Guè ritorna con Madreperla

Il miglior album di Guè, in cui il rapper si mette a nudo, mostrandoci le sue fragilità e le sue paure- Voto UVM: 5/5

 

Il re è tornato! Guè, dopo tredici mesi dal precedente album Guesus, è ritornato sulle scene col suo decimo lavoro da solista: Madreperla. Definito già da molti critici musicali come come uno dei migliori album dell’ex membro dei Club Dogo.

Guè non ha bisogno di presentazioni, essendo uno dei migliori artisti presenti al momento sulla scena musicale italiana, che con i suoi testi “accattivanti” ci porta dentro al suo mondo. Il rapper milanese con la sua arte ogni volta ci fa vedere una nuova parte di sè.

Un disco che non si lega ai canoni del consumismo e al mondo dei social. Quello di Guè è un lavoro autentico, un inno per generazioni. Madrepaerla, prodotto da Bassi Maestro non può che essere una certezza! Ormai i due lavorano insieme da anni; sono una coppia che funziona, come possiamo ascoltare in questo ultimo capolavoro.

“Dal punto di vista artistico, passionale e culturale è perfetto. Ci siamo divertiti tantissimo a farlo, non abbiamo avuto limiti e ci siamo espressi al meglio in quanto cultori della cosa. Ci fa sentire molto 2003, è un disco super hip hop che però non vuole essere una martellata sull’anima. È fatto da due pro, io mi sono misurato finalmente con quello che volevo”. (Guè su Madreperla)

Il rapper milanese Guè (Cosimo Fini). Fonte: lecconotizie.

Dentro l’album

Nel bar luci gialle, Blade Runner
Sono quasi alla tua bocca, a due spanne
Mentre ti parlo, ti guardo, ti mordi il labbro

Un ritorno stile old school, in cui Guè ci regala 12 tracce, tra cui sette featuring con nove grandi artisti, da Napoleone a Paky, che hanno fatto letteralmente impazzire il mondo dei social. Specialmente quello con Anna & Sfera Ebbasta in COOKIES N’ CREAM, pezzo interessante e coinvolgente.

  1. PREFISSI
  2. TUTA MAPHIA (feat. Paky)
  3. MI HAI CAPITO O NO?
  4. COOKIES N’ CREAM (feat. Anna & Sfera Ebbasta)
  5. NEED U 2NITE (feat. Massimo Pericolo)
  6. LÉON (THE PROFESSIONAL)
  7. FREE (feat. Marracash & Rkomi)
  8. MOLLAMI PT.2
  9. LONTANO DAI GUAI (feat. Mahmood)
  10. CHIUDI GLI OCCHI (co-prodotto da Shablo)
  11. DA 1K IN SU (feat. Benny The Butcher)
  12. CAPA TOSTA (feat. Napoleone)

Traccia dopo traccia, Guè ci porta in un mondo diverso e ogni canzone ha la capacità di catturare a pieno l’ascoltatore. Testi interessanti che spaziano dall’amore alla solitudine. Non c’è alcun bisogno di mettere in pausa o di saltare da una traccia all’altra: mettetevi comodi, andate a correre, prendete la macchina o fate una passeggiata e ascoltate l’album tutto d’un fiato. In meno di 40 minuti, Cosimo Fini (questo il vero nome di Guè) ci regala 12 storie diverse fra di loro. Uno dei brani più interessanti è Lontano da Guai, con la voce unica di Mahoomod. Probabilmente una delle canzoni più intime dell’album! Qua, il rapper si confessa, mostrandoci tutte le sue debolezze: l’amore per sua figlia e il dolore per la scomparsa del padre.

Non te la prendere se ti ho messo in attesa
Continui a credere, sia la solita scusa
Lontano dal cash, dai guai
Non fare mai lo sbaglio di buttare anni

Il lancio di Madreperla

Nessuno si sarebbe aspettato questa nuova chicca da parte del rapper milanese. Immaginate di entrare sui social e di trovare un video in cui il mitico Jerry Calà, che interpreta il direttore di un hotel, accompagna noi “utenti” su e giù all’interno del residence. Nelle corso del video possiamo intravedere i personaggi più importanti della scena rap italiana che faranno parte di Madreperla, e ultimo ma non meno importante si arriva a Guè. Un modo simpatico e originale per annunciare il nuovo album, diventato subito virale in pochissime ore.

La copertina dell’album

Se le canzoni sono un capolavoro, per la copertina Guè non ce l’ha proprio fatta. Nella cover vediamo il re del rap dentro la galleria di Milano. Lui al centro col suo solito sguardo beffardo che da sempre lo contraddistingue e dietro due ragazze con vestiti succinti, pronte a soddisfare ogni bisogno del loro “pappone”. Una copertina che non ha niente a che fare con l’arte a differenza della cover di Flop, disco di Salmo. Quest’ultima ritrae niente di meno che l’opera de L’angelo Caduto del pittore francese Alexander Cabanel.

Nonostante ciò, Guè non ci ha delusi e con Madreperla ha scritto una lettera d’amore per tutti noi e per i suoi cari.

 

Alessia Orsa

Aftersun: l’impronta indelebile dei ricordi

Un tenero e commovente dramma padre-figlia, che rimanda al tema doloroso della caducità degli attimi e del peso emotivo dei ricordi. Voto UVM: 5/5

 

Quella della fotografia è un’arte che ha il potere di immortalare degli istanti speciali della nostra vita e di fissarli nel tempo, per riuscire a testimoniare ciò che siamo stati e le esperienze importanti che abbiamo vissuto. Ripensare a momenti passati osservandone le foto, significa quindi poterne rivivere emozioni, colori e profumi, ed essere in grado di raccontarli anche a chi non li ha sperimentati in modo diretto.

E’ questo il concetto da cui parte la realizzazione di Aftersun, il recente film d’esordio della regista e sceneggiatrice scozzese Charlotte Wells, disponibile in Italia dal 5 gennaio sulla piattaforma di streaming Mubi e in alcuni cinema selezionati.

Ritrovata una sua vecchia foto scattata da bambina, durante una vacanza estiva con il padre, l’autrice ne trae ispirazione per dar vita al suo primo lungometraggio, presentato alla 75ª edizione del Festival di Cannes, e vincitore del Premio della Giuria French Touch.

La trama

Fatta eccezione per alcuni flashforward, la storia è ambientata in Turchia, in un’estate di fine anni ’90. La piccola ma perspicace Sophie (interpretata da un’esordiente Francesca Corio) parte da Edimburgo per trascorrere due settimane in compagnia del giovane padre separato Calum (interpretato da Paul Mescal, volto già noto per il ruolo nella celebre miniserie Normal People) in un piccolo resort turco di bassa qualità. Sin dai primi minuti della pellicola è evidente che il loro è un rapporto di complicità: i due prendono il sole, si tuffano in piscina e si divertono a giocare insieme a biliardo. Da un lato vi è un’undicenne dall’indole curiosa e vivace, sempre alla ricerca dell’approvazione del padre. Dall’altro un ragazzo appena trentunenne, dal temperamento molto più pacato e riservato, ma che cerca comunque a modo suo di adempiere all’importante e complicato ruolo di genitore.

