzione ai propri mali. Essi sono diventati le loro rispettive medicine. Ma come ogni farmaco prescritto dal medico, le dosi sono necessariamente limitate per non rischiare di avere effetti collaterali opposti. Il segnale divino per far capire ai nostri protagonisti di smettere nel prendere quella pericolosa medicina fu l’arrivo di Elaine. Purtroppo però il foglietto illustrativo dei medicinali non sempre vien letto…

Benjamin e Mrs. Robinson in hotel ne Il laureato
Benjamin e Mrs. Robinson in hotel. “Il laureato” (1967) di Mike Nichols. Produzione: Embassy Pictures

IL GAP GENERAZIONALE E LA RIVOLUZIONE

Benjamin Braddock si fa carico, senza saperlo, della crisi della gioventù in conflitto con le generazioni precedenti. Il giovane laureato non riesce a conformarsi con l’ipocrisia dei propri genitori; egli non riesce a seguire quella strada perché ha bisogno di trovare il suo posto nel mondo. Paradossalmente Benjamin è il ragazzo con la più grande voglia di vivere che però non riesce a sputare fuori o per lo meno non riuscirà mai a farlo da solo. Solo condividendo la sua angoscia con qualcuno riuscirà a farsi strada tra le iene per poter arrivare alla vetta. Elaine, la figlia di Mrs. Robinson, sarà la donna che farà scattare l’allarme dentro Benjamin: finalmente ha capito, lui non potrà morire per mano delle generazioni precedenti, lui vuole diventare il condottiero dei suoi coetanei scaraventando il macigno che imprigionava chissà quanti giovani. Dopo innumerevoli insidie, i 2 giovani innamorati prenderanno il pullman che li porterà verso la rivoluzione.

Benjamin ed Elaine in fuga verso una nuova vita ne Il laureato
Benjamin ed Elaine in fuga verso una nuova vita. “Il laureato” (1967) di Mike Nichols. Produzione: Embassy Pictures

IL MOVIMENTO DEL 68

Precisamente un anno dopo l’uscita in sala del Il laureato, avvengono delle ondate di proteste, principalmente studentesche e operaie, che prenderanno il nome di “Movimento rivoluzionario del 68”. Le proteste si espanderanno a macchia d’olio e dureranno per tutti gli anni 70. La domanda che ci poniamo è, dove fu concepito il malessere giovanile che rivoluzionò gli anni a venire? Sicuramente i fattori politici, economici e sociali non mancarono ma la cosa che più si palesava era la necessità da parte dei giovani di cambiare vita, di staccarsi da quel cordone ombelicale materno che non riescono a riconoscere come proprio ed è in questo contesto che Mike Nichols un anno prima, con “Il laureato” firma la prefazione di una delle più grandi rivoluzioni del secondo dopo guerra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sanremo 2025: ci siamo. Ecco tutto quello che c’è da sapere

CI SIAMO. Uno degli eventi più attesi dell’anno è arrivato: la 75° Edizione del Festival di Sanremo. Sarà un’edizione ricca di novità e sorprese e già sta facendo parlare di sé, tra gossip e per la presenza degli artisti in gara. Ecco tutto quello che c’è da sapere

Quando inizia Sanremo 2025 e dove vederlo?

Dopo cinque edizioni condotte da Amadeus, sul palco dell’Ariston torna Carlo Conti, che aveva già condotto Sanremo per tre volte di fila (dal 2015 al 2017). Durante le cinque serate della manifestazione di quest’anno vedranno in gara 29 cantanti “big”, più 4 nuove proposte. Oltre ai big con le loro canzoni, ci saranno anche tanti ospiti e ci sarà anche spazio per la Serata delle Cover. Il festival della canzone italiana si svolgerà come tradizione in cinque serate, tra l’11 e il 15 febbraio 2024. Sarà possibile seguire il festival di Sanremo in diretta televisiva su Rai 1, in diretta radio su Rai Radio2 e anche in streaming su RaiPlay.

