Racconti e Poesie dal Midwest USA – KENT HARUF

Giovedì 11 aprile 2019. Messina. Via Giuseppe Garibaldi, 56. Libreria La Gilda dei Narratori. Un’immersione nelle atmosfere del Midwest statunitense. Partendo dai romanzi senza tempo di Kent Haruf, uno dei più grandi scrittori americani degli ultimi quarant’anni, ci si è immersi in questo affascinante mondo letterario grazie agli interventi di Roberta D’Amico ed Ignazio Lax, che hanno raccontato le storie e le gesta degli uomini e dei libri di questa Letteratura.

L’evento è stato reso ancora più suggestivo dal tappeto musicale e dalle letture poetiche a cura del collettivo “Altera“: Antonio Fede, Massimiliano Fede, Mariaconcetta Bombaci.

Pubblico attento per la narrazione di Vincoli. Una storia semplice ma intensa, come in tutti i romanzi di Haruf, che attraversa quasi un secolo di vita e traccia anche un bel quadro della conquista americana dell’ovest. A differenza degli altri romanzi, in questo c’è anche un piacevole risvolto noir che tiene incollati fino alla fine. Un viaggio nella storia di una famiglia delle pianure americane, narrata dalla voce della loro vicina, Sanders Roscoe. Un romanzo corale e travolgente, intenso e poetico, con cui Haruf inizia il suo viaggio nell’America rurale, teatro delle sofferenze e metafora della tenacia dello spirito umano, anticipando tutti gli elementi che rendono unica la sua poetica. Uno stile descrittivo e sublime caratterizza i personaggi. Si è in grado si percepire su di sé l’odore dei campi e di sudore dei protagonisti. Un romanzo duro ed estremamente vero, dà una perfetta idea della mentalità del luogo all’inizio del ‘900.

Non Resta che leggerlo.

Gabriella Parasiliti Collazzo

Il primo Re

Film italiano che sfiora lo stile hollywoodiano. Voto UvM: 4/5

 

 

 

 

 

 

 

 

Con “Il primo re”, il regista Matteo Rovere ha avuto l’ardire di spingersi oltre, addentrandosi in territori  più vicini a quelli della fantascienza.

Snodo narrativo è la vicenda di Romolo e Remo, i due fratelli ai quali racconti mitici e testi storici fanno ricondurre la nascita di Roma nel 753 a.C.

 

 

Rovere si serve della Storia per infondere verità e credibilità ai personaggi e al mondo antico, selvaggio e repellente, che porta in scena.

L’uso del latino e di elementi scenografici aderenti alla realtà storica sono da intendersi come dettagli fondamentali per una messinscena che punta tutto il suo potenziale espressivo sull’immersione dello spettatore.

E Il primo re non si limita certo alla superficie del mondo che rappresenta; non è, cioè, un kolossal storico tradizionalista.

Il regista romano scomoda il passato per ripensare al presente, senza confinare la pellicola all’appartenenza ad un contesto temporale limitato dal ricordo storico.

 

 

“Il primo re” rappresenta il conflitto spirituale tra Romolo e Remo, rispettivamente l’uomo pio e rispettoso ed il rivoluzionario.

Accanto, trovano spazio anche spunti non meno significativi, come l’inscindibile rapporto tra uomo e natura o l’espressione di un istinto di sopravvivenza naturale nell’uomo.

Ci sono la furia e la veemenza visiva di The Revenant, la violenza brutale dell’uomo sull’uomo di Apocalypto, tutto focalizzato su una linea narrativa molto semplice di un fratello che ne protegge un altro in difficoltà mentre tutto il mondo complotta per dividerli perché “così vogliono gli dei”.

L’arte cinematografica italiana con “Il primo re” torna su parametri hollywoodiani, senza sforzi economici o imitativi, ma con l’efficacia comunicativa caratteristica di un lavoro brillante, firmato Matteo Rovere.

 

Antonio Mulone

 

Il silenzio di chi ama

Il Silenzio di chi ama è un libro scritto nel gennaio 2018 da Davide Romagnoli, ragazzo di 19 anni studente di scienze della comunicazione all’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli.

Racconta una delusione d’amore molto forte, il sentire di aver dentro un sentimento e di non poterlo esternare fuori.