Aftersun
Frame di ‘Aftersun’ (2022). Distribuzione: MUBI, A24

Ma la struttura narrativa del film fa si che i personaggi si svelino lentamente da soli, e a poco a poco, senza forzare il ritmo, diventa sempre più chiaro il fatto che dietro il personaggio di Calum, in realtà, si celi un animo inquieto e malinconico, in preda a dei tormenti interiori dai quali prova a fuggire in silenzio, cercando rifugio nel rapporto con la figlia, con la quale sembra però non riuscire ad esprimere appieno le proprie emozioni.

La significativa raccolta di memorie

Le vicende dei giorni in Turchia sono documentate da Sophie attraverso una Handycam DV Sony, una videocamera digitale alla quale la bambina mostra sempre i suoi occhi sorridenti, mentre Calum viene spesso ripreso da una certa distanza, attraverso un vetro, sfuggente, o di spalle (come per simboleggiare la sua incapacità di essere decifrato).

L’intero film quindi sovrappone di continuo due piani narrativi: i filmini della vacanza e le scene vere e proprie, che rappresentano la ricostruzione di Sophie di quei momenti con suo padre. I nastri su cui registra l’intero soggiorno, le serviranno infatti da adulta, per poter rievocare tutte le sensazioni provate in quel periodo particolarmente sereno della sua infanzia, che purtroppo non tornerà mai più. Ma soprattutto, per quanto doloroso possa essere scavare tra i ricordi, questi la aiuteranno a trovare in essi molto più di quanto potesse cogliere in precedenza, e a comprendere meglio i motivi dietro i misteriosi comportamenti del padre.

Aftersun
Frame di ‘Aftersun’ (2022). Distribuzione: MUBI, A24

Un film dalla forte carica emotiva

Aftersun è un ritratto autentico e potente del rapporto tra genitori e figli, reso possibile grazie alla giovane rivelazione Francesca Corio e la strepitosa interpretazione di Paul Mescal, nei panni di una figura purtroppo mai abbastanza rappresentata: quella di un padre premuroso, ma al tempo stesso fragile ed insicuro, continuamente in lotta con sè stesso.

Tra le sequenze più toccanti ed emblematiche del film, una delle scene finali, in cui i due protagonisti, padre e figlia, si consumano in un tenero abbraccio danzando sulle note di Under Pressure dei Queen e David Bowie, canzone che rispecchia alla perfezione le battaglie “invisibili” affrontate da Calum, e l’ultimo ricordo di Sophie di quella parte della sua vita ormai passata.

This is our last danceThis is ourselves
Under pressure

Attraverso la tenera ma straziante storia del rapporto tra un padre e sua figlia, Aftersun è quindi un film che dimostra pienamente quanto la memoria possa rappresentare per noi un forte alleato, dal potere curativo, ed al contempo un terribile nemico, brutalmente doloroso. Vi sono infatti, nella vita di ognuno di noi, momenti che vorremmo non finissero mai. E quando purtroppo questi svaniscono, spesso ciò che rimane è soltanto la triste consapevolezza che non verranno mai più vissuti.

 

Giulia Giaimo

 

Ginny&Georgia 2: tra dramedy e mystery crime

Gli aggettivi che userei per descrivere la serie sono: accattivante e sagace, un po’ come Georgia Miller. Tematiche sentite e ben analizzate. Forse, solo qualche frame lento in qualche buco di trama. Voto UVM: 4/5

 

A distanza di quasi due anni dalla prima stagione, debutta sulla piattaforma Netflix la seconda stagione di Ginny&Georgia a partire dal 5 Gennaio 2023.

La serie ideata da Sarah Lampert narra le vicende di una ragazza madre, Georgia e della figlia, Ginny. Composta anche dal figlio minore, Austin, la loro è una famiglia decisamente “sui generis”. I tre, infatti, nascondono molti scheletri nell’armadio potenzialmente pronti ad uscire allo scoperto.

La serie TV di dieci episodi, della durata di un’ora ciascuno, scandisce i ritmi delle dinamiche dell’esuberante Georgia Miller (Brianne Nicole Howey) e dell’adolescente sedicenne Ginny Miller (Antonia Gentry) che prova a confrontarsi con i primi amori adolescenziali, con le prime delusioni ma soprattutto con l’ansia e la preoccupazione per alcuni segreti della madre.

Ginny&Georgia / Tutto quello che c’è da sapere

Non è tutto oro ciò che luccica e questo, la serie, lo conferma pienamente episodio dopo episodio. La bella e dannata Georgia, che agli occhi dei telespettatori appare perfetta e sensuale come una Barbie, in realtà nasconde una personalità altalenante e non sempre forte. Complice sicuramente l’essere ragazza-madre e l’aver tentato di proteggere la figlia in ogni modo possibile ed immaginabile. Bella e carismatica, è riuscita a convolare a nozze con il sindaco di Wellsubry. Ma come reagirà Paul (Scott Porter) di fronte ai segreti taciuti dalla futura moglie? Basterà l’amore a superare le divergenze morali?

Ginny, invece, ha da sempre sofferto il carattere gioioso, socievole e carismatico della madre. Lei, da sempre più matura e saggia di Georgia, è decisamente più introversa e i suoi unici obiettivi adolescenziali sono quelli di costruire legami duraturi nel tempo. Non sempre, infatti, ha avuto la possibilità di farlo, a causa dei continue fughe organizzate da Georgia per scappare da tutto e tutti nei momenti di difficoltà. Nonostante ami alla follia la madre, vorrebbe che fosse più sincera con lei e che smettesse sempre di proteggerla. Ma l’amore di un genitore si sa, a volte, è cieco.

Ginny&Georgia
Ginny & Georgia: rispettivamente interpretate da Antonia Gentry e Brianne Howey. Distribuzione: Netflix. Fonte: CinemaSerieTV.it

G&G / Il genere della serie e le tematiche

La serie, che dal dramedy si sposta al mystery crime, affronta tematiche importanti, tutt’altro che leggere, e fondamentali soprattutto per i giovani in età adolescenziale. G&G parla dell’importanza di ricercare di se stessi, del proprio orientamento sessuale e delle varie disabilità, come il mutismo. Un certo rilievo assumono anche argomentazioni più delicate come l’autolesionismo, la terapia, le malattie terminali e la figura, potremmo dire “salvifica”, dello psicologo.

Fanno da contorno alle dinamiche-madre figlia di Ginny&Georgia, oltre al fratellastro Austin (Diesel La Torraca), che a soli nove anni dimostra piena consapevolezza e maturità, anche i due ex uomini di Georgia. Il padre di Ginny, Zion, alle prese con una relazione dopo moltissimi anni di viaggi di lavoro. Ma non è finita qui, poiché a metà stagione, a complicare equilibri già del tutto precari ci penserà Gil Timmins, il padre biologico di Austin, interpretato da Aaron Ashmore. 

