“Zombie” e “Bella Ciao”: i canti della resistenza a Putin

Sono passati vari giorni da quando il presidente Vladimir Putin ha deciso di invadere l’Ucraina: in quel momento si è spezzato un altro filo nella “tela dell’umanità”, in quell’istante il tempo si è fermato, migliaia di persone si sono ritrovate senza cibo, acqua, le loro vite sono cambiate per sempre e la loro innocenza è stata distrutta.

Una parte del popolo russo si è rivoltato contro il proprio Presidente (o per meglio dire dittatore), scendendo in piazza, protestando con cartelloni, fiori e simboli di pace. Per dire a Putin, ma specialmente al mondo, che loro non stanno dalla parte della disumanità, mettendo spesso a rischio la loro stessa libertà, la loro vita. Qualche giorno fa un gruppo di russi è stato arrestato dalla polizia, proprio mentre manifestava il proprio dissenso verso la guerra.

Incatenati e portati sopra il furgone come bestie dalle forze armate, armati di coraggio e di sorrisi anziché di bombe, i manifestanti hanno iniziato a cantare a squarciagola la canzone Zombie, dando esempio di disobbedienza civile.

 Chi non conosce la melodia di Zombie? O almeno una volta l’ha sentita passare in radio o mentre faceva zapping da un canale all’altro? Appena i manifestanti russi hanno iniziato a cantare, siamo quasi stati riportati indietro nel tempo, a quando ancora questa guerra non c’era. Guardando sui nostri cellulari quel video ormai diventato virale, ci siamo sentiti cittadini del mondo, il patriottismo per un attimo ha lasciato il posto all’empatia e ci siamo trovati a condividere la resistenza del popolo russo al suo dittatore.

La storia dietro Zombie

“Nella tua testa stanno ancora combattendo
Con i loro carri armati e le loro bombe
E le loro bombe e i loro fucili
Nella tua testa
Nella tua testa stanno morendo”

Zombie, è una canzone del gruppo rock Irlandese The Cranberries, pubblicata il 12 Settembre del 1994 (28 anni fa). Considerato il maggior successo del gruppo irlandese, ha vinto durante gli  MTV Europe Music Awards del lontano 1995 il prestigioso premio di  “Canzone dell’anno”.

Dolores O’Riordan,cantautrice e frontman del gruppo, ha affermato che la canzone è stata scritta in seguito all’attentato di Warringotn del 1993 da parte dell’IRA, in cui avvenne la morte di un bambino. Il testo contiene dei riferimenti alla Rivolta di Pasqua (una sommossa scoppiata durante la settimana di Pasqua in Irlanda) avvenuta nel 1916.  

Erroneamente si associa Zombie alla denuncia della situazione nordirlandese, ma in realtà è più una canzone che si schiera contro la violenza in generale.

Per quale motivo infatti è diventata anche il simbolo dei “partigiani” russi?  Cosa la rende adatta a raccontare anche questa guerra?

Come ci indica già il titolo, coloro che portano la guerra sono zombie che eseguono ordini, smettono di pensare e camminano lasciandosi dietro terrore e e distruzione. Gli stessi Cranberries affermarono di aver scritto Zombie come simbolo di pace per il proprio Paese, per far capire come la violenza travestita di ideali politici e religiosi possa portare alla perdita di vite innocenti.

“Un’altra testa ciondola umilmente
Il bambino viene lentamente preso e
La violenza ha causato un tale silenzio
Chi stiamo fraintendendo?”

Bella Ciao: la canzone di ogni resistenza

Bella Ciao è un’altra canzone simbolo della resistenza, ma quella ucraina stavolta.  E’ stata riadattata infatti dalla cantante ucraina Khrystyna Solovij, con il testo nella sua lingua madre e con due soli strumenti: chitarra e voce.

Che storia nasconde dietro di sé Bella Ciao? Per noi italiani è simbolo di libertà assoluta, è la canzone che ha accompagnato la liberazione dal morbo fascista. Ancora oggi la cantiamo per affermare quei diritti che ancora non hanno una legge a loro tutela; con essa invochiamo la ribellione per riportare l’ordine ( si, sembra quasi un paradosso).

Gli storici non conoscono le sue origini, molti la associano addirittura al ‘500 francese o ai canti di lavoro delle mondine. Non si conosce né la penna né la data di composizione: il mistero rende questa canzone ancor più affascinante. Anche se associata alla lotta partigiana, dietro di sé non ha precisi riferimenti religiosi e politici: è libera da qualsiasi vincolo, è pura.

“E se muoio da partigiano
Tu mi devi seppellir”

Oggi Bella Ciao è stata riscoperta a livello internazionale anche per via della serie tv La Casa Di Carta, o di migliaia di cover che girano su Youtube. Possiamo considerarla una canzone universale, che fa nascere nell’essere umano la voglia di apportare qualche cambiamento.

La musica è l’unica lingua (se così possiamo definirla) che unisce e mai divide, l’eccezione alla regola: con essa, come con la scrittura e con le azioni, diamo il via a moti rivoluzionari. Ogni evento, ricorrenza, ma soprattutto ogni ideale è rappresentato da una melodia capace di accomunare popoli con lingue e tratti diversi, abbattendo non solo le differenze ma anche i poteri forti.

 

Vignetta satirica di Mauro Biani. Fonte: LaRepubblica

Di Putin si può dire solo una cosa: con i suoi interessi e il proprio potere, ha perso ogni tipo di senso morale, è diventato piccolo come i coriandoli, mentre il “suo” popolo – che non è più suo – si sta dimostrando più forte di lui. Le urla e le azioni dei dissidenti, ma soprattutto i loro canti sono più assordanti delle bombe. 

Alessia Orsa

 

 

 

Belfast: l’Irlanda del conflitto vista attraverso gli occhi di un bambino

 Film leggero da seguire, ma che trasmette comunque molto al pubblico – Voto UVM: 5/5

 

Il cinema non è solamente quell’arte meravigliosa che ci permette di evadere, immergendoci in qualche mondo lontano. A volte i film possono aiutarci a vedere delle pagine di storia da un punto di vista differente.

Belfast, scritto e diretto da Kenneth Branagh, è un altro dei film di cui andremo a parlare in questa road to oscar 2022.

Dove la finzione si intreccia con la realtà

Belfast,1969. La città è scossa da manifestazioni molto violente da parte di gruppi di militanti protestanti contro le minoranze cattoliche. Questo è lo sfondo storico in cui vivono Buddy, bambino vivace interpretato da Jude Hill, la madre, il fratello e i due nonni, interpretati da Ciaràn Hinds e dalla già premio Oscar, Judi Dench. Qui il racconto dell’allegra infanzia di Buddy, costellata di giochi, scuola e primi amori, si unisce a quello delle ansie e preoccupazioni della madre, sola in una città animata da scontri, con gravi problemi economici e del padre, interpretato dall’affascinate Jamie Dornan, costretto a separarsi dalla sua famiglia per lavorare in Inghilterra.

 

Buddy che gioca nelle vie di Belfast

 

In Belfast, vediamo raccontata l’origine di quello che sarà il lungo conflitto nordirlandese ma in una chiave più leggera, secondo il punto di vista di un bambino: un po’ come avviene per la Germania nazista in Jojo Rabbit, anche se in questo caso con un’impronta meno caricaturale.

Un film da Oscar (o da sette!)

