Noel Gallagher mostra se stesso in “Council Skies”

Il disco più maturo e più curato della carriera di Noel Gallagher. – Voto UVM: 5/5

 

Se si potesse tornare indietro nel tempo, sceglieremmo una data: 1995. Sono gli ultimi anni del ventesimo secolo, vanno ancora di moda i jeans Levi’s a gamba lunga, l’Ajax batte il Milan in finale di Champions (ci scuseranno i tifosi accaniti), e altri eventi particolari.

In ambito musicale, si affermano due band britanniche che daranno vita al movimento Britpop: i Blur (che torneranno con un nuovo album) e gli Oasis. La band, formata dai fratelli Liam e Noel Gallagher, ha coltivato una serie di successi finché non si è sciolta nel 2009.

Da lì, ognuno ha intrapreso una strada da solista. Liam è stato poco fortunato, al contrario Noel ha avuto maggior successo. Con la sua band High Flying Birds, il cantante ha pubblicato venerdì 2 giugno il suo quarto album in studio Council Skies, lontano dallo stile di Who Built The Moon (2017) che risulta essere il meno riuscito della sua carriera.

Struttura

L’album che vuole essere un omaggio a Manchester, sua città natale, è composto da 11 tracce (l’ultima è una bonus track, ma non troppo) e ruotano intorno ad un concetto cardine: la nostalgia.

L’artista ha dichiarato, in diverse interviste, di averlo scritto nel 2020, durante il periodo della pandemia in piena solitudine (in quel periodo si è anche separato dalla moglie Sarah MacDonald). Ha un tono molto riflessivo — quasi richiamando i toni di Chasing Yesterday (2015) — e cupo. Lo si evince non soltanto dalle chitarre leggere (che a volte regalano assoli decisi come in Easy Now e Pretty Boy), ma anche dalla scelta di inserire strumenti ad archi, trombe e vari. Risulta decisiva, dunque, la presenza del co-produttore Paul Stacey, collaboratore storico che è stato determinante per fare in modo che le tracce suonassero in modo lineare.

Non si può dire che sia un pandemic album (ci abbiamo fatto il tarlo), né tantomeno un disco rock pesante da digerire, tutt’altro. I continui richiami al passato e la profonda introspezione dei testi, mostrano un Noel Gallagher che spera di ritornare al mondo di prima, anche se è consapevole che niente sarà come prima:

I can lend you a dream
‘Til we meet again
I’m dead to the world
I don’t know where I’ve been (Dead To The World)

Noel Gallagher
Noel Gallagher. Fonte: 1057thepoint.com

Uno sguardo nostalgico

Nonostante la forza prorompente in I’m Not Giving Up Tonight, il coraggio di affrontare sé stesso in Open The Door, See What You Find (che probabilmente è la seconda parte di The Ballad Of The Mighty I in Chasing Yesterday), la malinconia si fa sentire molto. In Dead To The World, Noel affronta il tema della fine di una relazione ponendosi un passo indietro, come se cercasse di accettarla con la riserva di poter rimediare, consapevole che se decide di lasciare andare via tutto, potrebbe cadere in un sonno dogmatico abbandonando il mondo.

Questo senso ritorna in Trying To Find A World That’s Been And Gone Pt.1, la più significativa probabilmente del disco, dove si avverte la voglia di ritornare all’età dell’oro della musica e, probabilmente, della sua stessa vita:

You give me the will to carry on
In a place where I belong
As we try to find a world that’s been and gone
(Trying To Find A World That’s Been And Gone Pt.1)

La chitarra accompagna fino alla fine la canzone, e nel momento in cui irrompe la batteria, una nuova coscienza prende vita in Easy Now, posta non a caso al centro del disco. Le difficoltà, si sa, arrivano quando meno ce lo aspettiamo. Solo bisogna avere fiducia nel corso delle cose e trovare il coraggio di andare avanti, cavalcando la tempesta per arrivare alla destinazione, probabilmente la redenzione.

Quest’ultima, traspare maggiormente in We’re Gonna Get There In The End, le cui sonorità omaggiano lo stile dei Beatles (grande fonte di ispirazione per Noel).

La forza di andare avanti mostrando sé stessi

Noel Gallagher
Cover del dico “Council Skies”. Casa discografica: Gallagher Sour Mash Records.

La formula segreta che probabilmente rende la personalità dell’artista britannico e la sua musica così originale, di album in album, è quella di rimanere sé stesso.

Se già nell’album omonimo (Noel Gallagher’s High Flying Birds, 2011) e nel successivo Chasing Yesterday abbiamo visto una personalità esuberante e riflessiva, Who Built The Moon è stato una sorta di intervallo poiché ha voluto sperimentare nuovi sound, non ottenendo forse il risultato che si aspettava. Council Skies invece, sembra davvero il suo capolavoro non solo come artista, ma anche e soprattutto come uomo. Non è sempre facile, considerando che è rimasto radicato in un genere. Ciò nonostante, ha scelto di riattraversare le sue origini dalle quali è impossibile prendere le distanze, rimanendo coerente alla sua poetica.

Il rock non è ancora morto, e forse Noel Gallagher non ha intenzione di abbandonare la scena britannica, portando ancora avanti lo stile degli Oasis al di là delle spiacevoli vicende. Magari tornano, chissà. Nel frattempo, godiamoci questo viaggio introspettivo.

 

Federico Ferrara

La Sirenetta (2023): ci si rituffa “In Fondo Al Mar”

La sirenetta
Un Remake In Live-Action grazioso che, nonostante alcuni difetti e modifiche, mantiene più o meno lo stesso spirito, voto UVM: 4/5

 

La Sirenetta (2023) è un film del 2023 diretto da Rob Marshall (Memorie Di Una Geisha, Chicago, Pirati Dei Caraibi: Oltre I Confini Del Mare). Prodotto dalla Walt Disney Pictures, è il Remake in Live-Action del film d’animazione uscito nel 1989 e l’adattamento della favola scritta da Hans Christian Andersen. Nel cast sono presenti: la cantante Halle Bailey, Jonah Hauer-King, Javier Bardem (Madre!), Melissa McCarthy, Daveed Diggs, Awkwafina e Jacob Tremblay

Trama

La giovane Ariel (Halle Bailey) è una sirena molto incuriosita dal mondo degli umani. Suo padre, il Re Tritone (Javier Bardem), sovrano di tutti i sette mari, considera gli esseri umani dei mostri senza cuore e non vuole che sua figlia si interessi così tanto al loro mondo.

Un giorno, Ariel salva la vita ad un umano di nome Eric (Jonah Hauer-King), un giovane marinaio che ha anche il titolo di principe, e se ne innamora. Dopo l’ennesima lite con suo padre, che vuole solo proteggerla, Ariel arriverà a chiedere aiuto alla Strega Del Mare Ursula (Melissa McCarthy) per poter andare nel mondo degli umani. La strega allora le proporrà un patto: la trasformerà in un’umana, solo se la ragazza le cederà in cambio la sua voce.

Ariel diventerà un’umana ed avrà tre giorni di tempo per baciare il principe se vorrà rimanere un’umana per sempre, altrimenti tornerà ad essere una sirena. Ma in realtà, Ursula ha in mente un piano diabolico: vuole usare Ariel per ricattare Re Tritone ed ottenere così, il suo trono.

La sirenetta
Ariel ed il principe. Fonte: people.com, Walt Disney Studios Motion Pictures


Era necessario questo Remake In Live-Action della Sirenetta?

Ormai si sa che la Disney sta puntando molto sulla riproposizione dei Classici D’Animazione che hanno segnato l’infanzia di tante persone, con delle versioni più moderne e con attori in carne ed ossa. Questa iniziativa da parte della Disney ha diviso le opinioni pubbliche.