Ad aiutare Ginny a superare giornate difficili ci saranno le amiche Maxine (Sara Waisglass) ed Abby, l’amore di Marcus (Felix Mallard)  e il sostegno di Joe (Raymond Ablack), il suo datore di lavoro.

l plot twist del finale di stagione

Senza fare nessun spoiler, il finale di stagione di Ginny&Georgia lascia presagire, stando anche alle parole dell’ideatrice Sarah Lampert una terza stagione, che indicativamente potrebbe debuttare sempre su Netflix a fine 2024. Nella prima settimana di gennaio la serie statunitense è entrata di diritto nella classifica globale con 180,47 milioni di ore visualizzate, diventando così il titolo più visto sulla piattaforma del 2023.

Le domande alle quali ancora non sussiste una risposta sono molte. L’amore trionferà? Come proseguirà la storia d’amore tra Marcus e Ginny? La verità verrà a galla? Cosa ne sarà di Ginny e Austin?
Tutte domande che, con moltissima probabilità, troveranno risposta nella terza e (forse) ultima stagione.

Ti ho convinto a guardarla? Se non l’hai ancora vista e sei arrivat* fin qui, cosa aspetti? Ecco il trailer!

 

Giorgia Fichera

The Pale Blue Eye – I delitti di West Point

Un film thriller che non convince mai del tutto, configurandosi ormai ai piatti standard Netflix – Voto UVM: 3/5

 

Anno nuovo uscite nuove! Il catalogo Netflix si arricchisce di una nuova pellicola uscita nelle sale americane e disponibile in streaming dal 6 gennaio di quest’anno.

Stiamo parlando della tanto attesa pellicola The Pale Blue Eye – I delitti di West Point, diretta da Scott Cooper e adattamento dell’omonimo romanzo del 2003 scritto da Louis Bayard. Un cast stellare e un co-protagonista davvero gigantesco, ma basterà tutto questo a rendere questo film eccezionale? Scopriamolo insieme!

The Plot

Il film ha come protagonista il detective August Landor (interpretato dallo straordinario Christian Bale), un uomo dal carattere schivo e misterioso, ma dalle grandi abilità che lo portano ad essere scelto dagli alti ranghi dell’accademia militare di West Point, nel 1830, per risolvere uno strano delitto. Spinto dal suo talento e da metodi al di fuori dall’ordinario, si muove alla ricerca della verità, scontrandosi però con la scarsa collaborazione della stessa accademia.

In suo aiuto arriva un giovane quanto brillante cadetto Edgar Allan Poe (Harry Melling) che si rivela un preziosissimo compagno di indagini, dimostrando lo stesso tormento interiore e uno spiccato amore per gli enigmi quasi al suo pari.

Gli omicidi continuano e s’intrecciano, il mistero va via via infittendosi, portando lo spettatore ad arrovellarsi il cervello per indovinare il colpevole e soprattutto, cosa spinga l’omicida a commettere tali delitti. Il duo comincia quindi un’intricata caccia all’assassino, portandoli ad affrontare insieme i propri drammi personali e la perenne sensazione di essere costantemente emarginati da tutto e tutti.

                             

(Trailer italiano di The Pale Blue Eye – I Delitti di West Point)

Edgar Allan Poe può bastare a salvare tutto?

Il film si presenta con l’intenzione di essere un giallo intellettuale (a tratti ci riesce pure) dai toni noir, con ambientazioni gotiche e dai tratti più psicologici che visivi.

Il primo, alla base di tutto, è un grande e grosso, oserei dire gigantesco problema.

Ovviamente, il problema, è lo stesso Edgar Allan Poe (ormai infilato ovunque a caso, basti vedere la recente serie Mercoledì): la presenza del leggendario scrittore, porta a scemare ogni tensione sul suo destino, sgonfiando, e di non di poco, il potenziale lato thriller della vicenda che, come ogni film degno di questo genere, dovrebbe portare lo spettatore a viverlo tra stati di tensione, angoscia e paranoia. L’effetto finale della presenza del personaggio di Poe riduce la pellicola a mero giochino intellettuale, all’interpretazione degli indizi attraverso lunghi e barbosissimi dialoghi tra lui e Landor.

Il secondo problema è presentato dall’intreccio narrativo scialbo e meccanico (molto lontano dai film d’eccellenza come La vera storia di Jack Lo Squartatore – From Hell del 2001 diretto dai fratelli Hughes), che non concede nemmeno il tempo per approfondire emotivamente altri personaggi oltre i due protagonisti che, anche loro, restano come appena sommersi nelle profondità della psiche.

August Landor (Christian Bale e Edgar Allan Poe (Harry Melling) in una scena del film. Distribuzione: Netflix

Tra regista atipico e cast stellare

Il film vede il ritorno di una coppia scoppiettante Scott Cooper e Christian Bale, che già avevano lavorato insieme con il western Hostiles e il thriller Il Fuoco della vendetta.

Cooper è uno dei registi più atipici del panorama moderno, da sempre interessato a parlarci della lotta dell’individuo contro sé stesso, in una produzione dominata dalla sensazione di isolamento, del tutto scevra da ogni ottimismo ma soprattutto una visione della società come dittatura della ferocia e della prepotenza.

Christian Bale si dimostra uno degli attori più versatili, passando nella sua lunga carriera da personaggi dalla personalità e dalla psiche turbata (come in American Psyco e L’uomo senza sonno) a diventare l’eroe di cui Gotham ha bisogno (la trilogia di Batman di C. Nolan). Anche in questo film nulla da dire, con Bale si va sul sicuro.

Vera rivelazione è Harry Melling (il cugino Dudley di Harry Potter per capirci) che dà il volto a Edgar Allan Poe e lo fa bene, incarnando gli albori dell’inquietudine che saranno il motore della produzione di Poe.

Il resto del cast è ricchissimo e soprattutto affollato, con gente del calibro di Gillian AndersonCharlotte Gainsbourg o Toby Jones che devono sgomitare per farsi notare.

Spettacolare è la fotografia di Masanobu Takayanagi, ben curata dal punto di vista estetico attraverso una rievocazione storica di un certo spessore, ma anche elegante e forte, che tende a valorizzare l’intima regia di Cooper.

Conclusioni

Più che di un thriller vero e proprio, The Pale Blue Eye – I delitti di West Point, si presenta come un divertissement quasi letterario, che a tratti funziona e a tratti no. Stupefacente la fotografia, l’interpretazione magistrale degli attori, nonostante questo, il  film possiede tutti i difetti di un film fatto per le piattaforme.

Lodevole l’idea di voler omaggiare uno dei più grandi scrittori della storia come Edgar Allan Poe, ma allo stesso tempo bisogna fare i conti con la grandezza dell’omaggiato in questione e non ridurlo all’ennesimo “investigatore del mistero” come ultimamente piace a Netflix.