A meno di un mese dalla cerimonia, Belfast si afferma come una delle pellicole favorite, assicurandosi ben 7 candidature, di cui alcune in categorie molto rilevanti. Kenneth Branagh ottiene la candidatura per miglior regia e miglior sceneggiatura originale, insieme a quella per la statuetta più ambita, come miglior film.

Candidati a miglior attore non protagonista e miglior attrice non protagonista per le loro performance più che autentiche sono anche Ciaran Hinds e Judi Dench.

Un inno all’Irlanda

Belfast è una rappresentazione fedele e meticolosa dell’Irlanda del nord della fine degli anni ’60: Kennet Branagh, nordirlandese, ha scelto un cast formato prevalentemente da attori irlandesi, con l’inglese Judi Dench come unica eccezione. La quale compensa, naturalmente, con la sua maestria ed il suo talento. Questo ha permesso di portare sul grande schermo un linguaggio più verosimile. Guardando il film in lingua originale, infatti, non risulta difficile notare l’accento molto particolare degli attori e molte locuzioni tipiche della cultura irlandese.

Il cast di Belfast. Fonte: belfastlive.co.uk

 

Oltre tutto, la pellicola più che essere un semplice inno all’Irlanda, è anche una trasposizione autobiografica del regista stesso. Branagh nasce a Belfast nel 1960 e vive la sua infanzia un po’ come quella di Buddy, costellata da violenti scontri e proteste, fino a quando all’età di nove anni lascia Belfast con la sua famiglia trasferendosi a Reading, in Inghilterra, per poi ritornarci idealmente in quest’opera cinematografica.

Un pezzo di Nuovo Cinema Paradiso

“Go Now. Don’t Look Back.” 

“Non tornare più, non ci pensare mai a noi, non ti voltare, non scrivere.

Due citazioni tratte da film di registi differenti, che raccontano storie diverse, ma che mantengono un fortissimo punto di contatto: la difficoltà di doversi separare dai propri cari e la necessità di doverli lasciar andare.

La prima è la frase di chiusura di Belfast, mentre l’altra è tratta dal capolavoro di Giuseppe Tornatore Nuovo Cinema Paradiso, in particolare dalla scena in cui Alfredo dice addio al giovane Salvatore. Non passa inosservata nemmeno la somiglianza tra questi due film per quanto riguarda le riprese.

In entrambe le pellicole ritroviamo, infatti, un fotogramma praticamente identico: si tratta della scena di Buddy in Belfast e di Salvatore bambino in Nuovo Cinema Paradiso, seduti in sala con la luce del proiettore alle loro spalle.

Buddy e Salvatore al cinema

 

Nonostante Belfast racconti un importante capitolo di storia, alla fine risulta essere molto più di un semplice film storico e in parte autobiografico. Belfast si rivela una pellicola sui valori della famiglia, sull’attaccamento verso la propria città natale e le proprie tradizioni, ed è proprio questo che lo rende speciale.

Ilaria Denaro

 

Tick, Tick… Boom! La stoffa del miglior attore cucita a tempo di musical

 

Un musical scoppiettante e coinvolgente è la perfetta occasione di rivalsa per un talentuoso Garfield – Voto UVM: 5/5

 

Sentirsi in tempo, nel tempo. Come se tutto fosse in perfetto equilibrio tra te ed il mondo. È così che un giovane quasi trentenne, nonché compositore teatrale vive i rapporti umani – l’amicizia e l’amore – ma anche i propri obiettivi e sogni. Ciò che emerge è la continua spinta che un uomo determinato ha nel perseguire e realizzare qualcosa di grande, prima che il tempo porti via qualsiasi speranza di successo.

Tick, Tick è il continuo ticchettio dell’orologio, il tempo che scorre e si consuma dietro una piccola lancetta. Boom è suspence o anche realizzazione. È con questa titolo che Andrew Garfield si aggiudica il posto nella scalata agli Oscar come miglior attore protagonista.

Tick,Tick…Boom! Fonte: Netflix

Il profilo dell’attore

Classe 1983, Andrew Garfield è stato senza dubbio una fantastica sorpresa alle nomination degli Oscar di quest’anno. Grazie alla sua favolosa interpretazione, nel film Tick, Tick… Boom! si è aggiudicato il Golden Globe 2022 come miglior attore protagonista. La nomina è stata confermata anche alla categoria degli Academy Awards dove troviamo a fargli compagnia l’attore Benedict Cumberbatch ne Il potere del cane.

Quello di miglior attore è sempre stato un trofeo ambito da tutti e per questo risulta anche un premio molto combattuto dai tanti attori in gara. La performance di Andrew lungo tutta la durata di Tick, Tick… Boom! è stata geniale, inaspettato, brillante e molto vivace: proprio per questo l’attore dovrà quindi confrontarsi con grandi professionisti del campo come Will Smith, Javier Bardem e Denzel Washington.

Nel corso della sua carriera, del resto, Garfield, ha sempre mostrato il proprio talento ed è stato in grado di lasciar inciso nei nostri ricordi il proprio ruolo di Peter Parker in The Amazing Spiderman dove ha dimostrato un grande valore attoriale proprio così come anche nella pellicola The Social Network di David Fincher.

Andrew Garfield candidato a miglior attore protagonista

Sotto ritmi diversi

È vero che non tutti amano i musical e per questo il film – con 1 ora e 55 minuti di durata – potrebbe risultare a tratti noioso. Nonostante questo limite molto soggettivo, ciò nonostante esistono dei personaggi canterini che tutti abbiamo amato, ad esempio Mary Poppins, la vecchia tata che canta ninnenanne ai piccoli o Christian che conquista la bella Satine cantando al Moulin Rouge. E poi c’è Jonathan Larson, compositore e amante della musica che lavora alla scrittura e alla realizzazione del suo nuovo musical.

 Larson nella pellicola mostra in che modo tiene impegnato il suo tempo: componendo. Lo fa continuamente e su tutto, addirittura anche su un barattolo di zucchero. Qualsiasi cosa lo circondi diventa musica e riesce addirittura a coinvolgere anche i suoi amici, che a loro volta cantano e ballano insieme a lui, come se si trovassero tutti in una grande festa.

La scena più simpatica è sicuramente quella in cui cerca di riappacificarsi con la propria ragazza e le canta una canzone usando il suo braccio come se fosse una tastiera. Non una scelta di cattivo gusto, bensì ironica e molto dolce.

Il musical e la grande interpretazione dell’attore racchiudono la vita e le giornate di un artista innamorato del proprio talento. Dalla trama scoppiettante e ironica che suscita un vivace coinvolgimento, una pellicola musicalmente moderna e a tratti poetica: è questo quello che si può dire di Tick,Tick… Boom!

Sui social sono diversi i commenti generati dal pubblico che affermano quanto questo film sia vicino alla perfezione. L’interesse è rivolto soprattutto ai monologhi, i quali ricostruiscono arte e vita privata del protagonista.

Tick,tick…boom! Fonte: stagechat.co.uk

La ribalta

Una scena che rende evidente il lavoro ben fatto è quella in cui Garfield mette tutto sé stesso nella voce, nonostante non abbia mai studiato canto prima di quel momento. Uno sforzo sicuramente apprezzato dal pubblico e non solo, che ha cucito addosso ad Andrew il vestito da miglior attore protagonista. La rara maturità attoriale è stata subito riconosciuta.