 

fonte: lumsanews.it

I concorrenti: big e nuove proposte

• Achille Lauro con il brano Innocenti giovani
• Gaia con il brano Chiamo io chiami tu
• Coma_Cose con il brano Cuoricini
• Francesco Gabbani con il brano Viva la vita
• Willie Peyote con il brano Grazie ma no grazie
• Noemi con il brano Se t’innamori muori
• Rkomi con il brano Il ritmo delle cose
• Modà con il brano Non ti dimentico
• Rose Villain con il brano Fuorilegge
• Brunori Sas con il brano L’albero delle noci
• Irama con il brano Lentamente
• Clara con il brano Febbre
• Massimo Ranieri con il brano Tra le mani un cuore
• Sarah Toscano con il brano Amarcord
• Fedez con il brano Battito
• Simone Cristicchi con il brano Quando sarai piccola
• Joan Thiele con il brano Eco
• The Kolors con il brano Tu con chi fai l’amore
• Bresh con il brano La tana del granchio
• Marcella Bella con il brano Pelle diamante
• Tony Effe con il brano Damme ‘na mano
• Elodie con il brano Dimenticarsi alle 7
• Olly con il brano Balorda Nostalgia
• Francesca Michielin con il brano Fango in paradiso
• Lucio Corsi con il brano Volevo essere un duro
• Shablo feat Guè, Joshua e Tormento con il brano La mia parola
• Serena Brancale con il brano Anema e core
• Rocco Hunt con il brano Mille vote ancora
• Giorgia con il brano La cura per me

 

E in più ci saranno ben 4 artisti provenienti da Sanremo Giovani: Settembre, Maria Tomba, Alex Wyse e Vale LP e Lil Jolie. I quattro si esibiranno con due sfide a eliminazione nella serata di mercoledì 12, mentre giovedì 13 tra i due rimanenti sarà decretato il vincitore della sezione Nuove Proposte.

Fonte: La Repubblica

Programma e Regolamento

Nella prima serata di martedì 11 si esibiscono tutti i cantanti in gara, votati dalla Giuria Sala stampa, tv e web (alla fine della serata saranno resi noti, in ordine sparso, i primi cinque classificati).
Mercoledì 12 e giovedì 13 i cantanti si esibiranno nuovamente, ma saranno divisi equamente e quindi ci sarà la metà degli artisti in ciascuna serata (la prima metà mercoledì e la seconda giovedì). Saranno tutti valutati in questo caso dal Televoto e dalla Giuria delle Radio (al 50% ciascuno): in ogni sera saranno svelati sempre i primi cinque classificati.
Venerdì 14 i duetti saranno valutati da Televoto (34%), Radio (33%) e Sala stampa (33%) ma quest’anno la graduatoria risultante non influirà sul risultato della finale della sera successiva.
Nella finale di Sabato 15, si esibiranno di nuovo tutti i cantanti. Saranno votati da Televoto (34%), Radio (33%) e Sala stampa (33%). Saranno rivelati a fine serata le posizioni dalla 6 alla 29 e poi i primi cinque classificati in ordine sparso. Questi ultimi saranno rivotati e da lì ci sarà il vincitore.

Fonte: Corriere Della Sera

Gli ospiti

Nel corso della prima serata, il superospite sarà Jovanotti A seguire, ci saranno anche la cantante israeliana Noa e la palestinese Mira Awad per cantare Imagine in un invito alla pace. Antonella Clerici e Gerry Scotti affiancheranno Conti.

Mercoledì 12, sono attesi Damiano David, Vittoria Puccini e l’intero cast del nuovo film di Paolo Genovese, Follemente, in uscita il 20 Febbraio. Il cast è composto da Edoardo Leo, Pilar Fogliati, Emanuela Fanelli, Maria Chiara Giannetta, Claudia Pandolfi, Vittoria Puccini, Marco Giallini, Maurizio Lastrico, Rocco Papaleo e Claudio Santamaria. Qui Conti sarà affiancato da Bianca Balti, Cristiano Malgioglio e Nino Frassica.