 

Gaetano Aspa

The Fabelmans: il film testamento della vita di Steven Spielberg

Un film che pone in risalto la maturità artistica e umana del grande cineasta. – Voto UVM: 5/5

 

Parlare di Steven Spielberg non sembra quasi mai un’operazione semplice, specialmente se pensiamo al vissuto e alla carriera del regista. Eppure, dopo aver realizzato una serie di successi strepitosi, — per citarne alcuni Lo Squalo, E.T. l’extra terrestre, Jurassic Park, Schindler’s List (premi Oscar alla miglior regia e miglior film 1994) e molti altri, tra cui la saga su Indiana Jones, — il grande cineasta ritorna con The Fabelmans, un film capolavoro che parrebbe essere una sorta di testamento artistico oltre che introspettivo. Per la prima volta Spielberg decide di mettersi a nudo, raccontando la storia della sua vita dal punto di vista familiare.

Trama

Spielberg
Sammy Fabelman in una scena del film. Regia: Steven Spielberg. Casa di produzione: Amblin EntertainmentReliance Entertainment. Distribuzione in Italia: 01 Distribution.

 

La pellicola inizia con la visione al cinema del film di John Ford, Il più grande spettacolo del mondo (1952, il primo che il regista abbia mai visto in vita sua) assieme ai suoi genitori (Paul Dano nei panni del padre Burt e Michelle Williams nei panni di Mitzi). Lo sguardo del bambino, inoltre, sembra ricordare quello del protagonista di Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore.

I film sono sogni che non dimenticherai mai.

Dopo la visione, Sammy resta folgorato dalla potenza evocatrice delle immagini e la madre, rimasta estasiata da ciò, decide di fargli usare la macchina da presa del padre. Naturalmente Sammy inizia ad usarla sempre insieme alle sue sorelle, finché divenuto grande non ne ottiene una tutta per sé (Bolex H8, doppia 8mm) con cui gira dei cortometraggi prettamente western insieme ai suoi amici. Un aspetto molto importante è la rappresentazione di come Sammy pulisce e taglia le pellicole per ottenere degli effetti speciali, quasi a voler ricordare che la tecnica è un dettaglio da non sottovalutare mai per la riuscita di un film.

Il film prosegue mettendo in evidenza anche il rapporto complicato con il padre, il quale inizialmente non vuole che Sammy faccia di questa passione un lavoro. Probabilmente, questo pensiero è dovuto al clima altalenante dell’epoca (fine anni ’50, inizio anni ’60), in cui la domanda di lavoro non soddisfaceva a pieno le esigenze di determinati nuclei familiari. Sammy comunque non si abbatte e prosegue per la sua strada, nonostante la morte della madre che provocherà un forte scossone all’interno della famiglia (una scena importante è nella seconda parte del film, rappresentata servendosi di un climax discendente). Per non parlare delle discriminazioni razziali (il protagonista così come lo stesso regista, è di origini ebraiche) che Sammy subirà a scuola, una volta approdato in Arizona.

Tra autorialità e filosofia del cinema

Spielberg
Una scena del film. Regia: Steven Spielberg. Casa di produzione: Amblin EntertainmentReliance Entertainment. Distribuzione in Italia: 01 Distribution.

 

L’arte ti darà corone nella testa e aria nel cielo, ma ti strapperà il cuore.

Il percorso di crescita del protagonista ci porta a vedere due lati della stessa medaglia, ovvero la concezione del cinema come mezzo in grado di canalizzare i propri sogni, ma anche la potenza di un medium in grado di manipolare la realtà a proprio piacimento. L’attenzione incredibile di Spielberg verso gli strumenti del suo futuro mestiere, come citato in precedenza, è una toccante dichiarazione d’amore verso il grande schermo, quasi commovente per la sua limpidezza e sincerità. In ogni scena traspare la forza dirompente della passione del Maestro; quella che gli ha permesso in oltre cinquant’anni di carriera di creare pellicole di grande spessore, assurte a veri e propri culti. La natura della storia, inoltre, permette a chiunque di relazionarvisi senza scadere nella banalità poiché, grazie allo sviluppo perfetto dei caratteri dei personaggi, possiamo ritrovare il significato della vita intesa come una sfida continua, con l’invito a non arrendersi mai.

Questo aspetto, infatti, è messo a fuoco negli ultimi minuti della pellicola, rappresentanti una forte lezione per i giovani autori: quello che conta, alla fine, non è tanto ciò che si rappresenta ma come lo si rappresenta. Il Cinema è una questione di sguardo, di prospettiva, di orizzonte, come suggerisce John Ford (interpretato da David Lynch, davvero!):

Quando l’orizzonte si trova in basso è interessante, quando si trova in cima è interessante, quando si trova in mezzo è una merda noiosa.

Questo sta a significare che solo l’occhio dell’artista, di chi sa guardare davvero oltre, è in grado di donare quell’aura di unicità al film. Qui risiede il segreto dell’arte cinematografica e Spielberg, non poteva spiegarcelo meglio di così.

 

Federico Ferrara

Avatar: The Way of Water, a repeat of the first movie?

 

Spectacular rehash of the first instalment of the Avatar saga – Vote UVM: 3/5

“Avatar: The Way of Water” is the long-awaited sequel to the 2009 blockbuster hit “Avatar” by James Cameron. While it is just as spectacular as the first movie, if not, even more, its plot is a rehash of the first film and lacks character development.

From “Avatar: The Way of Water”. Source: 20th Century Studios, Walt Disney Studios.

Same plot, different characters

I was quite sad to realise that the main plot of the movie was a rehash of the first film, which can be condensed into “(most) Humans bad, Na’vi good”.

The movie opens with a summary of what happened to Pandora more than a decade after the humans were repelled from the planet. We see that Jake is the leader of the Omaticaya, and he has created a family with Neytiri. They are raising two sons, and two daughters, one of which was adopted, and a human child, Spider, who was left by the humans on Pandora since he could not be transported back to earth via cryostasis, due to his young age. He is the son of Colonel Miles Quaritch.
The humans have once again invaded Pandora, and an avatar with Colonel Quaritch’s memories has been sent to hunt down and kill Jake Sully.

So we see the military once again hunting down Jake Sully, but also his family, and when Quaritch manages to capture Spider, Jake decides that to protect the Omaticaya they have to leave their village and head east to the Metkayina reef people clan, who choose to shelter them.
The daughter of the clan leader of the Metkayina, Tsireya, is now given instructions to teach the Sully family, and here we see the family learning, just like Jake did in the first movie.

Kiri nei regni dell'acqua; fonte: 20th Century Studios, Walt Disney studios
From film “Avatar: The Way of Water”. Source: 20th Century Studios, Walt Disney Studios.