Il merito non va solo all’attore ma anche a chi ha esaltato le sue doti e ha saputo scegliere bene: il regista Lin-Manuel Miranda. Sono diversi i tratti del profilo di Miranda che ricalcano quelli di Larson. Miranda durante la sua carriera è passato attraverso il rap e il freestyle e ha iniziato presto a scrivere musical: è per questo che la sua fama nasce a Broadway. Il messaggio lanciato dall’attuale pellicola sembra richiamare anche qualche passaggio della vita del regista. È anche questo che rende il suo lavoro un qualcosa di strettamente personale e intimo.

Cos’altro dire? Corri a vederlo su Netflix. C’è un gran sogno da realizzare prima che sia troppo tardi.. Nel frattempo Tick…..Tick…..Tick….

Boom!

Annina Monteleone

Fedeltà: quando i sentimenti si declinano in cliché

Una serie con un buon potenziale, ma che si perde nei classici stereotipi -Voto UvM: 1/5

 

«M’ama o non ama, mi è fedele o non lo è?»

Essere fedeli, dopo anni accanto alla stessa persona, viene difficile, forse perché troppo stanchi dalla routine o perché non abbiamo trovato l’altra metà della mela, quella nominata da Platone nel Simposio, quella metà così difficile da raggiungere ai giorni nostri, in cui le relazioni vengono sminuite, e il tutto si riduce ad una storia o a un post sui nostri “amati” social, luoghi dove spesso abbiamo incontrato la nostra “amata” anima gemella. Colei su cui proiettiamo la nostra immagine ideale e in essa sfuggiamo dalla vita reale, perché come dice un Fellini citato da Sorrentino: «la realtà è scadente». Ma il celebre regista si nascondeva nei propri film, mentre noi oggi ci rifugiamo sui social esibendo qui la nostra dolce metà, come se fosse un premio.

Michele Riondino e Lucrezia Guidone in “Fedeltà” Fonte: Sara Petraglia/Netflix

 

Fedeltà è una serie tv tratta dal celebre libro di Marco Missiroli, prodotta da Netflix e diretta da ben due registi: Andrea Molaioli e Stefano Cipani. E’ uscita sulla famosa piattaforma il 14 Febbraio, giorno degli innamorati ( sembra quasi che Netflix faccia parte di quella categoria che odia San Valentino). La serie dalla sua messa in onda ha subito fatto parlare di sé, inserendosi nella top 1o delle produzioni più viste del momento.

Quel famoso malinteso

La storia è ambienta in una grigia Milano, la città che non dorme mai, dotata di ipervelocità. I protagonisti principali sono Carlo (Michele Riondino) e Margherita (Lucrezia Guidone), due giovani sulla trentina, belli e pieni di vita. Come la loro città, corrono velocemente, e assieme a loro sembra correre il loro amore, fatto di eros e gelosia.  Tutti li invidiano, chiunque vorrebbe la loro relazione e nessuno riesce a dividerli. Ma le cose belle non durano in eterno: il loro equilibrio verrà distrutto in poco tempo da un “malinteso”…

Carlo è uno scrittore, ma per tirare avanti tiene un corso universitario di scrittura creativa, mentre Margherita è laureata in architettura e lavora in una agenzia immobiliare. Donna furba e solare, nulla le sfugge. Infatti non si fida di Carlo e, dopo un fraintendimento avvenuto nei bagni universitari, come un segugio, andrà a caccia di prove.

Da quel momento in poi la loro relazione comincerà a scalfirsi, a poco a poco.

Carlo (Michele Riondino) e Margherita (Lucrezia Guidone) in una scena della serie TV. Fonte: Netflix

 

Per Carlo e Margherita non ci sarà più niente da fare: cominceranno ad allontanarsi sempre di più, immischiandosi in situazioni pericolose per il loro rapporto e distruggendolo del tutto. Da una parte Carlo intreccerà un rapporto con una giovane studentessa universitaria di scrittura creativa, Sofia (Carolina Sala): sarà lei che scatenerà la crisi tra i due innamorati. Qui abbiamo il primo cliché: il professore che tradisce la moglie con una studentessa. Dall’altra parte, Margherita inizierà una relazione con Andrea ( Leonardo Pazzagli), il  suo affascinante fisioterapista – e anche qui abbiamo un altro stereotipo!

Una serie che scade nella banalità?

Fedeltà è una serie che sottovaluta i propri personaggi (non traspare niente della loro anima, di cosa provino o meno), che non sembrano “persone”, ma meri oggetti sessuali, quasi dei “robot”, degli individui immaturi.

Vince colui che fa il dispetto più grande per affermare la propria superiorità; ne esce ridicolizzato l’amore, quella sfera sentimentale, che in pochi hanno la fortuna di comprendere interamente, e ancor meno di vivere. Perché alla fin fine vogliamo solo essere visti appieno, con i nostri difetti, senza la resa alla prima difficoltà da parte dell’altro o di noi stessi: questo significa essere “fedeli”.

Allo stesso tempo, nonostante gli innumerevoli cliché, la serie ci mostra però come sia importante mantenere la fedeltà e quanto sia facile, per contro, cadere nelle tentazioni carnali. L’amore platonico ci ricorda che alla fine l’essenziale è il sentimento. Seguire “la carne” è invece un istinto alla base di ogni essere umano e possiamo soddisfarlo con chiunque, ma l’amore no, è talmente esclusivo da apparire a volte irraggiungibile.

Alessia Orsa

Rileggere “Il grande Gatsby” in un graphic novel


Il riadattamento a fumetti de “Il grande Gastsby” è un’opera emblematica per i contenuti e le caratteristiche – Voto UVM: 4/5

 

Pubblicato a New York, nel 1925, Il grande Gatsby, il capolavoro di Francis Scott Fitzgerald, è tra le opere letterarie  più importanti del romanziere americano.

L’opera, dopo diverse trasposizioni cinematografiche,  è stata adattata per la prima volta al linguaggio delle immagini, in un romanzo a fumetti pubblicato in Italia dalla casa editrice Tunué. Il graphic novel curato dalla pronipote dello scrittore americano, Blake Hazard, è illustrato dall’artista Aya Morton, scelta dalla stessa e dal team di creativi dopo un’ attenta e articolata ricerca.

Le trasposizioni cinematografiche o teatrali dei grandi romanzi corrono infatti  il rischio di tradire l’essenza dell’opera nell’adattamento: di qui la necessità di rintracciare tra diversi artisti, quello dallo stile capace di restituire al lettore il vero spirito del protagonista e l’atmosfera del racconto. Aya, come la stessa Hazard scriverà nell’introduzione del graphic novel

“E’ riuscita a cogliere perfettamente lo spirito travolgente delle feste di Gatsby a West Egg, l’atmosfera languida dei pomeriggi trascorsi a casa Buchanan e lo strepitoso paesaggio urbano di New York.”

L’adattamento del testo originale è stato affidato invece al sapiente lavoro di Fred Fordhan, che oltre alla sua esperienza con lavori precedenti come quello su Il buio oltre la siepe di Harper Lee, vanta anche una carriera come illustratore.

 Il grande Gatsby, graphic novel. Fonte: Tunué

 

Pagina dopo pagina, tavola dopo tavola, vediamo delinearsi la vicenda di Jay Gatsby, il protagonista dell’opera, un uomo ricco e dal passato misterioso, le cui memorabili feste nella villa di Long Island sono note a tutti e a cui tutti possono partecipare. Nonostante la sua grandezza e la sua fama siano sulla bocca di tutti, nessuno degli ospiti sa veramente chi egli sia. Il lettore è accompagnato nel mondo di Gatsby attraverso la voce narrante, quella di Nick Carraway, suo vicino di casa e cugino di Daisy, amore giovanile del protagonista.

