La Kefiah, un simbolo tra resistenza, radici e tradizioni

La kefiah è il simbolo del popolo palestinese e della lotta per la liberazione della Palestina.

La kefiah è un copricapo tradizionale, diffuso anche tra le altre popolazioni dell’Asia Occidentale, le quali hanno prodotto la propria variante. In Giordania, ad esempio, la kefiah viene chiamata “hatta”. La si può trovare anche in Siria e in Iraq, dove la chiamano “shemagh”. Nei paesi del Golfo Persico, come il Qatar o l’Arabia Saudita, viene chiamata “gutrah”.

La kefiah è un indumento distintivo del mondo arabo, sia storicamente che per l’immaginario collettivo. Essa però non porta con nessun significato religioso. Da sempre è indossata da arabi di fede cristiana e drusa, oltre che da chi professa la fede islamica.

Nel corso dei decenni è divenuto il vessillo non solo del popolo palestinese, ma anche di tutte le donne e uomini liberi nel mondo che si oppongono alle guerre, e all’imperialismo occidentale.

 

Da indumento tradizionale a simbolo di autodeterminazione e resistenza

Tra gli anni 60 e 70 del secolo scorso, con lo scoppio della guerra del Vietnam, negli Stati Uniti e in tutto il mondo occidentale emerse il movimento pacifista. Un’onda internazionale che si mosse dal basso, un movimento che diventò il ”megafono” che rappresentò le istanze di tutti i popoli oppressi del mondo. Dal Vietnam alla Palestina, dall’embargo di Cuba da parte statunitense al colpo di stato fascista in Cile. Dall’Angola al Mozambico che lottavano per l’indipendenza, dal Portogallo fino al Sud Africa dell’apartheid. Il movimento pacifista, tra marce di folle oceaniche e azioni dimostrative, si mostrò come l’impersonificazione della vera opinione pubblica che denunciava le barbarie dei nostri tempi. 

Così la kefiah oltrepassò i confini levantini per divenire un simbolo di solidarietà internazionale. Il simbolo di chi ha a cuore la libertà dei popoli.

Nessuno è libero fino a che non siamo tutti liberi

recitavano i cartelloni tra le mani dei manifestanti.

Nelson Mandela con la kefiah in segno di solidarietà al popolo palestineseFonte: https://www.aljazeera.com/wp-content/uploads/2023/12/afp.com-20060304-PH-PAR-ARP1559147-highres-1701775047-e1701777815420.jpg?resize=770%2C513&quality=80
Nelson Mandela con la kefiah in segno di solidarietà al popolo palestinese

La kefiah fu indossata sia dalle persone comuni che protestavano per la pace sia dai leaders dei popoli in rivolta. Da Fidel Castro a Nelson Mandela In particolare, tutti i leaders di sinistra nel mondo indossarono la kefiah. Indossarla era già di per sè un’azione politica. La chiara espressione del sostegno alla causa palestinese. Nei decenni, anche Che Guevara si recò in visita a Gaza varie volte, prima del suo assassinio.  

 

La forza di un popolo e i suoi simboli  

Originariamente, la kefiah in Palestina non era indossata indistintamente da tutta la comunità palestinese. Storicamente, infatti, indossavano la kefiah coloro che vivevano nelle zone rurali, contadini, e beduini.

Nelle città palestinesi, per via dell’influenza della dominazione ottomana, era diffuso il “tarbouchè ottomano“, un copricapo di forma conica di colore rosso.

Nel 1917, durante la Prima guerra mondiale, con la sconfitta ottomana, la Palestina passò dall’occupazione ottomana a quella britannica, durata fino al 1948.

L’occupazione britannica portò alla grande rivolta araba del 1936, conseguenza della brutalità coloniale che assecondava l’insediamento di coloni sionisti provenienti da tutto il mondo.

Il susseguirsi di attacchi alle comunità palestinesi rurali provocò la rivolta delle classi contadine. Gli insorti erano facilmente identificabili. I partigiani palestinesi, per non farsi identificare, durante le rivolte iniziarono a coprirsi tutto il volto con la kefiah. Di conseguenza, chiunque indossava una kefiah divenne sospetto e passibile di arresto da parte delle autorità coloniali. 