Un ragazzo troppo giovane per parlare di delusioni? No, semplicemente un adolescente che ha vissuto a pieno le sue emozioni.

Ho avuto il piacere di intervistare lo scrittore di questo testo di poesie.

Dopo le svariate domande fatte a Davide, tra una risposta e l’altra, posso aggiungere che questo libro sicuramente è quello che lo rappresenta di più, ed ho avuto la conferma stessa dello scrittore, aggiungendo che per lui racchiude momenti forti della sua vita.

Un ragazzo pieno di sentimento, pieno di sogni, un amante dei viaggi, che vede come un modo per ritrovare se stessi lontano dalla routine quotidiana in cui l’unico rischio che riscontra è quello di perdersi; i viaggi invece ci permettono di vedere lontano dai nostri occhi e dalle solite cose che ci circondano, per permetterci di ritrovare ciò che perdiamo ogni giorno senza accorgercene.

Con il suo modo di vivere, che definisce a colori, Davide vive “Londra”.

Un giovane ragazzo che sa ciò che vuole veramente nonostante la sua giovane età. Un ragazzo di grande sentimento, ma soprattutto grande passione per quello che scrive.

Un “piccolo Giacomo Leopardi” del ventunesimo secolo, ricco di speranza ma anche di dolore e passione.

“Il silenzio di chi ama” è privo di trama ma ricco di susseguirsi di poesie che hanno lasciato qualcosa nel suo cuore e che ha voluto condividere con tutti coloro che ancora in fondo provano un sentimento, ed è così che la trama si snoda tra le pagine.

Davide, il ragazzo dai sentimenti forti, ci fa capire che bisogna guardare dentro noi stessi e non aver paura di esprimere ciò che si nasconde nel nostro cuore.

 

 

Dalila De Benedetto                                                                                                                                                                                                         

Animali fantastici – I crimini di Grindelwald

Il 15 Novembre 2018 i fans di Harry Potter hanno avuto la possibilità di ritornare a sognare il mondo di magia creato da J.K. Rowling.

Animali Fantastici: I crimini di Grindelwald arriva nelle sale cinematografiche dopo il primo film Animali Fantastici e dove trovarli (link recensione). Omonimo del romanzo a cui si ispira, la saga, secondo le dichiarazioni dell’autrice, dovrebbe comprendere in totale cinque film.

David Yates è il fedele regista, mentre la sceneggiatura è curata niente meno che dalla stessa Rowling. Ritroviamo i protagonisti del precedente film: il magizoologo Newt Scamander (Eddie Redmayne) ritorna con la sua inseparabile valigia piena di animali fantastici, accompagnato dalla giovane auror Tina Goldstein (Katherine Waterston), Queenie Goldstein (Alison Sudol) e dall’unico No-Mag o babbano presente nella saga, Jacob Kowalski (Dan Folger).

I nuovi personaggi entrano all’interno della sceneggiatura non senza provocare un grande entusiasmo in tutti i potteriani: fanno la loro apparizione Albus Silente (Jude Law), che da subito occupa un ruolo centrale nella storia, Leta Lestrange (Zoe Kravitz), il cui solo cognome fa venire la pelle d’oca a coloro che hanno imparato a conoscere la famiglia purosangue che lo porta e Theseus Scamander (Callum Turner), il fratello famoso e intraprendente di Newt. Tutti i protagonisti continuano la loro battaglia contro Gellert Grindelwand (Johnny Deep), il famoso mago oscuro che segue ideali di supremazia a sfavore di coloro che non hanno poteri magici. Il precedente film aveva lasciato gli spettatori con la consapevolezza dell’apparente morte di Credence (Ezra Miller), personaggio emblematico all’interno della storia che ritorna determinato a scoprire la sua identità.

Il nuovo film, ambientato nel 1927 a Parigi, si discosta un po’ dall’atmosfera del precedente, in cui protagonisti assoluti erano gli animali fantastici, creature incomprese e accudite da Newt Scamander. L’atmosfera fantastica lascia il posto a dei toni più cupi e la storia si arricchisce di vicende personali. I temi affrontati sono più profondi e impegnativi e provocano non poco disorientamento anche ai fans più esperti. Primo fra tutti, il legame tra Gellert Grindelwald e Albus Silente: i due vengono definiti da quest’ultimo come “più che fratelli” ma è difficile comprendere cosa realmente accomuna questi grandi maghi, al di là del patto di sangue che tra loro intercorre.