Daisy è il motore immobile che muove l’intero mondo di Gatsby, mondo che Fitzgerald ci presenta in nove capitoli disvelando piano piano la sua personalità e il suo passato attraverso il racconto della sua ossessione per quest’amore ideale e irraggiungibile.

 

Il bacio tra Jay Gatsby e Daisy

 

Dalla trama emerge un senso di disagio e inadeguatezza nei confronti della società americana di inizio secolo scorso, società caratterizzata  dalla perdita di ogni senso morale e guidata dal mito del guadagno ad ogni costo. Si delinea un’ideale di ricchezza che si sovrappone in modo grottesco ai valori fondanti dell’identità di popolo americano, quelli della cultura del lavoro e del sacrificio. Dunque non solo il racconto di giovani eleganti del mondo newyorkese, di macchine, ville lussuose, amori e omicidi, ma anche cronache di quella stagione indimenticabile degli anni Venti definita età del Jazz.

Il jazz è il genere musicale che  meglio si presta per cogliere le contraddizioni della società americana degli anni Venti. Nato per esprimere la pena e la sofferenza degli afroamericani in schiavitù, viene assunto dai benestanti come colonna sonora di una vita frenetica e sfrenata. Età segnata dall’apparente spensieratezza di una vita ricca e da un’euforia collettiva e individuale che si esprime in un vortice di danze, tradimenti, frivolezze e alcool in bilico tra il tutto e il nulla, all’insegna di un sentimento di solitudine, incomunicabilità, vuoto e sconfitta che permea ogni vita e ogni interazione.

 Il grande Gatsby, disegno.

 

Il grande Gatsby è sicuramente il capolavoro della carriera di Fitzgerald. Riportando le parole di Blake Hazard, stampate all’interno di una cornice dorata nella sua introduzione del graphic novel, celebriamo ancora una volta questa magnifica opera restituita ai lettori in una veste del tutto nuova, incorniciandole a nostra volta tra le virgolette:

 “Il mio bisnonno era un uomo che sapeva apprezzare le novità tanto quanto i classici e i capolavori senza tempo. So che sarebbe stato incantato dalla freschezza di queste immagini, perché fedeli all’originale. [..] mi auguro davvero che questo Graphic novel possa essere apprezzato da tutti coloro che hanno letto e amato il grande Gatsby. Per quelli che invece si confrontano per la prima volta con il capolavoro di Fitzgerald, il mio augurio è quello che queste pagine rendano l’originale ancora più fruibile.”

Martina Violante

«Oh, oh! Mi è semblato di vedele un gatto…»

“Esploratori”, “indipendenti” e “dormiglioni” sono solo alcuni degli aggettivi che descrivono i protagonisti dell’odierna Giornata Nazionale del gatto.

Personaggi noti con i loro gatti

Pensando alla Regina Vittoria e a John Lennon con i loro White Heather e Salt, a Winston Churchill e a Edgar Allan Poe con i rispettivi Nelson e Cattarina, ci chiediamo se dietro ogni grande uomo, oltre a una grande donna, non ci sia anche un amico pelosetto che fa le fusa. E allora quale modo migliore per festeggiare questi compagni di vita se non accoccolandosi sul divano insieme – cioè con loro su di noi, i loro padroni-sofà – a guardare le opere di cui sono stati protagonisti?

Gatti famosi nell’arte e nella musica

Dai disegni di Louis Waine raffiguranti colorati gatti antropomorfizzati dai grandi occhi al libro illustrato“25 Cats name Sam and one Blue pussy” (1954) che Andy Warhol dedicò ai suoi mici newyorkesi, le opere pittoriche dedicate a questi animali sono numerose, così come lo sono quelle musicali.

Opere pittoriche e musicali sui gatti

Pensiamo a “La Gatta” (1960) di Gino Paoli, che racconta con nostalgia della gatta con cui condivise, nei primi anni della sua carriera, una soffitta genovese o a “Delilah” (1991) di Freddy Mercury, che si dice fosse un vero e proprio gattaro tanto da telefonargli quand’era in tournée. Oppure a pezzi ormai diventati cult, come Siamo gatti(1998), interpretata da Samuele Bersani, un vero e proprio inno alla vita felina, e Il gatto e la volpe (1977) di Edoardo Bennato, ispirato alla favola di Pinocchio.

 

Gatti da pellicola

“Everybody wants to be a cat”: alcune scene de “Gli Aristogatti” (1970)

Se vi dicessimo crème de la crème alla Edgard, non verrebbe in mente anche a voi il classico dei classici Disney, “Gli Aristogatti” (1970)? La celebre storia della gatta Duchessa e dei suoi cuccioli Bizet, Matisse e Minou salvati dal gatto randagio Thomas O’Malley che, nella traduzione italiana, si presenta come “Io so ‘Romeo, er mejo der Corosseo“. Ci dispiace per gli amici irlandesi, ma per noi Romeo è un romano de Roma!

 

I gatti “magici”

La superstizione popolare che lega gatti e magia è diffusissima, basti pesare che il mese di febbraio è noto come «mese dei gatti e delle streghe».

“Sono un aiutante furbo e affascinante che non stanca mai”. Salem nella versione cartoon e serie tv.

Salem (“Sabrina, vita da strega”) è il mentore (non troppo affidabile) di Sabrina. Ricordiamo tutti le sue gaffe e i trasferimenti spesso esilaranti, il temperamento megalomane e un tantino arrogante dello stregone che, per aver tentato di conquistare il mondo, è condannato a vivere sotto forma felina. In realtà, non ha perso le sue manie di grandezza nemmeno da gatto e noi lo amiamo anche per il suo essere un bad-cat!

 

Cagliostro nei fumetti e nell’omonimo film del 1985 con Kim Novak

Cagliostro (Dylan Dog”) è un potente felino che stringe un legame di sangue con Dylan Dog a seguito della morte della strega Kim. Per gli straordinari poteri di cui è in possesso, è condannato a vivere a vita in un limbo. Riuscite a immaginare un gatto, che ha le capacità di far sparire la Terra, rinchiuso in un limbo? Ecco, non fatelo perché tanto non si farà catturare… Ma tranquilli, alla fin fine, è un gatto buono!

Gatti prodigio: a destra Luna, a sinistra Grattastinchi

Grattastinchi (“Harry Potter”) è l’incrocio Gatto-Keazley di Hermione Granger. Apparentemente pigro e malandato, è uno straordinario cacciatore di ragni con la capacità di distinguere i buoni dai cattivi. E infatti avrebbe impedito il ritorno del Signore Oscuro, se solo gli avessero permesso di mangiare il topo Crosta alias Peter Minus… Della serie: affidiamoci all’istinto di questi animali, non sbagliano mai (tranne quando tentano di conquistare il mondo…)

Luna (“Sailor Moon”), invece, è la consiglier – con la capacità di parlare con gli uomini e di trasformarsi in donna – di Bunny che le affida la missione di trovare i Sailor Guardians e la Principessa Serenity. Sebbene spesso severa nei confronti di Bunny, per lei ci sarà sempre e, chissà, forse c’è sempre stata…

Per gli amanti dei gatti arancioni

Gli occhi ammalianti che girano in tanti meme: il Gatto con gli Stivali di Shrek

E che dire del fuorilegge Gatto con gli stivali (“Shrek”)? L’accento ispanico e il look da moschettiere francese lo rendono un perfetto micio macho o “chat fatale” capace di far cadere dinanzi alle sue zampette stivalate qualsiasi “gattina” (non solo felina…) perchè, davanti ai suoi occhioni, chi non si scioglierebbe?

