Luisa

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Luisa camminava, senza sosta; sulle sue gambe sembrava non ci fosse nessun controllo.

Il sole illuminava il suo volto nella parte sinistra, il vento le scompigliava quei capelli lunghi che ama tenere raccolti.

Due anziani davanti a lei si tenevano per mano e, a passo lento, accompagnavano il loro amore verso il tramonto; dei ragazzi che correvano le sfrecciavano accanto, e lei, incurante, manteneva il suo ritmo.

Quegli occhiali scuri che indossava nei giorni più soleggiati, erano il suo scudo nei giorni più neri: quel pomeriggio, come gli altri, gli occhi erano gonfi, lucidi, e l’unico modo per proteggersi da sguardi indiscreti era indossare quelle lenti; come l’unico modo che aveva per sfuggire dalla realtà, era camminare fino a raggiungere il mare.

 

Fin da piccola, a fine giornata si faceva accompagnare dalla sua mamma nella spiaggia vicino casa – “ così posso sentire le onde e vedere il sole quando è più rosso” – diceva con aria saccente.

 

D’un tratto sentì il profumo indistinguibile del mare è decise che, per quel pomeriggio, il suo posto sarebbe stato quello.

La spiaggia era affollata, ma Luisa, solitaria d’abitudine, conosceva un triangolo di sabbia nascosto dietro dei massi: si tolse le scarpe, si sedette a gambe incrociate e finalmente alzò i suoi occhiali da sole.

Doveva aver pianto tanto.

Ma l’azzurro del mare e il sole calante le regalavano un senso di pace che difficilmente in altri luoghi o in altri momenti avrebbe saputo provare.

I suoi pensieri erano più rumorosi delle onde, ma cercava un ordine in quel blu davanti a lei, che le facevano sognare il senso di infinito del mare.

E sognava di fuggire da quel posto, che ormai le imprimeva tanta tristezza nel cuore, che ormai era solo una tana di ricordi malinconici.

Fuggire? Fuggire dove? Non si può scappare da se stessi. E allora lei rimaneva inerme, con la vita che le passava accanto e nemmeno sentiva che la stava sfiorando.

Sentiva solo il rumore del male che aveva dentro.

 

Luisa era diversa dai suoi coetanei e i tagli sui polsi ne erano i testimoni: erano i segni di quella che doveva essere una fine, ma in realtà era un inizio.

Quel pomeriggio, infatti, era differente: troppe lacrime, troppo dolore negli ultimi anni; voleva cambiare; era pronta, e adesso guardava il cielo in maniera diversa.

Intanto le nubi avanzavano e la pioggia cominciava a scendere; Luisa alzò lo sguardo e accennò un sorriso che si stava inzuppando d’acqua piovana; gli occhi sporchi di mascara si stavano pulendo dalle angosce indossate al mattino.

Le guance mostravano il loro pallore.

Era un eterno piacevole bagnarsi.

Era un eterno piacevole smacchiarsi dalla tristezza.

Era un eterno piacevole assaggiare la vita.

 

 

Jessica Cardullo

Nel silenzio

Alle 6:30, la sveglia irrompe nei sogni di Silvia: puntualmente, lei scopre la testa dalle lenzuola e con una mano arranca per raggiungere il pulsante di spegnimento.
L’ora che segue, è un avvicendarsi di azioni che, la donna, piacevolmente compie quotidianamente: si addentra piano piano nella cameretta del figlio e lo sveglia scostando i capelli dalla fronte e stampandogli un tenero bacio; poi scende al piano di sotto per preparare una tazza con latte e cereali ed un bicchierino di caffè con i sui immancabili due cucchiaini di zucchero.

Alle 7:30, in punto, il bus della scuola si ferma davanti la casa per prendere Alberto, che sceglie il solito posto vicino al finestrino da cui saluta la mamma.

Alle 7:40, Silvia è pronta per andare a correre al parco vicino la sua abitazione: lei ama farlo proprio a quest’ora, quando il sole non è ancora alto in cielo e quando il verde è insaporito dall’acqua degli irrigatori.
Lei corre con grinta e determinazione, come se stesse rincorrendo qualcosa o sfuggendo da un’altra e, in questo momento, sembra anche una donna serena.

Così, però, non è.

Silvia sta divorziando da Carlo, un marito collerico e violento; un padre che sfogava la sua rabbia a suon di piatti rotti e urla e lasciava i suoi manifesti d’ira nei lividi della moglie e del piccoletto.
La situazione familiare era divenuta insostenibile, così la donna era decisa ad allontanarsi da quel mostro che abitava nella sua casa.

Dopo circa un anno dalla drastica ma opportuna decisione, Silvia ha cominciato a frequentare un uomo dolce, simpatico e ragionevole, che nulla ha a che vedere con il padre di suo figlio.

Ma Carlo sa tutto e quella donna è roba sua, e la gelosia è una brutta bestia.

Silvia, ultimamente, si sente osservata e più volte nota la macchina dell’ex posteggiata nei pressi di casa sua; poi la vede nel centro città e vicino la scuola in cui lei insegna: è lui ed è ovunque; è tornato, fa parte nuovamente della sua vita e sta rientrando silenziosamente, in penombra.

La donna non vuole credere che Carlo la stia pedinando, fin quando, una sera, mentre è a cena con il nuovo compagno, fa irruzione nel ristorante urlandole contro e minacciandola.
Sono tutti spaventati, Silvia più degli altri, ma non vuole denunciare, non vuole firmare la sua condanna a morte presentandosi in questura.

In realtà, Silvia non sa che il suo destino è già segnato.

Alle 7:40, la mattina seguente, la donna esce, come di consueto, da casa, ma non vi rientrerà più e Alberto, non lo sa, ma alle 7:30 l’ha salutata dal finestrino del bus per l’ultima volta.

Carlo sa l’ordinaria routine della sua donna, conosce ogni passo, appunta tutti gli orari in quel taccuino che ha sempre con sé.

Lui la aspetta lì, nel parco, con gli occhi pieni di ira e le mani sporche di gelosia: Silvia è sua e di nessun altro.

Ora, invece, Silvia è un corpo inerme in un mare di verde attorno; Silvia era una donna, come tante, spaventata; Silvia è una donna strangolata nel silenzio.

Jessica Cardullo