Nella terza serata di giovedì 13 ci saranno i Duran Duran e il cast della quinta stagione di Mare Fuori. Inoltre, ci sarà un momento dedicato a Iva Zanicchi che riceverà il premio Città di Sanremo. Tre saranno le co-conduttrici accanto a Conti: Miriam Leone, Elettra Lamborghini e Katia Follesa.

Nella quarta serata di giovedì 14, sarà dedicata alle Cover e ai duetti. Mahmood e Geppi Cucciari alla co-conduzione.
Infine, nella finale di sabato 15, è attesa come ospite l’attrice Valeria Scalera e Antonello Venditti riceverà il premio alla carriera. Carlo Conti sarà affiancato da Alessia Marcuzzi e Alessandro Cattelan.

Fonte: SkyTg24

Si preannuncia un’edizione piuttosto interessante e sicuramente ci sarà tanto da vedere. Pronti all’evento musicale italiano più atteso dell’anno ? Appuntamento da martedì 11 Febbraio alle 20:40 su Rai Uno e Radio Due.

Giorgio Maria Aloi

A Complete Unknown merita davvero l’Oscar?

A Complete Unknown
Grande prova attoriale da parte di Timothée Chalamet, ma la scelta minimalista della regia di Mangold risulta in una narrazione priva d’intensità. Ma è davvero degno delle sue nomination agli Oscar? – Voto UVM 3/5

Ė al cinema dallo scorso 23 gennaio A Complete Unknown,  l’attesissimo biopic su Bob Dylan.

Una fatica di durata quinquennale quella di Mangold – basata sul soggetto di Elijah Wald nel libro Dylan Goes Electric! (2015) – ora nominata Best Picture e Best Adapted Screenplay agli Academy Awards.   

Si tratta di uno dei titoli più chiacchierati dell’ultimo anno: vuoi per l’attrattiva del cast (Timothée Chalamet, Elle Fanning, Monica Barbaro), vuoi per la grande campagna promozionale dedicatagli, vuoi per il fascino enigmatico di un’icona come Dylan (nientemeno che uno dei produttori esecutivi del film), e per un’interpretazione che è valsa a Chalamet una nomination ai Golden Globe e ai prossimi Oscar.

Sinossi

New York. 1961. Il ventenne Robert Zimmerman arriva dal Minnesota, per incontrare il suo idolo Woody Guthrie, malato in ospedale, per inserirsi nella scena folk del periodo. Nasce Bob Dylan: mito costruito su mezze verità e reinvenzioni continue, ispirato da due amori tormentati e diventato la voce che ha incendiato gli animi di una generazione stravolgendo la scena folk in un solo iconico momento: Il Newport Folk festival del 1965.

A complete Unknown
una scena di A Complete Unknown di James Mangold (2024) (Searchlight Pictures, The Walt Disney Company Italia)

A Complete Unknown tra alti e bassi

Bob Dylan è notoriamente un tipo enigmatico: “un incrocio tra un chierichetto e un beatnick” come lo definisce una storica recensione del New  York Times del ‘61.

Si parla di un personaggio privo di quei tratti eroici che ci si aspetta dal protagonista di un biopic. E se si unisce una personalità estremamente ermetica ad un ambiente asettico, circondata da personaggi privi di ogni sviluppo, la narrazione cola a picco.

Calato in un’America in fermento che vuole abbattere e ricostruire la sua identità culturale, il film abbonda di indizi storici ricorrendo all’espediente di telegiornali, radio e quotidiani. 

Eppure, osservando il comportamento del protagonista, allo spettatore non arriva mai l’urgenza della lotta sociale che ha mosso la carriera di Dylan. Mentre la si percepisce meglio nelle due protagoniste femminili, emotivamente più coinvolte negli eventi socio-politici del tempo. 