“In passato mi hanno dato molti nomi: Diablo gatto, Gatanova, Chubacabras, amante picante e veleno rosso ma per tutti sono…”

Garfield in vari cartoon

Tra i gatti arancioni, spicca il paffuto e impertinente “Garfield”. Vive nell’assoluto ozio, mangiando e dormendo tutto il giorno (hobby strani per un gatto, vero?), fino a quando il padrone Jon s’innamora di Liz e adotta il cagnolino Odie.

Per fortuna Dio ha creato le lasagne! Attenzione però: le lasagne non sono adatte a nessun gatto! Garfield fa eccezione, essendo nato in una pizzeria (beato lui!).

 

Gatti famosi un pò sfigatelli

“Quasi amici”. In alto Tom e Jerry. In basso Titti e Silvestro.

Tra i gatti più sfortunati di sempre non possiamo di certo non menzionare gli iconici  Tom (“Tom and Jerry”) e Silvestro (“Looney Tunes”). Entrambi destinati a non catturare i loro furbi e adorabili nemici, Jerry e Titti, e a vivere continue disavventure nel tentativo di farlo. Ma si sa, spesso dietro grandi inimicizie si nascondono anche rispetto e lealtà, (speriamo non anche appetito!)

Gatti “cinegenici”: Fiocco di Neve e Sfigatto

E chi non ricorda gli occhi celesti di Sfigatto (“Ti presento i Miei”, 2000), il meraviglioso himalayano diventato famoso per la capacità di andare da solo alla toilette? Capacità di cui, siamo sicuri, sono dotati anche i vostri mici…

E, infine, lo splendido persiano Fiocco di Neve (“Stuart Little”,1999) che si ritrova a convivere con un nuovo padroncino: niente meno che un topo! Vi lasciamo immaginare gli innumerevoli tentativi di liberarsi di lui, da un giro in lavatrice a uno scambio di genitori-topi.

I gatti “tata”

 

“Siamo gatti siamo noi. Siamo gatti beati noi. Per le strade noi felici incontriamo i nostri amici!”. I gatti del film d’animazione del 1998 tratto dal romanzo di Luis Sepulveda.

Non possiamo dimenticare Zorba (“La gabbianella e il gatto”, 1998), il micio che si ritrova ad accudire una pulcina di gabbiano dopo aver promesso alla sua mamma, avvelenata dal petrolio, di insegnargli a volare. Questa improvvisata e “innaturale” mamma ci insegna che, se si regala tanto amore incondizionato (soprattutto a chi è diverso da noi), se ne riceve altrettanto. Pensate a quell’amore che ogni animale domestico regala al suo padrone, non chiedendo altro che un po’ di buon cibo, tante coccole, un corpo caldo umano su cui dormire … e in cui infilzare le proprie unghiette.

 

Il gatto più famoso degli anime: Doraemon

Un’altra tata, stavolta robotizzata, è “Doraemon”. Venuto dal futuro per assicurare un’infanzia felice a Nobita, ha delle ottime doti culinarie (chi non ha, almeno una volta nella vita, desiderato assaggiare i suoi famosi dorayaki?) e una tasca quadridimensionale dalla quale estrae i chiusky. Salvo nelle situazioni di stress dove si fa prendere dal panico e tira fuori solo cianfrusaglie inutili; al che ci viene spontaneo urlare, insieme a Nobita: “Doraemon!!!”.

 

Gatti guida. A sinistra lo Stregatto nella versione cartoon e poi live action di “Alice nel Paese delle meraviglie”. A destra Balzar

E poi ci sono Balzar (“Dragon Ball”), il maestro di arti marziali di Goku e coltivatore dei fagioli magici, e lo Stregatto (“Alice nel paese delle meraviglie”) che invita Alice, e tutti noi, a “incamminarci” senza preoccuparci troppo di imboccare la strada giusta o sbagliata perché ciò che conta, nel tragitto della vita, è camminare.

” E continuò: “Vorresti dirmi che strada devo prendere, per favore?”

“Dipende, in genere, da dove vuoi andare” rispose saggiamente il Gatto.

“Dove, non mi importa molto” disse Alice.

“Allora qualsiasi strada va bene” disse il Gatto.

“…purchè arrivi in qualche posto” aggiunse Alice per spiegarsi meglio.

“Per questo puoi stare tranquilla” disse il Gatto. “Basta che non ti stanchi di camminare.” “

 

Come faremmo senza di loro?

 

 In alto Lucifero in “Cenerentola” e il gatto di Ernst Blofeld (007 – Dalla Russia con amore). In basso un “innocuo” peloso in braccio a don Vito Corleone ( Il padrino I) e “Gatto” in “Colazione da Tiffany”. 

Da ottime muse ispiratrici a sveglie mattutine armate di artigli, da sopramobili miagolanti (soprattutto nelle ore notturne) a compagni di gioco pronti a seguirci ovunque (anche dove non dovrebbero, come alla toilette…), ci regalano gioie e tanti graffi.  D’altra parte, come disse il veterinario Joseph Mery, “Dio ha creato il gatto per procurare all’uomo la gioia di accarezzare la tigre”. 

Si meriterebbero una festa che duri 365 giorni l’anno ma – anche qualora gliela organizzassimo – state certi che loro ci guarderebbero sempre come coinquilini (e schiavi) e mai come padroni reclamando, con un’autoritaria zampetta sulla ciotola, altri croccantini.

Perché, come disse Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany (1961), «lei e il suo gatto non appartengono a nessuno e nessuno gli appartiene».

 

Angelica Terranova

 

Nightmare Alley: l’inquietante circo delle illusioni di del Toro

Con ben 4 nominations agli Oscar, Nightmare Alley è un thriller coinvolgente dall’atmosfera unica – Voto UVM 4/5

 

La nuova pellicola di Guillermo Del Toro, rifacimento del film omonimo del 1947, narra una storia semplice.

Un protagonista anonimo, Stan Carlisle (Bradley Cooper), lascia la sua casa senza un avere addosso e viene per caso raccattato dai proprietari di un circo. Questo baraccone sembra inizialmente sospeso nella realtà: non abbiamo alcuna indicazione di dove si trovino i personaggi o quale sia il periodo storico in cui è ambientata la vicenda. Fa da sfondo soltanto un’atmosfera lugubre e triste, a tratti inquietante.

Bradley Cooper in un’immagine promozionale. Fonte: Searchlight Pictures

Come ogni buon film del regista qui l’introspezione la fa da padrone: quasi ogni immagine è una metafora portata visivamente sullo schermo, una visione delle emozioni che prende forma e colore nel mondo. Come sempre Del Toro non riesce a deludere e parla con immagini che riescono a catturare lo spettatore: la resa fotografica rasenta la perfezione, riuscendo a comunicare sempre la giusta emotività della scena attraverso colori e luci. Non a caso una delle nomination di Nightmare Alley agli Academy – oltre a miglior film, costumi e scenografia – è proprio per la fotografia!

Non ci troviamo di fronte ad un approccio che vira sul fantastico come in altri film del regista, ma le azioni stesse dei personaggi sono specchio della loro vera identità e torna qui la tematica tanto cara al regista della fantasia mista alla crudità del reale. In questo il lavoro è ottimo: nonostante ci venga rivelato solo all’ultimo, possiamo già intuire dall’inizio come tutti i personaggi mentano a se stessi e vengano illusi dalle altre persone. Quasi come se la vita intera fosse uno spettacolo di mentalismo.