Partiamo dal presupposto che, al di là della qualità, questi Remake sono realizzati a fini commerciali. Ma questo non significa che sono tutti dei film pessimi e che non meritano una possibilità. Hanno comunque l’obiettivo sia di far salire la nostalgia alle vecchie generazioni che quello di far scoprire queste storie a quelle nuove. Ma qui, sorge un dubbio: sono necessari?

Perché se completamente uguali, non hanno molto senso. Se invece, risultano troppo diversi dalle versioni animate, rischiano di far storcere il naso a moltissime persone (in particolare, ai vecchi fan).

Dire che sono stati tutti un successo sarebbe una bugia, però non sono neanche stati tutti un fallimento. Al di là della qualità del prodotto in questione, tutti i Remake hanno una cosa in comune: resteranno sempre un passo indietro ai film animati. Però, ci sono stati casi in cui hanno dimostrato che, se ci si lavora con impegno e ci si affida alle mani giuste, anche i Live-Action possono venir su dei prodotti molto interessanti ed anche divertenti. Ora è il turno della Sirenetta e si può benissimo affermare che il risultato è stato sorprendente.

La sirenetta
Ariel in una scena del film. Fonte: vanityfair.it, Walt Disney Studios Motion Pictures

E’ davvero il miglior Remake In Live-Action Disney uscito finora?

Dall’annuncio, ci sono stati un sacco di pregiudizi e commenti fuori luogo, che è meglio non approfondire. Bene, ora che il film è arrivato nelle sale, tutti i pregiudizi si sono rivelati completamente inutili e non vedere questo film per tali motivi, sarebbe assurdo. Addirittura, c’è chi sostiene che La Sirenetta sia il miglior Remake In Live-Action Disney, ma forse dire che sia davvero il migliore sarebbe troppo.

I difetti non mancano, ma non sono assolutamente collegati a quei pregiudizi insensati. Però, si può benissimo dire che La Sirenetta è UNO DEI REMAKE PIU’ RIUSCITI.

Ebbene sì, il Live-Action della Sirenetta ha oltrepassato le aspettative e sta sorprendendo (in positivo) tantissime persone. E’ un film fatto col cuore e in cui si vede sul serio l’impegno che si è messo nella realizzazione del prodotto. Per di più, rispetta più o meno fedelmente la versione animata del 1989, nonostante l’aggiunta e la modifiche di alcune scene ed elementi che non storpiano comunque la storia.

E se si guarda anche il punto di vista tecnico, ci sono degli elementi a loro favore, come la fotografia e i colori che si adeguano alla scena ed al luogo mostrato (un po’ di oscurità nei luoghi più profondi nell’oceano o più luminosità in altri, soprattutto nel mondo degli umani).

Ma un altro elemento a loro favore sta nella colonna sonora composta da Alan Menken (lo stesso compositore di quella del film d’animazione), che comprende le stesse canzoni ed altre quattro inedite (che funzionano).

I fan italiani in particolare resteranno contenti di una cosa: le parole delle canzoni sono esattamente le stesse della versione animata. Le coreografie sono coinvolgenti (In Fondo Al Mar) ed allo stesso tempo, ci sono anche esibizioni che fanno commuovere (Parte Del Tuo Mondo).

Uno dei difetti riscontrati sta nell’eccessiva durata, perché poteva durare benissimo un pochino di meno ed allo stesso tempo, potevano approfondire alcune dinamiche avvenute nel passato, invece di menzionarle a malapena. Questo non ha impedito il buon risultato.

La sirenetta
Fonte: thepinknews.com, Walt Disney Studios Motion Pictures

Halle Bailey è una buona Ariel? 

La critica più grande è stata per la scelta dell’attrice protagonista, ancor prima che uscisse il film al cinema. E’ vero, la protagonista descritta nella favola di Andersen e quella mostrata nel film d’animazione, non hanno la carnagione scura. Però è anche vero che già il cartone animato ha molte differenze dall’opera originale. Ora è arrivato un Live-Action, con un’attrice afroamericana nei panni di Ariel, e si può benissimo affermare che non è assolutamente un problema.

Il cambio etnico è contestualizzato e sensato e c’è da aggiungere che Halle Bailey ha un bellissimo sorriso, è molto graziosa e soprattutto, ha una bellissima voce (caratteristiche importanti del personaggio).

E’ stata carinissima e bravissima nel ruolo, per di più i doppiaggi in italiano di Sara Labidi (dialoghi) e di Yana Cl (canto) danno quel tocco in più. E’ una versione di Ariel più curiosa di quella precedente e con una voglia maggiore d’indipendenza. Se l’Ariel animata voleva andare sulla Terra solo per un uomo, qui invece voleva solo seguire un suo desiderio e l’interesse per Eric è stato solo un contorno.

Il resto del cast è azzeccato?

A proposito di Eric, qui è interpretato da un giovane Jonah Hauer-King ed è una versione abbastanza interessante. La storia tra lui ed Ariel nasce più da interessi in comune che da altro e, nonostante la provenienza da due mondi differenti, vogliono entrambi una cosa: “sfuggire” dalla volontà dei genitori e seguire i loro sogni, insieme tra l’altro. Una lettura nuova di questa storia che rispecchia i tempi moderni e che mantiene comunque lo spirito della storia che si conosce, grazie a Walt Disney.

Oltre i due protagonisti, c’è anche Javier Bardem, di cui può vantarsi di avere un curriculum completo e ha dimostrato di essere degno di tale, calandosi nel ruolo del Re Tritone (un Re Tritone più “duro” di quello animato). Ma un’altra rivelazione è stata Melissa McCarthy nei panni di Ursula. E’stata capace a volte di rubare la scena ed ha interpretato una villain veramente cattiva e subdola, tanto da non far provare alcuna empatia verso di lei (per di più è doppiata da Simona Paticucci, la stessa che ha prestato la voce ad Ariel nel film animato).

Seppur la CGI non sia il massimo, gli amici “animali” di Ariel sono simpatici, soprattutto Sebastian. In italiano, è doppiato dal noto cantante Mahmood che, per essere la sua prima esperienza di doppiaggio, ha fatto il possibile e ci si abitua alla sua voce.

Giorgio Maria Aloi

“Elvis”: una nuova collana di ritratti musicali targati Baustelle

I Baustelle tornano tra di noi rinvigoriti di nuove idee, anche se senza la verve energica che li caratterizzava. – Voto UVM: 4/5

 

L’ultima volta in cui nei negozi di cd appariva un album del trio di Montepulciano, risale a cinque anni fa: L’amore e la violenza vol.1(2017), vol.2(2018). Un’attesa davvero lunga per una band tanto importante per l’indie italiano. Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini tornano nel 2023 con l’album Elvis. L’attesa risulta però essere stata di grande ispirazione creativa per i Baustelle, grazie anche alle parentesi solistiche rispettivamente con le due uscite Forever e Accade di Bianconi del 2020 e 2022, e con Psychodonna del 2021 della Bastreghi.

L’idea di partenza del progetto

E’ un album alquanto inaspettato per i fans, almeno per la parte più nostalgica e per quella che li ha conosciuti con le ultime uscite. I Baustelle guardano dentro loro stessi, dentro la formazione del loro sound. Scovano il glam rock, un po’di blues e di indie-rock americano, presupposto del loro indie primordiale italiano. Partendo dal “re” indiscusso degli anni ’60 e ’70 Elvis, passando da grandissimi esponenti dei vari generi come Lou Reed, David Bowie, Mick Jagger, trasportano nelle canzoni luci ed ombre delle figure più emblematiche dell’industria musicale attraverso un lavoro narrativo molto ricco.

Inconsueta è anche la scelta del sound usato per il progetto. Nonostante le influenze siano molto facili da carpire, il gruppo non vuole mimarne al 100% lo stile vintage e oltreatlantico. Pertanto si saldano bene nel tappeto sonoro tricolore, il quale ammortizza un po’ la durezza della musica d’influenza, creando qualcosa di molto più vicino al pop ma assolutamente indie e cantautorale.