I leaders palestinesi dell’epoca, come risposta, invitarono tutta la popolazione ad abbandonare il tarbouchè ottomano, divenuto “il copricapo dei traditori”.  Esortarono tutta la popolazione a indossare la kefiah.

Questa strategia rese impossibile l’individuazione dei ribelli da parte delle autorità coloniali.

L’apice della kefiah, adottata come simbolo della Palestina per antonomasia, si ebbe però solo nel 1967. Dopo la sconfitta degli Stati Arabi contro il neo Stato sionista nella guerra dei sei giorni, e l’occupazione anche di Gaza e di tutta la Cisgiordania da parte del nuovo stato coloniale.

Il fallimento della repressione e la censura della bandiera della Palestina e i suoi colori

Una delle prime conseguenze della totale occupazione della Palestina fu che la bandiera palestinese venne vietata da una legge varata dall’occupante israeliano.

Nel 1980, Israele varò un’ulteriore legge che vietava le opere d’arte di “significato politico”; altresì vietava le opere d’arte composte dai quattro colori della bandiera palestinese. I palestinesi vennero arrestati per aver esposto tali opere d’arte.

Fu così che la kefiah sostituì la bandiera palestinese, equivalendosi nel suo significato di resistenza al colonialismo.

Oltre alla kefiah, per sfidare la legge imposta dagli israeliani ai palestinesi, iniziò a diffondersi la pratica tra chi protestava di portare  con alle manifestazioni delle angurie, frutto che contiene i quattro colori della bandiera palestinese.

Il divieto di esporre la bandiera della Palestina verrà abolito solo nel 1993, con gli accordi di Oslo firmati dal leader della resistenza palestinese dell’epoca, Yasser Arafat, anch’egli uno dei maggiori sponsor della kefiah. Questi non si è mai mostrato in pubblico senza indossarla.  

 

Anguria simbolo di protesta e diritto all'autodeterminazioneFonte: https://www.bing.com/images/search?view=detailV2&ccid=lMP3TQyP&id=370A6588D30BB16F932B5DF4AC0EC44D9D779096&thid=OIP.lMP3TQyPP-2ZmlmQTejhMwHaE8&mediaurl=https%3a%2f%2fwww.indy100.com%2fmedia-library%2fpalestinian-farmers-in-the-northern-gaza-strip-in-2021.jpg%3fid%3d50420812%26width%3d1200%26height%3d800%26quality%3d85%26coordinates%3d0%252C0%252C0%252C0&cdnurl=https%3a%2f%2fth.bing.com%2fth%2fid%2fR.94c3f74d0c8f3fed999a59904de8e133%3frik%3dlpB3nU3EDqz0XQ%26pid%3dImgRaw%26r%3d0&exph=800&expw=1200&q=watermelon+protest+palestine&simid=608045122402729502&FORM=IRPRST&ck=1B5D1F658A32DC2443C2933507EA3E33&selectedIndex=83&itb=0&ajaxhist=0&ajaxserp=0
Manifestanti palestinesi che hanno reso anche il frutto un simbolo del loro diritto all’autodeterminazione

 

La mercificazione della grande industria della moda ha decostruito il significato di lotta della kefiah

Negli anni 2000, la kefiah ha vissuto un momento di appropriazione e mercificazione da parte del mercato della moda mondiale. Questo, tendendo a spogliarla del suo profondo significato storico, culturale e di lotta, decostruì l’implicazione simbolica di chi la indossava e la trasformò in un indumento comune, l’ennesimo prodotto fashion.

Il mercato fu esondato da svariati tipi di kefiah, che differivano per forma colore e dimensione. Marchi come Balenciaga arrivarono a produrre la propria versione nel 2007, al prezzo di tremila euro al pezzo e anche Chanel e Fendi proposero la loro variante.

Ciò nonostante, la kefiah ha continuato a essere il simbolo della Palestina e della sua lotta per la liberazione.

Svariate celebrità l’hanno indossata come messaggio di solidarietà per il popolo Palestinese, come Roger Water dei Pink Floyd. Tuttavia, nonostante gli accordi di Oslo siano falliti e benchè dal 2007 la striscia di Gaza sia divenuta il piu grande campo di concentramento della storia dell’umanità, la causa palestinese è caduta nell’ombra. Forse, più che cadere, sono stati i riflettori dei media occidentali ad essersi girati dall’altra parte, contribuendo a far cadere nell’oblio la causa palestinese.