Anche a livello tecnico il film risulta solidissimo. La camera inquadra sempre quello che deve e le immagini appaiono chiare. Il film risulta in questo riuscito in quanto porta sullo schermo un racconto che, tramite scene cariche di significato e a volte cruente, riesce a narrare una storia coinvolgente.

Stan durante uno spettacolo da mentalista.

La sceneggiatura, inoltre, quasi non sbaglia un colpo, riuscendo ad essere sempre sottile ma anche chiara e coerente. Sono i piccoli gesti dei personaggi a renderli reali (un bacio rubato alla persona sbagliata o un atto di violenza immotivato). Sono tutti segnali che fin dall’inizio il film ci manda come campanelli d’allarme. L’intero intreccio segue, inoltre, lo stesso leitmotiv e risulta un quadro perfetto costruito sempre attorno al tema che ritorna anche nel titolo. Ottimo anche il ritmo della narrazione, che in un crescendo ci porta verso fasi finali ricche di pathos.

Ottime anche le performance degli attori: i personaggi sono tutti espressivi e riescono a raccontarsi benissimo attraverso la propria mimica. Bradley Cooper, nel ruolo di Stan, riesce perfettamente a sembrarti un anima timida ed impacciata, così come Rooney Mara rientra bene nel ruolo della solare e speranzosa Molly. Anche a Cate Blanchett è stato cucito un ruolo da femme fatale, che calza a pennello con la sua espressività da rapace. Oltre ai protagonisti, poi, l’intero cast riesce a spiccare sullo schermo – in particolare David Strahairn e Toni Collette, rispettivamente Pete e Zeena nella storia. Una nota di merito va sicuramente a Willem Dafoe che nonostante il minutaggio risicato riesce a lasciare la sua impronta nel film.

Stan mostra a Molly le sue idee per un nuovo spettacolo

La pellicola, benché sia un’ottima opera, ben costruita sotto ogni punto di vista non riesce – forse – a rimanere impressa, a risaltare se paragonata ad altri lavori del regista. Non esistono purtroppo immagini o sequenze che rimangano più di altre nella mente dopo la visione. Film come Il Labirinto del Fauno rimangono ancora oggi nella memoria collettiva per la loro crudezza e impressività, punte che Nightmare Alley non riesce a toccare.

Inoltre, il messaggio di fondo, non risultando comunque banale, non riesce a spiccare: il rischio è che molti si fermino alla lettura superficiale che vede prevalere la semplice legge del contrappasso. Lettura che si limiterebbe alla visione delle azioni del solo protagonista, mentre – come già detto – gli errori sono sempre gli stessi e sono commessi da tutti i personaggi.

Come giudicare allora Nightmare Alley? Il tratto di Del Toro si nota ed ogni inquadratura, ogni sguardo risultano curati nei minimi dettagli. Il film trasmette ansia, paura e gioia riuscendo a farlo bene in ogni fotogramma. Se si può rinvenire una pecca, sta allora nel messaggio finale: più banale delle previsioni che si potevano fare ad inizio film.

Nonostante tutto La fiera delle illusioni che ci racconta del Toro rimane un ottima pellicola drammatica, da consigliare a chiunque sia un amante del cinema.

 

Matteo Mangano 

8 canzoni moderne da dedicare a chi ami a San Valentino

Oggi è San Valentino, la festa dell’amore. Ogni anno le coppiette di innamorati si scambiano piccoli pensieri per celebrare il sentimento che li lega. C’è chi prepara una cena, chi compra dei fiori o dei cioccolatini, chi magari non fa nulla di speciale, ma vuole far sapere al mondo che è innamorato. Cosa fare in quel caso? Pubblicare una foto sui proprio social può essere una soluzione, però che canzone sceglieremmo come sottofondo?

Ecco a voi una piccola lista delle canzoni più belle uscite negli ultimi anni, selezionate per voi tra miriadi di brani che parlano d’amore.

“Fanne qualcosa di eterno, non lasciarne cadere neanche un solo frammento”

La sensibilità di Michele Bravi traspare dal suo brano Mantieni il bacio ( 2021), pubblicato dopo il lungo periodo di assenza a causa di problemi personali.

Mantieni il bacio è un inno all’amore che salva dalla ferita del mondo. Michele canta di come, in un periodo buio, l’unica cosa che lo ha ancorato alla realtà erano i baci con la persona amata perché era lì che il male smetteva di esistere e c’erano loro due, «soltanto io, soltanto tu». Il cantante dice che l’amore deve essere protetto da tutto e tutti e che si esprime attraverso il bacio, che permane nello spazio e nel tempo.

“Mantieni il bacio
Oltre l’errore del tempo
Fanne qualcosa di eterno”

 

“Come fai a toccare la mia anima dall’esterno?”

Forse i più conosceranno questa canzone, Pov ( 2020), a causa dell’enorme successo ottenuto via TikTok e Instagram Reels.

Questo non è l’unico singolo virale che la popstar statunitense Ariana Grande vanta nella sua discografia, ma è probabilmente la dedica più dolce mai fatta a qualcuno. Nella canzone, Ariana dice di voler capire il “punto di vista” del marito, Dalton Gomez,  per poi farlo proprio. Vuole vedersi come la vede lui, con pregi e difetti perché in questo modo può imparare ad amare se stessa:

“Voglio amarmi (ooh)
nel modo in cui mi ami (ooh)
per tutti i miei pregi e anche i difetti

Mi piacerebbe vedermi dal tuo punto di vista”

 

“L’universo si è mosso a nostro favore, non c’era nulla leggermente fuori posto”

Il gruppo k-pop più famoso al mondo, BTS, ha una moltitudine di canzoni che parlano dell’amore in moltissime forme ma probabilmente Intro: Serendipity ( 2017) è quella che più sembra una poesia per la dolcezza delle parole usate.

La canzone non è pensata per il gruppo ma per il membro Jimin, particolarmente apprezzato per il tono di voce delicato e sensuale. Nella canzone l’incontro con la propria metà viene descritto in due modi: può essere un caso ma allo stesso tempo era destino che i due si conoscessero. In sostanza quindi l’amore è un bellissimo paradosso, perché i due amanti erano destinati ad “incontrarsi accidentalmente“:

Sin dalla creazione dell’universo
Tutto era già stato deciso
Just let me love you (let me love, let me love you)”

 

 

“Il tuo amore è un segreto che spero, sogno, muoio per tenerlo”

La cantautrice statunitense per eccellenza Taylor Swift prende il microfono e incide King of my heart ( 2017), una canzone che narra un sentimento inaspettato sfociato poi in relazione stabile.

L’amore per Joe Alwyn, un attore britannico, è “rinfrescante” per la vita personale della «regina americana», talmente rinfrescante che si è consolidato facilmente. Taylor accetta questo sentimento improvviso e arriva a definire il suo compagno quello “definitivo”. Con lui, sta guarendo da precedenti relazioni disastrose e sta maturando nuove consapevolezze riguardo se stessa:

“E’ questa la fine di tutte le fini?
le mie ossa rotte stanno guarendo
grazie a tutte queste notti passate insieme”

 

“Nessuno raggiunge il tuo livello, non importa quanto ci provi”

Il trio messicano Reik non è molto conosciuto in Italia, ma il cantante colombiano Maluma ci fa ballare ogni anno a suono di hit raggaeton. La canzone nata dalla loro collaborazione, Perfecta (2021), ha un testo semplice e – se si hanno conoscenze basiche della lingua spagnola – è facile da cantare. Il brano ruota attorno alla devozione per la persona amata e alla gratitudine per aver ucciso la propria solitudine imprimendo una direzione alla propria vita.