Baustelle - "Elvis"
Cover di “Elvis”. Casa discografica: BMG

Le ombre

Ed è da questa scelta che prendono forma i ritratti dei vari protagonisti, sempre infusi degli eccessi rocker/stoner americani, come li hanno vissuti le più grandi stars. Abbiamo la drag queen Jackie; l’uomo che frequenta il Gran Brianza Lapdance Asso di Cuori Stripping Club e si innamora di una “Lolita“; la donna che in Cuore, cantata da Rachele solista, ripercorre la sua tumultuosa infanzia prima di gettarsi dal quinto piano di un palazzo col fine di una qualche espiazione.

La luce

Ho voluto usare la parola espiazione perchè il gruppo non si limita a dipingere la rovina ma anche il tentativo di porne moralmente rimedio. Aspetto molto interessante che ritroviamo in Il Regno dei Cieli, brano sorprendentemente dall’anima soul e adornato da un coro finale gospel. Un pezzo che ha il sapore dell’ultima disperata preghiera di una rockstar al culmine del suo squallore, non poteva che essere posto proprio prima di Cuore, il brano più psicanalitico, in fondo all’album.

Baustelle
Baustelle durante un live. Ph: Francesco Prandoni (@francescoprandoni)

I microtemi tricolori

Nel corso della loro narrativa, capita inoltre che i due cantautori cerchino di aggiungere delle digressioni completamente d’attualità. Ce ne si può accorgere nella prima metà dell’album, la meno profonda per così dire. La politica dell’anti-FOMO (Fear of Missing Out) che sta prendendo piede, in Andiamo ai Rave, la velata ostentazione antifascista in Milano è la Metafora dell’Amore sono l’easter-egg dell’album.

L’anima di Elvis

Elvis Presley stesso in carne e ossa, il panorama ribelle di quel tipo di vita che ha marchiato lui, chi come lui, e l’omonimo ultimo progetto dei Baustelle, nel suo interiore e nel suo esteriore, è riassunto dal primo singolo uscito, Contro il Mondo. Un pezzo che si erge a inno di vita e di morte di più di una generazione di ribelli, dagli anni sessanta ad oggi, un vero e proprio banger. Non ho dubbi nel dire che potrebbe diventare addirittura uno dei più iconici del gruppo per la bellezza del suo messaggio di libertà e gioventù.

 

Giovanni Calabrò

“Il sol dell’avvenire” di Moretti: rivoluzione che sa di testamento

Tra omaggi continui al cinema e una satira dolcemente incisiva, Moretti si supera ancora! Voto UVM – 5/5

 

Se pensate che solo dal titolo questo film sia per un determinato pubblico, vi invito a cambiare idea. Se pensate anche che Nanni Moretti sia divenuto un anziano regista trombone che non sa più cosa inventarsi, vi sbagliate ancora.

Il sol dell’avvenire, – in concorso al 76esimo Festival di Cannes – è forse il film più completo della carriera del celebre regista poiché, ponendo al centro della trama le vicende del Partito Comunista Italiano di Palmiro Togliatti, sviscera quelli che sono i pensieri di un uomo che deve fare i conti con sé stesso. Questo elemento in particolare, lo si evince dalla scelta di far dialogare i personaggi con egli, un fatto che nei film precedenti non accadeva quasi mai. Inoltre, Moretti lancia una critica spietata anche al mondo delle piattaforme di streaming, in particolare Netflix.

Però c’è del rosso e del giallo, il titolo rimanda a una canzone — a sua volta ripresa da una composizione russa — che parla di libertà; insomma, si può sapere a che punto vuole arrivare? Vuole forse confondere lo spettatore? Scopriamolo!

Sinossi

Moretti
Nanni Moretti e Margherita Buy durante una scena del film (fonte: ilfattoquotidiano.it)

“Io faccio un film una volta ogni cinque anni. Cosa ti costa vedere Lola una volta ogni cinque anni? E poi non va bene che faccio un film una volta ogni cinque anni qui bisogna stringere, accelerare.” Cit -Giovanni

Il film vede come protagonista Giovanni, un regista che decide di fare un film sulla posizione del Partito Comunista Italiano durante la rivoluzione ungherese, manifestatasi nel 1956. Come è noto, l’intervento armato sovietico pose il PCI in una posizione scomoda: il film, dunque, segue il conflitto tra il personaggio di Ennio (Silvio Orlando), segretario di un circolo romano del PCI e redattore dell’Unità, e la moglie Vera (Barbora Bobulova).

La moglie sposa subito la causa ungherese mentre il marito aspetta che sia il partito a prendere posizione. Al di fuori delle riprese, la moglie Paola (Margherita Buy, figura immancabile nei film di Moretti) che è anche la produttrice del film, si rende conto di non stare più bene con lui e si rivolge all’aiuto di uno psicoanalista. Tra questo e la relazione della figlia Emma (Valentina Romani, alias Naditza in Mare Fuori) con un ricco magnate polacco (Jerzy Stuhr), sembra che il regista vada in crisi.

La strategia del “film nel film”chiaro omaggio a Fellini — si rivela il pretesto per riflettere sulle proprie fragilità, le famose occasioni perdute e vari sentimenti con cui, inevitabilmente, tocca fare i conti durante la nostra esistenza.

La critica a Netflix

Una delle scene più esilaranti e incisive è il dialogo con i produttori di Netflix, giunto dopo che l’amico Pierre (Mathieu Amalric) è stato arrestato per truffa. Questi non vogliono produrre il film perché non rispetta certi parametri, come per esempio l’assenza di un turning point e momenti what a fuck. Semmai questa esclamazione dovremmo dirla noi povero pubblico insieme al regista, costretto a fare i conti con un’industria cinematografica che persegue esclusivamente i propri interessi per invogliare al consumo, senza interessarsi alla portata culturale e sociale di un prodotto cinematografico.

Il vortice interiore di Giovanni/Moretti

Il motivo per il quale si sostiene che questo film sia una sorta di testamento, risiede nel modo di voler raccontare una vicenda che, fondamentalmente, è solo un espediente. Le sequenze più incisive sono quelle in cui emerge l’interiorità inquieta del personaggio che oscilla tra ironia e riflessione sulla realtà e su sé stessi, elemento onnipresente nella filmografia di Moretti. Il dialogo tra i due giovani ragazzi al cinema che forse è la personificazione del primo incontro con Paola, e il regista che da adulto suggerisce le battute al giovane se stesso; le canzoni di Noemi e Luigi Tenco, Aretha Franklin e Franco Battiato in parallelo a frammenti rappresentanti le contraddizioni dell’essere adulti, il rimpianto di non aver vissuto una vita senza complicazioni. Passato e presente, dunque, si intrecciano nella mente di Giovanni/Moretti, invitando lo spettatore in sala a ridere insieme a lui come se ci fosse bisogno di semplicità. Non è male in fondo, probabilmente non serve essere pesanti con se stessi.

 

Un film che invita alla semplicità

Moretti
Frame del film “Il sol dell’avvenire”

La storia non si scrive con i sé, e chi l’ha detto? Cit. Giovanni

Con delicatezza, Moretti ci invita a ricordare che la storia, comprese le conseguenti sconfitte, non deve essere un peso insormontabile. Anzi, attraverso il dono dell’immaginazione possiamo liberarci! La scena più bella è proprio, forse, quella in cui a tavola i nuovi produttori coreani, la moglie, gli attori e il resto dei commensali si dedicano a immaginare il film in segno di gioia collettiva. La grande Storia non doveva per forza andare com’è andata.