 

Nuovamente attorno al collo di milioni di persone in tutto il mondo

Proteste pro PalestinaFonte: https://www.wlrn.org/government-politics/2023-10-13/palestinian-supporters-speak-out-in-south-florida-as-israel-hamas-conflict-rages-in-middle-east
Protesta pro Palestina
Fonte: Al Diaz Adiaz, @Miamiherald.com

Con l’inizio del genocidio a Gaza, iniziato il 7 ottobre 2023 e vergognosamente ancora in corso, il mondo ha preso nuovamente coscienza della causa palestinese e del paradosso dell’unica colonia occidentale esistente ancora al mondo, ovvero lo stato di Israele.

Le cronache del genocidio del popolo Palestinese hanno fatto che la kefiah tornasse attorno al collo di milioni di persone in tutto il mondo, indossata in solidarietà col popolo palestinese. Di conseguenza, è tornata protagonista negli schermi dei media.

Purtroppo, come nel 1967, assistiamo a tentativi da parte di chi sostiene il regime di appartaheid israeliano di criminalizzare questo indumento, tentando in tutti i modi di far associare la kefiah con il terrorismo nell’immaginario collettivo.

Tristemente assistiamo ad atti di repressione e anche arresti da parte della polizia in Stati democratici, come la Germania e l’Austria, nei confronti di attivisti colpevoli di indossare la kefiah. Svariati sono stati anche i casi di persone allontanate da locali pubblici perché indossavano una kefiahanche una semplice spilletta con la bandiera palestinese. Altri hanno perso il proprio impiego per il sol fatto che indossavano sul posto di lavoro tali simboli.

L’atteggiamento repressivo a cui assistiamo anche fuori dalla Palestina ha incoraggiato la protesta in tutto il mondo. Le piazze delle maggiori metropoli del mondo pretendono la fine del genocidio, il cessate il fuoco e la fine dell’occupazione israeliana, perpetrata impunemente  da oltre settantasei anni.

Non è una questione solo politica, è anche e sopratutto una questione etica, alla base dei valori e dei diritti umani su cui si basa la civiltà moderna.

Come scrisse Vittorio Arrigoni, attivista italiano per i diritti umani e giornalista, ucciso a Gaza nel 2011.:

Restiamo umani.

 

Vittorio ArrigoniFonte: https://www.bing.com/images/search?view=detailV2&ccid=9jgtv5D5&id=AA96DD11936B800EE24B5FA85FD0DE9C4763A275&thid=OIP.9jgtv5D5vQR28dw0pBfvVAHaF-&mediaurl=https%3a%2f%2f3.bp.blogspot.com%2f-6nyTzQE8tk8%2fVT3sColrgFI%2fAAAAAAAADQQ%2ff6-VT2yUDYY%2fs1600%2fVittoro-Arrigoni.jpg&cdnurl=https%3a%2f%2fth.bing.com%2fth%2fid%2fR.f6382dbf90f9bd0476f1dc34a417ef54%3frik%3ddaJjR5ze0F%252boXw%26pid%3dImgRaw%26r%3d0&exph=646&expw=800&q=vittorio+arrigoni&simid=608048511106972670&FORM=IRPRST&ck=6C8E8BF42A7AA283ED10C503D3A71EA4&selectedIndex=72&itb=0&ajaxhist=0&ajaxserp=0
Vittorio Arrigoni 

  

Fonti :

https://orientxxi.info/va-comprendre/perche-la-kefiah-e-il-simbolo-della-resistenza-palestinese,7111#:~:text=Uno%20strumento%20della%20Grande%20Rivolta&text=In%20Palestina%2C%20la%20kefiah%20%C3%A8,nero%20che%20circonda%20la%20testa

https://www.middleeasteye.net/discover/palestine-keffiyeh-resistance-traditional-headdress

 

 

 

 

 

Un tuffo nella moda del passato: il Museo del Costume e della Moda Siciliana

La moda italiana è apprezzata in tutto il mondo perché dotata di un’eccellente sartoria, che lavora tessuti pregiati, e di stilisti dalle menti creative. Essa è una forma d’arte che rappresenta la storia, le tradizioni e le radici culturali di un popolo.