“Nessuno me lo fa come te,
Hai qualcosa che mi cattura
Nessuno raggiunge il tuo livello, non importa quanto ci provi”

 

“Non so cosa voglio ma so che voglio veramente aggrapparmi a te”

Ovviamente, quando ci si innamora, non si inizia con rose e fiori. Seori, cantante indie coreana classe 1996, canta questa fase nella sua Lovers in the night.

Descrive le sensazioni positive e negative che le fanno desiderare di vestirsi di rosso o di cantare a squarciagola, i desideri e le tentazioni che il cuore prova in quei momenti, pur restando puro.  Seori dice poi di «non voler dare un nome a questo sentimento» che è pesante nel suo petto.

“So che è meglio essere freddi
Meglio chiedersi che sapere
E quindi interpreterò il ruolo”

“Ne prendo un piccolo pezzo e il resto è tuo, mio amore”

Il genere rap non poteva rimanere fuori da questa piccola lista di canzoni d’amore. Own it ( 2019)è una canzone di Stormzy, rapper originario di Londra; partecipano al brano il cantautore inglese Ed Sheeran e il rapper nigeriano Burna Boy.

Il tema centrale della canzone è una ragazza che vuole avere il controllo – in questo caso del cuore del proprio partner – e che quindi «lo possiede».

Quando è stato chiesto il significato della canzone a Stormzy, ha risposto: «A volte la musica sa essere sessista o usa le donne come oggetti. Io non voglio questo.»

“Amavo stare da solo, ma adesso non lo sopporto
Allungo il mio palmo per te così puoi metterci la mano
Ragazza, sei l’unica e non lo capisco
Come illumini la stanza con la tua luce?”

 

“Ti comporti così perché sai che impazzirò, vero?”

She is ( 2016) di Junghyun, membro ormai scomparso degli SHINee, è una delle canzoni più ascoltate durante il giorno di San Valentino. In Corea del Sud è un testo molto apprezzato per la sua sensualità volutamente non esplicita, discreta e incredibilmente romantica.

Il brano ha caratteristiche RnB ed è leggero e gioioso, a tratti civettuolo, a tratti a sfondo sessuale (per quanto un brano k-pop possa esserlo!).

Jonghyun descrive come il suo interesse amoroso lo faccia sentire e come a volte lui e la sua partner si mettano a giocare “al gatto col topo”:

“Mi piace come sembra che tu non sappia niente

Mi piace come ti comporti in modo timido

Mi piace così come è”

 

 

San Valentino è quel giorno in cui ti dedichi alla persona amata. Basta poco: non occorre esagerare con regali costosi o con poesie di tempi ormai lontani, che fanno sempre effetto ma a volte non descrivono dinamiche moderne. Una canzone è un ottimo sostituto e, anche se quella che piace a te o alla tua metà non è tra queste, in rete ne esistono diverse centinaia di migliaia. Tocca a te scoprirla!

Sarah Tandurella

Countdown agli Oscar 2022: le principali nomination

Tenetevi forte cinefili perché sta iniziando il periodo più bello dell’anno: l’avvento degli Academy Awards. Dopo le grandi pellicole uscite nelle sale questi ultimi mesi, non vedevamo l’ora di sapere quali sarebbero stati i protagonisti degli Oscar 2022. Ebbene, l’attesa è finita! Giorno 8 febbraio alle 14 ora italiana, sono state rese note le nomination di quest’anno per le 23 differenti categorie, in vista della premiazione che si terrà il 27 Marzo (in Italia la notte tra il 27 e il 28).

I candidati per i “Big Five”

Premettendo che qualsiasi statuetta è senza dubbio un premio prestigioso  nonché un grande traguardo, ci sono cinque particolari Oscar che  sembrano essere ancora più rilevanti degli altri: stiamo parlando dei cosiddetti Big Five, ovvero le categorie “miglior film”, “migliore sceneggiatura originale”, “miglior regia” e “miglior attore” e “miglior attrice protagonista”.

Per questa cerimonia 2022 risplendono già alcuni grandi film, tra cui Il potere del cane, western dai toni drammatici candidato con Jane  Campion per la miglior regia, per miglior attore protagonista con l’inglese Benedict Cumberbatch (Doctor Strange, Sherlock) e, naturalmente, come miglior film.

Inoltre vediamo spiccare le performance di Javier Bardem Nicole Kidman, entrambi candidati per miglior attore e attrice protagonista per la loro performance in A proposito dei  Ricardo.

Lista dei candidati per il miglior film; fonte: tomshw.it

In particolare, per la categoria miglior film ritroviamo alcune delle pellicole più viste (e discusse) dell’ultimo anno, tra cui Don’t look up, commedia satirica, candidata anche per la miglior sceneggiatura originale con Adam McKay e David Sirota, e Una famiglia vincente, film biografico che racconta la storia delle campionesse del tennis Venus e  Serena Williams. Quest’ultimo è in gara anche con Zach Baylin per la miglior sceneggiatura originale e con Will Smith per miglior attore protagonista, per la sua interpretazione del padre delle campionesse, Richard Williams.

Altri film candidati nei Big five, sono Tick tick… Boom per l’interpretazione di Andrew Garlfield, il nuovo West side story del maestro Steven Spielberg, per miglior film e regia e Licorice Pizza, scritto e diretto da Paul Thomas Anderson per miglior regia e sceneggiatura originale.

Ma agli Oscar presenzierà anche una delle coppie più dolci di Hollywood: stiamo parlando del già citato Javier Bardem e Penelope Cruz,  anch’essa candidata come miglior attrice per Madres Paralelas di Pedro Almodóvar .

Un po’ d’Italia agli Oscar

Dopo essersi distinta nel calcio agli Europei 2021 ed in molti altri sport alle Olimpiadi, nonché nella musica all’Eurovision, l’Italia ritorna da “protagonista” anche agli Oscar!

Il bel paese infatti non veniva candidato nella categoria “miglior film in lingua straniera” dal 2014, anno in cui oltretutto vinse con il capolavoro La Grande bellezza di Paolo Sorrentino. Ed è proprio lui che ci riporta in gara per questa statuetta con E’ stata la mano  di Dio, pellicola autobiografica, che ha già trionfato al Festival del cinema di Venezia vincendo diversi premi.

Paolo Sorrentino con il giovane Filippo Scotti e Toni Servillo, grandi interpreti in “E’ stata la mano di Dio”. Fonte: Il Fatto Quotidiano

Ad ogni modo il made in Italy agli Academy Awards 2022 non si ferma qui! Il gioiellino firmato Disney-Pixar, Luca, diretto da Enrico Casarosa è in lizza per il miglior film d’animazione.

Ma non finisce qui

Ritroviamo il nuovo Dune di Denis Villeneuve in gara per ben 10 statuette, tra cui – oltre a miglior film – per il miglior suono, costumi, make-up, sceneggiatura non originale  ed effetti speciali. Per quest’ultima categoria, inoltre sono stati candidati anche due degli ultimi film del MCU – Shang Chi e la leggenda dei dieci anelli e Spiderman: No Way Home – e No time to die, l’ultimo film di 007.