Lo scopo dell’arte è quello di farci pensare a come le cose potrebbero andare diversamente, e nel caso del film di Moretti qualsiasi circostanza viene messa in discussione. E se il PCI avesse realizzato l’utopia di Marx ed Engels, la sinistra attuale risulterebbe ancora frammentata? Può darsi, meglio lasciare libera l’immaginazione.

Federico Ferrara

Madame: “L’Amore” tra sottomissione e dominanza

"L'Amore"
Questo concept album è di difficile immediata comprensione. Alcuni brani non perdono la  tipica schiettezza di Madame, forse un po’ too much. Ma le storie e le melodie sono interessanti, l’ascolto è doveroso. Voto UVM: 4/5

 

Saffo, dea dell’amore nell’antica Grecia, definiva l’amore come un sentimento dolceamaro. Una bufera che scende dalle montagne, una sottile ansia che divora l’anima lieve, una gioia sublime o un malinconico tormento. Ma questo sarà lo stesso amore che vuole narrarci Francesca Calearo, in arte Madame, attraverso la sua nuova opera musicale?

Dopo due anni dall’ultimo album, la giovane cantante vicentina torna con un concept album, dal titolo: L’Amore. Il disco è composto da 14 brani (più una bonus track “Tekno Pokè“) e non presenta dei featuring. Pubblicato lo scorso 31 marzo dalla casa discografica Sugar, prodotto grazie alla collaborazione di: Antonio Filipelli, Bias, Chris Nolan, Dardust, Dario Pruneddu, Gianmarco Manilardi, Iacopo Sinigaglia, Luca Faraone, Nazzaro e Shablo. La ventunenne sembrerebbe aver fatto già tanta strada, sia nell’ambito musicale che nella sfera personale. Ma questo viaggio, così intenso, starà prendendo le giuste destinazioni? Chissà, vediamolo insieme!

L’Amore di cui ci parla Madame, l’abbiamo già sentito?

L’amore è il tema per eccellenza, l’argomento degli argomenti. Narrato dai grandi lirici, poeti, letterati e cantanti, tra passato e presente. Ma Madame attraverso questo disco vuole porsi su un’altra prospettiva. Come ha dichiarato in un’intervista per Radio 105: 

Tutti parlano d’amore in varie forme, però è come se nessuno avesse mai intitolato un progetto proprio con: l’amore. Molto spesso questa è una parola inflazionata, che rischia di cadere nel banale. Io volevo darle quasi un colore diverso, anche se poi ho scelto il rosso. Volevo privarla di tutto ciò che le era stato affibbiato a livello di solito significato, per riempire questa parola con sensazioni diverse. Ho scelto il rosso per la copertina senza firme, titolo e nulla, perché l’amore è di tutti!

Immersi in una multivisione, porta se stessa e l’esperienza di più donne: la prostituta, la ninfomane, la potente, la sottomessa, l’amica e la bambina che impara dal suo maestro. Tutte queste donne vivono l’amore come: intimità, sesso, intensità, dolore, privazione, dipendenza, gioia e tanto altro. L’amore finora cantato, nella maggior parte dei casi, presenta una prospettiva maschile. Così Madame si è posta in un’ottica diversa, un po’ forse come fece ai suoi tempi la poetessa Saffo.

Molto spesso la sessualità femminile e il modo in cui le donne vivono l’amore è abbastanza taciuto o espresso male. Volevo dare un punto di vista più femminile, ma che poi in realtà reputo universale!

Una concept tracklist che mette da parte il flow e spinge sulle melodie

Madame qui non si presenta come con il precedente album tra flow e urban style, ma ci coinvolge in viaggio emotivo differente. Come se fosse una narratrice, ci sbatte in faccia crude verità sull’amore a tratti genuino, a tratti tossico, tra sottomissione e dominanza.

L’accurata tracklist parte con un pezzo dal sound un po’ tribale, dal titolo Come voglio l’amore. In questo brano fa un’elenco di vari tipi di uomini, anche loro per l’artista sofferenti e solitari. Poi Il bene nel male, singolo sanremese che ha preceduto l’album, in cui racconta la storia di una prostituta. Quest’ultima si innamora di un cliente, cercando di trarne da questo rapporto il ‘bene da qual male’. Purtroppo, a volte, l’amore è anche violenza domestica, difficile da sopportare e al tempo stesso d’ammettere.

Tra le mura di casa s’impara l’amore o s’impara una lezione!

Questa è quanto racconta Madame nel brano Quanto forte ti pensavo. Le soul vibes trasmesse dalla base, in pieno stile Piper Club anni ’60, inizialmente fanno un po’ perdere di vista il significato intrinseco. Lascio a voi l’ascolto qui giù!

Mentre Nimpha – La storia di una ninfomane è un racconto sulla sessualità (qui un richiamo all’antichità greca), una ricerca d’equilibrio tra passione e felicità. Invece, un manuale di pregiudizi quello riportato in Donna vedi. Qui Madame ritorna un po’ musicalmente al flow e l’urban, come anche in Pensavo a.

Arriva anche una dedica ad una donna per lei di fondamentale importanza, l’amica Matilde ‘sua primavera’, in Milagro. Brano che presenta una melodia di violini ipnotica ed emozionante. Sound che ritroviamo anche in Per il tuo bene.

Per quanto l’amore possa o non possa esistere, è la più bella delle bugie, il più studiato degli inganni, il più persuasivo dei discorsi.

Possiamo trovare anche alcuni interessanti sample. Come nel brano L’onda-la morte del marinaio, che sembrerebbe riprendere inizialmente il ritmo di Che il Mediterraneo sia, di Eugenio Bennato. O in La festa delle crude verità, con il brano di Angelo Branduardi, Alla fiera dell’Est.

Direi però basta con questi spoiler e lascierei a voi l’ascolto!

Ma quindi questo cambio, in parte, di registro ci piace?

E’ un disco difficile, un disco che ha bisogno di tempo per essere compreso a pieno. Sorprende, di certo, come una ragazza così giovane, possa far trapelare così tanta esperienza. Si sentono le fonti ispiratrici, che vanno da De Andrè a Battiato, insieme ad altri grandi autori del cantautorato italiano. Come afferma nella storyline del brano Avatar- L’amore non esiste:

Ho fatto un’esperienza che mi ha fatto uscire dal mio corpo. Mi ha fatto immergere nelle mie emozioni. Riflettere sull’esistenza e sull’amore. Forse tutto quello che conta non è ciò che esiste, ma ciò che si sente!

Proprio vero cara Madame! Molti brani colpiscono per la loro intensità emotiva e riflessiva. Ci chiediamo solo un po’ tutti il perché di quella bonus track! Del resto è un progetto degno di essere ascoltato, conduce ad un viaggio tra mistero e realtà.

I miei giochi di parole, il modo di pervertire le parole e le situazioni, sono per me una sfida con l’ascoltatore. Voglio mettermi li sul ring e sentire cosa arriva all’altra persona!

Madame si è messa su questo ring, quindi adesso tocca a te ascoltare e farle/farci sapere cosa ne pensi!

 

Marta Ferrato

Gli anni di Cristo: avere trent’anni secondo Mobrici

Un album che racconta emozioni, dubbi e difficoltà dell’avere trent’anni, e che pur essendo vario rimane fedele all’autenticità di Mobrici. Voto: 5/5

 

Due anni dopo l’esordio da solista con l’album Anche le scimmie cadono dagli alberi, Mobrici torna sulla scena musicale con Gli anni di Cristo, il suo nuovo progetto discografico uscito il 31 marzo scorso. Composto da undici tracce e anticipato da tre singoli, l’album è stato realizzato assieme al produttore Federico Nardelli (Maciste Dischi).