 

Kiri, an interesting character and a missed opportunity
One of the most interesting characters in the film is Kiri, Jake and Neytiri’s daughter who is biologically Doctor Grace Augustine’s daughter, and was weirdly born after the doctor’s “cerebral” death, from her inert avatar. There is quite a bit of mystery surrounding her, she has a particularly profound relationship with Eywa, the deity of Pandora that connects every living being but also connects the Na’vi to their ancestors.
There are a few scenes in the movie that focus on her, showing us her deep spirituality and her longing to find out more about her biological parents. Her character could have been made the centre of the movie, this way we could have found out more about the world of Pandora, Eywa and the Na’vi. Instead, we only got a few scenes of her inexplicably using some weird powers that no one else seems to have.

From “Avatar: The Way of Water” . Source: 20th Century Studios, Walt Disney Studios.

The Metkayina

The Metkayina are deeply inspired by the Polynesian culture, in particular by the Māori.
We see this in the case of the clan chief Tonowari, with his face being tattooed in a way that looks like a tā moko (the tattoo traditionally practised by the Māori). We also see it when the clan rallies up to fight and the people perform a sort of pūkana, a facial expression that the Maori use to symbolize ferocity and passion during the performance of the haka, a ceremonial performance art.

It is fascinating to notice how different they are from the Omaticaya, the forest Na’vi, in their anatomy, having a body made to swim, in their language, having a sign language for underwater, and in general the slight variations in all of their customs.

Spectacular but not entertaining

Sadly the attention and care that was given to the overall design and background were not given to the plot and characters’ development, the characters don’t grow throughout the movie, even after their life has completely changed.
In general, the movie had spectacular cinematography, decent acting and amazing special effects, but it should have been condensed into a shorter runtime, as the story does not justify the film’s length.

Elena Succi

Lando Buzzanca era la voce indispensabile al grande cinema

Si è spenta ieri all’età di 87 anni l’ultima voce del grande cinema italiano, quella di Lando Buzzanca. Una voce qualche volte trascurata – seppur amata dal grande pubblico che lo conobbe anche sul piccolo schermo – proprio come quella del suo alter ego, il “merlo maschio” Niccolò Vivaldi, nella grande orchestra di strumenti – tra attori e registi- che hanno composto la magnifica sinfonia della storia del cinema nostrano.

Violoncellista col complesso di inferiorità accanto a Laura Antonelli ne “Il merlo maschio”, commedia del ’71 a tinte psicologiche, ingiustamente liquidata come “sexy”. Fonte: Clesi Cinematografica

 

Volto poco noto alla nostra generazione rispetto al pantheon di mostri sacri (Gassman, Tognazzi, Mastroianni, Sordi), spesso sottovalutato da una certa critica che lo considerò esponente di tutta una scena anni ’70 straripante di b movies  (quando invece Buzzanca decise presto di non prendere parte alle pellicole più eccessive della commedia sexy all’italiana), relegato alla provincialità con lo stereotipo di maschio siciliano sciocco, ma anche sanguigno e lussurioso, ruoli che ha spesso interpretato sul grande schermo, Lando Buzzanca è stato molto di più.

Nasone adunco, viso squadrato, occhi scuri e intensi, spesso attraversati da quel guizzo di follia che contraddistinse i suoi personaggi migliori, l’attore nato a Palermo nel 1935, aveva proprio quella che si può dire una faccia da cinema. Non la faccia da divo – come poteva essere quella del latin lover Mastroianni o dell’attraente e signorile De Sica – ma proprio da attore, da lavoratore che fa del cinema la sua vita e la sua professione. Riferendosi a lui una volta mio nonno disse: «Lavora bene!»

E forse con un’unica quanto “ingenua” frase, ha colto quello che l’inchiostro di tanti critici non ha saputo mettere in luce in miriadi di recensioni. Lando Buzzanca era un artigiano della recitazione, attività che iniziò a svolgere all’età di 17 anni affiancandola ad altri lavoretti umili.

Artigiano, nella fiction Rai “Il Restauratore”. L’attore negli anni recenti ha vissuto una vera e propria rinascita professionale grazie a molte serie Rai. Fonte: RaiPlay.it

 

Poi la notorietà, all’età di 22 anni, diretto da Pietro Germi nel suo capolavoro Divorzio all’Italiana, film a metà strada tra un neorealismo che conobbe la sua apoteosi nel decennio precedente e un certo cinema politico che si sarebbe affermato di lì a poco e si serviva spesso delle tinte della satira per dipingere quell’affresco di costumi strani e spesso ipocriti, di vizi e virtù della società italiana.

Accanto ai divi Stefania Sandrelli e Marcello Mastroianni, la coppia di adulteri che ripiega per una soluzione tutta italiana – anzi siciliana! – per porre fine a un matrimonio in crisi, Lando Buzzanca ha il ruolo per così dire secondario del focoso e giovane fidanzato della sorella disonorata dell’inetto barone Cefalù.

Sempre per Germi si ritroverà stavolta a vestire un ruolo più di rilievo nel 1964. Qui sarà Antonio Ascalone, fratello di una Sandrelli “sedotta e abbandonata”: sarà lui incaricato a vendicare l’onore della sorella in un dramma corale a tratti grottesco che vede però protagonisti più la Sandrelli (e l’interpretazione di quest’ultima a dire il vero non è nemmeno memorabile!) e Saro Urzì nel ruolo del pater familias strenuo difensore della morale domestica.

Eppure nella “partitura” della sinfonia cinematografica, nella composizione di un capolavoro, niente è lasciato al caso. E anche l’interpretazione minore (si fa per dire) di Buzzanca è la tessera piccola e indispensabile nel mosaico della Sicilia di Germi: calda e affascinante come ebbe a dire lo stesso attore, ma anche crudele e assolata, messa in mostra da un bianco e nero dal contrasto luminoso, quasi accecante.

Fratello disonorato, accanto al “seduttore” Aldo Puglisi e la “sedotta” Stefania Sandrelli. Fonte: Paramount

 

Buzzanca ci racconterà tutto questo in un’intervista anni dopo, con la chioma argentata e la sua voce “nuova” che ha preso il posto di quella nasale della gioventù, quella da meridionale tonto preso spesso per i fondelli dal settentrionale più scaltro. E’ una voce rauca ma solenne, da nobile siciliano d’altri tempi, ultimo di una stirpe di “gattopardi” del grande cinema, di attori di una certa statura anche intellettuale (penso a lui come al grande Gassman) che lo spettatore percepiva persino al di qua dello schermo.

 

Un “gattopardo” ben diverso da quello di Burt Lancaster, Lando Buzzanca lo interpretò davvero nel pluripremiato film del 2007 I Viceré di Roberto Faenza, ispirato al romanzo di Federico De Roberto. Padre autoritario di una famiglia nobile catanese in decadenza, quella degli Uzeda, sullo sfondo delle vicende risorgimentali, il personaggio di Buzzanca non si rassegna al suo mondo in rovina – quello dell’aristocrazia borbonica – davanti alla vittoria degli ideali unitari e cade in circolo vizioso di follia e superstizioni.