Da sinistra a destra: “Shang Chi”, “No Way Home” e “Free Guy”: tre dei film candidati per i migliori effetti speciali; fonte: bullfrag.com

Nella categoria miglior attore non protagonista ritroviamo grandi stelle del cinema, come il premio oscar J.K. Simmons (Whiplash) per il ruolo di William Frawley in A proposito dei Ricardo, e attori emergenti come Troy Kotsur nei panni di Frank Rossi ne I segni del cuore.

Anche per la miglior attrice non protagonista sono state candidate nuove stelle in ascesa come Ariana DeBose (West Side Story) e grandi star di Hollywood quali la già premio oscar Judi Dench per la sua performance in Belfast e Kirsten Dunst per il ruolo di Rose Gordon ne Il potere del cane .

Grandi esclusi

Ogni anno, per ogni premiazione, succede sempre che alcune grandi pellicole risultino tagliate fuori da molte o tutte le categorie degli Academy Awards, vuoi per una certa indifferenza da parte del pubblico nelle sale vuoi per la predilezione di film che trattano particolari tematiche.

Grandi esclusi in quest’edizione degli Oscar si possono considerare Ultima Notte a Soho, thriller avvincente con le strabilianti interpretazioni delle protagoniste Anya Taylor-Joy e Thomasin McKenzie, e The French Dispatch, nuovo film scritto e diretto da Wes Anderson (Grand Budapest Hotel).

Presentatore cercasi

Quest’anno, per la prima volta dal 2018, ci sarà un presentatore fisso per la cerimonia degli Academy. Negli ultimi anni, invece, erano state solo le varie celebrità (già vincitrici in passato) a condurre il gioco annunciando i premi e consegnando la preziosa statuetta.

L’unico problema è trovare qualcuno effettivamente disposto a fare il presentatore: questo ruolo sembra essere poco apprezzato dai più. Le proposte sono state molte, tra cui anche il giovane Tom Holland – come trapelava da qualche indiscrezione – ma ancora nessun nome certo.

Jimmy Kimmel, ultimo presentatore fisso agli Oscar 2018; fonte: psicofilm.it

Chiunque sarà a condurre, in ogni caso, gli Academy Awards sono sempre un evento unico per gli amanti del cinema: l’occasione giusta per celebrare questa grande arte, presentare nuovi capolavori e scoprire talenti sconosciuti. Quindi senza altri indugi, mettiamoci comodi e godiamoci questa nuova stagione degli Oscar.

Per ora non abbiamo nient’altro da aggiungere, se non invitarvi a rimanere con noi di UniVersoMe per scoprire di più sui film che hanno ottime possibilità di portarsi a casa qualche statuetta. Stay tuned!

Ilaria Denaro

Room di Lenny Abrahamson: fuori dalla “caverna”

In una leggenda molto famosa di Platone, viene raccontata la storia di alcuni uomini prigionieri dentro una caverna, con gambe e collo incatenati. Quella condizione li porterà a vivere per ore, giorni, anni rinchiusi tra quelle mura senza riuscire mai a scoprire il mondo, a vedere la luce.

Ma cosa potrebbe succedere se anche solo uno di quegli uomini riuscisse ad evadere? Forse inizierebbe a scoprire di cosa siano fatte le foglie, che colori abbiano i fiori o cosa significherebbe avere un amico …

Nella Stanza

Tratto da una storia vera

Diretto da Lenny Abrahamson, Room è un film non molto recente, che risale al 2015. La pellicola è l’adattamento cinematografico del romanzo Stanza, letto, armadio, specchio del 2010, scritto da Emma Donoghue. Non è un caso che il titolo del romanzo sia una serie di parole che faranno da cornice ad alcune scene importanti del film.

Il romanzo – come il film – non è frutto di fantasie o storie immaginate, ma è tratto da una pagina di cronaca nera che prende il nome di caso Fritzl. Questo caso nasconde una storia sconvolgente, proprio come Room, caratterizzata da violenze e maltrattamenti ad opera di una mente molto perversa e malata.

La storia di Room ruota appunto attorno alla “stanza” in cui vivono Joy e Jack, una mamma con il suo bambino. Questo piccolo spazio diventa per loro l’intero mondo. Come se non esistesse nient’altro.

Jack (Jacob Tremblay) ha cinque anni ed è il frutto di uno stupro. I suoi capelli sono molto lunghi ed è un bambino molto dolce. Non conosce il mondo, ha sempre vissuto in quella stanza. Secondo il piccolo, oltre quelle quattro mura, l’armadio, la porta e qualche altro oggetto, non esiste nient’altro. Ed ogni mattina si appresta – da buon ometto – a dare il buongiorno all’intera stanza

“Buongiorno pianta, buongiorno armadio, buongiorno lucernario”

Una bella scena che mostra il rispetto e la gratitudine che Jack prova nei confronti di qualsiasi entità presente. Joy (Brie Larson), invece, conosce bene il mondo. È la mamma del bimbo, che ama follemente. Da sette anni è stata rapita da un uomo, Old Nick (Sean Bridgers), che tiene prigionieri lei e il figlio in una piccolissima stanza nel giardino.

Spinta da questa situazione insostenibile, da forti emozioni e dal desiderio di tenere al sicuro il proprio bambino, Joy tenterà di trovare una soluzione per entrambi e scappare da lì.

“Joy: -Ti piacerà.
Jack: – Cosa?
Joy: – Il mondo.”

Qualcosa andrà storto o riusciranno a fuggire dalla stanza per sempre?

Gli anticorpi che servono per la libertà.

Il film fu una vera e propria sorpresa per tutti ed è stato vincitore del Premio del Pubblico a Toronto. Room racconta di spazi interiori e delle profonde ragioni intime che legano i due protagonisti nella piccola stanza e contribuiscono alla loro co-costruzione sempre continua nel corso della sceneggiatura.

“Jack ora ascoltami: questa è la nostra occasione.”

I due protagonisti di Room guardano il lucernario

Quando la stanza si spopola e la soluzione risulta efficace, si pensa subito di poter scalare ogni vetta come se non ci fossero ferite nascoste, date dai sette anni di reclusione. Una volta assaporata la libertà, però, il peso delle catene si farà sempre più forte lasciando un senso di stordimento e depressione caratteristico di chi vive in una situazione del genere. Le ferite subite negli anni inizieranno a sanguinare in un colpo solo e la situazione sembrerà degenerare, come se fosse una guida spericolata in stato di ebbrezza in cui si perde il controllo.

Jack: – Siamo su un altro pianeta?
Joy: – E’ lo stesso, ma in un posto diverso.”

Per i due protagonisti sarà come rinascere una seconda volta, ma vivere per la prima volta il mondo reale e l’affetto di chi li aspettava da anni. Jack ne rimarrà sin da subito affascinato e finalmente può godere della sua libertà, trovare nuovi amici e giocare con veri giochi.

“Sono nel mondo da 37 ore e ho visto finestre, tantissime macchine, uccelli e nonno e nonna.”

Libertà

In due tempi

Room si aggiudica un posto di tutto rilievo all’interno del panorama cinematografico. Ascrivibile al filone del cinema post-traumatico e drammatico, ha tutte le carte in regola per rivelarsi un ottimo film strappalacrime, ma anche molto educativo. Sensibile alle tematiche più delicate, la pellicola si divide in due fasi. Una prima fase in cui troviamo la presentazione della storia e del problema e una seconda in cui scopriremo la doppia prospettiva di Joy e Jack.

La meraviglia negli occhi di Jack segnerà la fine di questa pellicola impeccabile con una sceneggiatura da dieci e lode.

Annina Monteleone