Ex frontman del gruppo musicale ormai sciolto Canova, Matteo Mobrici, dà alla luce un disco scritto interamente a cavallo dei suoi 33 anni, come suggerisce il titolo. Si tratta di un album che racchiude le esperienze di vita trascorse dall’autore nell’ultimo anno, nelle quali un’intera generazione può riconoscersi. Mobrici si fa, infatti, portavoce di tutti i suoi coetanei e non solo, esprimendo quegli interrogativi, quei dubbi, e quelle consapevolezze che tanto caratterizzano un’età critica come quella dei trent’anni.

Ricco di numerosi spunti di riflessione differenti sulla crescita e sul cambiamento, l’album è vario anche a livello sonoro, cambiando stato d’animo da una canzone all’altra, passando dal romanticismo, alla malinconia, alla spensieratezza.

Gli anni della maturità

Avere figli oggi o non averne mai nessuno?

E’ questa la domanda che si pone il cantautore in Figli del futurocanzone che con un ritmo allegro e coinvolgente affronta il tema delicato della genitorialità.

A trent’anni spesso succede di guardarsi intorno e vedere i propri amici e conoscenti mettere su famiglia. In un’epoca piena di instabilità, economica ed ambientale, ci si chiede se valga davvero la pena di mettere al mondo un figlio che erediterà un futuro ricco di incertezze. Mobrici in questo brano non riesce a trovare una risposta a questo quesito, e lascia trarre a noi le conclusioni, che lo ascoltiamo e ci balliamo su.

Luna è invece una canzone che nasce da un episodio realmente vissuto dall’artista:

L’anno scorso alla fine di un concerto ho incontrato una ragazza prima di tornare in albergo. Quando succede così ti aspetti che ti chiedano una fotografia o che ti facciano dei complimenti. Questa ragazza invece aveva degli occhi quasi commossi e mi aveva fermato solamente per dirmi che non ce la faceva più, che era stanca della vita che faceva. Subito dopo mi ha chiesto un abbraccio e se n’è andata. Fonte

E’ una traccia in cui in tanti possiamo immedesimarci: il sentirsi inadeguati e l’essere infelici della propria vita sono sentimenti comuni a molti, riassunti ad esempio nella frase “La festa è finita abbasso la vita”, un piccolo omaggio a Rino Gaetano e la sua Gianna. Il doversi confrontare con la propria vita è un tema affrontato anche in Revolver, canzone che prende il titolo dall’omonimo album dei Beatles, e che ricorda molto i brani dei Canova per le sonorità. E’ un brano dal testo significativo, in cui si chiede alla vita stessa di permetterci di poter vivere liberamente:

Vita mia, vuoi tu lasciarmi vivеre, vivere
O forsе sei proprio tu a farmi morire, morire?

Le canzoni d’amore di Mobrici: tra malinconia…

Dalle ballad delicate ai brani più movimentati da cantare a squarciagola, all’interno del disco non mancano le canzoni romantiche da dedicare, assieme a quelle che cantano di amori passati.

La traccia d’inizio è Sexe, un brano dal ritmo elettronico, dal testo diretto che entra in testa sin dal primo ascolto, così come Kaseirkeller, che con un testo ironico e a tratti cinico, racconta di una storia finita male. Anche questa volta il titolo è un riferimento ai Beatles, e più precisamente ad un locale di Amburgo dove il gruppo si esibiva prima di diventare famoso.

Ma tra le canzoni di questo genere la più incisiva è Luci del Colosseo, singolo uscito a Novembre 2022, che racconta di una storia d’amore a distanza sulla tratta Milano-Roma. Con una fusione tra suono synth ’80 e un’orchestrazione all’italiana, descrive alla perfezione le difficoltà del mantenere una relazione a distanza, e tutte le sensazioni che si provano con essa, come la mancanza della persona amata che a lungo andare si avverte sempre di più.

…e spensieratezza!

Tra le canzoni più emozionanti invece, per testo e melodia, vi è Amore mio dove sei, un duetto con il cantautore Vasco Brondi, primo ospite dell’album. Le voci dei due artisti suonano in perfetta armonia, e si rivolgono ad un amore che non esiste in quanto non si conosce ancora, ma che prima o poi arriverà, e quando lo farà accadrà in modo intenso e profondo, per concludere finalmente un percorso fatto di solitudine, dolore e delusioni.

Amore mio, dove sei?
Quante ne hai passate senza di me?
E quante volte al giorno hai pensato di piangere?

Chiude il disco in bellezza Stavo pensando a te (con Fulminacci), la versione dell’iconico pezzo di Fabri Fibra, già rilasciata nella primavera dello scorso anno. Nata tra i due in modo casuale, la cover è comparsa nella colonna sonora di Fedeltà, serie tv di Netflix Italia uscita il 14 febbraio 2022, e poi pubblicata il 1 Aprile seguente.

Capolavoro dal forte coinvolgimento emotivo, al suo interno riprende una delle frasi del ritornello di Ho Capito Che Non Eravamo dei Canova: Ciao, ciao, ciao, amore”, che ripetuta continuamente sul finale, contribuisce ad accrescere il senso di malinconia.  

Giulia Giaimo

In libreria la nuova edizione del romanzo “La paura di Montalbano”

Camilleri è un maestro dell’immaginazione poliziesca, impossibile deludere le aspettative creatasi. Questo perchè Montalbano non si muove più dalla penna di Camilleri, ma la penna di Camilleri si muove ad immagine e somiglianza del suo essere, diretto e vero. – Voto UVM: 5/5

 

Il 18 Aprile ritorna tra gli scaffali italiani, in una nuova veste, uno dei romanzi più celebri della serie del Commissario Montalbano La Paura di Montalbano, edito dalla Sellerio Editore.

Pubblicato per la prima volta dalla Mondadori nel 2002, il commissario più famoso della televisione italiana si presta in questa raccolta di tre racconti brevi e tre racconti lunghi, capace ancora una volta di fiutare il mistero e svelarne le radici intrinseche circondato dall’atmosfera siciliana di cui fa da contorno.

Copertina del romanzo di Andrea Camilleri “La paura di Montalbano”, edito da Sellerio editore, pubblicato nel 2023. Fonte: sellerio

Lo scrittore poliedrico

Nato nel 1925 a Porto Empedocle (AG), è attore, regista teatrale, sceneggiatore, scrittore e poeta. Impossibile non conoscere Andrea Camilleri, che ha portato la bellezza della Sicilia tra le pagine dei suoi romanzi e, successivamente, in TV.

La sua carriera inizia davanti al palcoscenico teatrale come regista, per poi spostarsi dietro la cinepresa. E’ stato anche attore, interpretando il ruolo di un vecchio archeologo nel film La strategia della maschera (1999). Ha inoltre recitato presso il Teatro Greco di Siracusa nel 2018 col monologo Conversazione su Tiresia, in cui ripercorre la vita dell’indovino cieco collegandola alla sua sopravvenuta cecità.

Solo più tardi varcherà le soglie per il mondo della letteratura. Nel 1978 esordisce nella narrativa con Il corso delle cose, pubblicato dalla Lalli Editore. Nel 1980 pubblica con Garzanti Un filo di fumo, primo di una serie di romanzi ambientati nell’immaginaria cittadina siciliana di Vigata a cavallo fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Grazie a quest’ultima opera Camilleri riceve il suo primo premio letterario a Gela.

Camilleri fa il suo exploit nel 1998: titoli come La concessione del telefono e La mossa del cavallo (1999) vanno a ruba. Da quest’ultimo è stato tratto il film TV La mossa del cavallo-C’era una volta Vigata trasmesso da Rai 1 il 26 febbraio 2018. È la prima trasposizione televisiva di un romanzo storico dello scrittore.

Il successo del Commissario Montalbano risale nel 1994, quando Camilleri dà alle stampe La forma dell’acqua, primo romanzo poliziesco con protagonista il commissario Montalbano. Il filone narrativo del Commissario Montalbano è destinato a una conclusione in quanto nel 2006 Andrea Camilleri ha consegnato all’editore Sellerio l’ultimo libro con il finale della storia, chiedendo che questo venisse pubblicato dopo la sua morte.