La storia d’amore tra Jacob e Queenie perde invece l’alone di leggerezza che aveva nel precedente film; attraverso la loro relazione vengono riportati alla luce i temi del razzismo, della discriminazione, dell’importanza di schierarsi. Di fatto mentre Jacob, nonostante sia un No-Mag non si lascia persuadere dalle belle parole di Grindelwald, la donna, invece, attratta dalle capacità oratorie del Mago Oscuro, si schiera dalla parte di quest’ultimo. Tra i vari intrighi poco spazio rimane per lo sviluppo della storia d’amore tra Scamander e l’auror Tina.

Il tema della lotta tra bene e male affiora anche in questa saga. Gellert Grindelwald, con l’aiuto di Credence, cerca di radunare i suoi seguaci per promuovere il suo messaggio che, nonostante la vena oscura, attira molti maghi e streghe scontenti della loro condizione nel mondo. La ricerca della propria identità da parte di Credence provoca non pochi intrighi che sfociano nel più impressionante colpo di scena,  infatti Gellert rivela al ragazzo di essere il fratello di Albus Silente. Questa informazione provoca tra i potteriani emozioni decisamente contrastanti dal momento che tale informazione pare allontanarsi dalla storia raccontata dalla Rowling nei libri di Harry Potter, in cui il futuro preside risulta avere un fratello, Aberforth Silente, e una sorella, Ariana Silente, accidentalmente morta proprio tra uno scontro tra Gellert e Albus.

L’arduo compito della Rowling è testimoniato dalle differenti opinioni che il pubblico ha avuto sul film. L’autrice si è assunta la complicata responsabilità di creare una storia di cui, già in parte, grazie alla saga di Harry Potter, si conosce il finale. Misurandosi con il fandom questi nuovi colpi di scena posso avere effetti decisamente diversi: da un lato ci sono coloro che, entusiasti di tornare ad Hogwarts, accolgono in modo favorevole la presenza di Silente, nonchè la possibilità di comprendere maggiormente questo personaggio emblematico e che sono emozionati all’idea di dare finalmente un volto all’alchimista Nicolas Flamell (Brontis Jodorowsky); dall’altro lato ci sono coloro che con occhio critico non comprendono, per esempio, la presenza della professoressa di Trasfigurazione nel 1927 (dal momento che dovrebbe essere nata nel 1935) e rifiutano l’esistenza di un altro fratello di Albus Silente, che non appare nella saga del mago Grifondoro.

Animali fantastici – I crimini di Grindelwald appare chiaramente come un film di passaggio: la storia, nei prossimi tre film subirà sicuramente numerosi colpi di scena. Bisogna quindi aspettare, dal momento che non vi sono libri su cui basarsi. Nonostante le opinioni differenti emerse da parte degli spettatori cinematografici, la Rowling ha dato la possibilità a un numero infinito di potterheads di tornare a provare delle emozioni che ormai sembravano essere esaurite insieme all’ultimo film di Harry Potter, permettendo ai suoi sostenitori di ricordare la magia, di rimanere stupiti di fronte a incantesimi e scenari fantastici.

Federica Cannavò

 

Hill House: la serie TV Netflix sul paranormale

La serie Netflix diretta da Mike Flanagan (regista de “Il gioco di Gerald”) è ispirata da “L’incubo di Hill House” di Shirley Jackson. L’autrice, nella sua opera, proponeva la storia di una casa infestata che catturò l’interesse di fanatici e scienziati, intenti a svelarne i misteri.

Flanagan, decide di sconvolgere la trama del romanzo, riprendendo alcuni personaggi e mantenendo il tema della casa infestata; questa volta ad Hill House arriva la famiglia Crain, composta da Hugh ed Olivia, due imprenditori che vogliono ristrutturare Hill House e rivenderla e dai loro cinque figli Steve, Shirl, Theo, Locke e Nell. La famiglia si traferisce nella casa inconsapevole di ciò che accadrà e del fatto che Hill House non è una casa come le altre.