Ancora una volta l’attore porta sullo schermo il volto e la voce della sua Sicilia con i suoi chiaroscuri e le sue “tare”. Ma a ben pensarci, come lo era già stato nei film ad episodi degli anni ’60, (I mostri, Made in Italy, I nostri mariti) il volto di Buzzanca è quello dell’Italia intera con vizi e virtù che ci portiamo dietro nonostante anni di storia e un miracolo economico che in fondo «ha cambiato tutto per lasciare tutto com’era».

E questo i grandi registi lo sapevano. Per questo scelsero il talento e la voce di Buzzanca, il grande attore che per uno strano e crudele gioco del destino ha vissuto i suoi ultimi giorni relegato in una RSA, affetto da una forma acuta di afasia. Una voce che ci auguriamo non venga sommersa dal chiacchiericcio delle polemiche che circondano la sua triste morte, offuscando quelli che sono stati i meriti e le grandi intepretazioni dell’attore.

Siciliano ingenuo e seduttore accanto a Michele Mercier ne “I nostri mariti”. Fonte: Documento Films, Euro International Films

 

Perché quella di Buzzanca è una voce che merita di essere ancora solista nella storia del grande cinema italiano. E la nostra generazione, checché se ne dica, si merita di scoprire –  o anche riscoprire – un artigiano del cinema come lui.

Angelica Rocca

Fake News: nonostante il nome, un album sincero

 

L’album riesce ampiamente a trasmettere ciò che vuole, forse però senza variare troppo dalle recenti sonorità dei Pinguini. Voto UVM 4/5

 

Tutto ha avuto inizio questa estate, quando in rete cominciarono a diffondersi alcune indiscrezioni intorno ad un presunto scioglimento dei Pinguini Tattici Nucleari, la band musicale bergamasca più in voga in Italia. E proprio queste indiscrezioni, in seguito smentite dal frontman del gruppo Riccardo Zanotti, hanno poi ispirato i PTN per la realizzazione del loro nuovissimo progetto discografico, pubblicato lo scorso venerdì 2 Dicembre, intitolato Fake News.

Rilasciato con quattro copertine differenti tra loro, in cui in ognuna gli artisti sono raffigurati come protagonisti di falsi articoli di giornale, l’album contiene 14 tracce, di cui una (la settima) disponibile solo nel formato fisico del disco.

Tutta la verità sui Pinguini Tattici Nucleari

In un’epoca in cui disinformazione e manipolazione delle notizie sono fenomeni in crescita, le cosiddette ‘bufale’ finiscono per inquinare persino l’ambiente musicale. Inoltre, è solito degli artisti prendere “in prestito” esperienze di amici e conoscenti, andando ad arricchire così i contenuti dei loro testi. Ed è in questo clima che i Pinguini Tattici Nucleari sembrano invece voler raccontare una storia vera, regalandoci un album seppur molto autoreferenziale, ricco di situazioni in cui tutti possiamo immedesimarci.

Zen, la traccia d’apertura del disco, è il tentativo riuscito di narrare la realtà dei fatti: è un pezzo urban in cui Zanotti rivela al pubblico l’altra faccia della medaglia dell’avere successo, trasportandoci all’interno della propria coscienza, alla ricerca di un equilibrio tra le infinite pressioni e paure che incombono nell’approcciarsi con la sua professione.

Ma i dolori che ho annegato qualche volta tornan fuori
Come gocce nella doccia che non mi fan dormire mai
O come quelle che mi prendo per non sbagliare troppo ai live.

Ed è sempre Zanotti che in Barfly ci svela la realtà che spesso sta dietro l’illusoria promessa di un futuro migliore all’estero, riportandoci indietro nel tempo nella sua vita a Londra da studente e lavoratore part-time. Il brano deve il titolo all’omonimo pub di Chalk Farm, che il cantante era solito raggiungere nei suoi pochi momenti di svago.

Ma la traccia autobiografica per eccellenza è Dentista Croazia, secondo dei tre singoli che hanno anticipato l’album. E’ la storia della gavetta affrontata da un gruppo ancora agli esordi, che percorre tragitti immensi su un furgone noleggiato a poco prezzo, per riuscire ad esibirsi nei locali in giro per l’Italia. Rappresenta una significativa fase di vita della band, e la scelta di non trasmetterlo in radio lo rende ancora più speciale.

 

Tra citazioni e riferimenti alla pop culture

Componente essenziale della scrittura dei Pinguini, e punto di forza dei testi dell’album, è la presenza di numerosi giochi di parole ed inside joke. E tra sottili reference a canzoni dei Coldplay, musica degli U2 e performance dei Maneskin, il disco è un concentrato di molteplici richiami alla cultura popolare. Per citarne solo alcuni:

In Non Sono Cool si fa riferimento alla canzone Indietro di Tiziano Ferro, con il verso:

Hai nomen omen
E, se ci pensi, “raccordi” è l’anagramma del mio nome

E a chi li accusa di aver adottato nel tempo un sound esageratamente pop, i sei ragazzi di Bergamo rispondono con ironia:

A ventisette puoi morire, oppure diventare un po’ più pop (“Dentista Croazia”)

Nell’ottica commerciale, però, la scelta di seguire un percorso che vira al mainstream ha dato i suoi frutti, garantendo alla band un successo che ha permesso il tour negli stadi previsto per l’estate 2023:

Non so a che stadio siamo dell’evoluzione
Però forse in questa stessa frase trovo la risposta (“Dentista Croazia”)

Tirando le somme

Fake News non apporta importanti variazioni di stile alle sonorità che di recente hanno trascinato la band al successo ma bisogna riconoscere la messa in atto di una volontà di sperimentazione: Non sono cool e Fede sono forse le tracce più interessanti dal punto di vista strumentale poiché strizzano l’occhio alla vena rockeggiante dei Pinguini del passato. Anche Melting Pop, pur essendo caratterizzato da sonorità pop riesce a distinguersi, in quanto, come suggerisce il nome stesso, è contaminato da una miscela di influenze musicali diverse.

A chiudere il disco è Cena di Classe, ballad che per lo stile ricorda Freddie di Fuori dall’Hype (2019), e che riflette quindi la tradizione cantautorale e la grande abilità di storytelling del gruppo. E’ la traccia che forse rappresenta al meglio ciò che Fake News vuole comunicare, poiché attraverso la storia di un incontro tra vecchi compagni di scuola, condanna chi si rifugia nell’ ipocrisia per celare le proprie debolezze, chi resta fermo ai titoli “clickbait” senza leggerne davvero il contenuto. A tal proposito, merita di essere menzionato l’omaggio della band a Cloe Bianco, reso con lo scopo di veicolare al mondo un messaggio ben preciso: per progredire in quanto società, alcune storie non devono essere dimenticate.