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In foto: Andrea Camilleri. Fonte: Ennapress

Un ritorno al passato

Nella raccolta di racconti La paura di Montalbano, come accennato prima, si susseguono 3 racconti brevi, di poche pagine, alternandosi a 3 racconti più lunghi:

  • Giorno di febbre

In questo primo racconto, il commissario Montalbano si sveglia con una forte influenza e, non riuscendo a trovare un termometro a casa, decide di procurarselo in farmacia. Nell’attesa, sente esplodere due colpi di pistola all’esterno della farmacia: un commerciante è intervenuto in uno scippo sparando sui delinquenti che hanno provato a scippare ad un’anziana, ma invece di colpire loro ha colpito ad una gamba una bambina che passava. Montalbano, dimenticando il malessere, si precipita a soccorrerla ma viene preceduto da un barbone, Lampiuni, che con precisione certosina blocca l’emorragia e salva la bambina.

Solo all’arrivo dei soccorsi, potrà finalmente riposare. Apprende più tardi da Fazio che il sindaco della città intende assegnare al misterioso Lampiuni un appartamento del comune, in segno di riconoscenza per il suo tempestivo intervento. Qui, Montalbano decide di incontrare Lampiuni nei pressi della stazione ferroviaria e lo apostrofa scherzosamente come “dottore”. Questi gli confessa la sua vera identità ma prega il commissario di non rivelarla. Montalbano lo rassicura ma in cambio gli chiede il favore di misurargli la febbre.

  • Ferito a morte

Riceve una telefonata da Catarella. L’omicidio di Gerlando Piccolo è avvolta dal mistero: in casa abitavano in due, lui e la nipote. L’assassino riesce a fuggire ma è chiaramente ferito. Le indagini partono, Piccolo era un usuraio e quelli che avrebbero voluto vederlo morto erano in tanti, ma il mandante dell’omicidio sarà una delle persone più insospettabili, proprio come l’effettivo esecutore materiale.

  • Un cappello pieno di pioggia

Montalbano si dovrà recare a Roma in seguito di una richiesta da parte del Sottosegretario. All’aeroporto, però, viene smarrita la sua valigia ed è costretto quindi a girare per Roma per rifarsi il guardaroba. All’uscita di un negozio incontrerà un vecchio compagno di scuola, Lapis, uno di quelli definito “di cattiva compagnia”, destinato a finire in galera. Lo invita a cena ma si inventerà una scusa per non accettare.

Finirà il suo colloquio col Sottosegretario, e nella sua stanza d’hotel riceverà una telefonata dallo stesso Lapis rinnovandogli l’invito. Non potrà più rifiutare e si recherà all’appuntamento. Durante il cammino però trova un cappello a terra pieno d’acqua a causa del temporale, e neanche il tempo di afferrarlo che l’azione avventata del proprietario lo coglierà alle spalle.

  • Il quarto segreto

Un incubo sveglierà nel cuore della notte il commissario. Nel sogno, Catarella muore in uno scontro a fuoco. Spera che non sia un sogno premonitore, le morti sul lavoro sono tristemente all’ordine del giorno anche a Vigata. Ma qualcosa di vero c’è: Montalbano sarà chiamato ad indagare sulla morte di un operaio albanese caduto da un’impalcatura. Il dubbio lo assale: è stato un incidente oppure un omicidio?

  • La paura di Montalbano

Montalbano si trova in vacanza in un habitat che per lui non è per nulla familiare: in montagna. Così, lasciando la fidanzata Livia a letto, parte alla scoperta della montagna che gli si presenta bella ma anche orrida nei suoi strapiombi. Sarà proprio qui, nella tranquillità della natura che sentirà un’invocazione d’aiuto.

  • Meglio lo scuro

Una vecchia ospite di una costosa casa di riposo in punto di morte confessa una verità scomoda al prete del paese, che contatta subito Montalbano e lo coinvolge nell’indagine. A quanto pare, la signora aveva commesso un crimine per il quale ha pagato un innocente ed ora il prete è riuscito a convincerla a raccontare tutto al commissario.
Un indagine vecchia di 50 anni, un avvelenamento che avvelenamento non era.
Il prete sa che Montalbano non potrà resistere e indagherà fino a sapere la verità.

Montalbano “è” e non può non essere

Lui aveva paura, si scantava di calarsi negli ‘abissi dell’animo umano’, come diceva quell’imbecille di Matteo Castellini. Aveva scanto perché sapeva benissimo che, raggiunto il fondo di uno qualsiasi di questi strapiombi, ci avrebbe immancabilmente trovato uno specchio. Che rifletteva la sua faccia.

Lo stile di Camilleri è inconfondibile: nella sua semplicità riesce a descrivere la Sicilia in tutte le sue forme e le sue bellezze. L’utilizzo di termini siciliani, spesso criticato per la difficoltà di traduzione, è in realtà del tutto azzeccato: l’autore non vuole scrivere il testo perfetto, ma il romanzo nella sua realtà. Una trasposizione del territorio in cui fa vivere ed agire, nel bene e nel male, tutti i personaggi nati dalla sua immaginazione.

Il commissario Montalbano è così: sarcastico, diretto, schietto, senza peli sulla lingua, arguto. Impossibile non amarlo. E’ così e non può non esserlo, proprio perchè vive in un contesto letterario, in un background narrativo che gli consente di essere così.

In un’intervista, lo stesso Camilleri confessa che Il nome Montalbano venne scelto dall’autore in omaggio allo scrittore spagnolo Manuel Vázquez Montalbán, padre di un altro famoso investigatore, Pepe Carvalho: i due personaggi hanno in comune l’amore per la buona cucina e le buone letture, i modi piuttosto sbrigativi e non convenzionali nel risolvere i casi e una storia d’amore controversa e complicata con donne anch’esse complicate.

La narrazione è leggera, sincera, scorrevole. Non ha intenzione di giraci troppo attorno, una delle sue caratteristiche è proprio quella di voler eliminare le descrizioni troppo superflui per dar spazio ai dialoghi, che non si elevano in un registro altolocato, ma mostrano il vero carattere della sua scrittura. Il protagonista, nella maggior parte dei casi, non ricade sempre sul commissario: viene considerato come un antieroe, un uomo sofferente nella sua posizione del mondo. Un uomo che ha paura e non nega di esserlo, una paura per l’ignoto, per il domani. Non sa cosa potrebbe aspettarsi e vive nella sofferenza dei suoi giorni. 

Andrea Camilleri è sempre stato una certezza. Se voleste intraprendere un viaggio nella conoscenza del vasto mondo del Commissario Montalbano, “La paura di Montalbano” potrebbe essere ciò che fa al caso vostro.

Victoria Calvo

Air – La Storia Del Grande Salto: Affleck e Damon fanno canestro

Il massimo dei voti sta soprattutto nell’aver centrato in pieno l’obiettivo, facendo canestro in tutti i sensi. – Voto UVM: 5/5

 

Air – La Storia Del Grande Salto è un film del 2023 scritto da Alex Convery e diretto da Ben Affleck (noto per ruoli in Pearl Harbor, Will Hunting – Genio Ribelle e per aver diretto Argo e La Legge Della Notte).

Il cast comprende: Matt Damon (Will Hunting – Genio Ribelle, The Last Duel, ecc.), lo stesso Ben Affleck, Jason Bateman (Come Ammazzare Il Capo E Vivere Felici, State Of Play, ecc.), Marlon Wayans (Scary Movie, Ghost Movie, ecc.), Chris Messina (Vicky Christina Barcelona, Un Amore Di Testimone, ecc.), Chris Tucker (Jackie Brown di Quentin Tarantino, Rush Hour, ecc.), e Viola Davis (Suicide Squad, Barriere, ecc).

