Oltre 300 studenti scomparsi in Nigeria: Boko Haram rivendica il rapimento

Venerdì scorso un gruppo armato ha assalito una scuola a Katsina, una regione nel nord-ovest della Nigeria, e gettato nel panico oltre 800 studenti. Il giorno dopo le vittime si sono dimezzate grazie all’intervento dell’esercito che si è subito mobilitato nella ricerca. Alcuni testimoni hanno raccontato alla polizia che:

Gli studenti venivano prelevati con la forza dalla scuola prima che arrivassero le truppe dell’esercito nigeriano e iniziassero le sparatorie. Ciò ha causato la fuga di alcuni alunni mentre i banditi se ne andavano con altri. È stata una scena molto inquietante…

Abubakar Shekau, leader del gruppo terroristico Boko Haram, rivendica il rapimento degli studenti affermando in un audio diffuso su internet che “dietro il rapimento degli studenti a Kankara ci siamo noi“.
Questo succede dopo soli otto giorni che lo stesso gruppo ha massacrato più di 100 agricoltori nel Borno, una regione a nord-est della Nigeria.

Logo dell’organizzazione terroristica Boku Haram. Fonte: Wikipedia

Boko Haram

Si tratta di un’organizzazione terroristica jihadista molto diffusa nella zona nord della Nigeria. La traduzione dalla lingua hausa (una delle più parlate in Africa) è “l’educazione occidentale è sacrilega“, ovvero è vietata in quanto peccato. È un gruppo che si oppone duramente alla cultura occidentale in quanto considerata corruttrice dell’Islam.

Il gruppo è nato nel 2002 nella regione del Borno e comprendeva anche una scuola e una moschea. Il suo fondatore, Ustaz Mohammed Yusuf, attraeva nuovi nuovi adepti facendo leva sull’insoddisfazione di “essere circondati da”poliziotti incapaci e politici corrotti“. All’inizio il gruppo non sembrava essere una minaccia ma la situazione è peggiorata nel 2009, quando alcuni membri vengono arrestati per detenzione di armi.

La situazione precipita in maniera irrecuperabile nel 2011, quando il gruppo attacca la base ONU di Abuja uccidendo 11 inviati ONU. Da quel momento in poi l’organizzazione non si ferma più e continua ad attaccare varie città nigeriane. Lo scopo di queste azioni sembra essere quello di “correggere le (presunte) ingiustizie”  nello stato del Borno.

Nell’aprile del 2014 Boko Haram si mette in moto e attua il piano per cui oggi è conosciuto a livello internazionale: 276 ragazze vengono rapite in una scuola femminile a Chibok, sempre nel Borno, in una serie di eventi che sembrano la copia di quelli avvenuti venerdì scorso. Cento di queste ragazze non sono mai state ritrovate; il leader della setta ha dichiarato di volerle vendere come schiave.

Foto che ritrae le ragazze rapite nel 2014. Fonte: la Repubblica

I fatti di venerdì 11 novembre

Boko Haram ha attaccato l’Istituto Bulama Bukarti Tony Blair venerdì intorno alle ore 23.00. Gli uomini dell’organizzazione sono arrivati in motocicletta e armati di kalashnikov. Hanno subito aperto il fuoco contro l’edificio e preso in ostaggio vari studenti mentre altri tentavano la fuga tramite il bosco vicino. Proprio da lì continuano ad uscire i ragazzi che risultano scomparsi.

Secondo le autorità competenti anche gli attentatori si sono nascosti nel bosco, ma non sanno dire con certezza se e quanti ragazzi hanno come ostaggi. Un ragazzo ha dichiarato che è riuscito a fuggire dai rapinatori:

Ci hanno catturato e hanno ordinato ai più grandi di contarci. Eravamo 520, ci hanno diviso in piccoli gruppi e costretti a camminare nel bosco. Uno dei banditi mi ha picchiato più volte perché non tenevo il passo con gli altri ma così sono rimasto indietro e sono riuscito a scappare.

I genitori dei 300 ragazzi che risultano ancora scomparsi si dichiarano insoddisfatti di come lo Stato e la polizia nigeriani stanno affrontando il sequestro. Per questo si sono riuniti per manifestare il loro dissenso in uno sciopero che è stato però dissolto con dei gas lacrimogeni. Chiedono una Kankara sicura e spostano la mobilitazione su Twitter, dove mandano in tendenza l’hashtag “#BringBackOurBoys“.