Per far capire le stelle agli scemi servono Laika da poter bruciareMa Bianco ora è cenere che sporca i divani di chi ancora usa la parola “normale”

 

Giulia Giaimo

Amsterdam, la nuova crime comedy di David O. Russell

Film leggero e piacevole da vedere, ma con un cast del genere non rispetta interamente le aspettative -Voto UVM: 3/5

 

Proiettato per la prima volta il 7 ottobre nelle sale statunitensi, e distribuito in Italia dopo la presentazione al Festival del cinema di Roma il 21 dello stesso mese, Amsterdam è una crime comedy scritta e diretta dal regista David O. Russell. Come spesso è accaduto nel periodo post pandemico (West side story, Nightmare Alley), il film ha ricevuto scarsi incassi già dal primo weekend di proiezione: con il sempre maggiore sviluppo delle piattaforme streaming, sembra che i cinefili non avvertano più lo charme di andare a sedersi nelle poltroncine rosse in sala e vivere l’esperienza di guardare un film al cinema.

Amsterdam è in parte tratto dalla storia realmente accaduta del “Business Plot”, tentativo di complotto avvenuto nel 1933, volto a deporre il presidente Roosevelt per instaurare una dittatura in America.

Un medico, un’infermiera e un soldato in giro ad Amsterdam

Francia, 1918. Qui si ritrovano nello stesso momento un medico, Burt Berendsen, mandato al fronte su consiglio dei cognati (a suo dire probabilmente per liberarsi di lui)e  Harold Woodman, un soldato americano di colore che chiede, insieme ad altri soldati neri, di avere un comando che li guidi e li rispetti. Burt stabilisce un patto con Harold: ognuno si sarebbe assicurato che l’altro sarebbe sopravvissuto.

Da questo patto nasce una forte amicizia; feriti entrambi in battaglia, vengono aiutati e curati da Valerie. Per trovare un occhio nuovo a Burt, i tre partono per Amsterdam, dove Valerie conosce un tale Paul Canterbury, commerciante di occhi di vetro (in realtà agente sotto copertura). Dopo un periodo di perfetta felicità tra i tre (ed amore tra Harold e Valerie), i tre si separano.

Ma con la morte sospetta del loro vecchio comandante Bill Meekins (Ed Begley Jr.) e di sua figlia Liz, le loro vite finiranno per incrociarsi nuovamente: i tre collaboreranno per risolvere il caso e per smascherare le cospirazioni di un misterioso gruppo chiamato “Il consiglio dei cinque”.

Amsterdam
Burt, Harold e Valerie ad Amsterdam. Fonte: Regency Enterprises, Dreamcrew, 20th Century Studios

Un patto per la vita

Pur incentrandosi su una trama a tratti tendente al crime, Amsterdam mantiene dei toni leggeri ed ironici. In particolare, alcuni personaggi vengono costruiti in maniera molto comica, quasi caricaturale, primo fra tutti Burt. Burt è un medico con un occhio di vetro ed un rapporto molto contrastante ed altalenante con la moglie Beatrice ed il suocero, un rispettabile medico di Park Avenue.  Burt ha una clinica per veterani, dove sperimenta, prima di tutto su sé stesso, nuovi farmaci spesso fallimentari. Molto ironica è anche la scena finale, ricca di suspense, in cui Burt, colpito e sotto effetto di alcune “strane gocce”, si distacca dalla realtà, in una sorta di monologo interiore.

Altra figura caricaturale è Libby Woze, moglie di Tom. Per quanto si comporti in maniera odiosa nei confronti di Valerie, risulta essere allo spettatore una figura quasi satirica.

La tematica principale di Amsterdam è l’amicizia che lega Burt, Harold e Valerie. I tre, dopo aver passato il periodo migliore della loro vita insieme in Europa, restano legati dal patto di proteggersi sempre, patto che mantengono anche dopo molti anni.

Una piccola curiosità: nelle prime scene del film Burt canta, o meglio avrebbe dovuto intonare, una breve canzone con Liz Meekins – interpretata dall’attrice e cantante Taylor Swift – in onore del padre. In un intervista al The Hollywood Reporter, Bale ammette di essere stato molto emozionato dal dover cantare con una tale pop star, che anche sua figlia rimase molto sorpresa dal fatto che lui dovesse cantare con la Swift.

Tuttavia, alla fine nel film, è solo Liz a cantare principalmente, in quanto anche il regista David. O. Russell notò come Bale offuscasse il talento della Swift.

Amsterdam
Gil Dillembeck e Burt. Fonte: Regency enterprises, Dreamcrew, 20th Century Studios

Amsterdam: un cast stellare e tante aspettative

Uno degli elementi che faceva di Amsterdam una pellicola molto promettente, sia riguardo gli incassi sia riguardo eventuali riconoscimenti, era la presenza di un cast d’eccezione. Oltre Christian Bale  (Vice) , John David Washington (Tenet, Malcom & Marie) ed un’affascinante Margot Robbie nei panni dei tre protagonisti, Burt, Harold e Valerie, vi sono molte altre le stelle del cinema in Amsterdam.

Il premio Oscar Rami Malek (Bohemian Rapsody) interpreta Tom Woze, mentre l’attrice e modella Anya Taylor Joy (Ultima notte a Soho, La regina degli Scacchi) interpreta Libby. Il fantastico Robert De Niro qui è nei panni del generale Gil Dillenbeck. In ruoli secondari abbiamo Zoe Saldana come Irma, l’infermiera, la nota cantante Taylor Swift come Liz Meekins, figlia del comandante Meekins, e Chris Rock nel ruolo di Milton, veterano amico di Burt e Harold.

Amsterdam risulta essere una pellicola con una sfumatura comica e piacevole da seguire, caratterizzata da personaggi ironici e performance interessanti. Ciononostante, non è esattamente il capolavoro che magari ci si aspettava con un cast di questo genere.

Ilaria Denaro

Natale alle porte: 5 letture da non perdere sotto l’albero

Dicembre è il mese del Natale: si iniziano ad addobbare le case e le strade, la città si illumina con le caratteristiche lucine natalizie e le ghirlande decorate. L’inverno è anche la stagione preferita dagli amanti dei libri: cosa c’è di meglio di leggere un bel libro davanti al camino con una tazza di cioccolata calda fumante?

Qui 5 letture natalizie che ti faranno immergere nell’atmosfera di festa.

1) Questo inverno di Alice Oseman (2022)

Fonte: Mondadori

Dall’autrice di Heartstopper (2019, Mondadori) da cui è tratta la famosa serie omonima, in Questo Inverno – Una Heartstopper Story (Mondadori) ritroviamo i personaggi che tanto abbiamo amato di Heartstopper, ma con atmosfere e la magia del Natale. Ma per i protagonisti, i tre fratelli Springs, quello di quest’anno non sarà un Natale come tutti gli altri.

La sorella maggiore Victoria, per tutti Tori, nonostante il suo aspetto freddo e distaccato, tiene ai suoi due fratelli minori, Charlie e Oliver, più di qualunque persona al mondo. D’altro canto, per Charlie non sarà facile dopo essere stato dimesso dalla clinica psichiatrica in cui era in cura, anche se il sostegno di Nick gli darà la forza necessaria per andare avanti.