Trama

Il film narra la storia della nascita del rapporto tra Michael Jordan, all’inizio della sua carriera di giocatore di basket, e la Nike. Da questo rapporto, è nata la famosa linea di calzature sportive, col nome di Air Jordan. Questo fatto risale al 1984.

Il manager Sonny Vaccaro (Matt Damon), esperto di basket, è alla continua ricerca di giovani talenti a cui proporre un contratto di sponsorizzazione. A quei tempi, la Nike non se la passava benissimo e la sua quota di mercato era inferiore, rispetto alla Converse ed alla Adidas.

Invece di investire su un giocatore già affermato, Sonny decide di usare l’intero budget messo a disposizione dalla Nike per chiudere un contratto di collaborazione con un semisconosciuto: Michael Jordan, un giovane con un’enorme talento naturale del basket. E’disposto a tutto per raggiungere il suo obiettivo, persino andare contro le “regole” e questo lo porterà anche a cercare di rompere la resistenza del suo CEO Phil Knight (Ben Affleck), del manager di Jordan e poi quelle della madre dello stesso Jordan Deloris (Viola Davis).

E’ la storia di Michael Jordan?

Non esattamente. L’ex-campione dei Chicago Bulls ha un ruolo fondamentale in questa storia, anzi è la colonna portante. Ma nonostante la storia ruoti intorno a lui, in realtà non è lui il protagonista. Il film non è un biopic di Michael Jordan, ma su un fatto importante della sua vita, dove ebbe inizio la sua straordinaria carriera e l’intento sta nel mostrare come si è arrivato a questo, rendendo l’ex-campione un contorno molto importante.

Air – La Storia Del Grande Salto ha quella capacità di rendere importante Jordan, senza mostrare mai realmente Jordan. L’idea di non mostrarlo ha funzionato e così ci si concentra sul movente della storia. In pratica, basta sentire il nome di Michael Jordan ed è sufficiente per convincere a dare una possibilità al film. E’ lo stesso fenomeno che si è manifestato e si manifesta tutt’ora con le Air Jordan, ed ora è successo anche con il film.

E’ un film solo per gli appassionati di Basket?

Si rivolge ad un pubblico molto vasto, in realtà. E’ un film che può essere visto non solo dai “baskettari” e dell’ex-campione del NBA, ma anche da chi cerca una bella carica motivazionale.

Questo rapporto di collaborazione nato tra Jordan e la Nike non ha solo segnato la storia della pallacanestro, ma anche le strategie imprenditoriali. Dimostra di come la determinazione, la fame e la voglia di mettersi in gioco, rischiando tutto, può portare ad un risultato straordinario e storico. Invece di puntare su un giocatore già affermato, Sonny Vaccaro ha voluto credere su un giovane talento ancora non molto conosciuto e ci ha visto lungo. Andare contro la massa e ragionando diversamente da essa, porta anche a questo.

Quindi, anche solo per cercare una spinta nella propria vita e per trovare la carica giusta, Air è il film giusto. E questo si abbina anche il lavoro svolto da chi ne ha preso parte, a partire dal regista!

Ben Affleck è un buon regista?

Ormai non si può dubitare di ciò, ma Ben Affleck sa come fare il regista. La sua carriera è stata di alti e bassi ed ha avuto pure una storia personale un po’ triste, tanto da portarlo alla depressione ed all’alcool. Ma dopo un periodo buio, è uscito dal tunnel e la sua ripresa è dimostrata sia dal punto di vista personale che in quello professionale.

Ha dato il massimo in ruoli come quelli di Pearl Harbor, The Accountant, The Last Duel, Tornare A Vincere, Argo e per come ha potuto, anche come Batman (Batman V Superman:Dawn Of Justice e Zack Snyder’s Justice League). Ma ha dimostrato di avere anche delle incredibile capacità come sceneggiatore (Will Hunting: Genio Ribelle) e soprattutto, come regista (Argo e La Legge Della Notte).

Tornando dopo anni dietro la cabina di regia, stavolta si è superato con Air. E’ uno di quei registi che vuole puntare più sulla qualità e sulla semplicità, rispetto a qualche altro che rende la pellicola un “sequestro di persona” (vedete Tar), che va a discapito di alcuni dettagli poco curati.

Air è una storia così semplice, lineare, poco ambiziosa e, con una durata al di sotto delle due ore, è capace di dare moltissimo allo spettatore, senza impegnarsi più di tanto. E in questo modo il film ha raggiunto l’obiettivo in una maniera pazzesca, accompagnato da un ottimo montaggio, che ha mostrato alcuni momenti iconici di Jordan e degli anni ’80, e da una buona colonna sonora!

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Frame del film. Casa di produzione: Amazon Studios, Mandalay Pictures, Skydance Media. Distribuzione in italiano: Warner Bros.

Il cast

Oltre che di una buona regia, il film può vantare anche di un cast corale. Affleck non ricopre solo le vesti di regista, ma anche un ruolo marginale nei panni di Phil Knight, il CEO della Nike. Seppur con un po’ di istrionismo, Affleck se l’è cavata, ed un punto va a favore anche alla recitazione di Jason Bateman.

Ma i migliori sono stati Matt Damon e Viola Davis. Damon si è calato perfettamente in Sonny Vaccaro essendo molto convincente (soprattutto nel discorso motivazionale per convincere i genitori di Jordan), mentre Davis è stata la migliore scelta che potessero fare per il ruolo della madre di Jordan (suggerita dal vero Michael Jordan).

 

Giorgio Maria Aloi

“Innamorato”: la probabile redenzione di Blanco

Dirompente, innovativo e malinconico, ma non ancora pienamente maturo. Voto UVM: 4/5

 

Venerdì scorso è uscito il nuovo album di Blanco (al secolo Riccardo Fabbriconi) Innamorato, un anno dopo l’album d’esordio Blu celeste che ha scalato le classifiche anche grazie ai singoli già noti Notti in bianco e Ladro di fiori, con cui è entrato in modo dirompente nella scena musicale italiana.

L’album, prodotto interamente dal suo fidato collaboratore Michelangelo e anticipato dal singolo L’isola delle rose, presenta delle sonorità inedite, spaziando dal pop alternative a parti rap tipiche del giovane artista (ricordiamo che è nato il 10 febbraio del 2003).

Fare un disco così a vent’anni non è mai un’operazione semplice poiché, è molto facile scadere nella banalità e nella ridondanza dei concetti. Blanco invece, riesce a ribaltare questa prospettiva poiché ogni canzone rappresenta molteplici sfumature del suo carattere forte e sognatore e ancora una volta, ha deciso di mettersi a nudo.

Il concept dietro al disco

Se in Blu Celeste abbiamo visto il lato più esuberante di Blanco (salvo la title track dai toni molto malinconici), in questo disco l’atmosfera tenta di farsi più immersiva, sviscerando quelli che sono i pensieri di un giovane innamorato per l’appunto.

Tra la delicatezza e la sfacciataggine, Blanco affronta il tema della paura in più tracce, in particolare in Anima Tormentata e La Mia Famiglia dove da sfogo a pensieri prettamente tipici di un ragazzo che, avviandosi verso l’età adulta, cerca lecitamente di darsi delle risposte, confidando di potersi rifugiare all’interno del proprio nido nonostante riconosca di essere cambiato.

Chi lo sa
A cosa serve essere ricchi se la fedeltà e l’amore non lo compri
Mi chiedo chi lo sa
Chiuso in una stanza d’albergo
Chi lo sa
Che non è quello che volevo
Chi lo sa
Se questa vita è vera oppure artificiale
Non è naturale
(Anima Tormentata)

 

E io forse son già morto
Ma Milano dicono “Non è mai troppo”
Ma per me è già troppo
Accettare un compromesso
Di essere cambiato adesso
Sul finale, sul più bello
(La Mia Famiglia)

E l’amore? Sembra essere un’ancora di salvezza, un punto fermo nella vita del giovane artista che gli da la forza per vivere, anche se le incertezze non lo lasciano andare.