La serie si muove su due linee temporali, quella terribile estate, dove tutto accadde ed il presente, quando ormai i fratelli hanno preso strade diverse. Le loro vite divenute indipendenti vengono nuovamente sconvolte da un’altra tragedia, la morte di uno dei fratelli che spinge i restanti ad indagare nel passato e a porsi domande che non si erano mai posti prima.

Hill House non è un horror che vuole mettere paura a chi lo guarda, la serie è sottile, fatta di introspezione, suspence, concentrata sul significato della famiglia, sul dolore e sulla consapevolezza che incutono più terrore di qualunque scena di sangue.

https://youtu.be/gTZyG1mpz4k

Sofia Campagna

Eyes di Maria Laura Moraci: trenta attori recitano ad occhi chiusi

 

Eyes è un cortometraggio della durata di 13 minuti, nel quale la regista ha voluto mettere in luce un tema molto attuale, ovvero l’indifferenza.

La regista e sceneggiatrice Maria Laura Moraci, alla sua prima esperienza, è una ragazza 24enne, attrice, ha lavorato con registi come Pupi Avati e Bernardo Carboni; tratta di un documentario basato su una storia vera di immigrazione e integrazione.

Ha dedicato quest’opera al pestaggio di Niccolò Ciatti, ventiduenne picchiato a morte da tre coetanei nell’indifferenza generale ad agosto 2017 in una discoteca vicino Barcellona.

L’originalità è data dal fatto che 28 attori su 30 hanno recitato ad occhi chiusi per l’intero cortometraggio, con gli occhi dipinti sulle palpebre.

Inizialmente si vedono delle prostitute che parlano tra di loro, una delle quali si allontana, con le cuffie nelle orecchie ascoltando “Mad World”.

Poi si passa alla scena principale, nella quale dei personaggi attendono presso la fermata del bus, un bus che peraltro non arriverà mai, in chiaro riferimento ad “Aspettando Godot”.

Ad un tratto si sentono delle urla provenienti davanti a loro, ma nessuno si alza. Una ragazza ha le cuffie isolandosi dal mondo esterno, una coppia si bacia, due ragazze attendono giudicando i passanti, un uomo intento a disegnare una donna cancella le sue labbra con il rosso, con rabbia, intento a cancellare il rumore fastidioso che sente. Come se non volesse sentirlo.

Nessuno si alza nonostante le grida persistano. Ma passato un po’ di tempo tutti i personaggi aprono gli occhi contemporaneamente, e decidono di alzarsi andando verso la donna che continua ad urlare.

Emozionante e intenso, Eyes ci manda delle immagini di grande impatto e potenti in cui vediamo una società che non vuole vedere, non vuole ascoltare il mondo circostante, una società egocentrica se vogliamo, ma soprattutto incapace di avere empatia verso l’altro.

Solo alla determinazione della donna, che desidera essere salvata, che crede davvero che qualcuno possa venire ad aiutarla, le persone si alzano andando verso di lei.

La fotografia è stata curata da Daniele Ciprì, autore della fotografia che ha lavorato con Bellocchio. Risulta ben fatto, il colore è saturo, caldo, rimane impresso nella mente.

Le opere cinematografiche che vogliono fare denuncia sociale, verso temi delicati ed attuali (qui la violenza sulla donna e l’indifferenza) sono da ammirare e da prendere come modelli d’ispirazione.

Il cortometraggio ha ricevuto parecchi riconoscimenti e premi in festival di tutto il mondo.

Marina Fulco

Fog: la tensione viaggia tra la nebbia.

John Carpenter è la prova che con un budget limitato e in poco tempo si possono creare dei piccoli capolavori. Fog, pellicola del 1980, viene considerata un’opera minore del regista, ma possiede tutti gli elementi che hanno fatto guadagnare al bravissimo Carpenter l’epiteto di maestro dell’horror classico.

La trama è piuttosto lineare. Antonio Bay, ridente cittadina portuale della California, si appresta a festeggiare il centenario della fondazione, ma la notte di vigilia, allietata dal programma radiofonico locale della speaker e guardiana del faro Stevie Wayne (Adrienne Barbeau, allora moglie del regista), una strana serie di eventi sconvolge la quiete: si sente bussare a diverse porte, orologi e congegni elettrici impazziscono, motori, fari e clacson delle automobili si accendono da soli e, soprattutto, tre marinai vengono uccisi a colpi di uncini e coltellacci mentre si trovano a bordo della loro barca dopo esser stati ammantati da una misteriosa nebbia molto fitta che nasconde al suo interno misteriosi ed inquietanti segreti.