Le ultime pagine sono incentrate sul piccolo di famiglia, in un ritratto tenero e dolcissimo di un bambino che si sposa benissimo con un quadretto familiare dove ogni piccola sfaccettatura d’amore è ben accetta. Una lettura leggera e scorrevole, non troppo impegnativa, ma che ti avvolge di quel calore natalizio sereno.

2) Let it snow. Innamorarsi sotto la neve di John Green, Maureen Johnson, Lauren Myracle (2015)

Fonte: Rizzoli

Let it snow. Innamorarsi sotto la neve, romanzo natalizio edito da Rizzoli nel 2015, che ha ispirato l’omonimo film su Netflix del 2019.

Per chi cerca non un racconto ma ben tre, che parlano di un amore sotto i fiocchi di neve, è il libro perfetto.

In Jubilee Express la protagonista è Jubilee, una ragazza di sedici anni, con due genitori con la passione dei pezzi in ceramica per ricreare villaggi di Natale in miniatura. Come da tradizione, i genitori di Julie sono partiti per accaparrarsi uno dei pezzi più rari, ma qualcosa va storto perché si ritrovano a passare la nottata in galera. Il motivo è tutto da scoprire. Julie a questo punto dovrà raggiungere i nonni e così sale sul treno che la porterà da loro. Peccato che sia in arrivo una tormenta di neve e che il treno sia costretto a fermarsi nei pressi di Gracetown!

Un racconto sincero e adorabile, che ci catapulterà accanto alla protagonista nella sua avventura tra personaggi molto diversi tra loro.

In Un cheertastico miracolo di Natale le protagoniste saranno un gruppo di cheerleaders, presenti anche nel racconto precedente. Dopo aver occupato il vagone del treno rimasto fermo a Gracetown, tre amici cercano riparo alla Waffle House. Racconto meno natalizio, più avventuroso, ma sempre con quel tocco candido di John Green che non guasta mai.

Nell’ultimo racconto, Il santo patrono dei maiali, la protagonista è Addie. La narrazione si apre con Addie che ha fatto un’enorme stupidaggine e questo ha messo in crisi lei e la sua relazione con Jeb, personaggio apparso negli altri due racconti. Certo, il fatto che sia stata lei a rovinare tutto conta poco, perché Addie riesce a concentrarsi solo su se stessa. Saranno proprio un insieme di vicissitudini e di eventi straordinari – come un maialino che sta in una tazza, l’avvento di una donna che potrebbe essere un angelo e una sorpresa davvero speciale – a farle capire che l’egoismo non è la strada per la felicità.

La penna di tre straordinari scrittori rende questo libro l’incontro perfetto per tutti i gusti dei giovani amanti del Natale romantico.

 

3) All’improvviso a New York di Melissa Hill (2015)

Fonte: BUR

Non è solo uno dei tanti romanzi rosa natalizi di cui siamo indigesti, ma il romanzo rosa che non sfocia mai nel troppo melenso, una coccola davanti al camino mentre gli scoppiettii risuonano al di sopra delle pagine del libro.

Darcy Archer è una libraia di 33 anni che si rifugia tra i suoi adorati libri, immaginando il proprio futuro e sognando quell’amore che ritrova solo nei protagonisti dei suoi romanzi preferiti. Non è però una donna che basa la propria vita esclusivamente su una relazione, né intende forzare il corso delle cose per avere a tutti i costi un uomo. Anzi vive con il sorriso, credendo sempre che con un romanzo si possa curare ogni tipo di problema.

Sarà un’incidente in bicicletta a farle svoltare la vita in positivo. Infatti nello scontro con un uomo e un cane, il primo perderà la memoria. Per i sensi di colpa, Darcy deciderà di prendersi cura del cane di Aiden, un bellissimo Husky di nome Bailey, e di aiutare l’uomo alla ricerca del suo passato.

Nonostante la storia d’amore, il vero fulcro della narrazione sono i libri: tra le pagine troviamo vere e proprie citazioni a opere esistenti, basate sul contesto e sulle vicissitudini che la protagonista vive in prima persona.

All’improvviso a New York, edito da Rizzoli, è un romanzo da leggere tutto d’un fiato, che strizza l’occhio al “giallo”  incuriosendo e lasciando in sospeso per tutto il racconto.

4) Per mano mia. Il Natale del Commissario Ricciardi di Maurizio De Giovanni

Fonte: Einaudi

Per gli amanti dei gialli, e in particolare del commissario più famoso di Napoli, consigliamo questo libro ambientato nel Natale degli anni trenta.

Il Commissario Luigi Alfredo Ricciardi, protagonista di una famosa serie televisiva con Lino Guanciale, e il Brigadiere Raffaele Maione, nel giorno del 25 dicembre dovranno fare i conti con un omicidio di una coppia di coniugi: il funzionario della Milizia Fascista che controlla i pescatori, Emanuele Garofalo, e di sua moglie Costanza. La donna è stata sgozzata con un solo colpo di lama, mentre l’uomo è stato trafitto nel letto con oltre 60 coltellate.

Sulla scena del delitto, Ricciardi, che ha l’amaro dono di vedere e sentire i morti ammazzati, ascolta le oscure ultime frasi della coppia, che non gli dicono granché. Iniziano quindi le prime indagini, andate a vuoto, ma un colpo d’occhio al mercato del pesce rivelerà la tremenda verità agli occhi del Commissario.

Per mano mia. Il Natale del Commissario Ricciardi, edito da Einaudi, fa parte della fortunatissima serie di romanzi di Maurizio De Giovanni, non avendo niente da invidiare agli altri romanzi dello stesso ciclo.

Anche qui De Giovanni si è superato nella narrazione dedita ai minimi dettagli, con un focus importante sul periodo storico dove l’opera è ambientata, velato da un’atmosfera cupa e segreta.

5) Il tram di Natale di Giosuè Calaciura

Fonte: Sellerio Editore

Alla vigilia di Natale, un tram viaggia all’estrema periferia di una città non identificata, con i suoi addobbi natalizi luminosi e un allegro aspetto di festa. Al suo interno, ad ogni corsa, accoglie uomini e donne in qualche modo infelici e poveri. Tra loro non si conoscono, ma nasce come una sorta di rete solidale che li unisce inconsapevolmente. Nell’ultimo sedile, lontano da tutti, vi giace un neonato, avvolto in calde coperte, e più in là il conducente del tram, blindato così da non poter vedere l’infelicità dei viaggiatori.

La narrazione di Calaciura si sofferma su ognuno dei passeggeri, uno più diverso dall’altro, con storie differenti e spesso anche tragiche. Il messaggio che la dura realtà e la tristezza della vita parte dal momento della nascita, rappresentato dal neonato abbandonato, ma di cui ogni passeggero a modo suo cerca di prendersene cura, è letale, forte nel suo significato, come un pugno allo stomaco.

Il tram di Natale di Giosuè Calaciura, edito da Sellerio editore, è come una fiaba moderna, nuda e cruda nelle sue intenzioni. Inscena quasi un presepe vivente formato dalla diversità dei suoi personaggi e dai loro trascorsi umani.

Victoria Calvo