Una tra le tracce più incisive è Giulia, probabilmente dedicata alla sua ex alla quale sono precedute diverse canzoni del suo repertorio (Ladro di fiori, Sai cosa c’è, Finché non mi seppelliscono). Nonostante sia finita, Blanco decide di chiudere il cerchio di un rapporto vissuto probabilmente con passione, accettandone la fine in maniera consapevole e matura.

E dividiamoci le colpe
Sennò è una storia folle
Finita quasi a botte
Tutto tranne che dolce
(Giulia)

Mina: una presenza inaspettata

“Non l’ho mai vista, ma per quanto sembri assurdo sono più contento perché il rischio, quando conosci i tuoi idoli, è che un po’ ti caschino, perché capisci che sono persone normali, invece lei non l’ho mai vista, quindi per me resta una persona che non esiste.” (Fonte: fanpage.it)

Il brano con Mina probabilmente rappresenta la vera punta di diamante del disco. La voce graffiante di Blanco unita alla profondità della regina della canzone italiana donano un’atmosfera estremamente immersiva, a metà tra sonorità tipicamente retrò e odierne.

Come silloge di ciò, vi è il videoclip ufficiale su YouTube, il quale si presenta come un breve film noir in bianco e nero che sembra ricordare le atmosfere “hitchcockiane”, dove Blanco insegue una donna misteriosa rappresentata proprio da Mina, la grande assente della scena.

Ciò nonostante, il suo ritorno in questa traccia si fa sentire in maniera non indifferente.

Se non è sincero
Se l’amore è vero muori dentro
Un sentimento puro
No, non ha futuro se ti perdo
Darei la mia vita
Che non è infinita
A un prezzo onesto.

Un disco romantico ma malinconico

Da come si esprime musicalmente, Blanco ha un carattere “difficile da digerire” come dice in Lacrime di piombo. Eppure, in virtù di ciò, questa canzone mostra coraggiosamente il cuore del giovane artista, il quale esprime un pensiero che vorrebbe non accadesse mai: la fine di una storia e il timore di perdere i momenti felici senza soffrire.

Sarà banale forse, ma quando si è giovani è comune trovarsi impreparati dinanzi al vuoto lasciato da una persona, specialmente se vi era un legame amoroso non indifferente. Si evince, dunque, il leitmotiv del disco che possiamo trovare anche in altre canzoni (Scusa, Fotocopia, la già citata Giulia e Raggi del sole).

Ogni anno, ogni giorno, ogni mese che passerà
Ricorderò ogni “fanculo” come se fosse un “ti amo”
Regalato, poi abusato come se fosse un boato
E sono lacrime di piombo, che scendon sotto i Ray-Ban
Le asciugo e le nascondo, sorridendo a mia mamma
Ma passerà
(Lacrime Di Piombo)

Non sarà probabilmente l’album della maturità, però è chiaro che il suo ritorno dopo la polemica durante il Festival di Sanremo non passerà inosservato. Il giovane artista ha fame di riscatto ed è “innamorato” della musica, oltre che della vita. Questo non glielo si può contestare, almeno si spera!

 

Federico Ferrara

Shadow and Bone: torna con la sua seconda stagione

Per chi non ha letto i libri, la narrazione della serie tv, risulta frettolosa e confusionaria. Voto UVM 3/5

 

Shadow and Bone è una serie di genere fantasy, distribuita sulla piattaforma Netflix, scritta e creata da Eric Heisserer. Basata sui libri di Leigh Bardugo

La trama

La storia è ambientata a Ravka, una città ispirata alla Russia zarista dei primi anni del 1800. Ravka è divisa da una striscia di oscurità detta Faglia d’Ombra – una nube oscura abitata da mostri chiamati Volcra –

L’unica persona in grado di distruggere la Faglia è Alina Starkov (Jessie Mei Li) in quanto ella è un’evocaluce, il suo potere consiste nell’emanare un potente raggio di luce in grado di uccidere i Volcra.

Dove ci eravamo lasciati?

La prima stagione si conclude con l’apparente morte del generale Aleksander Kirigan (Ben Barnes), rivelatosi essere il creatore della Faglia, conosciuto anche come l’Oscuro, il suo obiettivo è espanderla.

Durante un’intervista con Deadline, Ben Barnes, ha rivelato che interpretare Aleksander Kirigan nella seconda stagione di “Shadow and Bone” sia stato molto più interessante rispetto alla prima.

Tenebre e ossa 2
Aleksander Kirigan interpretato da Ben Barnes. Casa di produzione 21 Laps Entertainment. Casa di distribuzione: Netflix

 

Nel mentre, una combattiva Alina accompagnata dale suo amico d’infanzia Mal (Archie Renaux) sono alla ricerca della frusta marina – un animale mitologico, che una volta catturato servirà da amplificatore, quindi in grado di intensificare i poteri dell’evocaluce – devono tenere un profilo basso in quanto i Grisha – persone in grado di manipolare gli elementi e il corpo umano a loro piacimento – sono ritenute persone pericolose e perseguitate in tutta Ravka. 

In questa loro impresa fanno la conoscenza del principe Nikolai Lantsov (Patrick Gibson), secondogenito del re, che in un primo momento si presenta loro come il corsaro Sturmhond. Nikolai è un personaggio che ha catturato da subito l’interesse, tanto che la Bardugo decise di dedicargli una dilogia. 

Nikolai e Alina decidono di stringere un’alleanza politica e il miglior modo per farlo è sposarsi.

Che fine hanno fatto i Corvi?

I “Sei di Corvi” un gruppo di malviventi formato da Kaz Brekker (Freddy Carter), Jesper Fahey (Kit Young) e Inej Ghafa (Amita Suman) dopo aver aiutato Alina tornano a Ketterdam, ad aspettarli però c’è Pekka Rollins – nemico di Kaz – il quale ha preso il comando e accusato i “Corvi” con una falsa accusa di omicidio. Kaz, deciso a vendicarsi di Pekka Rollins recluta Wylan (Jack Wolfe), in grado di realizzare ordigni esplosivi e una già nota al pubblico, la Spaccacuori Nina Zenik (Danielle Galligan) decisa a ritrovare il cacciatore di Grisha, Matthias Helvas (Calahan Skogman). Detenuto in carcere poiché Nina lo accusò di essere uno schiavista, solo per evitargli la cattura da parte degli uomini dell’Oscuro.

I “Corvi” in una scena della serie. Fonte Tvserial

Shadow and Bone: in conclusione?

La seconda stagione riprende la narrazione degli ultimi due libri della trilogia: “Assedio e Tempesta”, “Ascesa e Rovina” unendo alcuni passaggi della dilogia di “Sei di Corvi”.

Jessie Mei Li in un’intervista a Entertainment Weekly

Con la seconda stagione sapevamo che sarebbe stata molto diversa dai libri. Per me è stato eccitante perché è quello che più mi piace degli adattamenti: prendere ciò che piace nei libri e dargli nuova forma. Penso che ci sia stata un po’ di pressione per compiacere i fan, ma abbiamo anche mostrato loro qualcosa di nuovo, come una versione remixata di tutti i loro libri preferiti.

La storyline dei personaggi risulta priva di empatia. Chi guarda vuol capire i motivi che hanno portato a determinate scelte. Fatta eccezione per Kaz Brekker, viene alla luce il motivo per tanto odio nei confronti di Pekka Rollins.

Nonostante tutto, la serie ha riscosso successo e sebbene la terza stagione non sia stata ancora confermata, è altamente probabile si faccia.

 

Gabriella Pino