Lo Stato si limita a chiudere tutte le scuole della regione mentre anche l’Unicef e l’ONU si mobilitano per affrontare la situazione. Anche Amnesty International si esprime sul rapimento, affermando che:

I terribili attacchi contro le comunità rurali nel nord della Nigeria si ripetono da anni. Il continuo fallimento delle forze di sicurezza nel prendere le misure necessarie per proteggere la gente del posto da questi prevedibili attacchi è assolutamente vergognoso.

Infatti con questo attacco, Boko Haram lancia un segnale preoccupante perché la zona attaccata non fa parte del “suo” territorio. Addirittura, all’inizio, il gruppo non è stato nemmeno individuato come colpevole. Proprio per questo motivo si teme che l’organizzazione stia allargando ulteriormente i suoi obiettivi.

Scuola africana. Fonte: la Repubblica

Sarah Tandurella

Patrick Zaki, rinnovata la detenzione per altri 45 giorni

Patrick Zaki è un attivista e ricercatore egiziano di 27 anni, che è stato arrestato al suo arrivo in Egitto il 7 febbraio 2020.

L’accusa consiste in reati di opinione, “incitamento alla protesta” e “istigazione a crimini terroristici”.

Il ragazzo è di origini egiziane e frequentava l’Università di Bologna finchè lo scorso febbraio non torna in Egitto.
Doveva trascorrere una breve vacanza con i suoi familiari ma una volta atterrato è stato sottoposto ad un lungo interrogatorio di 17 ore.

I suoi avvocati hanno riferito ad Amnesty International che gli agenti della NSA (Agenzia di sicurezza nazionale) che durante l’interrogatorio hanno bendato e ammanettato il ragazzo.
Inoltre vengono riferite altre torture quali uso di scosse elettriche; il ragazzo è anche stato picchiato sulla pancia e sulla schiena.

Le domande dell’interrogatorio vertevano sulle sue attività da attivista e sul suo motivo di residenza in Italia.

L’oggetto su cui si basa l’accusa sarebbe un profilo Facebook contenente dieci post di “incitamento alla protesta”, considerato però falso dagli avvocati di Patrick Zaki.

Patrick adesso si trova in detenzione preventiva dal 7 febbraio e fino a data da destinarsi.

Dopo numerosi rinvii, domenica scorsa, il 12 luglio, si è tenuta la prima udienza del processo.
Tuttavia, anche se gli avvocati del ragazzo hanno presentato le ragioni per cui si chiede la scarcerazione, il giudice ha deciso di prolungare la detenzione preventiva per altri 45 giorni.

Ci troviamo davanti ad un fenomeno tutto egiziano già denunciato e portato sotto l’occhio mediatico per il caso Giulio Regeni.
Anche Regeni era un dottorando, rapito il 25 gennaio 2016.
Il 3 febbraio successivo venne ritrovato senza vita e la narrazione dei fatti riporta controversie simili in quanto ad accuse.

L’Agenzia per la sicurezza nazionale in Egitto è responsabile di rapimenti, torture e sparizioni con lo scopo propagandistico di impaurire gli oppositori e reprimere il dissenso.

Amnesty International ha stilato un rapporto dal titolo “Egitto: ‘Tu ufficialmente non esisti’. Sparizioni forzate e torture in nome del contrasto al terrorismo“ nel quale analizza il fenomeno.
Sono molti infatti i casi di sparizioni improvvise e torture di studenti, attivisti politici e manifestanti.

Lo scorso 4 luglio Patrick ha mandato una lettera ai familiari, nella quale afferma:

“Cari, sono in buona salute, spero che anche voi siate al sicuro e stiate bene. Famiglia, amici, amici di lavoro e dell’università di Bologna, mi mancate tanto, più di quanto io possa esprimere in poche parole

Tuttavia il rinnovo della detenzione ad ulteriori 45 giorni fa preoccupare. Intanto crescono le polemiche, anche in seguito alla liberazione di Mohamed Amashah, un ragazzo con doppia cittadinanza, americana ed egiziana.
Questi infatti era finito in carcere dopo aver esposto un cartello in piazza Tahir, con la scritta “Libertà per tutti i prigionieri politici”.
Il rilascio è avvenuto solo grazie alle numerose pressioni del governo Trump e adesso si è discusso sulla necessità di un’azione simile da parte del Governo italiano.

Angela Cucinotta