Quella stessa notte arriva in città l’autostoppista Elizabeth (una giovanissima Jamie Lee Curtis) grazie ad un passaggio di Nick Castle (Tom Atkins), mentre il parroco della città, un alquanto alcolizzato Padre Malone (Hal Holbrook) scopre per caso un vecchio diario di suo nonno, padre fondatore di Antonio Bay. Il diario rivela al prete l’oscuro passato, fatto di tradimenti, cupidigia e inganni della città di Antonio Bay. L’indomani, durante i festeggiamenti per la ricorrenza, fa di nuovo capolino quella fitta nebbia, luminosa e assassina…

Il film certamente non brilla per gli effetti speciali o per i costumi, anzi, per certi aspetti i fantasmi portati dalla nebbia, che dovrebbero essere teoricamente l’elemento più spaventoso del film, se estraniati dal contesto risultano alquanto ridicoli. La bravura del regista si basa sulla capacità di creare un crescendo di tensione senza mostrare nulla di eccessivamente esplicito. Questa necessità, dettata inizialmente da un basso budget, diventa la chiave del successo del film, in quanto permette a Carpenter di sfoggiare le sue abilità tecniche. Sono due gli elementi alla base della tensione palpabile del film.

In primo luogo la colonna sonora. Per chi non lo sapesse, oltre ad essere un bravo regista, John Carpenter è un eccellente compositore. Il ritmo incalzante ed inesorabile del suo sintetizzatore scandisce abilmente i tempi del film, dando movimento ed enfasi ad una regia a volte troppo lenta. I toni drammatici della colonna sonora sono stemprati dai pezzi jazz che Stevie Wayne manda alla sua trasmissione radiofonica.

https://www.youtube.com/watch?v=yNSLaYJboPE

Ad ogni modo, come dice il titolo stesso, la vera protagonista del film è la nebbia. Essa diviene per gli spettatori proiezione delle paure inconsce dell’uomo nei confronti dell’ignoto. La nebbia origina dal mare e si infiltra lentamente e sinuosamente tra le case di Antonio Bay, portando con sé un crescendo di tensione e paura. La scelta di non entrare nel banco di nebbia con la macchina da presa, di non fenderla ma di lasciarsi travolgere (nessuna inquadratura da dentro il banco, sempre frontale o con intervento laterale) rende ancora maggiore l’impressione del pubblico di essere immerso nel film: tale impressione è così vivida da spingere gli spettatori più suggestionabile a voltarsi in dietro, per il timore che la nebbia sia uscita dallo schermo e stia per sorprenderli alle spalle.

L’assenza di elementi espliciti e crudi, la diabolica capacità di Carpenter di creare tensione con pochi ma efficaci elementi, rendono Fog il film perfetto per tutti coloro che vogliono approcciarsi all’horror classico, ma non amano lo spargimento di sangue.

Renata Cuzzola

Recensione in anteprima “Tuo, Simon” (Senza Spoiler)

Simon Spier (Nick Robinson) è un normalissimo adolescente di 17 anni, che come tutti i ragazzi della sua età  frequenta il liceo. Ha anche una vita sociale attiva, grazie al suo gruppo di amici composto da Leah Burke (Katherine Langford), sua amica d’infanzia, Nick Eisner (Jorge Lendeborg Jr.), un ragazzo afroamericano con la passione per Cristiano Ronaldo e Abby Suso (Alexandra Shipp), ragazza appena trasferitasi in città integrata nel gruppo con estrema facilità. Inoltre, segue un corso di teatro dopo le lezioni e proviene da una famiglia benestante e “da sogno”. Sembra una vita piena e meravigliosa, tuttavia nasconde un grande segreto: la sua omosessualità. Nonostante il contesto familiare favorevole e amici comprensivi, Simon non riesce a rivelare ciò che realmente è, a causa di quella che ritiene possa essere paura per le conseguenze che il suo coming out possa provocare e l’insicurezza di rivelarsi “altro dal normale”, pur riconoscendo che il suo orientamento sessuale non è anormalità e non vi è vergogna nell’essere tale. Oppresso da questa sua situazione dalla quale non sembra trovare una via d’uscita, improvvisamente la vita gli pone davanti un’opportunità. Sulla piattaforma social inerente all’istituto da lui frequentato, viene pubblicato un messaggio anonimo di un ragazzo che dichiara la sua omosessualità, ammettendo che nella realtà non potrebbe mai fare una cosa simile. Ispirato dalle parole del ragazzo sconosciuto, il giovane protagonista decide di rispondere al messaggio in maniera anonima, allo stesso modo del mittente, rivelando anch’egli la sua omosessualità e l’impossibilità di uscire allo scoperto…