La moda è in continua evoluzione, e magari chi tra di noi è appassionato dell’argomento potrebbe aver avuto il desiderio di analizzare dal vivo i costumi siciliani del passato. Questo oggi è possibile grazie al Museo del Costume e della Moda Siciliana, situato a Mirto (ME).

logo museo mirto
Il logo del Museo del costume e della moda siciliana -Fonte: museodelcostumesiciliano.org

La location

Il museo consente di ammirare al suo interno una ricca collezione d’abiti tipici del modo di vestire nella Sicilia dei secoli precedenti, dai ceti più agiati alle classi popolari. È stato inaugurato nel 1993 all’interno dello storico Palazzo Cupane, di proprietà comunale, per volere di Giuseppe Miraudo, direttore del museo, il quale donò per primo parte della sua collezione privata di abiti e accessori.

mirto
Esterno del Museo – Fonte: letteraemme.it

Lo stabile è diviso in sezioni in base all’epoca,  partendo dal basso, con la sezione di abiti popolari che comprende costumi etnici utilizzati durante le feste popolari e religiose. Vi sono esposti anche antichi strumenti per la lavorazione tessile e oggetti di uso casalingo.

 

Gli abiti

Al primo piano troviamo costumi d’abbigliamento tipici dello stile siciliano, datati dal XVIII al XX secolo.

Al secondo piano troviamo la biancheria intima con i famosi corpetti, costumi da bagno, corredi, capi infantili settecenteschi e abiti da sposa. Inoltre sono presenti anche pezzi di moda anni ’20 del ‘900.

Il museo è dotato di un cortile immerso nel verde.

vestito mirto
Abito in seta verde del 1860, primo piano del Museo – Fonte: letteraemme.it

Nell’ingresso del primo piano troviamo diversi abiti ottocenteschi borghesi di importanti famiglie sicule. Per esempio un abito in seta verde del 1860, capi in seta del 1870 donati da Ferlazzo Natoli di Patti, diversi corpetti, e un Frac maschile dello stesso decennio.

mirto 20
Sezione abiti anni ’20 del Museo – Fonte: scomunicando.it

Il salone è utilizzato inoltre per conferenze e dibattiti. Nella sezione dedicata agli anni ’20 è presente un pezzo d’abbigliamento raro, un Fortuny recentemente restaurato dall’Istituto di Restauro del tessuto di Palermo.

Nella stessa sezione ci sono cinque abiti in tulle interamente ricamati con pailettes jees, un abito dal disegno futurista della famiglia Vilardi di Mirto, un vestito da sposa ricamato su tulle, diversi corpetti liberty, un abito laminato Florio, e due grandi vetrine donate dalla professoressa Teresa Pugliatti, contenenti cappelli e accessori del periodo.

Tramite le sue stanze il museo testimonia anche fatti storici: sono presenti, ad esempio, le camicie rosse dei “picciotti” garibaldini e gli abiti serali che le dame indossavano durante le serate danzanti organizzate dai “gattopardi” nei primi del ‘900.

 

Il contributo di Maria Grazia Cucinotta

Ha dato ulteriore lustro al museo Maria Grazia Cucinotta. L’attrice messinese, infatti, ha visitato lo stabile al termine delle riprese del film “Miracolo a Palermo”, di cui Miraudo è stato scenografo. La Cucinotta, accettando simbolicamente il ruolo di “madrina” a titolo gratuito, ha concesso di utilizzare la sua immagine, volutamente in abito d’epoca, così da divenire testimonial ufficiale.

museo mirto
La nota attrice Maria Grazia Cucinotta come testimonial per il museo di Mirto – Fonte: palermotoday.it

 

Un tuffo nel passato!

Antecedentemente all’emergenza sanitaria il museo organizzava spesso sfilate ed ospitava eventi.

Nonostante questo momento di crisi e diffidenza sociale, lo stabile resta tutt’ora aperto al pubblico nel rispetto delle misure di sicurezza anti covid19. Nel frattempo è anche online, sul sito internet, il tour a 360 gradi del museo.

E a voi ha affascinato questo piccolo tuffo nella moda del passato? I nostri antenati si vestivano proprio così!

 

Diana Colombraro, Corinne Marika Rianò

 

Immagine in evidenza:

Il Museo del costume e della moda sicilia – Fonte: facebook.com/museomirto