La narrazione scorre lenta e lineare, con pochi dialoghi e ancor meno azione. L’unico momento di picco si ha a un passo dalla fine: il Newport Folk Festival del ‘65. Qui troviamo una scena che sfiora il ridicolo, con un pubblico così furibondo da sembrare una parodia, e vari cazzotti sganciati dietro le quinte nel tentativo di sabotare lo spettacolo. Un exploit d’azione alla spaghetti western totalmente fuori luogo, ma che almeno rende bene l’eccezionalità del momento.  

A Complete Unknown
una scena di A Complete Unknown di James Mangold (2024) (Searchlight Pictures, The Walt Disney Company Italia)

L’amore in A Complete Unknown 

Tormentate vicende sentimentali diventano qui un semplice susseguirsi di eventi di cui il cantautore muove le fila. Ė un flipper infinito tra Joan e Sylvie senza alcun margine evolutivo da parte delle due donne. Bob fa ciò che vuole e nessuno gli chiede spiegazioni. Il problema non sta nell’interpretazione di Monica Barbaro e di Elle Fanning, che sono invece degne di nota, ma sta nella resa cinematografica di dinamiche amorose così complicate.

Un’interpretazione da Oscar

Timothée Chalamet ha dovuto sfoderare la sua poliedricità come mai prima: interprete, voce di ogni traccia presente nella pellicola e co-produttore del film. 

La caratteristica ermetica e ambigua e l’umorismo sfacciato del cantautore sono ciò su cui Chalamet ha puntato di più nella sua interpretazione. Grande lavoro sullo studio della voce, della mimica facciale, della cinesica e dello staging: dal modo in cui tiene la sigaretta a quello in cui suona la sua Fender, alle unghie lunghe solo nella mano destra fino alla postura ricurva e ai suoi famosi “dead eyes”. 

Chiunque salga sul palco e voglia catturare l’attenzione deve essere un po’ strano, la gente non deve smettere di guardarti, devi essere come un incidente d’auto.

A Complete Unknown
una scena di A Complete Unknown di James Mangold (2024) (Searchlight Pictures, The Walt Disney Company Italia)

A Complete Unknown: un’overview sul lavoro di Mangold

Dopo il successo di Walk the Line sulla vita di Johnny Cash, Mangold torna al genere biografico. La fotografia è minimalista, senza movimenti di camera e sequenze elaborate. Vediamo luci fioche e gialle in ambienti interni cupi e ombrosi. L’elemento luminoso non è stato sfruttato granchè, mantenendosi su un’illuminazione d’ambiente priva di personalità. 

La palette del film privilegia colori come il giallo e il beige, e il legno norvegese – trend iconico dell’interior design dell’epoca – domina scenografie storicamente accurate e piacevolissime all’occhio.

La scelta di fare un uso quasi esclusivamente diegetico della musica è coerente col soggetto ma poco funzionale allo storytelling: allo spettatore non viene offerta nessuna hint sulla carica emotiva dei personaggi nei vari momenti della narrazione. Per capire cosa stia succedendo di fronte a lui ad ogni scena, lo spettatore deve contare unicamente sui dialoghi – per giunta anch’essi ridotti all’osso.

A Complete Unknown: Il folk che raggiunge tutti

Il folk che raggiunge tutti” è il vero protagonista dell’opera di James Mangold. Un genere che cambia insieme alla società, che dà voce alle lotte generazionali, e che per questo non può essere limitato ai brani di repertorio, ma deve poter innovarsi. Questa la mission del nostro protagonista, questo il mantra dell’intera opera. La musica di Dylan ci parlava di progresso quando nessuno era disposto a guardare al di là del proprio naso. Fino a quel ‘65 in cui Bob Dylan portò sul palco la sua Fender elettrica e cambiò per sempre la storia della musica.