Tuo, Simon” diretto da Greg Berlanti, è un film adattamento del romanzo “Non so chi sei, ma io sono qui (Simon vs. the Homo Sapiens Agenda)”, in uscita il 31 maggio nelle sale italiane.
Il film si rivela essere esattamente quello che ci si aspetta: un prodotto rivolto al pubblico adolescenziale – “teen movie” per i più – trattante tematiche tipiche dei ragazzi di quell’insieme di età, oscurando problemi gravi e pesanti, se non anche troppo stereotipati, quali droga e sesso.
Ed è probabilmente questa la chiave che rende la pellicola spensierata e per nulla dura all’occhio dello spettatore, poiché riesce a concentrarsi su un’unica problematica, ovvero l’accettazione dell’omosessualità soprattutto in contesti scolastici, senza neanche gravare troppo su di essa e, per certi versi, dimenticandosene facendo risaltare la normalità di un adolescenze che “se proprio è necessario saperlo”, è anche omosessuale.

Nonostante quanto detto finora, il film non si distacca mai dalla sua identità, rimanendo stereotipato -anche se in maniera positiva ed, in fondo, accettabile – prevedibile e quasi scontato, soprattutto creando un distacco dallo spettatore che quell’età l’ha ormai superata (risultato comprensibile, ma non per questo conseguenza necessaria).
Nella totalità “Tuo, Simon” è un buon modo per lanciare un messaggio importante di accettazione sociale, senza eccessi né grosse pretese, servito in maniera leggera e fruibile a tutti, rendendolo un film piacevole e ottimo per una serata dedicata alla visione con amici, soprattutto se vorrete tornare adolescenti nuovamente per quasi due ore.

Giuseppe Maimone

Anteprima di Ready Player One di Steven Spielberg (SENZA SPOILER)

2045. In un futuro distopico la popolazione mondiale è spaccata economicamente in due, fra ricchezza e povertà.
L’unico punto in comune fra i due ceti è una tecnologia particolare e complessa che permette di vivere interamente la propria vita in rete, eccetto che per mangiare e dormire, grazie all’ausilio di un immenso videogioco: OASIS.
Dai bambini agli anziani, chiunque è attratto da questa piattaforma ibrida fra Realtà Virtuale e Realtà Aumentata, permettendo all’utente di percepire ogni sensazione provata dal proprio alter ego digitale in tutto e per tutto nella vita reale.
Talmente di grande portata e successo che OASIS fa parte della quotidianità ad un punto tale che il semplice socializzare è ripiegato alla piattaforma, considerando il mondo reale quasi come un momento di transizione tra una pausa e l’altra dal gioco.

Il perché di tutto questo successo? Chi riuscirà ad individuare un Easter Egg posizionato in maniera assolutamente casuale fra gli infiniti mondi di gioco del software, otterrà l’intera eredità del suo creatore James Donovan Halliday (Mark Rylance) equivalente a 500 miliardi di dollari e il controllo completo di OASIS. Wade Owen Watts (Tye Sheridan) è un semplice ragazzo che usa il videogioco per evadere dalla realtà che vive tutti i giorni, con una profonda conoscenza della piattaforma e del suo creatore. Ma ben presto capirà che anche questa “altra” realtà ha un suo prezzo.

E’ risaputa la voglia di Spielberg di spaziare nei suoi argomenti trattati nei vari film e cercare di narrare una storia che possa quanto più distanziarsi dal normale, ed anche questa volta si dimostra essere un maestro con un tentativo di pieno successo.
Trattare un tema quale quello dei videogiochi non è mai facile, sia per il pubblico d’utenza molto esigente, sia per la conoscenza limitata dell’ambito soprattutto nel comparto Hollywood, ma Steven sembra aver fatto i compiti a casa.

In un film costellato di effetti speciali ottimizzati in maniera splendida e con una cura non indifferente.
I riferimenti, le allusioni e quant’altro si colleghi al mondo video-ludico sono sempre azzeccati, lasciando allo spettatore il compito di individuare quel personaggio noto di un determinato videogioco o perfino scegliendo di guidarlo nella conoscenza di alcuni fatti “storici” dell’ambito non molto noti, circondato da un’aura di nostalgia che attraversa il vecchio per abbracciare il nuovo.
L’influenza dalla cultura degli anni ’80 – ’90, rende il prodotto curioso e fruibile anche a chi i videogiochi non vanno proprio a genio. Successo che si conferma anche tagliando fuori il tema principale dei videogiochi, evidenziando una buona regia, una sceneggiatura abbastanza scontata e prevedibile, ma non per questo da considerare debole e una pellicola godibile alla vista ottima per passare il tempo in compagnia di qualche amico.

Ready Player One, in uscita nelle sale italiane il 28 marzo 2018, è un film diretto da Steven Spielberg e ispirato all’omonimo romanzo di Ernest Cline, il quale ha collaborato alla stessa sceneggiatura del film.

 

                                                                                                                       Giuseppe Maimone

50 Sfumature di Rosso: (Finalmente) la fine della trilogia (si spera).

 

L’8 febbraio scorso, in Italia, è uscito il terzo capitolo della saga di “50 Sfumature di”.
In questo caso il colore è il rosso, come la rabbia che mi ha scatenato saperlo al primo posto nel box office nazionale dopo solo un weekend di programmazione.

Ogni anno, nel nostro Paese, si è posizionato tra i film più visti e io continuo a chiedermi il motivo.
Sono fautrice del fatto che non bisogna avere pregiudizi su un qualcosa senza averla vista, ma in questo caso credo che si possa fare abbondantemente un’eccezione.

L’opera da cui questi “film” sono tratti è di livello alquanto mediocre (e sono anche gentile a dire questo), basati su un’idea poco originale. Infatti, per chi non lo sapesse, la saga “più hot” (ma anche no) degli ultimi anni nasce da una fanfiction di Twilight. Converrete con me che comunque le basi non sono delle migliori.
Ammetto di aver visto solo il primo capitolo della saga, e non al cinema, ma in TV per curiosità, per cercare di capire il successo che ha riscosso.
Ebbene, non riesco a capacitarmi perché milioni di persone, soprattutto donne, sono letteralmente impazzite per questi due personaggi. Non è una storia d’amore, ma nemmeno una storia basata sul bondage.
Vedo solo un’accozzaglia di roba condita con dialoghi inconsistenti e delle interpretazioni a caso.

Posso sembrare veramente cattiva a dire certe cose, ma io non andrò a vedere un film del genere al cinema, da donna non posso assolutamente accettare certe cose e non mi sento rappresentata da una ragazza come Anastasia; né tantomeno vorrei al mio fianco un uomo come Christian Grey.
In questa storia non c’è realtà e non c’è morale; non perché ci sono scene di sesso “spinto” (nemmeno quelle ci sono), ma perché vengono calpestati valori come rispetto della persona, meritocrazia, amore, parità tra i sessi e tantissimi altri.
Perché una donna vorrebbe questo? Diciamocelo, se Christian Grey fosse stato un semplice operaio, avrebbe riscosso così tanto successo o lo avrebbero arrestato per stalking o altro?
E mi consola il fatto che sia il terzo e ultimo capitolo.
A meno che non vogliano fare tutta la trilogia con il punto di vista di lui, considerando che “l’autrice” ha riscritto i libri identici, ma con la prospettiva di Grey, vendendo, tra l’altro, milioni di copie, inspiegabilmente secondo me.

Ora vi chiedo, perché ha così successo? Perché io non ho una risposta, spero l’abbiate voi.

Serena Saveria Foti